Truffa militare e di falso in fogli di viaggio.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16-03-2017) 13-04-2017, n. 18606
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BONITO Francesco M. S. - Presidente -
Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere -
Dott. VANNUCCI Marco - Consigliere -
Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe - Consigliere -
Dott. BONI Monica - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.F., N. IL (OMISSIS);
G.F., N. IL (OMISSIS);
avverso l'ordinanza n. 208/2013 GUP PRESSO TRIB.MILITARE di NAPOLI, del 12/07/2016;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. BONI MONICA;
lette le conclusioni del PG Dr. FLAMINI Luigi Maria, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Svolgimento del processo
1.Con ordinanza in data 12 luglio 2016 il G.u.p. del Tribunale militare di Napoli dichiarava non luogo a provvedere sulla denuncia di conflitto di giurisdizione, presentata dalla difesa degli imputati P.F. e G.F., chiamati a rispondere dei reati di truffa militare e di falso in fogli di viaggio, rilevando l'insussistenza di un effettivo conflitto di giurisdizione, in quanto l'Autorità giudiziaria ordinaria di Messina non aveva espresso alcuna determinazione al fine di prendere cognizione dei reati, oggetto del procedimento militare .
2. Avverso detto provvedimento hanno proposto ricorso gli imputati per il tramite del loro difensore, avv.to Gianluca Gullotta, il quale ne ha chiesto l'annullamento, rappresentando che per i medesimi fatti, qualificati ai sensi dell'art. 640 c.p., comma 2 e art. 479 c.p., e contro lo stesso imputato P.F. pende altro procedimento innanzi al Tribunale di Messina, atteso che, pur risultando la trasmissione degli atti al Tribunale militare da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina per difetto di giurisdizione, alcun provvedimento definitorio del giudizio ordinario era stato emesso, così come difettava la pronuncia di ordinanza ex art. 22 c.p.p..
Secondo la difesa, il G.u.p. militare ha indebitamente richiamato agli atti e trattato in udienza preliminare la denuncia di conflitto di giurisdizione, proposta dagli imputati, rispetto alla quale ha dichiarato non luogo a provvedere con provvedimento abnorme, posto in essere in violazione del disposto dell'art. 30 c.p.p., comma 2, che impone al giudice di trasmettere immediatamente alla corte di cassazione la denuncia, la documentazione allegata e gli atti necessari. Inoltre, non ha tenuto conto del fatto che il codice di rito non contempla in materia di giurisdizione forme definitorie diverse da quelle di cui all'art. 20 c.p.p., comma 2, sicchè nel corso delle indagini preliminari la giurisdizione si declina con ordinanza del g.i.p., nelle fasi successive con sentenza; nel caso di specie ha errato il P.M. del Tribunale di Messina a trasmettere gli atti, dopo la formale iscrizione del P. nel registro degli indagati, ai sensi dell'art. 54 c.p.p. perchè tale disposizione riguarda i soli conflitti negativi tra pubblici ministeri appartenenti alla medesima giurisdizione per motivi di materia o territorio.
In ogni caso la soluzione delle questioni sollevate con la denuncia eccede il generico potere di verifica di una situazione astrattamente configurabile come rientrante nelle previsioni dell'art. 28 c.p.p.; l'ordinanza si pone dunque al di fuori del sistema processuale e ha determinato la stasi del procedimento.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale militare della Repubblica presso la Corte di cassazione, Dr. Flamini Luigi Maria, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso per l'insussistenza del denunciato conflitto e per la correttezza della decisione impugnata, che non ha fondatamente trasmesso alla Corte Suprema gli atti.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile.
1. L'assunto proposto dai ricorrenti circa la sussistenza di un conflitto di giurisdizione, richiedente un intervento risolutore della Suprema Corte, è palesemente infondato in punto di diritto e difetta di adeguati riscontri probatori. Secondo l'esposizione dei fatti riportata nell'impugnazione, a carico del solo ricorrente P.F. era stato instaurato il procedimento penale n. 203/2013 R.G.N.R. dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina per i reati di truffa aggravata ai danni dello Stato e falso ideologico; nel corso delle indagini preliminari, avendo il pubblico ministero appreso della pendenza per i medesimi fatti di un autonomo procedimento a carico dello stesso imputato, avviato dalla Procura militare di Napoli, aveva disposto la trasmissione degli atti a detto ufficio, che aveva quindi proceduto ad esercitare l'azione penale per i reati di cui all'art. 234 c.p.m.p., comma 2, e 220 c.p.m.p., rientranti nella giurisdizione dell'autorità militare .
All'udienza preliminare il giudice procedente, investito dell'eccezione di carenza di giurisdizione, ha escluso di poter ravvisare i presupposti di un conflitto con l'autorità giudiziaria di Messina, da parte della quale non si è manifestata in alcun modo la volontà di prendere cognizione del procedimento ordinario per i medesimi reati ascritti al P..
