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Sentenza

Induzione indebita. Carabinieri condannati per peculato d'uso per avere utilizza...
Induzione indebita. Carabinieri condannati per peculato d'uso per avere utilizzato l'auto di servizio al fine di consumare atti sessuali o comunque per tentare approcci di natura sessuale con una straniera.
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-12-2017) 02-02-2018, n. 5206
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IPPOLITO Francesco - Presidente -
Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere -
Dott. VILLONI Orlando - Consigliere -
Dott. CORBO Antonio - rel. Consigliere -
Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. S.R., nato a (OMISSIS);
2. M.M., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/04/2016 della Corte d'appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CORBO Antonio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BALSAMO Antonio, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
uditi, per i ricorrenti, l'avvocato GALEOTTI Maria Grazia, difensore di fiducia di S.R. e sostituto processuale dell'avvocato DE GIORGI Luigi, difensore di fiducia di M.M., e l'avvocato ZANNOTTI Roberto, difensore di fiducia di S.R., che hanno chiesto l'accoglimento dei ricorsi.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa in data 28 aprile 2016, la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza pronunciata in primo grado, dal Tribunale di Mantova che aveva condannato S.R. e M.M. per i reati di induzione indebita commessi in danno di F.P.E.R., detta A.P., e di peculato d'uso, e, ritenuta la continuazione tra i reati, e concesse le attenuanti generiche, aveva irrogato al primo la pena di tre anni ed otto mesi di reclusione ed al secondo la pena di quattro anni di reclusione.
Precisamente, S. e M. sono stati ritenuti responsabili del reato di induzione indebita commesso in danno di F., persona dedita al meretricio, per averla determinata a compiere e subire atti sessuali gratuitamente, abusando della loro qualità di Carabinieri operanti sul territorio, e con la minaccia implicita di procedere ai controlli di legalità, stante anche la irregolarità della presenza della persona indotta sul territorio nazionale e la contiguità della stessa ad ambienti criminali, con condotte poste in essere congiuntamente da entrambi gli imputati da ottobre 2008 a dicembre 2009 (capo a della rubrica), e dal solo M. da ottobre 2008 a giugno 2010 (capo d della rubrica). Inoltre, S. e M. sono stati ritenuti responsabili del reato di peculato d'uso per avere utilizzato l'auto di servizio al fine di consumare atti sessuali o comunque per tentare approcci di natura sessuale con D.S.W.A., detta B., con condotte poste in essere da dicembre 2009 a giugno 2010 (capo c della rubrica).
La principale fonte di prova, per i reati di cui ai capi a e d, è costituita dalle dichiarazioni della persona ritenuta indotta.
2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe l'avvocato De Giorgi Luigi, quale difensore di fiducia di M.M., e l'avvocato Galeotti Maria Grazia, quale difensore di fiducia di S.R..
3. Il ricorso presentato nell'interesse di M.M. è articolato in sei motivi.
3.1. Con i primi due motivi, sviluppati congiuntamente, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla valutazione delle dichiarazioni della persona "indotta".
Si deduce che le dichiarazioni della persona offesa, quale è nella specie l'indotto in ragione dell'epoca dei fatti in contestazione, possono essere da sole sufficienti a fondare un'affermazione di penale responsabilità solo dopo attento vaglio critico, sia con riguardo alla credibilità soggettiva del dichiarante, sia in relazione alla attendibilità estrinseca del racconto, e che, invece, la sentenza impugnata ha fornito motivazione illogica e contraddittoria in proposito, nonostante le espresse indicazioni della difesa, anche travisando i dati istruttori.
In particolare, si rappresenta che forti criticità emergono sia con riferimento all'indicazione di testimoni presenti agli incontri, sia con riferimento all'epoca degli incontri. Con riferimento al primo aspetto, si segnala, innanzitutto, che la Corte d'appello solo con una spiegazione "tortuosa" ha giustificato il contrasto tra le dichiarazioni della persona indotta, la quale ha riferito di un incontro a casa sua con i due Carabinieri a cui erano presenti anche altri tre transessuali, tali Ba., K. e P., e le deposizioni di queste tre persone, le quali hanno smentito la circostanza; si aggiunge, poi, che il giudice di secondo grado erroneamente attribuisce ad altro teste, tale Fe., l'affermazione di aver appreso dalla persona indotta dell'arrivo dei due militari, e non offre alcuna giustificazione in ordine alla mendace affermazione di quest'ultima di aver sempre abitato da sola e di non aver ospitato altre persone. Con riferimento al secondo aspetto, si rappresenta che il primo incontro tra la persona indotta e l'imputato M. non può essersi verificato il 20 ottobre 2008, come indicato dalla vittima, perchè, quella sera, i tabulati telefonici rilevano un contatto della durata di un solo secondo, alle ore 23,02, e neppure il 20 novembre 2008, altra data astrattamente possibile in considerazione delle risultanze dei tabulati telefonici, perchè, essendo l'appuntamento fissato dopo la mezzanotte, a detta dello stesso dichiarante, l'incontro era impedito dal turno di servizio del ricorrente, relativo all'orario compreso tra le 00,00 e le 06,15.
Si osserva, poi, che le dichiarazioni della persona offesa: -) quando negano l'effettuazione o la ricezione di chiamate telefoniche dall'imputato S. sono smentite dai tabulati; -) quando non riferiscono della malformazione dell'organo genitale di S. sono inverosimili; -) quando affermano la circoncisione di uno dei due militari, negano l'offerta di ospitalità a colleghe di meretricio, e parlano del coinvolgimento di tale J. sono indiscutibilmente mendaci. Si osserva, ancora, che il notevole flusso di contatti telefonici tra gli imputati e la persona indotta accredita la prospettazione difensiva che quest'ultima fungesse da informatore dei primi.
