Caporal maggiore prende a calci un collega e gli procura la rottura della milza.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-01-2018) 22-02-2018, n. 8636
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BONITO F. Maria S. - Presidente -
Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere -
Dott. BIANCHI Michele - rel. Consigliere -
Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio - Consigliere -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
L.M.S., nato il (OMISSIS);
S.A.;
avverso la sentenza del 22/03/2017 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere BIANCHI MICHELE;
Udito il Procuratore Generale che ha concluso per il rigetto del ricorso.
L'avvocato RAINERI RENATO per la Parte Civile S. conclude chiedendo il rigetto del ricorso e deposita conclusioni e nota spese.
L'avvocato PROFAZIO GIOVANNI conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza pronunciata in data 22.3.2017 la Corte militare di appello, adita con appello del Procuratore generale militare e della parte civile, ha, in parziale riforma della sentenza pronunciata in data 15.4.2015 dal Tribunale militare di Roma, dichiarato L.M.S. colpevole del reato di cui agli artt. 223 e 224 c.p. mil. pace e lo ha condannato alla pena dì anni uno e mesi quattro di reclusione militare, con la sospensione condizionale della pena, e al risarcimento del danno in favore della parte civile S.A., con provvisionale di Euro 12.000, con conferma nel resto.
1.1. L'imputazione concerne il fatto di lesioni personali, consistite in "emoperitoneo da rottura traumatica della milza" con conseguente periodo di malattia superiore a giorni 40, cagionate con una serie di calci in varie parti del corpo di S.A., caporal maggiore del 186^ reggimento paracadutisti "(OMISSIS)" di Siena; fatto commesso nella notte fra il (OMISSIS).
1.2. Il Tribunale militare di Roma aveva assolto gli imputati L.M.S. e M.G., entrambi caporal maggiore del 186^ reggimento paracadutisti "(OMISSIS)" di Siena, dal reato ascritto perchè il fatto non sussiste.
Il primo giudice, rilevato che in data 23.9.2012 S.A. era stato operato d'urgenza di asportazione della milza, a causa della rottura della stessa avvenuta per evento traumatico, aveva individuato tale evento in un alterco avvenuto tra la persona offesa e i due imputati nella notte fra il (OMISSIS), alla fine di una serata trascorsa assieme.
Il Tribunale aveva poi osservato che la versione del fatto fornita dalla persona offesa, che aveva sostenuto di essere stato colpito con diversi calci da L.M., non era stata confermata dagli imputati, che invece avevano riferito di un alterco che il S. aveva avuto prima con M. e poi con L.M., intervenuto a dividere i primi due, ed era priva di riscontri.
A fronte, quindi, di una plausibilità di entrambe le versioni e delle condizioni di ebbrezza alcolica in cui si era trovato la persona offesa, il primo giudice aveva ritenuto che vi fosse incertezza circa il reale svolgersi dei fatti, sia in ordine alla condotta iniziale del S., che avrebbe potuto determinare una reazione violenta difensiva, sia in ordine al trauma specifico che aveva interessato la milza, in particolare se fosse stato causato dai calci subiti ovvero dalla caduta a terra nel corso dell'alterco.
Con riferimento all'elemento soggettivo del reato, il Tribunale, rilevato che nessuno aveva visto L.M. sferrare i calci, aveva comunque escluso che l'imputato avesse voluto cagionare la lesione.
1.3. La Corte militare di appello, adita con impugnazione del Procuratore generale militare e della parte civile, dopo aver rinnovato la istruzione dibattimentale, ha dichiarato la penale responsabilità di L.M.S. in ordine al reato ascritto, condannandolo alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione militare, con la sospensione condizionale della pena, e al risarcimento del danno in favore della parte civile.
Il giudice di appello ha accertato che il fatto si era verificato per la esclusiva responsabilità di L.M.S., senza alcun concorso, nemmeno a carattere morale, da parte dell'imputato M..
In particolare, la Corte militare di appello ha ritenuto la testimonianza di S.A. credibile e confermata da ulteriori elementi di prova.
I testi R. e T. avevano potuto, nei giorni immediatamente successivi al fatto, conoscere quanto successo anche dalle parole del M., e in termini sovrapponibili al racconto del S..
