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Sentenza

Maresciallo dei Carabineri condannato a 10.000 euro per danno all'immagine dell'...
Maresciallo dei Carabineri condannato a 10.000 euro per danno all'immagine dell'Arma.
REPUBBLICA ITALIANA
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA

Composta da:

dott.ssa Luciana SAVAGNONE                  - Presidente

dott.ssa Igina MAIO                                     - Primo Referendario

dott.ssa Maria Rita MICCI                           - Primo Referendario - relatore

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A  31/2017

nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 63126 del Registro di Segreteria, promosso dalla Procura Regionale contro: L.E. nato a T.....il .................., rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Panepinto e dall'avv. Antonio Vetro ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo sito in Palermo, via Houel n. 4

Visto l'atto di citazione.

Letti gli atti ed i documenti di causa.

Nella pubblica udienza del 30 novembre 2016 sono uditi il relatore, dott.ssa Maria Rita Micci, il Pubblico Ministero, dott. Alessandro Sperandeo, ed il difensore del convenuto, avv. Roberto Panepinto.

FATTO

Con l'atto introduttivo del presente giudizio, la Procura contabile ha convenuto il sig. L.E. per sentirlo condannare al pagamento della somma di euro 30.000,00 a favore del Ministero della Difesa – Arma dei Carabinieri, a titolo di risarcimento per il danno all'immagine dallo stesso asseritamente prodotto all'Arma medesima per i fatti, così come meglio accertati, con sentenza del Tribunale Ordinario di M. del 15 dicembre 2012, successivamente confermata in appello e, quindi, divenuta irrevocabile in data 10 dicembre 2014, quando la Suprema Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato di cui all'art. 610 c.p., ha confermato per il resto la sentenza, riducendo, però, la pena detentiva ad anni 1 e mesi 10 di reclusione.

Il sig. L.E. infatti, in primo grado è stato condannato alla pena di anni 2 e mesi 3 di reclusione oltre ad una provvisionale a favore delle costituite parti civili, per i reati p.e p. dagli articoli 660, 595, 610, 615 ter e 323 c.p..

Dai fatti, così come ricostruiti dal PM contabile, alla luce di tutta la documentazione versata in atti e, segnatamente, da quanto definitivamente accertato dal giudice ordinario con le decisioni di cui sopra, il sig. L. avrebbe, nel periodo compreso fra il 2007 ed il 2009, lungamente infastidito  tale A.I. D., con la quale aveva intrattenuto una relazione extraconiugale da oltre un decennio, molestandola con continue telefonate ed sms offensivi, divulgando a terzi foto che ritraevano l'A. in atteggiamenti compromettenti, inserendosi abusivamente nella sua posta elettronica modificandone la password ed, infine, nella qualità di Maresciallo dei Carabinieri in servizio presso l'Aliquota Carabinieri della Procura della Repubblica di M., svolgendo di propria iniziativa, indagini a carico della signora A. medesima o, comunque, non astenendosi dal compierle, avendo lo stesso ufficialmente denunciato la presenza di una segnalazione anonima pervenuta al suo ufficio in merito ai fatti che, quindi, furono oggetto di accertamento, con ciò determinando l'iscrizione nel registro degli indagati della medesima A. di due notizie di reato, successivamente archiviate dal GIP.

Essendo stato il L., tra l'altro, condannato anche per il reato di abuso di ufficio ex art. 323 c.p., la Procura erariale ha ritenuto di poter procedere ai sensi dell'art. 17, comma 30 ter, del DL 103/2009 convertito con L. 141/2009.

La condotta del L. pertanto, è stata ritenuta dalla Procura procedente estremamente lesiva dell'immagine dell'amministrazione pubblica di appartenenza che deve essere, quindi, ristorata all'esito del presente giudizio; la Procura procedente ha, altresì, quantificato il danno prodotto in euro 30.000,00, prendendo come utile parametro di calcolo quanto previsto dall'articolo 135 c.p. che, al fine di determinare un ragguaglio fra pena pecuniaria e pena detentiva, quantifica quest'ultima in euro 250,00 al giorno. La somma derivante da detto calcolo è stata dalla Procura opportunamente ridotta in ragione della condotta tenuta dallo stesso L. successivamente ai fatti per cui è causa; i successivi successi professionali dallo stesso ottenuti avrebbero, a detta dell'accusa medesima, risollevato l'immagine dell'amministrazione danneggiata, consentendo, così, di ridurne proporzionalmente il danno.

