Peculato. Militare in servizio presso una Stazione dei Carabinieri attesta falsamente con annotazione di servizio trasmessa alla Procura della Repubblica di Nocera Inferiore, di aver rinvenuto in luogo pubblico, un contenitore in plastica contenente n. 50 cartucce cal. 9 parabellum in realtà nella sua personale disponibilità.
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 01-03-2018) 16-04-2018, n. 16844
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAOLONI Giacomo - Presidente -
Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere -
Dott. GIORDANO Emilia Anna - Consigliere -
Dott. CORBO Antonio - rel. Consigliere -
Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. G.A., nato a (OMISSIS);
2. D.V.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 09/03/2017 della Corte d'appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dr. Picardi Antonietta, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi;
uditi, per i ricorrenti, gli avvocati Gabriele Capuano e Carmine Guadagno, rispettivamente difensori di fiducia di G.A. e D.V.A., che hanno chiesto l'accoglimento dei ricorsi.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa in data 9 marzo 2017, la Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Nocera Inferiore, ha, per quanto di interesse in questa sede, confermato la dichiarazione di penale responsabilità di D.V.A. per il reato di falso ideologico in atto pubblico fidefaciente (capo O), e di G.A. per i reati di peculato (capo G) e di falso ideologico in atto pubblico fidefaciente (capo I), rideterminando per entrambi la pena. Ha inoltre dichiarato non doversi procedere nei confronti di D.V.A. in ordine al delitto di ritenzione di munizioni (capo P) per estinzione del reato per prescrizione.
La sentenza impugnata ha ritenuto che D.V.A., quale militare in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di (OMISSIS), abbia attestato falsamente con annotazione di servizio datata 6 settembre 2008 e trasmessa alla Procura della Repubblica di Nocera Inferiore, di aver rinvenuto in luogo pubblico, in località (OMISSIS), in data (OMISSIS), un contenitore in plastica contenente n. 50 cartucce cal. 9 parabellum in realtà nella sua personale disponibilità. Ha rideterminato la pena, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante di cui all'art. 479 c.p., comma 2, in otto mesi di reclusione.
La medesima sentenza, inoltre, ha ritenuto che G.A., anch'egli quale militare in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di (OMISSIS), si sia appropriato di armi, parti di armi, munizioni, e di sostanza stupefacente di tipo hashish (un panetto di circa 250 grammi), avendone il possesso per ragioni di servizio, ed abbia attestato falsamente con annotazione di servizio datata 6 settembre 2008 e trasmessa alla Procura della Repubblica di Nocera Inferiore, di aver rinvenuto in luogo pubblico, in località (OMISSIS), nella serata del (OMISSIS), gli oggetti indicati. Ha rideterminato la pena, ritenuta la continuazione tra i reati, e previa concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, in due anni e due mesi di reclusione.
2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe l'avvocato Carmine Guadagno, nell'interesse di D.V.A., e l'avvocato Gabriele Capuano, nell'interesse di G.A..
3. Il ricorso presentato nell'interesse di D.V.A. è articolato in un unico motivo con cui denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 125 e 192 c.p.p. e art. 530 c.p.p., comma 2, nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla configurabilità dei reati di falso ideologico in atto pubblico fidefaciente (capo O), per il quale è stata pronunciata condanna, e di ritenzione di munizioni (capo P), dichiarato estinto per prescrizione.
Si deduce che la motivazione della sentenza impugnata è meramente apparente e incorre nel travisamento della prova anche per omissione.
Si rappresenta, innanzitutto, che la Corte d'appello, pur provvedendo a riesaminare i testi P. e Co., entrambi capitani dei Carabinieri i quali avevano provveduto alle attività ispettive dalle quali era emersa la disponibilità delle munizioni da parte di D.V.A., non ha poi dato conto del contenuto delle due deposizioni in motivazione. Si osserva, inoltre, che il teste Co., in occasione del nuovo esame davanti alla Corte d'appello, ha affermato che l'imputato, dopo il ritrovamento delle munizioni nella sua disponibilità, gli aveva detto subito che le stesse erano state rinvenute "poco prima" davanti ad una abitazione, e che egli gli aveva risposto di "stare tranquillo, perchè ci vogliono 48 ore per cristallizzare il momento"; si aggiunge che il teste P., nella medesima sede, ha dichiarato che D.V. aveva immediatamente fornito la giustificazione indicata dal teste Co.. Si rileva, pertanto, che vi è un vuoto di motivazione sul punto, nonchè un travisamento della prova per omissione.
Si denuncia, in secondo luogo, che questo rilievo assume ancora maggior significato in quanto i presupposti per l'affermazione della penale responsabilità di D.V.A. sono stati individuati dalla Corte d'appello nella natura delle cartucce, siccome cartucce in dotazione dei Carabinieri, e nell'assenza di spiegazioni dell'imputato in ordine alla sua disponibilità relativamente alle stesse. Si precisa, a tale fine, che gli accertamenti tecnici eseguiti dai carabinieri hanno evidenziato che le cartucce in questione sono anche, quindi non solo, in dotazione all'Arma dei Carabinieri e che è impossibile stabilire quali fossero i lotti di munizionamento e a chi fossero stati distribuiti.
4. Il ricorso presentato nell'interesse di G.A. è articolato in cinque motivi.
4.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 244, 247, 250, 252, 177, 191, 352 e 356 c.p.p., nonchè art. 114 disp. att. c.p.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), avendo riguardo alla utilizzabilità degli esiti degli accertamenti dei capitani dei Carabinieri P. e Co..
Si premette che i capitani dei Carabinieri P. e Co. operarono una ispezione all'interno della caserma della stazione di (OMISSIS) in data (OMISSIS), sulla base di un esposto anonimo pervenuto al Comando Provinciale dei Carabinieri di Salerno in data 23 agosto 2008, quindi al di fuori dell'attività ordinaria, come ammesso espressamente da P. nell'esame reso davanti alla Corte d'appello. Si deduce, perciò, che l'attività compiuta dai capitani dei Carabinieri P. e Co. è riconducibile negli schemi di una perquisizione o di una ispezione, per effettuare la quale era comunque necessario un provvedimento dell'autorità giudiziaria, stante anche il tempo trascorso dalla ricezione dell'anonimo, per di più da consegnare a G., in quel momento in congedo e lontano dalla caserma, quale indagato e soggetto avente la disponibilità dei luoghi, siccome maresciallo comandante della stazione dei Carabinieri di (OMISSIS). Si aggiunge che non può richiamarsi la previsione di cui all'art. 41 del T.U.L.P.S., perchè l'attività ispettiva, ma in realtà di perquisizione e ispezione, non fu effettuata nell'immediatezza della ricezione dell'esposto anonimo.
4.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 63, 177 e 191 c.p.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), avendo riguardo alla utilizzabilità delle dichiarazioni rilasciate dall'imputato G. all'atto della perquisizione.
Si deduce che illegittimamente furono richieste a G. dichiarazioni relative alla presenza in caserma delle armi, parti di armi, munizioni e sostanze stupefacenti, e che tali dichiarazioni, pur se ritenute inutilizzabili dalla sentenza impugnata, sono state costantemente richiamate nelle deposizioni testimoniali dei capitani dei Carabinieri P. e Co..
4.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 314 c.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla configurabilità del delitto di peculato.
Si deduce che le cose di cui si contesta l'appropriazione non risultano mai consegnate alla P.A., mancando qualunque verbale o catalogazione in proposito, e comunque erano rimaste in caserma e mai trasferite in un luogo nella privata disponibilità dell'imputato.
4.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 479 c.p., comma 2, nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla configurabilità del delitto di falso ideologico in atto pubblico fidefaciente.
Si deduce che la motivazione della sentenza impugnata è lacunosa e non tiene conto del potere del maresciallo G. di fare denuncia del ritrovamento degli oggetti entro quarantotto ore di tempo e della sua posizione, in quel momento, di congedo. Si aggiunge che il ricorrente non aveva alcun interesse a trattenere presso di sè armi vecchie o arrugginite o inutilizzabili o qualche "spinello".
4.5. Con il quinto motivo si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo riguardo alla configurabilità dei reati di peculato e di falso ideologico in atto pubblico fidefaciente.
Si deduce che gli argomenti addotti dalla sentenza impugnata sono "fallaci e pretestuosi", perchè: -) la mancata acquisizione dei sistemi di videosorveglianza della stazione dei Carabinieri, al fine di provare l'accesso in caserma dell'imputato la sera del (OMISSIS), è circostanza addebitabile all'accusa e non certo alla difesa; -) la mancata spontanea consegna della busta contenente gli oggetti illeciti è spiegabile con il caotico svolgersi delle operazioni ispettive; -) il mancato svolgimento di accertamenti dattiloscopici, da parte dell'imputato, sulla busta, non è certo addebitabile all'imputato, anche per le poche ore tra il rinvenimento di questa e le operazioni ispettive; -) gli oggetti in contestazione, contrariamente a quanto indicato, e come risulta dal verbale di sequestro, furono trovati unitariamente, e senza essere occultati, nell'armadietto posto di fronte alla scrivania del ricorrente, il quale risultava aperto, come affermato dai testi P. e Co..
Motivi della decisione
1. I ricorsi sono complessivamente infondati per le ragioni di seguito precisate.
2. Il ricorso di G.A. pone questioni in tema di utilizzabilità delle prove, e di configurabilità dei reati ritenuti accertati, anche sotto il profilo della corretta ricostruzione del fatto.
3. Le questioni in tema di utilizzabilità della prova sono formulate nel primo e nel secondo motivo del ricorso di G.A. e riguardano l'utilizzabilità degli esiti degli accertamenti effettuati dai capitani dei Carabinieri P.E. e Co.An. e delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente all'atto della perquisizione.
3.1. Il primo motivo contesta l'utilizzabilità degli atti di perquisizione e sequestro compiuti dai capitani dei Carabinieri P. e Co., osservando che l'attività di ricerca della prova non fu compiuta nell'immediatezza della ricezione di esposti anonimi, e, quindi, non poteva essere eseguita d'iniziativa a norma dell'art. 41 T.U.L.P.S., ma presupponeva necessariamente un provvedimento dell'Autorità giudiziaria, da notificare all'indagato o, comunque, alla persona avente la disponibilità dei luoghi sottoposti a controllo prima degli accertamenti.
3.1.1. Secondo un principio generale assolutamente condiviso nella giurisprudenza di legittimità, il R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 41 (cd. T.U.L.P.S.) sono legittime perquisizioni di iniziativa della polizia giudiziaria in caso di esposto anonimo che faccia riferimento alla presenza, in un determinato luogo, di armi, munizioni o materie esplodenti non denunciate o non consegnate o comunque abusivamente detenute (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 38559 del 06/10/2010, Cirillo, Rv. 248837, nonchè Sez. 4, n. 30313 del 17/05/2005, Cicerone, Rv. 232021), e, in ogni caso, l'eventuale illegittimità della perquisizione eseguita di iniziativa dalla polizia giudiziaria a norma dell'art. 41 cit. non comporta l'inutilizzabilità del sequestro del corpo del reato (Sez. 1, n. 42010 del 28/10/2010, Raso, Rv. 249021). Ad identiche conclusioni, del resto, la giurisprudenza perviene con riferimento alla corrispondente disposizione dettata in materia di stupefacenti dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 103 (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 19365 del 17/02/2016, Pirri, Rv. 266580).
Inoltre, una decisione ha espressamente affermato che la polizia giudiziaria, all'atto di eseguire una perquisizione finalizzata ad accertare l'eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, non deve avvisare l'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore (Sez. 3, n. 8097 del 09/02/2011, Canu, Rv. 249545). Si tratta, peraltro, di un'affermazione in linea con una copiosa serie di pronunce secondo le quali le perquisizioni eseguite di iniziativa della polizia giudiziaria in materia di stupefacenti, siccome non presuppongono necessariamente la commissione di un reato, in quanto possono essere effettuate sulla base di informazioni confidenzialmente apprese, e siccome, quindi, non sono funzionali alla ricerca ed all'acquisizione della prova di un reato di cui risulti già l'esistenza, ma possono rientrare anche in un'attività di carattere preventivo, non implicano l'obbligo di avvertire la persona sottoposta a controllo del diritto all'assistenza di un difensore (v., esemplificativamente, Sez. 3, n. 19365 del 17/02/2016, Pirri, Rv. 266580 e Sez. 6, n. 9884 del 15/10/2013, dep. 2014, Pierini, Rv. 261527).
Il Collegio, nel condividere i suesposti orientamenti giurisprudenziali, intende innanzitutto evidenziare che un persuasivo indice della specialità della disciplina dell'attività di perquisizione e sequestro di cui all'art. 41 T.U.L.P.S. è desumibile dalla previsione di cui all'art. 225 disp. att. c.p.p.: invero, non sembra avere altro significato la prescrizione secondo cui "continuano ad osservarsi le disposizioni del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 41 e della L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 33", a fronte della generale disciplina dei mezzi di ricerca della prova contenuta nel Libro 3^ del medesimo codice di rito. Rileva, poi, che, l'attività di perquisizione e sequestro diretta alla ricerca di armi, anche se eseguita non in contestualità con la ricezione della informazione anonima, proprio perchè attività che non presuppone l'esistenza di una notizia di reato, non può richiedere, quale pre-condizione di legittimità, la preventiva autorizzazione dell'Autorità giudiziaria. Aggiunge, inoltre, che, per il medesimo motivo, è del tutto ragionevole ritenere che per le perquisizioni ed i sequestri effettuati di iniziativa della polizia giudiziaria per la ricerca di armi non sia necessario avvertire la persona sottoposta a controllo del diritto all'assistenza di un difensore.
3.1.2. In applicazione di questi principi, corretta è la conclusione della sentenza impugnata, posto che le attività di perquisizione furono eseguite sulla base di una segnalazione anonima e portarono alla scoperta di armi e droga illecitamente detenute.
Per completezza, si può aggiungere che la richiesta effettuata dai capitani dei Carabinieri P.E. e Co.An. al maresciallo G.A., prima di eseguire le attività di ricerca, in ordine alla presenza in caserma di armi o altri oggetti illeciti, senza informare lo stesso di indagini a suo carico o della facoltà di nominare un difensore, fu formulata nell'unica modalità possibile: procedendosi sulla base di una notizia anonima, non vi era, e non poteva esservi, alcun indagato.
3.2. Il secondo motivo contesta l'utilizzabilità delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente all'atto della perquisizione.
Le censure sono prive della specificità normativamente richiesta a norma dell'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) (ora lett. d), perchè non correlate alle motivazioni della sentenza impugnata.
Invero, la Corte d'appello non solo ha espressamente affermato, come riconosciuto con correttezza dallo stesso ricorrente, che le predette dichiarazioni dovevano ritenersi inutilizzabili (p. 10 della sentenza impugnata), ma ha accuratamente evitato di utilizzare le stesse anche in concreto allorchè ha esposto le ragioni addotte per confermare la dichiarazione di penale responsabilità del medesimo per i reati di falso ideologico in atto pubblico fidefaciente (capo I della rubrica) e di peculato (capo G della rubrica). Dall'analisi della motivazione, precisamente, risultano valorizzate le sole asserzioni contenute nella annotazione di servizio redatta dall'imputato in data 6 settembre 2008, e dal medesimo trasmessa alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nocera Inferiore, in ordine al rinvenimento delle cose che si assumono oggetto di appropriazione.
4. Le questioni in tema di configurabilità dei reati di peculato (capo G della rubrica) e di falso ideologico in atto pubblico fidefaciente (capo I della rubrica) sono formulate nel terzo, nel quarto e nel quinto motivo del ricorso di G.A..
4.1. Il terzo motivo di ricorso pone il tema della configurabilità del delitto di peculato in caso di mancata ufficiale consegna alla P.A. delle cose che si assumono oggetto di appropriazione, nonchè in caso di conservazione delle stesse in un luogo comunque appartenente alla P.A..
Per quanto attiene al primo profilo, è sufficiente richiamare il principio assolutamente consolidato, e condiviso dal Collegio, secondo cui, in tema di peculato, è irrilevante per la consumazione del reato che l'agente sia entrato nel possesso del bene nel rispetto o meno delle disposizioni organizzative dell'ufficio, potendo lo stesso derivare anche dall'esercizio di fatto o arbitrario di funzioni, dovendosi escludere il peculato solo quando esso sia meramente occasionale, ovvero dipendente da evento fortuito o legato al caso (così, tra le tantissime, Sez. 6, n. 18015 del 24/02/2015, Ambrosio, Rv. 263278, e Sez. 6, n. 9660 del 12/02/2015, Zonca, Rv. 262458, quest'ultima concernente l'appropriazione della somma di denaro custodita in un portafogli smarrito, effettuata da un Carabiniere il quale aveva ricevuto lo stesso dal cittadino che lo aveva rinvenuto sulla pubblica via, e nessun verbale aveva redatto nè dell'avvenuta consegna, nè della successiva restituzione in favore dell'avente diritto). Del resto, e ancor più specificamente, si è ritenuto che integra il delitto di peculato la condotta dell'ufficiare di polizia giudiziaria che, subito dopo aver rinvenuto della sostanza stupefacente e senza provvedere alla redazione di formale verbale di sequestro, proceda alla sua distruzione mediante dispersione (Sez. 6, n. 12611 del 25/02/2010, Freschi, Rv. 246735).
Per quanto riguarda il secondo profilo, poi, occorre osservare che l'art. 314 c.p., per il perfezionamento del reato, richiede l'appropriazione della cosa mobile di cui si abbia la disponibilità, e, quindi una condotta del reo consistente nel fare "propria" la cosa mobile altrui, ma non descrive specifiche modalità della condotta.
Può dirsi perciò irrilevante che la cosa su cui cade la condotta rimanga in un luogo di proprietà pubblica, quando questo sito sia comunque nella esclusiva disponibilità dell'autore della condotta, e l'oggetto sia sottratto ad ogni controllo per la Pubblica Amministrazione: in questo caso, è corretto affermare che la res sia stata fatta propria da chi ne aveva la disponibilità per ragioni di ufficio o di servizio.
Immune da vizi, pertanto, è la conclusione della sentenza impugnata laddove ritiene sussistente il delitto peculato a carico del ricorrente osservando che gli oggetti (armi, parti di armi, munizioni e droga) di cui si assume l'appropriazione "erano detenuti in un luogo di cui il G. aveva disponibilità esclusiva, ovvero il suo ufficio personale inaccessibile agli altri militari", e che "la mancata comunicazione (della disponibilità di essi) all'amministrazione di appartenenza rendeva impossibile per l'amministrazione stessa rivendicarne l'effettiva disponibilità".
4.2. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso contestano la configurabilità, in concreto, dei reati di falso ideologico in atto pubblico fidefaciente (capo I della rubrica) e di peculato (capo G della rubrica), deducendo l'illogicità degli elementi e delle inferenze addotti dalla Corte d'appello.
