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Sentenza

Caporale dell'EI condannato a 6 mesi e 15 gg di reclusione per insubordinazione ...
Caporale dell'EI condannato a 6 mesi e 15 gg di reclusione per insubordinazione con ingiuria e minaccia continuata e aggravata.
Penale Sent. Sez. 1 Num. 48158 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Data Udienza: 23/10/2013

SENTENZA
sul ricorso proposto da
D.B. P.  nato a G. il ........,
avverso la sentenza in data 12 giugno 2012 della Corte militare di appello di
Roma nel proc. n. 19/2012.
Letti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
sentita, nella pubblica udienza del 23 ottobre 2013, la relazione svolta dal
consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
udite le conclusioni del pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore
generale militare, dott. Luigi Maria Flamini, il quale ha chiesto la declaratoria di
inammissibilità del ricorso;
udito il difensore dell'imputato, avvocato Franca Faiola, in sostituzione
dell'avvocato Luigi Parenti, la quale ha chiesto raccoglimento dei motivi di
ricorso.
Penale Sent. Sez. 1 Num. 48158 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Data Udienza: 23/10/2013
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte militare di appello, con sentenza del 12 giugno 2012, ha
confermato la sentenza del Tribunale militare di Roma in data 14 ottobre 2011,
in forza della quale D.B.L., caporale dell'esercito italiano, già in
servizio presso il Centro militare veterinario di Grosseto, previa concessione della
circostanza attenuante dell'aver commesso il fatto per i modi non convenienti
usati da altro militare, di cui all'art. 48 n. 3 cod. pen. mil . pace, in regime di
equivalenza alla circostanza aggravante del grado rivestito, era stato condannato
alla pena di mesi sei e giorni quindici di reclusione militare, con i doppi benefici
di legge, per il reato di insubordinazione con ingiuria e minaccia continuata e
aggravata, ai sensi degli artt. 189, 1° e 2° comma, 47 n. 2, cod. pen. mil . pace e
81 cpv. cod. pen.
Il D.B. è stato riconosciuto responsabile di avere offeso il prestigio,
l'onore e la dignità del superiore gerarchico in grado, caporale maggiore scelto,
M.S., al quale minacciava altresì un ingiusto danno, rivolgendogli
espressioni sprezzanti: "Tu non sei nessuno", accompagnate dal gesto di
sferrargli dei pugni e da parole minatorie: "So dove abiti, ti prenderò alle spalle,
colpendo alle spalle si colpisce due volte", aggiungendo che avrebbe lasciato
l'esercito e sarebbe entrato nell'Arma dei carabinieri per poter disporre di
un'arma da fuoco e organizzarsi anche con l'uso di un passamontagna.
Secondo la contestazione criminosa, ritenuta provata dai giudici di merito,
tali condotte, poste in essere 1'11 novembre 2009 in Grosseto, erano attinenti al
servizio prestato, perché costituivano la risposta e la reazione del De Bellis
all'invito del M.di spiegare le ragioni della sua tardiva presentazione in
servizio.
In particolare la Corte di appello, nel confermare il giudizio di penale
responsabilità già espresso dal Tribunale, ha valorizzato la testimonianza della
persona offesa, M. e quella del maggiore capo, P.E., terzo
estraneo presente alla lite, il quale aveva riferito di aver percepito la minaccia,
restando colpito dall'espressione usata dal D.B., secondo la quale colpire alle
spalle equivale a colpire due volte e dal riferimento dell'imputato al
passamontagna e al suo proposito di entrare nell'Arma dei carabinieri per poter
disporre di una pistola ed essere più libero di risolvere i propri problemi con le
persone.
Quanto alla deposizione del testimone a discarico, indicato dall'imputato
nella persona del caporale maggiore scelto, C.C., la Corte di appello ha
rilevato che il C., occasionalmente presente sul posto pur risultando in
licenza per malattia, era sopraggiunto a discussione già iniziata e aveva potuto
sentire, nel brevissimo lasso di tempo del suo passaggio davanti all'infermeria,
solo le parole urlate dal M. all'indirizzo del D.B.: "Ti aspetto fuori",
senza poter osservare la condotta dell'imputato da lui visto solo di spalle.
