Brigadiere dei Carabinieri imputato di concussione, abuso d'ufficio, falso e calunnia, contestati in oltre sessanta capi di imputazione.
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-12-2017) 16-01-2018, n. 1758
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IPPOLITO Francesco - Presidente -
Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere -
Dott. VILLONI Orlando - Consigliere -
Dott. CORBO Antonio - rel. Consigliere -
Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
F.A., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del 14/07/2017 del Tribunale di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dr. Balsamo Antonio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per il ricorrente, l'avvocato Gianpaolo Carabelli, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza emessa in data 14 luglio 2017, il Tribunale di Genova ha respinto l'appello presentato da F.A. avverso il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Massa aveva rigettato l'istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, in atto nei suoi confronti dal 14 giugno 2017, con quella degli arresti domiciliari.
Il provvedimento coercitivo è stato emesso in relazione a numerosi reati di concussione, abuso d'ufficio, falso e calunnia, contestati in oltre sessanta capi di imputazione, ed indicati come commessi nel periodo compreso tra (OMISSIS), anche in concorso con altri, mentre F. era nell'esercizio delle funzioni di brigadiere della Stazione dei Carabinieri di (OMISSIS). Il Tribunale, adito esclusivamente con riferimento alle esigenze cautelari ed al tipo di misura adottata, ha ritenuto esistente sia il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per cui si procede, sia il pericolo di inquinamento probatorio, ed ha escluso l'idoneità della misura degli arresti domiciliari a fronteggiare tali pericoli.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l'ordinanza indicata in epigrafe l'avvocato Gianpaolo Carabelli, quale difensore di fiducia di F.A., formulando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento agli artt. 274 e 275 c.p.p. ed alle disposizioni del D.Lgs. n. 66 del 2000, nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla mancata considerazione della sospensione precauzionale dal servizio disposta a norma del D.Lgs. n. 66 del 2000, art. 915.
Si deduce che, a norma degli D.Lgs. n. 66 del 2000, artt. 915 e 918, l'applicazione di una misura cautelare coercitiva determina la sospensione del militare dal servizio, e l'impossibilità di riammissione nello stesso, salvo il solo caso di revoca del provvedimento limitativo della libertà personale per insussistenza dei gravi indizi.
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 275 c.p.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), avendo riguardo alla ritenuta esistenza di un pericolo di reiterazione dei reati non fronteggiabile con misure diverse da quella della custodia in carcere.
Si deduce che l'ordinanza impugnata ha considerato in termini estremamente negativi la personalità dell'indagato, senza considerare nè le positive risultanze emergenti dalla relazione della psicologa, la quale lo ha avuto in cura in epoca precedente ai fatti, e ne aveva rilevato i tratti di socievolezza ed empatia, nè la riferibilità di tutti i reati all'esercizio delle funzioni di militare , non più sussistenti nemmeno in caso di sottoposizione agli arresti domiciliari per effetto della sospensione dal servizio. Si contesta, inoltre, che l'osservanza della misura degli arresti domiciliari sia rimessa alla spontanea condotta dell'indagato, posta la possibilità di prevedere vincoli stringenti alla facoltà di comunicare con terzi, a norma dell'art. 284 c.p.p., comma 2.
2.3. Con il terzo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. a) e art. 275 c.p.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), avendo riguardo alla ritenuta esistenza di un pericolo di inquinamento probatorio non fronteggiabile con misure diverse da quella della custodia in carcere.
Si deduce che l'ordinanza impugnata, nel ritenere l'esistenza di un clima di paura generato da F., ha trascurato di considerare che le persone offese sono tutte indagate in procedimenti penali scaturiti da indagini condotte dal medesimo militare , in particolare per il traffico di droga, e che diversi extracomunitari sono stati sottoposti a controlli e perquisizioni senza lamentare alcunchè, per cui deve escludersi qualunque manifestazione di odio razziale da parte del ricorrente.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate.
2. Le censure esposte nel primo motivo, concernenti l'insussistenza di esigenze cautelari in ragione della sospensione precauzionale dell'indagato dal servizio, presuppongono un nesso inscindibile tra esercizio delle funzioni e pericoli di reiterazione dei reati della stessa specie di quelli per cui si procede, nonchè di inquinamento probatorio.
Questa rigida connessione, però, è costantemente esclusa dalla giurisprudenza di legittimità: in particolare, anche dopo l'introduzione, nell'art. 274 c.p.p., lett. c), ad opera della L. 16 aprile 2015, n. 47, del requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, si è ribadito che, nei reati contro la P.A., il giudice di merito può ritenere la sussistenza di tale esigenza cautelare pure quando il soggetto in posizione di rapporto organico con la P.A. risulti sospeso o dimesso dal servizio, sempre che sia fornita adeguata e logica motivazione in ordine al rischio concreto che ulteriori reati dello stesso tipo siano resi probabili da una posizione soggettiva che consenta all'agente di mantenere, pur fuori dall'ambito di funzioni o incarichi pubblici, condotte antigiuridiche dotate dello stesso rilievo ed offensive della medesima categoria di beni (così, per tutte, Sez. 2, n. 38832 del 20/07/2017, Spasari, Rv. 271139, e Sez. 5, n. 31676 del 04/04/2017, Lonardoni, Rv. 270634).
Di conseguenza, la sospensione precauzionale dal servizio non preclude di per sè l'adozione di misure cautelari nei confronti di un militare, neppure quando i gravi indizi attengano alla commissione di reati contro la pubblica amministrazione: ciò che occorre è la specifica indicazione delle concrete ragioni da cui desumere il concreto ed attuale pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, o di inquinamento probatorio.