Il secondo giudice è giunto quindi ad accertare che, quella notte, S. aveva messo un braccio attorno al collo di M., provocando l'intervento di L.M. che lo aveva spinto a terra e, quindi, colpito con più calci.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di L.M.S., deducendo i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
- violazione della legge penale, in relazione all'elemento oggettivo del reato per il quale è stata pronunciata condanna; il motivo evidenzia che il teste P. aveva riferito di non aver riscontrato nè ematoma nè rottura di costole, e quindi non vi era stata rottura della milza; che il teste m.llo T. aveva escluso che la p.o. avesse riferito di sentire dolori; che dunque l'asportazione della milza era stata determinata da fattori diversi e non riconducibili all'imputato l.M.;
- violazione della legge penale, in relazione al giudizio di colpevolezza; il motivo deduce che la stessa persona offesa aveva riferito di essersi coperto il volto, e dunque non poteva aver notato chi, fra gli imputati, gli avesse sferrato i calci alla milza; che nella telefonata del M. non vi erano indicazioni circa il punto dove il ricorrente avrebbe colpito con i calci e che nel video in atti risulta che la persona offesa non aveva lesioni;
- violazione della legge penale, in relazione all'accertamento dell'elemento soggettivo del reato; il motivo rileva che la condanna era stata fondata sulla testimonianza della persona offesa, riscontrata da quanto dichiarato dall'imputato M. nella telefonata al m.llo T. e al caporal maggiore R., quando in realtà non vi era prova che le chiamate fossero state fatte dal M. e la stessa persona offesa aveva affermato di non sapere se anche M. lo avesse colpito; inoltre, non vi era prova nemmeno che il calcio avesse colpito la milza, che può essere lesionata solo se direttamente colpita;
- violazione della legge penale, in relazione alla esclusione della causa di giustificazione della legittima difesa putativa, desumibile dalla circostanza del tentativo di soffocamento messo in atto dal S. nei confronti di M., provato dalla telefonata di M. e dalle riprese video;
- violazione dell'art. 350 c.p.p., comma 1, e art. 374 c.p.p., per essere state utilizzate dichiarazioni assunte senza l'assistenza del difensore; il motivo evidenzia che la persona offesa aveva, dopo la presentazione della denuncia, telefonato al M., mettendo il dispositivo "viva voce" per consentire al m.llo T. di ascoltare la conversazione, in violazione dei diritti connessi alla posizione di indagato del M.;
- difetto di motivazione in ordine al nesso di causa tra il calcio, in tesi di accusa inferto da L.M., e la rottura della milza; il motivo segnala che il teste P. aveva spiegato che la patologia della milza conosce anche la rottura in due tempi, ed anche per eventi traumatici banali; che la persona offesa non aveva provato dolore nè nella immediatezza nè nelle ore successive, tanto che nel video si nota che la persona offesa non aveva dolori e che lo stesso era andato in birreria la sera.
Motivi della decisione
Il ricorso, seppur per ragioni diverse in relazione ai motivi proposti, va dichiarato inammissibile.
I motivi primo e sesto riguardano l'elemento oggettivo del reato, in particolare se la rottura della milza fosse stata determinata da un calcio ricevuto in quel litigio ovvero per altra causa nei giorni successivi; i motivi secondo e terzo sono relativi alla prova specifica; il motivo quarto concerne la legittima difesa; il motivo quinto attiene al compendio probatorio.
Di seguito verranno esaminati secondo ordine logico.
1. Il quinto motivo deduce la inutilizzabilità della prova costituita dalla dichiarazione resa dall'imputato M. al m.llo T. nel corso di una telefonata avvenuta due giorni dopo l'intervento chirurgico, quando S. era ancora in Ospedale; il contenuto di tale dichiarazione è stato riferito, a dibattimento, dal teste m.llo T. (pag. 48 della sentenza impugnata) e dalla persona offesa (pag. 44 della sentenza impugnata).
Il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 350 c.p.p., in quanto si tratterebbe di informazioni assunte dall'indagato senza l'assistenza del difensore.
Dalle sentenze di merito risulta che, in realtà, era avvenuto che il m.llo T. aveva fatto visita al S., ancora ricoverato in ospedale dopo l'intervento; che S. aveva quindi deciso di esporre al m.llo T. la verità su quanto accaduto la notte fra il (OMISSIS) ed aveva avuto l'iniziativa di telefonare a M.: la conversazione fra i due militari veniva udita, grazie al dispositivo "viva voce", anche dal m.llo T..
Dunque, si è trattato di conversazione tra soggetti privati, non sollecitata dal m.llo T. e udita dal medesimo solo per iniziativa del S..
Nel caso in esame non si verte certo in un caso disciplinato dall'art. 350 c.p.p., ma non opera nemmeno il divieto di testimonianza sancito dall'art. 62 c.p.p..
Sul punto, vi è orientamento consolidato della giurisprudenza, che esclude l'operatività del divieto in parola nel caso di dichiarazioni dell'indagato con terzi, ascoltate dall'ufficiale di polizia giudiziaria (Sez. 1, 20.1.2017, Capezzera, Rv. 269573).
Il motivo risulta quindi manifestamente infondato.
2. I motivi primo e sesto riguardano il difetto di motivazione in ordine alla prova del nesso di causa tra la lesione costituita dalla rottura della milza e la condotta violenta subita dal S. nel corso dell'alterco avuto nella notte fra il (OMISSIS).
Il primo motivo indica due prove che non sarebbero state valutate dalla Corte di appello (testimonianza P. e teste m.llo T.); il sesto motivo riprende il medesimo argomento, indica ulteriori prove non adeguatamente valutate (ancora testimonianza P., testimonianze sulla assenza di dolore da parte della persona offesa) e, infine, ipotizza che la persona offesa abbia subito il trauma, che ha portato alla rottura della milza, sempre quella notte, ma a causa di caduta determinata dalla sua condizione di ebbrezza alcolica.