Con memoria depositata il giorno 8 novembre 2016 si è costituito il convenuto L. E. eccependo, in via preliminare, la prescrizione dell'azione erariale dal momento che il fatto reato da cui, a detta della Procura procedente, deriverebbe il danno all'immagine di cui oggi si chiede il ristoro, è stato commesso in data 7 agosto 2007, così come si legge nel capo di imputazione redatto dal giudice penale; la richiesta di rinvio a giudizio, poi, è stata notificata al sig. L. in data 31 marzo 2010, già comunicata alla Procura contabile il precedente 4 febbraio.

Al momento in cui il PM contabile ha introdotto il presente giudizio (l'invito a dedurre è stato notificato il 7 gennaio 2016), quindi, l'azione erariale era già prescritta non potendo, a detta della difesa del convenuto, trovare applicazione l'art. 17 comma ter, in virtù del quale il decorso della prescrizione deve considerarsi sospeso in attesa della irrevocabilità della sentenza penale, dal momento che la norma in questione è entrata in vigore un biennio più tardi.

Il verificarsi dell'asserito danno in epoca antecedente rispetto all'entrata in vigore della suddetta norma, impedirebbe, poi, di fatto, di poter ipotizzare l'esistenza di una autonoma figura di danno all'immagine che, pertanto, dovrebbe essere provata in tutti i suoi elementi costitutivi; in ogni caso, dalla ricostruzione della vicenda penale, risulta centrale per la offensività della condotta, la figura della signora A., mentre il discredito per l'immagine dell'amministrazione pubblica appare, a parere della difesa, del tutto marginale e tale da non superare la soglia di offensività richiesta dalla legge.

In ogni caso, nella denegata ipotesi di condanna, la marginalità del danno, innegabilmente, incide, sulla sua quantificazione che, quindi, deve essere ridotta con riferimento al solo reato di abuso di ufficio; dalla ricostruzione effettuata dalla Procura, infatti, ai fini della quantificazione del danno vengono utilizzati i parametri dati dall'art. 135 c.p. nonché l'intero ammontare della provvisionale concessa in sede penale, omettendo di considerare il fatto che tanto la pena detentiva presa come base di calcolo per l'applicazione dell'art. 135 c.p., quanto l'intera provvisionale, riguardano la fattispecie penale vista nella sua interezza, mentre in questa sede ciò che deve rilevare è il solo reato di abuso di ufficio.

Alla luce delle suddette considerazioni, pertanto, la difesa del convenuto L. ha chiesto di dichiarare infondata ed inammissibile l'azione erariale di che trattasi. In ogni caso, in via preliminare, ha chiesto che sia dichiarato prescritto il danno per cui si procede e, nel merito, l'assoluzione, da ogni addebito. Nella denegata ipotesi di condanna, poi, la difesa L. ha chiesto, in ogni caso, la riduzione dell'addebito applicando il potere riduttivo del danno nella sua massima estensione.     

All'udienza del 30 novembre 2016, le parti si sono riportate alle conclusioni già formulate nei rispettivi atti introduttivi.

Considerato in

DIRITTO

Con l'atto introduttivo del presente giudizio il Collegio è chiamato a decidere su di una ipotesi di danno erariale derivante dalla lesione all'immagine dell'amministrazione di appartenenza dell'odierno convenuto asseritamente riconducibile alla condotta tenuta da quest'ultimo, già condannato in sede penale, con sentenza divenuta irrevocabile il 10 dicembre 2014, tra l'altro, per il reato di abuso di ufficio previsto e punito ai sensi dell'art. 323 c.p.. La Procura procedente, nel suo atto introduttivo, ha posto a fondamento della propria azione, l'art. 17, comma 30 ter, del DL 78/2009, convertito con modificazioni con L. 102/2009 e contestualmente modificato con DL 103/2009, convertito, a sua volta, con L. 141/2009, il quale dispone nel senso di consentire di agire per la richiesta di risarcimento per il danno arrecato all'immagine della pubblica amministrazione, unicamente nei casi e nei modi previsti dall'art. 7 L. 97/2001 a mente del quale le sentenze irrevocabili di condanna, pronunciate nei confronti dei pubblici dipendenti, meglio indicati all'art. 3 della medesima legge, per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, devono essere comunicate al competente procuratore regionale presso la Corte dei conti affinchè promuova la relativa azione per il danno erariale che ne possa derivare.