Deve aggiungersi che, nella vicenda in esame, a carico del ricorrente sono emersi gravi indizi anche per reati comuni. In particolare, il reato contestato al capo 41, per il quale è ancora in vigore la misura cautelare, consiste in un delitto di violenza sessuale, come puntualmente indicato nell'ordinanza di rigetto della richiesta di revoca del provvedimento custodiale, depositata in udienza dalla difesa.
3. Le censure esposte nel secondo motivo contestano la necessità della misura della custodia in carcere per fronteggiare il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede.
L'ordinanza impugnata valorizza, in proposito, la commissione, da parte del ricorrente, di "innumerevoli e gravissimi episodi (...) in un arco di tempo piuttosto breve", ed anche dopo aver appreso della pendenza del procedimento penale nei suoi confronti. Si rappresenta, inoltre, che il provvedimento custodiale è stato emesso per oltre sessanta capi di imputazione, e che sono inoltre emersi indizi per altri reati per i quali non è stata chiesta l'adozione di misure coercitive. Si sottolinea, poi, che il ricorrente ha fatto ricorso alla violenza ed alla minaccia, anche per scopi di vendetta personale, ed anche al fine di intimidire un avvocato, l'avvocato Lorenzelli, pur di condizionare l'andamento di un processo a suo carico.
Sulla base degli elementi esposti, corretta risulta essere la conclusione della inidoneità della misura degli arresti domiciliari. In particolare, significative sono le circostanze, da valutare in modo tra loro coordinato, della gravità e pluralità dei fatti di reato, anche di tipo comune, della commissione degli stessi in un relativamente ristretto arco di tempo, e della prosecuzione nell'attività di compimento di condotte illecite anche dopo aver appreso dell'apertura dell'indagine penale a carico. Non è manifestamente illogico, infatti, ritenere queste circostanze come indicative della concreta ed attuale incapacità dell'indagato di controllarsi, e della propensione del medesimo ad agire anche come mandante di reati a scopo di intimidazione e violenza, approfittando degli spazi di autonomia innegabilmente rimessi all'autocontrollo della persona sottoposta a cautela domiciliare. Non casualmente, nè impropriamente, per una più esatta comprensione del contesto nel quale si assumono realizzate le condotte in contestazione, l'ordinanza impugnata richiama l'episodio dell'incendio della vettura dell'avvocato Lorenzelli, che, secondo le risultanze investigative, risulta commesso su "commissione" di Carabinieri della Stazione di (OMISSIS), presso la quale il ricorrente prestava servizio.
Assolutamente generiche e prive di decisività, infine, a fronte di questo quadro, sono le indicazioni desumibili dalla relazione della psicologa che aveva in osservazione F. già da epoca precedente ai fatti in contestazione. E' sufficiente considerare, infatti, che, dopo aver manifestato alla professionista tratti positivi della propria personalità, il ricorrente risulta aver commesso numerosissime condotte illecite.
4. Le censure esposte nel terzo motivo contestano la necessità della misura della custodia in carcere per fronteggiare il pericolo di inquinamento probatorio.
L'ordinanza impugnata evidenzia innanzitutto il profilo dei reati di violenza e minaccia che si assumono commessi dal ricorrente per ottenere da altre persone dichiarazioni o comportamenti a lui favorevoli in sede processuale; ricorda, in particolare, in relazione a tale profilo, lo specifico episodio dell'intimidazione compiuta in danno dell'avvocato Lorenzelli, che, secondo le risultanze investigative, risulta minacciato proprio dall'indagato ed allo specifico scopo di condizionare l'andamento di un processo a suo carico. Rappresenta, inoltre, la concreta possibilità che le condotte intimidatorie siano commesse mediante altre persone già intimorite in passato. Segnala, ancora, il clima di paura generato dalle condotte del ricorrente e di altri suoi colleghi, tale che varie persone offese non solo hanno dichiarato di temere ritorsioni da parte dei carabinieri di (OMISSIS), ma hanno addirittura preferito allontanarsi dal territorio interessato.
Anche questo profilo della motivazione del provvedimento impugnato risulta immune da vizi logici o giuridici. Invero, alla luce delle circostanze esposte dal Tribunale del riesame, non può dirsi manifestamente illogico il pericolo di pressioni ed intimidazioni nei confronti dei dichiaranti nel processo a carico del ricorrente, realizzabili anche attraverso il contributo esecutivo di terze persone.
5. Irrilevante, infine, in questa sede, e allo stato, è la circostanza dedotta dalla difesa in udienza in ordine alla residua esistenza di un unico titolo cautelare.
Innanzitutto, l'ordinanza pronunciata nei confronti di F.A. e di altri indagati, depositata in udienza, esplicitamente afferma che le esigenze cautelari non possono ritenersi nè venute meno, nè affievolite, tanto con riferimento al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per cui si procede, quanto in relazione al pericolo di inquinamento probatorio, e dichiara la perdita di efficacia della misura con riferimento a due contestazioni, esclusivamente per la scadenza del termine di fase.
In ogni caso, poi, un rinnovato apprezzamento della questione concernente sussistenza ed intensità delle esigenze cautelari a seguito della dichiarazione di perdita di efficacia della misura potrà essere compiuto, tenendo conto di tutte le emergenze acquisite agli atti del procedimento, in sede di eventuale impugnazione del provvedimento prodotto o mediante ulteriori richieste di revoca o sostituzione della misura in atto.
6. Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La cancelleria provvederà alla trasmissione del provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario in cui si trova il ricorrente, a norma dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2018
24-02-2018 16:50
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