1.1 Le considerazioni così riassunte rispondono esattamente alle risultanze degli atti processuali, poichè nel procedimento iscritto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina il magistrato requirente assegnatario ha negato la giurisdizione del giudice ordinario a favore di quello militare in relazione a reati commessi da appartenenti ad un corpo militare nell'esercizio dei loro compiti istituzionali. A sua volta il Giudice militare , con ordinanza inserita nel verbale dell'udienza preliminare del 12 luglio 2016, ha respinto l'eccezione difensiva di carenza di giurisdizione.
1.2 Dal raffronto tra le decisioni adottate dalle due autorità giudiziarie occupatesi del caso emerge la perfetta corrispondenza di determinazioni assunte, per avere quella ordinaria negato la propria giurisdizione, affermata da quella speciale e quindi la loro convergenza nel riconoscere al solo giudice militare il potere di prendere cognizione dei reati militari addebitati al P..
Il conflitto già denunciato dalla difesa dei ricorrenti dunque non sussiste, nemmeno se considerato quale "caso analogo" ai sensi dell'art. 28 c.p.p., comma 2, ossia quale situazione di arresto dell'"iter" processuale collegata al dissenso insorto tra due organi giurisdizionali rispetto all'adozione di provvedimenti necessari allo sviluppo del rapporto processuale (Sez. U, sent. n. 34655 del 28/06/2005, Donati, rv. 231800; sez. 1, 06/07/2004, Bevilacqua, rv. 229386; sez. 5, 16/06/1999, Sami, rv. 213804), dal momento che non si è verificata alcuna stasi del processo, che è in corso di trattazione davanti al Tribunale militare di Napoli a seguito dell'emissione del decreto che ha disposto il giudizio. Nè dal ricorso è dato desumere in cosa consisterebbe il contrasto, poichè lo stesso si limita a rappresentare l'assenza di un rituale provvedimento di archiviazione del procedimento ordinario e quindi la sua perdurante pendenza, il che però non equivale ad una pronuncia giudiziale contenente una decisione affermativa della giurisdizione in senso antitetico alla decisione del G.u.p. militare. Tanto è sufficiente anche per escludere l'abnormità del provvedimento impugnato, che non ha provocato l'arresto del processo, nè si è posto al di fuori dell'ordinamento giuridico, risultando piuttosto conforme ai principi interpretativi dettati dalla giurisprudenza di legittimità.
2. Giova ricordare in linea generale che è configurabile una situazione di conflitto di giurisdizione o di competenza, rilevante secondo quanto prescritto dall'art. 28 c.p.p. nel caso in cui due diverse autorità giudiziarie abbiano espresso volontà contrastanti in ordine al medesimo procedimento a carico di imputato chiamato a rispondere dello stesso reato per avere esse contemporaneamente preso o rifiutato di prenderne cognizione; presupposto necessario di un procedimento di conflitto è la situazione di contrasto, che cagiona un arresto del corso del procedimento, risolvibile soltanto con l'intervento della Corte regolatrice. Inoltre, in presenza di un atto di parte, qualificato come denuncia di conflitto, il giudice non è tenuto a disporne l'immediata ed incondizionata trasmissione alla Corte di cassazione ai sensi dell'art. 30 c.p.p., comma 2, dovendo verificare se il contenuto dell'atto di parte corrisponda esattamente alle previsioni di cui all'art. 28 c.p.p. e rappresenti una situazione astrattamente configurabile come conflittuale per avere due o più giudici contemporaneamente preso o rifiutato di prendere cognizione del medesimo fatto di reato attribuito alla medesima persona. Tale condizione non si verifica e l'adempimento non deve compiersi quando la parte si limiti a sollecitare il giudice affinchè adotti una pronuncia che sia luogo alla situazione di conflitto, poichè in tale ipotesi il giudice, se dissenziente, dovrà considerare l'atto di parte alla stregua di una comune eccezione di incompetenza o di carenza di giurisdizione, formulata ai sensi dell'art. 121 c.p.p., provvedendo sulla stessa (Cass. sez. 1, n. 113 del 30/11/2012, confl. comp. in proc. Lopez e altri, rv. 254260; sez. 1, n. 4092 del 11/01/2013, confl. comp. in proc. Stingaciu e altri, rv. 254189; sez. 1, n. 14006, 22/02/2007, confl. comp. in proc. Sarcinelli e altro, rv. 236368; sez. 6, n. 2630, 04/07/1996, Tonini, rv. 205860).
Per le considerazioni svolte il ricorso è inammissibile perchè affetto da manifesta infondatezza; ne segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno, tenuto conto dei profili di colpa insiti nell'assunzione dell'iniziativa impugnatoria, al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in Euro 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2017
03-05-2017 17:37
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