3.2. Con il terzo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all'art. 319-quater cod. pen., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), avendo riguardo alla configurabilità di uno stato di "induzione".
Si deduce che non vi è prova di un'attività induttiva da parte dei pubblici ufficiali, e nemmeno di vantaggi ricevuti dalla persona offesa, e che le aspettative di futuri vantaggi sono ipotesi fondate su mere congetture.
3.3. Con il quarto motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all'art. 314 cod. pen., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla configurabilità del peculato d'uso.
Si deduce, innanzitutto, che le dichiarazioni della Da Silva sul luogo in cui erano stati consumati rapporti sessuali sono smentite dalla obiettiva impossibilità di accedere allo stesso con un'automobile. Si rileva, poi, che nessun pregiudizio può essere derivato per la Pubblica Amministrazione, posto che gli incontri sessuali avvenivano sull'auto della prostituta e che la vettura dei Carabinieri restava parcheggiata in una zona in cui doveva comunque trovarsi per ragioni di servizio.
3.4. Con il quinto motivo, si lamenta vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo riguardo alla esclusione di un "complotto" ordito in danno dei due imputati.
Si deduce che la Corte d'appello non ha tenuto conto di due importanti circostanze: innanzitutto, le notizie sui rapporti dei Carabinieri con i transessuali iniziarono a circolare solo dopo che i militari avevano inasprito i controlli, come riferito da numerosi testi, quali superiori e colleghi dei due imputati e la stessa D.S., vale a dire una persona esercente l'attività di prostituzione; inoltre, la denunciante F. ha presentato la sua querela solo il 10 settembre 2010, a distanza di tempo dalla fine dei rapporti con gli imputati, e qualche giorno dopo che il T.A.R. aveva respinto la sua richiesta di soggiorno, ottenendo il permesso solo in virtù della denuncia, D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 18.
3.5. Con il sesto motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all'art. 133 cod. pen., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla eccessività della pena inflitta.
Si deduce che il superamento del minimo edittale non può essere disposto per la pluralità dei fatti: la pluralità dei fatti può rilevare solo in sede di calcolo dell'aumento a titolo di continuazione. Si osserva, inoltre, che immotivate sono le affermazioni relative alla "particolare debolezza della persona offesa", ed al "grave danno al prestigio ed al buon andamento della Amministrazione".
4. Il ricorso presentato nell'interesse di S.R. è articolato in un unico motivo, con il quale si lamenta violazione di legge, in riferimento all'art. 319-quater cod. pen. e art. 27 Cost., nonchè vizio di motivazione, anche per effetto del travisamento delle dichiarazioni del teste C., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla sussistenza del reato di induzione indebita.
Si deduce che la sentenza impugnata non ha risposto, se non in modo del tutto apparente, alle censure formulate con l'atto di appello, in particolare laddove si evidenziava sia la mancata indicazione di atti abusivi e prevaricatori, sia la mancata prospettazione di vantaggi indebiti alla persona offesa. Si segnala, innanzitutto, che si era richiamata, nell'atto di appello, la deposizione del maresciallo C., superiore dei due imputati, il quale si è assunto la responsabilità per la scelta di non procedere ad ulteriori atti restrittivi e sanzionatori nei confronti di F., già arrestato a norma del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, in quanto denunciante in altro procedimento penale. Si rileva, poi, che certamente non costituiscono vantaggi indebiti le millanterie di F. di avvalersi delle sue amicizie con i carabinieri per dare una lezione ai propri avversari. Si osserva, infine, che l'induzione indebita non può derivare da meccanismi psicologici del foro interno di una persona, perchè, in tal caso, si determinerebbe una responsabilità di posizione (si cita, specificamente, in proposito, Sez. 6, n. 22526 del 10/03/2015, B., Rv. 263769). 

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono infondati per le ragioni di seguito precisate.
2. Carattere preliminare ha l'esame delle censure attinenti alla ricostruzione dei fatti per i quali è intervenuta condanna.
Dette censure, esposte nel primo, nel secondo e nel quinto del ricorso di M., e, diffusamente, nel motivo unico del ricorso di S., attengono essenzialmente alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese e testimoni F.R.P.E., detta A.P., e D.S.W.A. detta B.. Con le stesse, inoltre, si denunciano anche la preordinazione di un complotto in danno degli imputati, ed il travisamento delle dichiarazioni del maresciallo C..
3. In considerazione dell'oggetto centrale delle censure formulate in ordine alla ricostruzione del fatto, è utile premettere, per chiarezza, e ferma restando l'assenza di questioni in proposito da parte della difesa, che le dichiarazioni oggetto di critica sono riferibili a persone offese, non certo a imputati di reato connesso o probatoriamente collegato. In effetti, i capi di imputazione per i quali è stata esercitata l'azione penale riguardano i delitti di concussione, di violenza sessuale, e di peculato d'uso. Inoltre, i fatti, datati tra il 2008 ed il 2010, sono precedenti alla introduzione del reato di induzione indebita, introdotto con la L. 6 novembre 2012, n. 190.
Ciò posto, costituisce principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, anche nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto (così Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214, nonchè, più di recente, tra le decisioni massimate, Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104).
La verifica del vizio di motivazione in sede di legittimità, poi, attiene sia alla cd. giustificazione interna, concernente la conducenza logica dei nessi tra le premesse di fatto e le conclusioni, sia alla cd. giustificazione esterna, relativa alla plausibilità razionale dei criteri di valutazione utilizzati a tal fine, ma trova un limite preciso: i giudizi sulla congruenza tra premesse e conclusioni e sulla scelta dei parametri di apprezzamento impiegati dal giudice di merito debbono essere verificati in termini di "accettabilità razionale". Invero, la Corte di cassazione, come osserva anche la Relazione al progetto preliminare al codice di procedura penale, deve poter censurare "motivazioni in cui si traggono conclusioni prive di giustificazione o incompatibili con le premesse, ovvero si adottano massime di esperienza contrastanti con "il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento""; il giudice di legittimità, però, non può certo sostituire i criteri di valutazione e le massime di esperienza utilizzati dal giudice di merito, nè, secondo quanto si rileva espressamente in dottrina, può pretendere di rifondare il giudizio di verità delle asserzioni poste a fondamento della decisione.
Il vizio di travisamento della prova, ancora, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, e condiviso dal Collegio, può certamente attenere all'omesso esame di una prova decisiva (cfr., in tal senso, esemplificativamente, Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499), ma è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale o probatorio, fermo restando, inoltre, non solo il limite del devolutum in caso di cosiddetta "doppia conforme", ma anche l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (così per tutte, Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774, e Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207).
4. I fatti sussunti nelle fattispecie di induzione indebita e di peculato d'uso dell'autovettura di servizio sono stati ricostruiti dalla sentenza impugnata in modo convergente rispetto alla decisione di primo grado.
La Corte d'appello, innanzitutto, descrive i fatti ritenuti accertati riportando, in sintesi, gli elementi di prova evidenziati nella sentenza del Tribunale.
Si sofferma, poi, analiticamente sui rilievi svolti dagli imputati in ordine all'attendibilità delle dichiarazioni rese dalle transessuali A.P. e B., ed all'ipotesi del "complotto". Di tali rilievi e delle relative risposte del giudice di secondo grado si dà conto in questa sede nei limiti direttamente interessati dalle censure contenute nei ricorsi per cassazione.
4.1. Quanto alla generale ricostruzione dei fatti, la sentenza impugnata premette che le indagini iniziarono in data 23 luglio 2017, allorchè la transessuale brasiliana G.D.S.E. detta K. riferì a due Carabinieri della Compagnia di Mantova, il maresciallo St. e l'appuntato Ca., che la transessuale A.P. gli aveva detto di essere protetta da due altri militari dell'Arma in cambio di prestazioni sessuali. Dopo queste dichiarazioni di K., successivamente confermate a dibattimento, i Carabinieri identificarono A.P. in F.R.P.E., la quale si decise a rendere dichiarazioni il 9 settembre 2010, dopo aver contattato il suo avvocato, e riconobbe in fotografia gli imputati M.M. e S.R.. Gli accertamenti immediatamente svolti in prosieguo evidenziarono che, per quanto emergente dai tabulati telefonici, l'utenza in uso ad A.P. aveva avuto tredici contatti con l'utenza di S. e centoquattro contatti con le utenze di M., e che, a tali contatti, una sola volta era seguita un'annotazione di servizio nella quale si citava espressamente A.P., ed esclusivamente per dare conto di una richiesta di informazioni formulata dalla transessuale ai Carabinieri. Nel corso delle ulteriori indagini, i militari appresero da F.M.A. che i due odierni ricorrenti intrattenevano rapporti sessuali anche con la transessuale D.S.W.A. detta B., la quale confermò la circostanza, riconoscendo anch'ella in fotografia S. e M.; emerse inoltre dall'esame dei tabulati relativi alle utenze cellulari, che, nel periodo compreso tra novembre 2009 e maggio 2010, B. aveva avuto sessantadue contatti con M. e nessun contatto con S..
Sempre secondo quanto rappresentato dalla Corte d'appello, A.P., sentita in incidente probatorio e in dibattimento, ha dichiarato di essere arrivata in Italia nel 2007, di aver svolto da subito l'attività di prostituzione come transessuale dapprima a (OMISSIS) e poi in (OMISSIS), di essere stata arrestata nel 2008 in (OMISSIS) per inottemperanza all'ordine di espulsione, di aver sporto denuncia il 20 marzo 2008 contro i suoi sfruttatori, di essere stata ripetutamente avvicinata sul luogo in cui svolgeva l'attività di prostituzione in (OMISSIS) da M. e S., i quali circolavano in divisa e a bordo dell'auto di servizio, e di aver più volte ricevuto apprezzamenti a sfondo erotico in particolare da M.. La transessuale ha quindi detto che, nel corso di questi incontri, i due militari avevano iniziato i primi "approcci" sessuali, ed avevano iniziato a contattarla sull'utenza telefonica indicata in denuncia, e che gli approcci erano proseguiti a partire dall'ottobre 2008 anche nella sua abitazione ed erano culminati anche in rapporti completi. La persona offesa ha inoltre precisato che i contatti telefonici, la prima visita in abitazione e i primi rapporti sessuali erano riferibili a M., il quale aveva poi imposto di estendere le prestazioni anche a S., e che gli incontri, fissati sempre su iniziativa di M., si erano svolti ora a due, ora a tre, si erano protratti per tutto l'anno 2009, si erano realizzati gratuitamente, ma senza violenza o minaccia, ed erano stati da lei accettati per poter continuare l'attività di prostituzione senza problemi.
La sentenza impugnata dà poi conto delle dichiarazioni di B.. Questa transessuale ha detto di aver conosciuto M. e S., poi riconosciuti anche in aula di udienza, in occasione dei controlli diurni e notturni da questi effettuati, e di aver accettato di avere rapporti con gli stessi perchè compiaciuta dell'interesse suscitato nei medesimi. Ha inoltre riferito che, la prima volta, i due militari l'avevano raggiunta in divisa e con l'auto di servizio, ed ella li aveva seguiti con la sua vettura nei pressi di un edificio in costruzione; in questo luogo, all'interno della sua autovettura, si erano consumati rapporti sessuali prima con l'uno e poi con l'altro militare. Ha precisato che, in seguito, vi erano stati altri rapporti sessuali con entrambi gli imputati, svolti tutti con le medesime modalità, e che, dopo un ultimo incontro con il solo M., ella aveva interrotto le sue relazioni con gli imputati per poi allontanarsi da (OMISSIS) nel (OMISSIS).
Ancora, i giudici di secondo grado segnalano che i due imputati, nel corso dell'esame a dibattimento, hanno dichiarato di aver conosciuto A.P. nell'ambito della loro attività di contrasto alla prostituzione, e di non aver proceduto all'arresto del transessuale solo dopo aver contattato il maresciallo C., il quale li aveva invitati a soprassedere, in quanto si trattava di persona che aveva denunciato i suoi sfruttatori. I due imputati hanno poi affermato che sia A.P., sia B. erano loro "informatori", che i contatti telefonici sono tutti avvenuti per motivi di servizio, e che essi non hanno avuto alcun rapporto sessuale con le due dichiaranti.
4.2. Le dichiarazioni di A.P. sono state esaminate in relazione a tutti i profili poi oggetto di contestazione nei ricorsi per cassazione.
Per quanto attiene all'episodio della concomitante presenza, a casa di A.P., dei due imputati e delle transessuali Ba., K. e P., si rappresenta che il racconto non può ritenersi smentito dalla mancata conferma da parte di queste tre persone appena indicate: invero, dall'esame della deposizione della persona offesa, non è chiaro se questa abbia riferito di un vero e proprio incontro di persona tra i militari e le transessuali in questione, o, invece, di una contestuale presenza nella stessa abitazione, ma in locali distinti. Inoltre, la transessuale G.D.S.E. detta K., dalle cui dichiarazioni è nata l'indagine, non solo ha riferito che A.P. le aveva detto di ricevere in casa due Carabinieri per prestazioni sessuali, ma ha aggiunto che, in un'occasione, mentre ella stava uscendo dalla sua stanza, proprio A.P. l'aveva invitata a restare dentro questo ambiente e a chiudere la porta perchè "stanno arrivando loro due", pur senza precisare se si trattasse di militari.
In riferimento all'affermazione di A.P. di aver saputo che anche la transessuale J. fosse protetta da un maresciallo dei Carabinieri, si rileva che trattasi di dichiarazioni generiche, sicchè la mancata conferma sul punto non costituisce indice di inattendibilità.
Con riguardo al diniego di aver ospitato "colleghe" nella propria abitazione, si segnala che la circostanza, indicata solo in dibattimento, e diversamente da quanto riferito nelle fasi precedenti, è spiegabile per il timore di danneggiare l'amico G. che le aveva procurato l'alloggio e che, in quel momento, era indagato per sfruttamento della prostituzione.
Per quanto concerne l'individuazione della data del primo incontro tra gli imputati, e segnatamente M., da una parte, ed A.P., dall'altra, si osserva che questa non può dirsi sicuramente fissata in relazione ad un orario serale, sia perchè le dichiarazioni della persona offesa non sono precise sul punto, essendo solo genericamente confermative di quanto risulta da una contestazione, sia perchè il particolare in sè non è significativo, specie "se si considera il tempo trascorso e il rilevante numero di contatti (...)" intercorsi tra i Carabinieri e la transessuale. In ogni caso, risultano plurimi contatti telefonici nell'ottobre 2008, ossia nel periodo a partire dal quale, a dire di A.P., i due militari avevano iniziato a recarsi nella sua abitazione.
Relativamente ai contatti telefonici con gli imputati, si segnala che le dichiarazioni della persona offesa di aver sempre chiamato " L.", ossia M.M., il quale poi le aveva anche "passato" S., non sono smentite dalla constatazione di rapporti diretti con l'utenza di quest'ultimo: innanzitutto, A.P., come ammesso anche dalla difesa, non aveva interesse a negare rapporti telefonici diretti con S.; inoltre, l'analisi complessiva dei tabulati evidenzia che sono moltissimi di più i contatti con M. e che i pochi contatti con l'utenza di S. non escludono che a rispondere sia stato M., stante il continuo svolgimento in comune dell'attività di servizio. Ancora, la ragione dei contatti appena indicati non risulta riconducibile ad attività informative, come affermato dagli imputati, poichè i rapporti sono avvenuti o attraverso SMS o mediante conversazioni di brevissima durata, e, quindi, appaiono "difficilmente compatibili con un colloquio avente una qualche rilevanza investigativa".
Per quel che si riferisce alle "specificità" anatomiche dei due imputati, si ritengono innanzitutto accettabili le imprecisioni: il mancato ricordo della malformazione del pene di S. è giustificato sia perchè questa non costituisce "anomalia particolare", sia perchè la frequentazione, da parte della persona offesa, di numerosi clienti di sesso maschile, e le modalità di svolgimento dei rapporti, spesso a tre, con i due imputati, sono vicende che non aiutano a custodire memoria di tale caratteristica; il riferimento, non riscontrato, alla circoncisione di uno dei due imputati, è spiegato come dimostrazione della "incapacità della teste di ricordare particolari anatomici (...) per la sua ampia frequentazione di uomini". Si aggiunge, poi, che altre caratteristiche relative alle parti intime degli imputati, in particolare quelle sulla peluria, sulla depilazione e sui tatuaggi, sono state puntualmente riscontrate in sede di ispezione personale compiuta nel corso delle indagini preliminari.
4.3. Le dichiarazioni di B. sono state anch'esse esaminate in relazione a tutti i profili poi oggetto di contestazione nei ricorsi per cassazione.
Per quanto attiene all'ipotesi del coinvolgimento di B. in un complotto preordinato da F.M.A. in danno dei due Carabinieri, si evidenzia che la dichiarante in esame non solo ha escluso che quest'ultima l'avesse invitata a rendere dichiarazioni a carico dei militari, ma, soprattutto, ha minimizzato le ragioni dei suoi rapporti con M. e S., tanto da far escludere fatti di induzione indebita in suo danno, ed ha invece rivelato il ruolo di F.M.A. come di persona la quale faceva venire persone dal (OMISSIS) per "metterle sulla strada".
Con riferimento all'indicazione del luogo in cui avvenivano gli incontri sessuali con i due imputati, si rappresenta che: -) la descrizione è dettagliata, dà conto anche della strada percorsa per raggiungere il punto segnalato, ed è "pienamente compatibile" con quanto riferito dall'ingegnere Sq., esaminato su richiesta della difesa; -) non può dirsi accertata l'impossibilità di accesso al sito per un autoveicolo; -) non vi sono ragioni per ipotizzare un racconto di fantasia, in quanto sarebbe stato agevole indicare un altro punto come luogo per gli incontri a sfondo sessuale con i Carabinieri. D'altro canto, non sono agevolmente spiegabili in termini alternativi i numerosi contatti telefonici tra B. e gli imputati, in quanto avvenuti o attraverso SMS o mediante conversazioni di brevissima durata.
4.4. La sentenza impugnata ha approfondito anche l'ipotesi del complotto ordito in danno dei due imputati a causa della loro solerzia nello svolgimento delle attività di istituto.
La Corte d'appello, in particolare, rileva che l'ipotesi è smentita da molteplici elementi, a partire dalle dichiarazioni delle transessuali B. e K.. Già si è detto delle osservazioni compiute in ordine al racconto della prima. Quanto alle dichiarazioni della seconda, si mette in luce che la stessa non ha confermato A.P. in relazione all'unica circostanza della quale avrebbe potuto dare prova diretta, e cioè di aver visto i due ricorrenti in casa della persona offesa, limitandosi a dire di essere stata invitata a restare chiusa nella propria stanza, perchè "stanno arrivando loro due". Inoltre, la Corte d'appello aggiunge che A.P. non si è presentata di sua iniziativa alla polizia giudiziaria per denunciare i due militari, ma è stata raggiunta dagli inquirenti a seguito dell'indicazione fornita da K. in epoca precedente al settembre 2010, e, quindi, prima che il T.A.R. respingesse il ricorso della persona offesa in ordine al permesso di soggiorno; quest'ultimo, per di più, non è stato mai rilasciato, ed anzi nel novembre 2010 è stata avviata la procedura di espulsione nei confronti della dichiarante. Ancora, i giudici di secondo grado rilevano l'assenza di elementi da cui desumere un'eterodirezione di A.P. da parte di F.M.A., la persona cui sarebbe riferibile l'iniziativa del complotto, e il difetto di un concreto interesse della dichiarante a liberarsi dei due imputati, posto che la stessa, mentre ha definito questi ultimi come "buoni", ha precisato di scappare quando erano in corso controlli effettuati da parte di altre forze dell'ordine. Infine, A.P. è stata ritenuta attendibile quando ha reso dichiarazioni testimoniali nel processo penale a carico del maresciallo Sg. per i rapporti avuti con la prostituta Pa..
5. Alla luce dei criteri giuridici applicabili, la ricostruzione dei fatti per i quali è stata affermata la penale responsabilità dei due imputati risulta immune da vizi rilevabili in sede di legittimità.
5.1. In particolare, deve ritenersi corretta la conclusione in ordine all'attendibilità delle dichiarazioni di F.R.P.E. detta A.P., sulla cui base è fondata l'affermazione di penale responsabilità dei due ricorrenti per i reati di induzione indebita.
La sentenza impugnata, infatti, ha dato puntuale risposta alle censure formulate in ordine sia alle inesattezze e alle mancate conferme del racconto della transessuale in questione, sia alla ipotesi del complotto ordito in danno degli imputati, svolgendo in modo congruente le premesse rispetto alle conclusioni, ed operando una valutazione delle dichiarazioni sulla base di criteri eventualmente opinabili, ma certamente non in contrasto con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
Alle osservazioni della Corte d'appello, riportate in precedenza, anzi, può aggiungersi il rilievo che le inesattezze e le mancate conferme attengono non al nucleo centrale della narrazione, ma a particolari non decisivi per la ricostruzione dei fatti oggetto di accertamento. Non va trascurato, poi, che, per respingere le censure, la Corte d'appello ha messo in luce l'acquisizione di elementi testimoniali e documentali idonei ad avvalorare specificamente il racconto di A.P.. In particolare, si rappresenta che: -) la testimone G.D.S.E. detta K. ha riferito sia alla polizia giudiziaria, dando impulso alle indagini, sia in dibattimento, che A.P. le aveva detto di essere protetta da due altri militari dell'Arma in cambio di prestazioni sessuali; -) i tabulati telefonici evidenziano ben centodiciassette contatti tra le utenze in uso alla dichiarante e quelle in uso ai due imputati - di cui solo tredici intercorsi con l'utenza di S. e centoquattro invece avvenuti con le utenze di M. - ai quali questi ultimi hanno dato una spiegazione, quella dell'esigenza di acquisire informazioni di interesse investigativo, risultata del tutto priva di riscontri. Ancora, non è priva di significato la costanza nel tempo delle dichiarazioni di A.P., anch'essa rilevata dai giudici di merito: sebbene la transessuale sia stata escussa più volte nell'arco di un triennio, sia nella fase delle indagini, sia nell'incidente probatorio, sia a dibattimento, contenute sono le difformità contestate, almeno per quanto si apprende dai ricorsi e dalla sentenza impugnata.
5.2. Corretta risulta anche la valutazione delle dichiarazioni di D.S.W.A. detta B., sulla cui base è fondata l'affermazione di penale responsabilità dei due ricorrenti in ordine al reato di peculato d'uso.
La Corte d'appello, infatti, rispondendo alle critiche formulate in sede di gravame, da un lato, ha spiegato in modo analitico perchè il luogo indicato come sede degli incontri sessuali tra la dichiarante ed i due imputati non può ritenersi fosse inaccessibile alle autovetture, e, dall'altro, ha evidenziato che la transessuale non ha mostrato alcuna animosità o intenzione calunniatoria nei confronti degli accusati, determinando anzi la completa assoluzione di questi con riferimento alla ben più grave imputazione di concussione e di violenza sessuale in suo danno. La sentenza impugnata, inoltre, ha significativamente rappresentato che i rapporti tra la dichiarante ed i ricorrenti sono confermati dai sessantadue contatti tra le utenze cellulari di B. e quelle di M. nel periodo compreso da novembre 2009 a maggio 2010, e che anche in questo caso la spiegazione riferita all'esigenza degli imputati di acquisire informazioni di interesse investigativo è risultata del tutto priva di riscontri.
5.3. Nessun travisamento della prova si è verificato con riferimento alle dichiarazioni del Maresciallo C..
Invero, la circostanza da questi riferita, e cioè che la scelta di non procedere ad ulteriori atti restrittivi nei confronti di F.R.P.E. detta A.P., già arrestata nel 2008, era stata assunta da lui e non era il frutto della spontanea iniziativa degli imputati, non solo è stata espressamente indicata in sentenza, e sostanzialmente ritenuta irrilevante, ma non è idonea disarticolare la trama argomentativa della decisione. In effetti, in disparte da ogni altra considerazione, la dichiarante non ha detto di aver accettato di avere rapporti sessuali a titolo gratuito con gli imputati per evitare di essere arrestata, ma per poter continuare l'attività di prostituzione senza problemi.
5.4. Può quindi concludersi che la Corte di appello ha accertato con modalità incensurabili in sede di giudizio di legittimità le seguenti condotte: a) M. e S., congiuntamente, ed il primo anche da solo, nel periodo compreso tra ottobre 2008 ed il giugno 2010, indussero ripetute volte F.R.P.E. detta A.P., a dare loro indebitamente e a titolo gratuito prestazioni sessuali, avvalendosi della qualità di Carabinieri addetti al controllo del territorio in cui questa si prostituiva, e consentendo alla stessa, tra l'altro irregolarmente presente sul territorio italiano, di continuare ad esercitare, nel medesimo arco di tempo indicato, l'attività di meretricio senza opporre ostacoli o creare difficoltà; b) M. e S., nel periodo compreso tra ottobre 2008 ed il giugno 2010, utilizzarono ripetute volte l'autovettura di servizio a loro disposizione per raggiungere D.S.W.A. detta B., sul luogo in cui questa esercitava la prostituzione, ed avere con la medesima approcci e rapporti sessuali.
6. Infondate sono anche le censure relative alla sussunzione delle condotte poste in essere dai due imputati nei confronti di F.R.P.E. detta A.P. nella fattispecie di induzione indebita di cui all'art. 319-quater cod. pen., formulate nel terzo motivo del ricorso di M. e diffusamente nell'unico motivo del ricorso di S..
Si è detto che, secondo la ricostruzione del fatto operata in modo corretto dai giudici di merito, M. e S., congiuntamente, ed il primo anche da solo, nel periodo compreso tra ottobre 2008 ed il giugno 2010, indussero in plurime occasioni F.R.P.E. detta A.P., a dare loro indebitamente e a titolo gratuito prestazioni sessuali, avvalendosi della qualità di Carabinieri addetti al controllo del territorio in cui questa si prostituiva, e consentendo alla stessa, tra l'altro irregolarmente presente sul territorio italiano, di continuare ad esercitare, nel medesimo arco di tempo, l'attività di meretricio senza opporre ostacoli o creare difficoltà.
6.1. Ai fini dell'esame delle questioni concernenti la qualificazione giuridica delle condotte appena descritte, decisive indicazioni sono fornite dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite, e precisamente da Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera.
Innanzitutto, secondo le Sezioni Unite (cfr. specificamente p. 10.), l'abuso della qualità o dei poteri dell'agente pubblico "non è un presupposto del reato ma integra un elemento essenziale e qualificante della condotta di costrizione o di induzione, nel senso che costituisce il mezzo imprescindibile per ottenere la dazione o la promessa dell'indebito", come conferma l'uso del gerundio (nella specie: "abusando"). Di conseguenza, l'abuso della qualità o dei poteri "è lo strumento attraverso il quale l'agente pubblico innesca il processo causale che conduce all'evento terminale: il conseguimento dell'indebita dazione o promessa".
In secondo luogo, sempre secondo la sentenza Maldera (cfr. specificamente p. 10.1.), "L'abuso della qualità - c.d. abuso soggettivo - consiste nell'uso indebito della posizione personale rivestita dal pubblico funzionario e, quindi, nella strumentalizzazione da parte di costui non di una sua attribuzione specifica, bensì della propria qualifica soggettiva - senza alcuna correlazione con atti dell'ufficio o del servizio - così da fare sorgere nel privato rappresentazioni costrittive o induttive di prestazioni non dovute". Si precisa solo che tale abuso "deve avere una efficacia psicologicamente motivante per il soggetto privato; costui cioè deve comunque avvertire la possibile estrinsecazione dei poteri del pubblico agente, con conseguenze per sè pregiudizievoli o anche ingiustamente favorevoli e, proprio per scongiurare le prime o assicurarsi le seconde, decide di aderire all'indebita richiesta".
In terzo luogo, per le Sezioni Unite (cfr. specificamente p. 10.2), l'abuso dei poteri, ossia la "strumentalizzazione da parte del pubblico agente dei poteri a lui conferiti", può avvenire, oltre che mediante l'esercizio dei poteri a lui istituzionalmente spettanti fuori dei casi previsti dalla legge o in modo difforme da quello dovuto, anche mediante il "mancato esercizio di tali poteri quando sarebbe doveroso esercitarli", ovvero mediante la "minaccia di una delle situazioni descritte".
Ancora, la sentenza Maldera, nell'individuare ipotesi al limite tra concussione ed induzione indebita, richiama sia la situazione riconducibile "all'abuso di qualità, in cui il pubblico funzionario fa pesare, per conseguire la dazione o la promessa dell'indebito, tutto il peso della sua posizione soggettiva, senza alcun riferimento al compimento di uno specifico atto del proprio ufficio o servizio" (cfr. specificamente p. 17.), sia "la prospettazione implicita da parte del pubblico agente di un danno generico, messaggio che il destinatario, per autosuggestione o per metus ab intrinseco, può caricare di significati negativi, paventando di potere subire un'ingiustizia." (cfr. specificamente p. 18.). In relazione all'abuso di qualità, anzi, si fornisce un prototipo simile alla vicenda in esame: "Un esempio tratto dalla realtà è quello di un appartenente a una forza di polizia che, dopo avere consumato un pranzo con amici in un ristorante, facendo valere il suo status, pretenda di non pagare il conto o di saldarlo in maniera quasi simbolica." (cfr. p. 17.).
6.2. Alla luce dei fatti accertati e dei principi giuridici enunciati dalle Sezioni Unite, immune da vizi risulta essere la definizione delle condotte di M. e S. nei confronti di F.R.P.E. detta A.P. in termini di induzione indebita ex art. 317-quater cod. pen..
In particolare, quanto alla situazione di "debolezza" e soggezione della transessuale nei confronti dei due imputati, in ragione della loro qualità di Carabinieri, ed alla piena conoscenza di tale condizione da parte di costoro, è utile rilevare che A.P. non solo era irregolarmente presente sul territorio italiano, tanto da essere già stata arrestata per inottemperanza all'ordine di espulsione, ma esercitava l'attività di prostituzione in luogo pubblico o aperto al pubblico, e con riferimento a tale situazione aveva avuto i primi approcci a sfondo sessuale con M. e S.. Invero, i due militari, proprio perchè avevano controllato la persona offesa in luogo pubblico o aperto al pubblico mentre esercitava la prostituzione, erano titolari di ampi poteri-doveri pubblicistici pregiudizievoli per l'interesse della stessa, che avrebbero comunque dovuto adoperare, ad esempio già solo impedendole di compiere attività di meretricio in quei siti, che, anche in quanto aperti al pubblico, consentivano di "attirare" clienti.
Il collegamento causale delle prestazioni sessuali fornite dalla transessuale con l'abuso della qualità dei due ricorrenti, poi, appare risaltare ancor di più se si considera che, per oltre un anno e ripetutamente, la persona offesa ha rinunciato a chiedere compensi per un'attività ordinariamente svolta dietro retribuzione ed anzi con caratteri di tipo "professionale", mentre i militari hanno omesso di intraprendere qualunque iniziativa, anche solo di "disturbo", nei confronti della stessa.
Ancora, secondo le dichiarazioni della persona offesa, ritenute attendibili dai giudici di merito con valutazione immune da vizi, gli approcci sessuali furono riconducibili dell'iniziativa dei due Carabinieri durante l'attività istituzionale di controllo del territorio. Inoltre, i primi rapporti sessuali furono riferibili a richieste di M., il quale aveva poi imposto di estendere le prestazioni anche a S., e gli incontri furono fissati sempre su iniziativa di M..
La situazione accertata, quindi, risulta essere correttamente riconducibile a quella, descritta nella sentenza Maldera, del privato che "avvert(e) la possibile estrinsecazione dei poteri del pubblico agente, con conseguenze per sè pregiudizievoli o anche ingiustamente favorevoli e, proprio per scongiurare le prime o assicurarsi le seconde, decide di aderire all'indebita richiesta".
7. Infondate sono pure le censure che - formulate nel quarto motivo del ricorso di M. - contestano la sussunzione nella fattispecie di peculato d'uso di cui all'art. 314 c.p., comma 2, delle condotte consistite nell'utilizzo dell'autovettura di servizio per raggiungere D.S.W.A. detta B., sul luogo in cui questa esercitava la prostituzione, ed avere con la medesima approcci e rapporti sessuali, e poste in essere dai due imputati nel periodo compreso tra ottobre 2008 ed il giugno 2010.
Secondo la ricostruzione fattuale compiuta nella sentenza impugnata in modo immune da vizi, il primo rapporto era avvenuto dopo che i Carabinieri, con auto e divisa di istituto, avevano raggiunto la transessuale e, quindi, ella, con la sua autovettura, li aveva seguiti presso un edificio in costruzione; in questo luogo, fermati entrambi i veicoli, i Carabinieri erano entrati a turno nell'auto di B. per ottenere prestazioni sessuali di tipo orale. Sempre secondo la sentenza impugnata, i successivi incontri erano avvenuti con le stesse modalità, ma avevano avuto ad oggetto anche rapporti completi.
In argomento, l'unico precedente assimilabile massimato afferma che commette il delitto di peculato d'uso l'appartenente ad una forza di polizia il quale utilizza l'auto di servizio, destinata al pattugliamento ed al controllo del territorio, per consumare in essa una prestazione sessuale con una prostituta (così Sez. 3, n. 26616 del 08/05/2013, M., Rv. 255619).
La decisione appena citata, al fine di ritenere configurabile il reato di cui all'art. 314 c.p., comma 2, e di escludere l'applicabilità dell'attenuante della particolare tenuità del fatto di cui all'art. 323-bis c.p., comma 1, valorizza i "concreti compiti d'ufficio cui la vettura era destinata" ed il "significato lesivo che una sottrazione anche momentanea agli stessi poteva significare, che assumesse una valenza preponderante l'abbandono del percorso prestabilito per la sorveglianza di obiettivi sensibili e l'utilizzazione del mezzo di servizio per la commissione di condotte (...), le quali, ancorchè non produttive di una significativa lesione patrimoniale, hanno inequivocabilmente pregiudicato l'ordinaria attività funzionale della pubblica amministrazione".
Gli argomenti appena riferiti, esposti in relazione ad una vicenda in cui nell'autovettura di servizio era stato consumato anche un rapporto sessuale integrante il delitto di cui all'art. 609-bis cod. pen., conservano validità pure con riferimento alla situazione in esame. Anche in questa vicenda, infatti, l'autovettura dell'Arma dei Carabinieri, è stata utilizzata ripetutamente non per il pattugliamento del territorio, ma come strumento di trasporto funzionale a raggiungere un prostituta con cui avere rapporti sessuali, sebbene all'interno di un altro veicolo, ed è stata tenuta ferma in prossimità dei luoghi in cui sono avvenuti i segnalati contatti erotici. Anche le condotte accertate nella sentenza impugnata, quindi, pur non producendo una significativa lesione patrimoniale per la pubblica amministrazione, hanno pregiudicato l'ordinaria attività funzionale della stessa.
Si può aggiungere che la conclusione appare in linea con la più generale elaborazione della giurisprudenza delle Sezioni Unite, secondo la quale il peculato si configura anche quando la condotta di appropriazione della res o del danaro da parte dell'agente non arreca, per qualsiasi motivo, danno patrimoniale alla P.A., ma è comunque lesiva dell'ulteriore interesse tutelato dall'art. 314 cod. pen., che si identifica nella legalità, imparzialità e buon andamento del suo operato (così Sez. U, 25/06/2009, n. 38691, Caruso, Rv. 244190, oltre che, con specifico riferimento al peculato d'uso, Sez. U, n. 19054 del 20/12/2012, dep. 2013, Vattani, non mass. sul punto).
8. Manifestamente infondate, infine, sono le censure relative alla determinazione del trattamento sanzionatorio, formulate esclusivamente nel sesto motivo del ricorso di M..
La sentenza impugnata ha irrogato al ricorrente la pena di quattro anni di reclusione, ritenuta la continuazione tra i reati e concesse le circostanze attenuanti generiche. Precisamente, come risulta dalla sentenza di primo grado, confermata anche in punto di trattamento sanzionatorio, nei confronti di entrambi gli imputati è stata fissata una pena base pari a quattro anni e sei mesi di reclusione, ridotta per le circostanze attenuanti generiche di un terzo, e poi, aumentata, per M., di un anno di reclusione a titolo di continuazione.
Le critiche attengono alla scelta di applicare un pena superiore al minimo edittale, e deducono, in particolare, che la pluralità dei fatti può rilevare solo sotto il profilo dell'aumento a titolo di continuazione, e che immotivate sono le affermazioni relative alla "particolare debolezza della persona offesa", ed al "grave danno al prestigio ed al buon andamento della Amministrazione".
In realtà, il disallineamento dal minimo edittale è contenuto: la pena base è stata determinata in quattro anni e sei mesi di reclusione, ovvero in misura sensibilmente più prossima al minimo edittale, pari - secondo la disciplina più favorevole - a tre anni di reclusione, che al massimo edittale, pari - sempre secondo la disciplina più favorevole - ad otto anni di reclusione. Inoltre, non può ritenersi manifestamente illogico, ai fini della quantificazione della pena, il riferimento alla gravità dei fatti ed alla situazione di "particolare debolezza della persona offesa", anche solo a considerare che la presenza di questa sul territorio italiano era giuridicamente irregolare.
9. Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Deve solo precisarsi, per completezza, che non si è verificata l'estinzione per prescrizione neppure del reato di peculato d'uso. Invero, come rilevato anche dalla sentenza di primo grado, il processo è stato sospeso a norma del D.L. n. 74 del 2012, art. 6, commi 6 e 9, convertito dalla L. n. 122 del 2012, applicabile ai processi pendenti negli uffici giudiziari aventi sede nel comune di Mantova, per il periodo intercorrente tra il 12 agosto 2012 ed il 31 dicembre 2012; inoltre, un ulteriore periodo di sospensione del corso della prescrizione si è verificato dal 16 settembre 2013 al 24 marzo 2014, per i rinvii delle udienze del 16 novembre 2013 e del 13 gennaio 2014, a causa dell'adesione dei difensori degli imputati all'astensione proclamata dalle associazioni professionali di appartenenza. 

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2018
Avv. Antonino Sugamele

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