Si tratta di motivi di merito, genericamente formulati e manifestamente infondati.
Il ricorrente prescinde completamente dalla motivazione data dalle sentenze di merito, che, sul punto, sono conformi, propone una diversa lettura del compendio probatorio, senza peraltro dedurre specifici travisamenti da parte delle sentenze di merito e, infine, propone argomenti di merito, giungendo anche a ipotizzare un diverso processo eziologico fondato su una congettura (ulteriore caduta), e non su fatti accertati.
Si deve rilevare che la sentenza di primo grado ha motivato, sul punto, alle pagine 11-13 ss., valorizzando la testimonianza P., direttore del reparto Chirurgia (OMISSIS) dell'ospedale di Siena, e la perizia medico legale disposta; la sentenza di appello ha ripreso tali argomenti alla pagina 54, ed ha verificato, negativamente, se potessero essere intervenuti ulteriori, e alternativi, fattori di rischio (pagg. 54-56).
Il ricorso non considera tali argomentazioni, ma ne contrappone altre, fondate, per lo più, sul ritardo, rispetto all'evento traumatico, con cui era insorta la sintomatologia dolorosa.
La circostanza, peraltro, è stata spiegata dagli esperti con la particolare configurazione anatomica dell'organo, e indicata come specifica caratteristica del processo patologico che determina la rottura della milza.
Gli argomenti di merito proposti dalla difesa risultano, dunque, anche manifestamente infondati.
3. I motivi secondo e terzo, dal contenuto analogo, riguardano la motivazione inerente lo specifico accertamento circa lo svolgersi della aggressione che avrebbe determinato l'evento traumatico, cui poi era seguita la grave lesione personale.
In particolare, si sostiene che la persona offesa aveva precisato di non aver visto chi gli stava dando i calci, e che non vi era prova che i calci fossero stati dati proprio nella parte anatomica dove si trova la milza.
Anche qui il ricorso prescinde dalla motivazione della sentenza impugnata, non indica alcun travisamento di prova da parte del secondo giudice e propone, invece, una lettura alternativa del compendio probatorio.
La sentenza impugnata ha motivato il proprio giudizio anche in ordine alla specifica individuazione dell'imputato L.M. come l'autore dei calci che avevano attinto la persona offesa, ma il ricorso se ne disinteressa, limitandosi a proporre una propria ricostruzione dei fatti, alternativa a quella del secondo giudice.
In particolare, non viene proposta alcuna specifica censura in ordine alla motivazione che aveva sorretto il giudizio di attendibilità delle testimonianze della persona offesa e dei militari R. e T., ritenute decisive in ordine alla ricostruzione dei fatti.
Si deve aggiungere che il secondo giudice ha proceduto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e, quindi, ad una motivazione del giudizio di colpevolezza che prende in considerazione tutti gli elementi costitutivi del reato e anche le ipotesi di ricostruzione alternativa che, legittimamente in quelle sedi, la difesa aveva prospettato.
Anche questi motivi, dunque, risultano inammissibili perchè attinenti al merito e genericamente formulati.
4. Il quarto motivo denuncia violazione delle norme relative alla legittima difesa.
In realtà, anche questo motivo si sofferma sulla ricostruzione del fatto e censura direttamente l'accertamento compiuto dal secondo giudice, che non avrebbe tenuto conto che l'imputato aveva percepito come aggressivo l'atteggiamento della persona offesa ed avrebbe reagito con azione simultanea e non frazionata in due tempi.
Ancora, si tratta di argomenti di merito, articolati senza confronto con la motivazione della sentenza impugnata e manifestamente infondati.
Laddove il ricorso contesta la ricostruzione della condotta dell'imputato in due tempi, anzichè in uno, non viene dedotto un travisamento di prova ovvero un profilo di manifesta illogicità, ma si contrappone al giudizio della corte di appello una diversa valutazione di merito.
Nella parte in cui il ricorso deduce che la sentenza impugnata non avrebbe considerato come l'imputato aveva percepito la condotta della persona offesa, non si considera che il secondo giudice ha espressamente ritenuto come all'origine della aggressione dell'imputato vi fosse un fraintendimento della condotta di S..
Infine, la deduzione, di fatto, circa l'unitarietà della azione dell'imputato oblitera la pacifica circostanza che i calci sono stati sferrati mentre la persona offesa si trovava a terra senza alcun atteggiamento di difesa, bensì solo di difesa passiva.
Anche il motivo in esame risulta quindi inammissibile.
5. Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma a favore della Cassa delle Ammende, che si reputa equo determinare in Euro 2.000,00.
Il ricorrente è tenuto anche alla rifusione delle spese di assistenza e difesa sostenute dalla parte civile, liquidate come indicato in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro Duemila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna il ricorrente alla rifusione in favore della Parte Civile S.A. delle spese processuali, che liquida in Euro 3500, oltre spese generali, iva e cpa come per legge.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2018
06-03-2018 17:26
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