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Sentenza

Sergente maggiore invia un sms ad un Ten. Col.: Tutti i giorni prego affinché le...
Sergente maggiore invia un sms ad un Ten. Col.: Tutti i giorni prego affinché lei muoia schiacciato con lo scooter addosso a un albero, lei non è un dottore, lei è un mostro.
SENTENZA
sul ricorso proposto da
B.F., nato a P.il .......,
avverso la sentenza del 25/11/2015 della Corte militare di appello di Roma;
con la costituzione come parte civile di M. F.,
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale militare,
Luigi Maria Flamini, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore della parte civile, avvocato Giuseppe Sabato, che ha concluso
come da nota scritta con richiesta di refusione delle spese;
udito il difensore dell'imputato, avvocato Roberto Porcaro, che ha concluso
chiedendo l'accoglimento dei motivi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. B.F., sergente maggiore dell'esercito italiano, in servizio
presso il raggruppamento logistico centrale di Roma, è stato condannato,
all'esito de! doppio grado del giudizio di merito, alla pena di due mesi e dieci
giorni di reclusione militare per insubordinazione con ingiuria aggravata, perché,
il 20 agosto 2013, utilizzando la sua utenza telefonica, aveva inviato al tenente
colonnello M.F. un messaggio del seguente testuale tenore: "Tutti i
giorni prego affinché lei muoia schiacciato con lo scooter addosso a un albero, lei
non è un dottore, lei è un mostro".
Il Tribunale militare di Roma, prima, nella sentenza del 6 maggio 2015, e la
Corte militare di appello, poi, nella sentenza emessa il 25 novembre 2015, hanno
escluso che la condotta contestata e ammessa dall'imputato fosse stata attuata
per cause estranee al servizio di medico militare prestato dalla persona offesa o
fosse collegata solo occasionalmente al servizio e alla disciplina militare,
sottolineando che l'imputato vedeva nell'ufficiale medico, il quale aveva
certificato la sua parziale inidoneità al servizio per obesità, un nemico o un
persecutore.
La Corte di appello ha, inoltre, negato l'applicazione della causa di
esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis
cod. pen., poiché la condotta non era stata isolata, ma rappresentava l'ennesima
manifestazione di un deplorevole comportamento dell'imputato nei confronti del
tenente colonnello, al punto di indurre quest'ultimo a parlare di "sfinimento" per
descrivere la situazione in cui si era venuto a trovare a causa del pervicace
comportamento offensivo del sergente B..
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
l'imputato tramite il difensore, avvocato Roberto Porcaro, il quale deduce due
motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea
applicazione della legge penale, poiché il fatto sarebbe stato commesso per
cause estranee al servizio e alla disciplina militare, non alla presenza di militari
riuniti in servizio e da un militare che non si trovava in servizio (l'imputato era in
licenza di convalescenza e il messaggio fu inviato mentre la persona offesa era in
ferie), richiamando a conforto della sua tesi 'ordinanza n. 367 del 2001 della
Corte costituzionale che, nel dichiarare la manifesta inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale degli artt. 189 e 199 cod. pen. mil . pace,
ha sottolineato l'esigenza di una interpretazione adeguatrice di essi ai parametri
costituzionali, con specifico riguardo al fatto commesso da militare non in
servizio e collegato in modo del tutto estrinseco all'area di interessi connessi alla
tutela del servizio e della disciplina, ponendosi con questi in rapporto di semplice
occasionalità. E, a sostegno della tesi dell'estraneità del fatto contestato alla
disciplina militare, il ricorrente ha addotto che, su querela della persona offesa,
pende a suo carico altro procedimento per il medesimo fatto, più correttamente
qualificato come ingiuria ai sensi dell'art. 594 cod. pen., giusta decreto di
citazione a giudizio davanti al Giudice di pace di Roma, allegato al ricorso.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce inosservanza ed erronea
applicazione dell'art. 131-bis cod. pen.
Erroneamente la sua condotta sarebbe stata ritenuta abituale in contrasto
con quanto specificato dalla stessa norma, terzo comma, a proposito del
comportamento definito abituale, non ravvisabile nel fatto a lui contesto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni che seguono.
1.1. Il primo motivo è inammissibile, perché propone una diversa lettura,
non consentita in questa sede, delle risultanze processuali che attestano,
secondo l'adeguata e coerente interpretazione dei giudici del doppio grado del
giudizio di merito, lo stretto collegamento tra le parole ingiuriose, trasmesse
mediante messaggio telefonico dal sergente B.i al colonnello M., e il
servizio prestato da quest'ultimo come medico militare nei riguardi dell'imputato
con referti medici a lui sgraditi.
Non c'è dubbio, dunque, secondo la conforme valutazione dei giudici di
merito non sindacabile in questa sede perché palesemente non illogica né
contraddittoria, che l'ingiuria pronunciata fu determinata proprio dal servizio
svolto dal superiore militare e non da causa ad esso estranea.
La documentata pendenza di altro procedimento per lo stesso fatto,
qualificato ai sensi dell'art. 594, comma 2, cod. pen., davanti al Giudice di pace
di Roma, non esclude la corretta qualificazione del fatto qui dedotto, salva
evidentemente la possibilità dell'imputato di far valere, nella sede opportuna,
l'eventuale violazione del divieto di bis in idem.
1.2. Anche il secondo motivo è inammissibile perché non consentito nel
giudizio di legittimità.
Con motivazione adeguata e coerente, esente da violazioni del diritto e della
logica, e, come tale, insindacabile in questa sede, la Corte territoriale ha negato
la ricorrenza, nei caso in esame, della causa di esclusione della punibilità per
particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis cod. pen., introdotto dal d.lgs.
16 marzo 2015, n. 28, art. 1, comma 2, in vigore dall'8 aprile 2015.
Ha, infatti, osservato che la condotta di B. non era stata "isolata",
ma si inseriva in una "deplorevole continuità di comportamento sempre nei
confronti dello stesso bersaglio", come emerso dalla testimonianza della persona
offesa.
Va aggiunto che tale interpretazione della nuova norma è coerente con la
giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale: «Ai fini della configurabilità
della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista
dall'art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione
complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga
conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della
condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o
del pericolo» (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Tali parametri, per quanto innanzi esposto, risultano correttamente applicati
nel caso in esame.
2. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell'art. 616, comma
1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e -per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione
(Corte. cost. n. 186 del 2000)- al versamento di una somma in favore della
cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro
millecinquecento.
L'imputato deve essere, inoltre, condannato alla rifusione delle spese
sostenute dalla parte civile nel presente grado del giudizio, che, tenuto conto
dell'attività svolta in relazione alla modesta difficoltà della causa, si stima
adeguato liquidare nella misura indicata nel dispositivo che segue.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di millecinquecento euro alla
cassa delle ammende, nonché alla rifusione, in favore della parte civile, F.co
M., delle spese sostenute nel presente giudizio, che liquida in complessivi
euro tremila, oltre accessori (spese generali, IVA e CPA) come per legge.
Così deciso 13/09/2016.
Avv. Antonino Sugamele

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