Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Militare Trapani

Sentenza

Lite tra un maresciallo e un ten. colonnello dei Carabinieri. Il primo dice al s...
Lite tra un maresciallo e un ten. colonnello dei Carabinieri. Il primo dice al secondo "non credo che lei abbia le competenze tecnico professionali, la invito ad evitare di muovermi i suoi commenti denigratori dubitativi, detta scomposta azione di comando disturba inevitabilmente e sterilmente la concentrazione sulla mia attività che ha priorità assoluta"
Cassazione penale, sez. I, 28/11/2013, (ud. 28/11/2013, dep.29/01/2014),  n. 3971
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE PRIMA PENALE                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. SIOTTO     Maria Cristin -  Presidente   -                     
Dott. TARDIO     Angela        -  Consigliere  -                     
Dott. BARBARISI  Maurizio      -  Consigliere  -                     
Dott. LOCATELLI  Giuseppe -  rel. Consigliere  -                     
Dott. CAPRIOGLIO Piera M.S.    -  Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
           D.C.C. N. IL (OMISSIS); 
avverso  la sentenza n. 64/2012 CORTE MILITARE APPELLO di  ROMA,  del 
17/10/2012; 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 28/11/2013 la  relazione  fatta  dal 
Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI; 
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Flamini L.M.,  che 
ha concluso per l'annullamento con rinvio; 
udito   il  difensore  avv.  Bruno  Pierfrancesco,  che  ha   chiesto 
l'accoglimento del ricorso. 
                 


Fatto
RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 21.2.2012 il Tribunale militare di Roma dichiarava D.C.C. colpevole del reato di insubordinazione con ingiuria pluriaggravata perchè, quale militare rivestito del grado di Maresciallo dei Carabinieri in missione all'estero, rivolgeva le seguenti espressioni ingiuriose al Ten. Colonnello T., mediante messaggi di posta elettronica allo stesso diretti e fatti pervenire a più Comandi collegati, "non credo che lei abbia le competenze tecnico professionali, la invito ad evitare di muovermi i suoi commenti denigratori dubitativi, detta scomposta azione di comando disturba inevitabilmente e sterilmente la concentrazione sulla mia attività che ha priorità assoluta". Accertato in (OMISSIS). Per l'effetto lo condannava alla pena di mesi 4 di reclusione con i doppi benefici.

Con sentenza del 17.10.2012 la Corte militare di appello confermava la condanna limitatamente alle espressioni ingiuriose "detta scomposta azione di comando disturba inevitabilmente e sterilmente la concentrazione sulla mia attività che ha priorità assoluta", ed esclusa l'aggravante del pubblico scandalo prevista dall'art. 47 c.p.m.p., n. 4, riduceva la pena inflitta a mesi due di reclusione militare, ritenendo che le restanti espressioni fossero sussumibili nel diritto di critica.

Avverso la sentenza il difensore ricorre per i seguenti motivi: 1) violazione di legge e mancanza e/o manifesta illogicità della decisione nella parte in cui la Corte di appello ha attribuito valenza ingiuriosa all'uso dell'aggettivo "scomposta" riferita all'azione di comando svolta dal superiore gerarchico, mentre si tratta di espressione che non sembra esprimere alcun contenuto intrinsecamente lesivo del prestigio ed in genere delle qualità personali del superiore; la condotta specificamente ascritta all'imputato doveva essere parametrata all'interno della sfera del diritto di critica; 2) erronea applicazione della legge penale, mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza della aggravante prevista dall'art. 47 c.p.m.p., n. 4 di aver commesso il fatto in territorio estero: secondo il ricorrente l'aggravante richiede l'estrinsecazione in territorio estero di una relazione fisica diretta tra offeso e offensore;

insufficiente motivazione in ordine alla affermazione che le caserme italiane all'estero non godono della extraterritorialità; 3) erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione nella parte in cui la Corte ha concesso circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza, anzichè di prevalenza, rispetto alla aggravante ritenuta.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

1. La Corte di appello militare ha ritenuto che l'epiteto "scomposta", affibbiato all'azione di comando posta in essere dal superiore, ne offende certamente il prestigio e la reputazione mettendo in dubbio le competenze professionali, con particolare riguardo alla espressione secondo cui l'azione di comando del superiore "disturba sterilmente" l'attività di istituto dell'imputato; ha ritenuto che le parole utilizzate dal ricorrente esulano completamente dal diritto di critica, risolvendosi in un generale e generalizzato giudizio negativo sulle attitudini al comando del superiore.

Le argomentazioni svolte, incensurabili nel merito, sono giuridicamente corrette, dovendosi considerare la peculiare oggettivita giuridica della fattispecie di insubordinazione prevista dall'art. 189 c.p.m.p., comma 2, la quale tutela non solo la dignità e l'onore del "superiore", ma l'integrità e l'effettività del rapporto gerarchico, che è funzionale al mantenimento della compattezza delle forze armate. Inoltre il particolare rigore cui sono improntati i rapporti nella disciplina militare, conduce a considerare offesa all'onore ed al prestigio ogni atto o parola di disprezzo verso il superiore ed anche il tono arrogante, perchè contrari alle esigenze della disciplina militare per la quale il superiore deve essere tutelato non solo nell'espressione della sua personalità umana, bensì anche nell'ascendente morale che deve accompagnare l'esercizio dell'autorità del grado e la funzione di comando. (conformi Sez. 1, n. 7957 del 20/12/2006 - dep. 26/02/2007, Frantuma, Rv. 236355; Sez. 1, n. 1172 del 12/07/1989 - dep. 30/01/1990, Pesola, Rv. 183159).

2. La Corte militare di appello ha confermato la sussistenza dell'aggravante di aver commesso il fatto in territorio estero sul rilievo che le caserme militari all'estero utilizzate durante le missioni internazionali non godono del regime di extraterritorialità.

Il motivo di ricorso proposto è inammissibile per genericità, poichè non porta alcuna argomentazione a sostegno della ipotizzata extraterritorialità delle caserme italiane all'estero impiegate nel corso di missioni internazionali di pace, ma deduce un inesistente difetto di motivazione sul punto della sentenza impugnata.

3. La censura in ordine al giudizio di comparazione delle attenuanti generiche, espresso in termini di equivalenza anzichè di prevalenza come richiesto dal ricorrente, si risolve nella sollecitazione di un diverso apprezzamento di fatto non consentito nel giudizio di legittimità.

A norma dell'art. 616 c.p.p. il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2014
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza