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Sentenza

L'art. 863, comma 1 del C.O.M. elenca le cause delle dimissioni d'autorità tra l...
L'art. 863, comma 1 del C.O.M. elenca le cause delle dimissioni d'autorità tra le quali figura, oltre all'interdizione giudiziale, all'inabilitazione civile, all'amministrazione di sostegno ed alla irreperibilità accertata, la sottoposizione a misura di prevenzione o di sicurezza personale "definitiva".
T.A.R. Calabria Reggio Calabria, Sent., (ud. 10-01-2018) 27-02-2018, n. 94

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 720 del 2017, proposto da:

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Marcello Scurria, con domicilio eletto, ai sensi dell'art. 25 c.p.a., presso la Segreteria di questo Tribunale, in Reggio Calabria, viale Amendola n. 8/B;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale di Reggio Calabria, presso i cui Uffici, in via del Plebiscito n. 15, ha legale domicilio;

per l'annullamento

- del decreto ministeriale prot. (...) del 2 agosto 2017, notificato il 26 agosto 2017, di "perdita di grado per dimissioni d'autorità";

- ove occorra, del parere della Corte Militare d'Appello n. 1/2017 del 24 maggio 2017.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2018 la dott. Donatella Testini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. Espone il ricorrente, Appuntato dell'Arma dei Carabinieri in servizio presso la Compagnia di Melito Porto Salvo, che - con sentenza n. 1408 depositata in data 14 gennaio 2016 (all. n. 3 del fascicolo dell'Avvocatura dello Stato) - la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza n. 447/13 della Corte d'Appello di Reggio Calabria di condanna, a suo carico, alla reclusione di un anno e quattro mesi, con interdizione dai pubblici uffici, per il delitto di tentata induzione indebita a dare o promettere utilità.

La Cassazione ha annullato la sentenza di condanna di secondo grado "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato", con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Reggio Calabria "per l'eventuale applicazione dell'art. 115 c.p.".

La Corte d'Appello di Reggio Calabria, in sede di rinvio, ha applicato al ricorrente la misura di sicurezza della libertà vigilata per il periodo minimo di un anno, con sentenza n. 1140 del 18 ottobre 2016, depositata in data 3 novembre 2016 (all. n. 2 del fascicolo dell'Avvocatura dello Stato).

Avverso tale sentenza il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione, ex art. 628 c.p.p., in data 21 dicembre 2016, tuttora pendente (cfr. certificazione del 28 dicembre 2017, depositata dal ricorrente il 2 gennaio 2018).

Con decreto prot. n. (...) del 2 agosto 2017, il Ministero della Difesa, previo parere del 24 maggio 2017 della Corte Militare d'Appello, ha disposto nei confronti del ricorrente "la perdita del grado per dimissioni d'autorità ai sensi degli artt. 861, comma 1, lett. b), 863, comma 2, lett. a) e 867, comma 6 del D.Lgs. n. 66 del 2010", con conseguente iscrizione d'ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell'Esercito italiano, senza alcun grado, ai sensi dell'art. 861, comma 4, del citato d.lgs.

Avverso il predetto atto insorge parte ricorrente, deducendone l'illegittimità per violazione della normativa di settore ed eccesso di potere per "difetto dei presupposti".

Con un unico articolato motivo di censura, stigmatizza l'adozione dell'atto gravato a fronte di un pronunciamento dell'autorità giudiziaria penale non passato in giudicato, in dispregio di quanto previsto dall'art. 863 del codice dell'ordinamento militare, che espressamente prevede la definitività della misura di sicurezza personale quale presupposto delle dimissioni d'autorità.

Conclude per l'annullamento dell'atto gravato, in accoglimento del ricorso.

Il Ministero intimato, costituitosi in giudizio, ha eccepito, in rito, l'irricevibilità del ricorso per tardività della notifica; nel merito, l'infondatezza del gravame, invocandone la reiezione.

La rilevata sussistenza dei presupposti indicati dall'art. 60 c.p.a. consente di trattenere la presente controversia - portata all'odierna Camera di Consiglio ai fini della delibazione dell'istanza cautelare dalla parte ricorrente incidentalmente proposta - ai fini di un'immediata definizione nel merito.

Prevede, infatti, la disposizione da ultimo citata che "in sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata".

Nel precisare che le parti presenti all'odierna Camera di Consiglio sono state al riguardo sentite, la causa viene in tali termini ritenuta in decisione.

2. Il ricorso è fondato.

2.1. L'eccezione di irricevibilità del ricorso per tardività della notifica non è suscettibile di favorevole apprezzamento atteso che, diversamente da quanto sostenuto dall'Avvocatura dello Stato, la sospensione feriale dei termini processuali si applica anche alla cause concernenti, come la presente, il rapporto di pubblico impiego.

Secondo orientamento ormai consolidato, infatti, l'art. 1 della L. n. 742 del 1969, che statuisce la sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, trova applicazione sia innanzi al giudice ordinario che a quello amministrativo, mentre i successivi articoli 2, 3 e 5, che pongono eccezioni a tale regola generale, sono di stretta applicazione; con la conseguente inapplicabilità dell'art. 3, regolante la sospensione dei termini per i giudizi civili in materia di previdenza e lavoro, ai giudizi amministrativi in materia di rapporto di lavoro con amministrazioni pubbliche (in termini, ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 137).

2.2. Nel merito, il ricorso è fondato.

L'art. 861, comma 1, del codice dell'ordinamento militare elenca le cinque possibili cause di perdita del grado (dimissioni volontarie, dimissioni d'autorità, cancellazione dai ruoli, rimozione all'esito di procedimento disciplinare e condanna penale) ed i successivi artt. 862 - 866 disciplinano ciascuna delle predette cause.

L'art. 863, comma 1, applicato nel caso di specie, elenca le cause delle dimissioni d'autorità tra le quali figura, oltre all'interdizione giudiziale, all'inabilitazione civile, all'amministrazione di sostegno ed alla irreperibilità accertata, la sottoposizione a misura di prevenzione o di sicurezza personale "definitiva".

Tale disposizione, dunque, è chiarissima nel richiedere la definitività della misura di sicurezza personale e, dunque, il passaggio in giudicato del relativo provvedimento giurisdizionale, come correttamente rilevato dal ricorrente.

Il successivo comma 2, diversamente da quanto sostenuto dall'Avvocatura dello Stato, non individua delle ulteriori cause di dimissioni d'autorità, ma si limita a specificare la disciplina applicabile in caso di sottoposizione a misura di prevenzione o di sicurezza personale, pur sempre definitiva, come richiesto dal precedente comma 1.

Il comma 2, lett. b), infatti, richiede, per quel che qui rileva, il parere obbligatorio della Corte d'Appello Militare per il caso di sottoposizione a misura di sicurezza personale accompagnata dal proscioglimento del militare.

La ratio della previsione del suddetto parere va evidentemente individuata nella circostanza dell'avvenuto proscioglimento e non nell'assenza di definitività della misura.

Tale esegesi è imposta dal chiaro dato letterale del primo comma, che richiede sempre la definitività della misura sicurezza.

Il successivo comma 2 si limita ad indicare in quali casi, oltre alla definitività della misura, è richiesto anche il parere della Corte d'Appello Militare, fra i quali quello per cui è causa.

2.3. Emerge ex actis che la sentenza della Corte d'Appello di Reggio Calabria che ha disposto la libertà vigilata nei confronti del ricorrente non è passata in giudicato, ragion per cui il provvedimento gravato è illegittimo per violazione dell'art. 863, comma 1, del codice dell'ordinamento militare e, pertanto, in accoglimento del ricorso, va annullato.

3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria - Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato nei sensi di cui in motivazione.

Condanna il Ministero della Difesa alla refusione delle spese di lite in favore del ricorrente, che liquida in ragione di Euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato, se versato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS-.

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Caterina Criscenti, Presidente

Francesco Tallaro, Referendario

Donatella Testini, Referendario, Estensore
Avv. Antonino Sugamele

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