Il legislatore del 2009, poi, ha precisato che il decorso del termine prescrizionale di cui al comma 2 dell'art. 1 della L. 20/1994 sia sospeso fino alla conclusione del procedimento penale.

Nel caso in esame, la difesa dell'odierno convenuto ha, preliminarmente, eccepito la prescrizione del danno per il quale si procede ritenendo non applicabile alla fattispecie in esame la normativa invocata dall'attore pubblico, risalendo il fatto, asseritamente foriero del danno erariale per cui è causa, ad un periodo di gran lunga antecedente rispetto all'entrata in vigore della norma; a detta della difesa del convenuto, infatti, il noto principio della irretroattività della norma sancito dall'art. 11 delle preleggi, impedirebbe di applicare una ipotesi di sospensione della prescrizione introdotta dal legislatore successivamente alla commissione del fatto.

Come noto, in tema di danno all'immagine, il legislatore del 2009, si è unicamente limitato a positivizzare quelli che erano stati fino ad allora gli approdi della giurisprudenza contabile e di legittimità sulla materia. Da tempo, infatti, anche la giurisprudenza contabile aveva accolto, accanto al danno patrimoniale in senso stretto, il c.d. danno all'immagine, quale offesa, lesione e/o alterazione agli occhi dei consociati, del modello affidabile, imparziale e efficiente della cosa pubblica, quando le Procure contabili, risentendo della evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale subita in sede civile dal danno non patrimoniale, hanno sistematicamente iniziato a richiedere il risarcimento per tale ulteriore lesione del pubblico erario, ogni qual volta l'illecito commesso avesse avuto una vasta eco nella collettività. Il legislatore del 2009, pertanto, si è limitato unicamente a restringere il campo di applicazione oggettivo del danno all'immagine, riconoscendone l'esistenza nelle sole ipotesi di danni derivanti da reati di cui al capo I, titolo II, libro secondo del codice penale e, traducendo, per il resto, in norma quanto già pacificamente raggiunto in via pretoria. Con riferimento alla prescrizione in particolare, occorre precisare che la giurisprudenza contabile,  già prima che il legislatore del 2009 avesse espressamente previsto di sospendere il decorso del termine quinquennale utile alla prescrizione del danno all'immagine della pubblica amministrazione sino alla conclusione del processo penale, aveva statuito nel senso di riconoscere al Pubblico Ministero la facoltà di chiedere al pubblico dipendente di risarcire il danno all'immagine e/o al prestigio dell'amministrazione di appartenenza, che si fosse concretizzato per effetto della divulgazione tra i consociati della notizia di un comportamento costituente reato, a lui imputato in sede penale, soltanto nel caso in cui la “notitia criminis” fosse stata riscontrata come vera e la responsabilità del medesimo dipendente, pertanto, fosse stata oggettivamente constatata nell'ambito del procedimento penale appositamente instaurato nei suoi confronti (v. : Sez. III^ Centrale d'Appello n.274/2001; Sez. II^ Centrale d'Appello n.285/2003; Sez. Sicilia n.2745/2008). E' stato affermato, infatti, che “Ove si opinasse diversamente (ossia nel senso che il “dies a quo” della prescrizione dell'azione di responsabilità amministrativa per danno all'immagine della P.A. vada individuato nel momento stesso in cui sia stata diffusa la notizia di un'indagine avviata nei confronti di un soggetto indiziato d'aver commesso un reato nell'esercizio delle sue funzioni, senza quindi che sia necessario attendere che la sussistenza del fatto illecito e la concreta responsabilità dell'imputato siano state verificate dalla competente Autorità Giudiziaria nelle forme e con le garanzie processuali previste dall'ordinamento giuridico), verrebbe, da un lato, ad essere vanificato il principio di rango costituzionale (art. 27) della “presunzione d'innocenza” dell'imputato e, dall'altro lato, il P.M. contabile sarebbe costretto a promuovere azioni risarcitorie basate su elementi assai aleatori ed ancora privi di plausibili riscontri oggettivi e, quindi, soventemente ad operare in maniera temeraria e finanche dannosa. Ne consegue che il “dies a quo” della prescrizione dell'azione di responsabilità amministrativa per danno all'immagine della P.A. non può decorrere prima che in sede penale sia stata adeguatamente verificata la sussistenza del comportamento delittuoso ascritto al dipendente pubblico” (Sez. Sicilia 1744/2009, confermata da Appelli Sicilia 163/2010). E ancora: “(…) Inoltre, per quanto riguarda la decorrenza della prescrizione in tema di danno all'immagine è stato ripetutamente affermato (ex multis Sent. I Sez. d'app. n. 97/2009 del 24 febbraio 2009) che ove il danno all'immagine sia da collegare ad una condotta costituente reato, il dies a quo deve essere individuato nella data della sentenza penale di condanna e non nella data del "clamor fori" derivante dalla sola pendenza del procedimento penale, in applicazione del principio di presunzione d'innocenza dell'imputato che costituisce principio di civiltà giuridica fondamentale nel nostro ordinamento” (Corte conti Sez. II Appello 269/2010).

Già la giurisprudenza anteriore alla legislazione del 2009 in tema di danno all'immagine era, quindi, concorde nel ritenere che nel rispetto del principio di presunzione di innocenza che permea il nostro ordinamento, l'azione risarcitoria per il ristoro del danno all'immagine subito dall'amministrazione pubblica dovesse essere intentata solo all'esito di un giudizio penale che avesse corroborato, con la certezza del giudicato, quell'eco mediatico che inevitabilmente accompagna la notizia criminis.

Alla luce delle sue esposte considerazioni, ritiene, quindi, il Collegio che il dies a quo dal quale far decorrere il termine utile alla prescrizione dell'azione deve necessariamente coincidere con il giorno in cui sia divenuta irrevocabile la sentenza che ha accertato l'esistenza del fatto reato con efficacia di giudicato; l'azione del pubblico ministero deve considerarsi, pertanto, tempestiva in quanto proposta entro il quinquennio da quando la sentenza penale che ha accertato, tra l'altro, il reato di abuso di ufficio, è divenuta irrevocabile.

Con riferimento al merito, occorre ricordare che, come già accennato poc'anzi, il legislatore, con l'articolo 17, comma 30-ter, secondo periodo, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, introdotto dalla relativa legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102 e modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera “c”, n. 1 del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, ha stabilito che “Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97”, che, a sua volta, prevede che “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell'articolo 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall'articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”).

Come già ampiamente esposto, l'odierno convenuto essendosi reso responsabile di un delitto contro la pubblica amministrazione, secondo la prospettazione attorea, deve risarcire il danno all'immagine che ne è derivato.

Occorre precisare, in ogni caso, che la lesione dell'immagine pubblica non è automatica conseguenza della commissione di reati contro la pubblica amministrazione, necessitando, infatti, la presenza dell'ulteriore requisito dato dalla diffusione mediatica della vicenda; il danno all'immagine della pubblica amministrazione, pertanto, non coincide con il fatto reato ma con la lesione data dalla perdita di prestigio che ne consegue (Corte dei conti, Sezioni Riunite, sent. n. 1 del 18 gennaio 2011, Corte conti Sicilia 567/2015).

Nel caso in esame è stata ampiamente provata, dall'attore pubblico, la sussistenza del fatto reato contro la pubblica amministrazione.

Risulta dagli atti come, in sede penale, sia stato giudizialmente accertato che l'odierno convenuto si sia reso responsabile, tra l'altro, del reato di abuso di ufficio, di cui all'art. 323 c.p., ossia di un reato contro la pubblica amministrazione; occorre precisare, altresì, che, ai sensi dell'art. 651 c.p.p., quanto accertato in sede penale con riferimento alla sussistenza del fatto ed alla riconducibilità dello stesso alla condotta del convenuto, fa stato anche in questa sede.

E' stato, infatti, accertato che il convenuto L., nel più ampio disegno volto a minacciare e perseguire tale A.I.D., con la quale aveva intrattenuto per anni una relazione extraconiugale ed al solo fine impedire a quest'ultima di condurre una vita “normale” dopo che la stessa aveva deciso di interrompere la relazione sentimentale con il convenuto medesimo, in qualità di Maresciallo in servizio la Sezione di PG Aliquota Carabinieri della Procura della repubblica di M., svolgeva di propria iniziativa indagini sulla persona dell'A.o comunque non si asteneva a seguito della asserita ricezione di una denuncia anonima e redigeva a carico della stessa comunicazioni di notizie di reato che comportavano due iscrizioni, successivamente archiviate dal GIP, in data 14 febbraio e 20 maggio 2008, con ciò abusando delle proprie funzioni di pubblico ufficiale e causando alla persona offesa un danno ingiusto.

Come accennato in precedenza, il fatto reato è già stato accertato in altra sede quanto alla sua antigiuridicità ed al fatto che l'imputato lo abbia commesso. Il giudice penale, infatti, ha accertato con efficacia di giudicato come il sig. L. perseguitasse la A.insistentemente, attraverso sms, telefonate, continue minacce di diffondere fotografie in cui la stessa era ritratta in atteggiamenti compromettenti nonché introducendosi nella sua casella di posta elettronica, molestando, altresì, con le stesse modalità, parenti ed amici della stessa nonché il fidanzato della A. medesima, poi divenuto marito. In tale contesto si inserisce il reato di abuso di ufficio, consistito nel portare avanti indagini penali a carico dell'A., per il quale il giudice penale ha accertato la sussistenza di una condotta finalizzata unicamente a danneggiare la persona di quest'ultima, senza alcun interesse pubblico apparente. Il L., infatti, sulla base di una presunta denuncia anonima, ha iniziato a svolgere indagini, dapprima con riferimento a tutti i dipendenti del settore urbanistica del Comune di M., per poi palesemente concentrarsi sulla persona della A.; le modalità con cui si è estrinsecata la condotta del L. rivelano l'uso distorto che il convenuto  ha fatto dei propri poteri, con ciò innegabilmente screditando l'Arma di appartenenza. Nella sentenza di primo grado si legge come dalle numerose testimonianze raccolte in sede penale, sia stato palese sin da subito che il L. stesse portando avanti nelle indagini svolte, unicamente l'interesse personale di perseguitare la signora A..

Vanno, a questo punto, verificate, le ricadute che il fatto reato, così come descritto, abbia avuto sull'opinione pubblica e sulla immagine che della pubblica amministrazione possano avere i consociati.

I fatti, nel caso in esame, hanno avuto subito un'eco mediatico di notevole rilevanza.

Come correttamente sottolineato dalla Procura procedente, la vicenda ha continuato a diffondersi nel tempo, anche attraverso un continuo aggiornamento mediatico degli avvenimenti giudiziari sottostanti.

Sono stati allegati al fascicolo processuale stralci di notizie prese dal web  (www.marsalaviva.it; www.gds.it, www.tg24.it) ove negli anni, dal 2012 al 2015, vengono descritte le vicende giudiziarie del L. ed ove innegabilmente risaltano agli occhi le parole “abuso di ufficio”, “condanna”, “molestie”, “ carabiniere ” con ciò contribuendo a screditare, inquinare, ridicolizzare e, quindi, a danneggiare, l'immagine che ha l'Arma dei Carabinieri agli occhi dei consociati che, ontologicamente, rappresenta per l'intera comunità, quale coacervo di sicurezza, legalità e fiducia, la parte dello Stato più vicina a cui rivolgersi per la tutela dei propri interessi e della propria persona. L'uniforme indossata dalle Forze dell'Ordine, innegabilmente, rappresenta per i consociati un punto di riferimento, di certezza e di conforto, facendo sì che chi la indossa possa incarnare innegabilmente, la parte dello lo Stato più vicina al cittadino. L'uso distorto, anzi, l'abuso dell'uniforme, aggravato dai biechi e futili motivi personali sottesi alla condotta tenuta dall'agente, non può non aver ingenerato nella comunità disapprovazione, amarezza e sconforto con ciò screditando l'intera  Arma dei Carabinieri, la cui immagine lesa deve essere necessariamente ripristinata in tutta la sua integrità.

Come correttamente evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, (Lombardia 247/2012), secondo quella che è la comune esperienza, un certo ruolo nella diffusione della conoscenza dei fatti va, poi, riconosciuto, al dibattimento penale, non tanto per la natura pubblica delle udienze tenute, ma in ragione del fatto che anche le persone offese ed i testimoni escussi, abbiano potuto diffondere la vicenda nell'ambito delle loro conoscenze (Corte conti Lombardia sent. n. 247 del 2012). La natura “sentimentale” della vicenda medesima ha, innegabilmente, suscitato ulteriore “pettegolezzo” e morbosa curiosità tali da fungere da cassa di risonanza purtroppo utile ad amplificarne la diffusione.