Tale elemento, coordinato con quanto emerso dalla testimonianza del P.,
il quale, invece, aveva potuto osservare anche il comportamento del D.B. e
aveva udito le parole ingiuriose e minatorie pronunziate dall'imputato all'indirizzo
del M. consentiva, dunque, secondo la Corte di appello in accordo con la
valutazione espressa dal Tribunale, di riconoscere al D.B. la circostanza
attenuante di aver commesso il fatto per i modi non convenienti usati dal
M. nei suoi confronti, ma non anche di escludere la sua condotta,
consapevole e volontaria, di arrecare offesa alla dignità e al prestigio del
superiore in grado e di prospettargli un ingiusto danno.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il D.B. tramite il difensore di fiducia, avvocato Luigi Parenti, il quale, con unico
motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata per carenza, manifesta
contraddittorietà e illogicità della motivazione, ovvero per travisamento del fatto
e delle prove, conseguente anche all'omessa acquisizione di una prova decisiva.
La sentenza impugnata, con motivazione definita apodittica e confliggente
con le risultanze istruttorie e con la logica, avrebbe ritenuto inattendibile il
testimone a discarico, il caporale maggiore scelto, C.C., e proceduto ad
una valutazione parcellizzata delle sue dichiarazioni senza coordinarle al quadro
probatorio complessivo.
Il rilievo dei giudici di merito, secondo il quale il C. risultava assente
dal servizio nel periodo 1°/11/2009-20/11/2009, inizialmente per licenza
ordinaria e poi per aspettativa a causa di infermità, sicché lin novembre non
avrebbe potuto assistere alla lite tra il M. e il D.B. , è denunciato dal
ricorrente come totalmente illogico, perché ometterebbe di considerare la
possibilità che il C. si trovasse, comunque, nella sede del Centro
veterinario militare, il giorno del fatto, per ottenere il foglio di viaggio come da
lui stesso dichiarato, secondo una spiegazione arbitrariamente definita
"oggettivamente non appagante" da parte della Corte territoriale.
In ogni caso, i giudici di merito avrebbero potuto e dovuto procedere alla
verifica del dato tramite l'esame del registro delle presenze dei militari nel
Centro veterinario di Grosseto, come richiesto dallo stesso pubblico ministero e,
tuttavia, non disposto dai decidenti per ritenuta superfluità dell'accertamento,
così incorrendo) oltre che nel vizio di carenza della motivazione, anche in quello di
mancata assunzione di una prova decisiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché propone censura motivazionale
manifestamente infondata che procede da un'errata ricognizione del contenuto
della sentenza impugnata.
La Corte di appello, come già il Tribunale, non ha ritenuto inattendibile il
testimone C. escludendone addirittura la presenza al fatto perché in
licenza per malattia, né ha disconosciuto il valore della sua deposizione.
Al contrario, con motivazione adeguata e coerente, travisata dal ricorrente,
proprio sulla testimonianza del C. è stato fondato il riconoscimento
all'imputato, De Bellis, della circostanza attenuante di aver commesso il fatto per
i modi non convenienti usati nei suoi confronti dalla persona offesa, Mascolino;
mentre la dichiarazione della penale responsabilità del D.B. per il reato
ascrittogli è stata ancorata alle altre prove ritualmente acquisite e
adeguatamente valutate, ossia alle convergenti testimonianze del P. e dello
stesso M., presenti all'intero fatto, non in contrasto con la pur apprezzata
deposizione del C. che, invece, per sua stessa ammissione, assistette di
passaggio solo ad un frammento dell'alterco immediatamente precedente la
reazione ingiuriosa e minatoria dell'imputato ai rilievi del suo superiore.
2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell'art.
616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), anche la condanna al versamento a favore della cassa delle ammende di
una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare, tra il minimo e il
massimo previsti, in euro mille.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso, in Roma, il 23 ottobre 2013.
Avv. Antonino Sugamele

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