Il disdoro che ha colpito l'Arma dei Carabinieri costituisce, pertanto, il danno che, come tale, deve essere risarcito.

Con riferimento alla quantificazione del danno in parola, occorre ricordare che la giurisprudenza della Corte dei conti ha avuto modo di affermare, con orientamento ormai costante, che la lesione dei valori e diritti fondamentali che definiscono l'identità stessa della pubblica amministrazione comporta il risarcimento del danno c.d. “non patrimoniale” (SS.RR., sent. 10/QM del 23 aprile 2003). Occorre precisare, poi, che le stesse Sezioni Riunite della Corte dei conti, con sentenza n. 1/QM/2011, hanno ribadito che il danno all'immagine della Pubblica amministrazione (“non patrimoniale”), anche se inteso come “danno c.d. conseguenza”, è costituito “dalla lesione” all'immagine dell'ente in senso stretto, che deriva dai fatti lesivi produttivi della lesione stessa (compimento di reati), da non confondersi con “le spese necessarie al ripristino”, che costituiscono solo uno dei possibili parametri della quantificazione equitativa del risarcimento.

A fini puramente espositivi può essere utile ricordare come il legislatore, con l'art. 1, comma 62, L. 190/2012 che ha introdotto il comma 1 sexies all'art. 1 L. 20/94, abbia offerto, di recente, utili parametri per la quantificazione del c.d. “danno da tangente”, parametrandolo al doppio del denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente.

Nel caso in esame la Procura ha utilizzato come parametro l'art. 135 c.p. che offre la misura di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, nella misura di euro 250,00 per ogni giorno di detenzione, per poi procedere ad una riduzione equitativa del danno in ragione della condotta tenuta dal convenuto successivamente ai fatti per cui è causa, ritenuta utile ai fini del ripristino della immagine della pubblica amministrazione medesima.

In accoglimento delle richieste avanzate dalla difesa del convenuto con riferimento alla riduzione del danno, il Collegio, però, ritiene di dover rimodulare la quantificazione dello stesso in ragione della incidenza che ha avuto il reato di abuso di ufficio all'interno dell'intera vicenda criminosa posta in essere dal convenuto.

E' emerso chiaramente da quanto accertato dal giudice penale che il disegno criminoso del L. aveva come unico obiettivo quello di colpire in tutti modi la persona della A.I.D.; uno dei tanti modi è consistito, proprio, nell'abusare della qualifica da lui ricoperta, incarnando, pertanto, l'ipotesi delittuosa di cui all'articolo 323 c.p.. La ricaduta parziale che ha avuto l'intera condotta criminosa posta in essere dal L. sulla immagine della pubblica amministrazione, porta il Collegio a ridurre il danno contestato.

Il Collegio, pertanto, ritiene equa la somma di euro 10.000 (diecimila/00) per il ristoro del danno all'immagine della pubblica amministrazione per il risarcimento della lesione derivante dalla condotta dolosa dell'odierno convenuto.

Il sig. L.E. deve, quindi, essere condannato al pagamento della somma di euro 10.000 (diecimila/00) a favore del Ministero della Difesa – Arma dei Carabinieri, con rivalutazione monetaria a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna, oltre agli interessi legali dal deposito della presente sentenza sino al soddisfo.

Le spese di giudizio da versare allo Stato, sono liquidate a cura della Segreteria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Siciliana, condanna L.E.al risarcimento del danno di euro 10.000,00 (diecimila/00) in favore del Ministero della Difesa – Arma dei Carabinieri, con rivalutazione dal passaggio in giudicato della sentenza penale, oltre interessi legali dal deposito della presente sentenza sino al soddisfo.

Le spese di giudizio, da versare allo Stato, seguono la soccombenza e sono liquidate in euro 261,22 (duecentosessantuno/22).

Così deciso in Palermo, 30 novembre 2016

L'estensore                                                     Il Presidente

F.to Maria Rita Micci                          F.to   Luciana Savagnone

Depositata in segreteria nei modi di legge

Palermo, 19 gennaio 2017

Il Direttore della Segreteria

F.to Dott.ssa Rita Casamichele
Avv. Antonino Sugamele

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