La sentenza impugnata ha evidenziato, innanzitutto, il contrasto tra quanto affermato nella relazione di servizio del 6 settembre 2008, ossia l'atto pubblico fidefaciente che si assume ideologicamente falso, e le argomentazioni svolte dalla difesa nell'atto di appello: se infatti la relazione di servizio, datata 6 settembre 2008, riferisce di un rinvenimento delle armi e della droga avvenuto la sera precedente l'ispezione dei capitani P. e Co., eseguita il 5 settembre 2005, non è certo possibile spiegare la presenza di quel materiale all'interno dell'ufficio di G. come riconducibile a distrazione e dimenticanza determinata da un eccessivo carico di lavoro. Ha poi osservato che l'affermazione del rinvenimento delle armi, delle munizioni e della droga la sera del (OMISSIS) è smentita: -) dalla collocazione degli oggetti all'interno dell'ufficio, in quanto risposti in punti disparati dello stesso; -) dalla mancata conservazione della busta all'interno della quale sarebbero state ritrovate le cose in questione, estremamente importante ai fini delle investigazione; -) dalla mancata predisposizione di indagini immediate; -) dal mancato avviso ai superiori, almeno in forma orale, di un rinvenimento di armi e droga significativo almeno per quantità; -) dalla mancata conferma da parte di alcuno di aver visto il rientro in caserma dell'imputato, in quel momento tra l'altro in congedo, con una busta in mano, la sera prima dell'ispezione dei capitani P. e Co..
A fronte di queste argomentazioni, le censure della difesa non riescono ad evidenziare vizi logici. In particolare, anche i rilievi formulati con riferimento tanto alla possibilità per il ricorrente di fare denuncia del ritrovamento delle armi, delle munizioni e della droga entro quarantotto ore di tempo, quanto al difetto di un ragionevole interesse ad appropriarsi di cose di minimo valore, quanto ancora alla non addebitabilità all'imputato sia della mancata consegna della busta in cui sarebbero stati rinvenuti gli oggetti in contestazione, sia del mancato svolgimento di accertamenti dattiloscopici sulla stessa, sia della mancata richiesta di acquisire i servizi di videosorveglianza per provare l'accesso alla caserma la sera del (OMISSIS), non evidenziano alcuna carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, neppure in una prospettiva parametrata al principio dell'accertamento della colpevolezza al di là del ragionevole dubbio, ma tendono piuttosto ad indicare criteri di inferenza funzionali a suggerire una diversa ricostruzione dei fatti.
Inoltre, le osservazioni difensive in ordine al luogo di ritrovamento degli oggetti si pongono in contrasto con quanto puntualmente evidenziato dalla sentenza impugnata. La difesa rappresenta che, a leggere il verbale di sequestro, le armi e la droga sarebbero state rinvenute unitariamente all'interno di un armadietto nella stanza dell'imputato. La Corte d'appello, però, sul punto, espressamente richiama le dichiarazioni rese a dibattimento dal capitano P., per precisare che: -) un fucile fu rinvenuto in un involucro tra l'armadio ed il muro; -) due pistole furono rinvenute all'interno di un involucro conservato nell'armadietto; -) un panetto di hashish di 250 grammi fu rinvenuto nel medesimo armadietto, ma non nell'involucro contenente le due pistole; -) altre munizioni vennero rinvenute in un altro armadio, in una cassettiera ed in una cassaforte sospesa alle spalle della scrivania; -) nessuna busta fu mai ritrovata. Di conseguenza, non essendo configurabile un travisamento della prova, le doglianze concernenti il luogo di ritrovamento degli oggetti si pongono come estranee al catalogo dei motivi previsti dall'art. 606 c.p.p., e si traducono in una richiesta di diversa valutazione dei fatti.
5. Il ricorso di D.V.A. pone questioni in tema di configurabilità del reato di falso ideologico in atto pubblico fidefaciente (capo O della rubrica), per il quale è intervenuta condanna e di configurabilità del reato di ritenzione di munizioni (capo P della rubrica), dichiarato estinto per prescrizione, sotto il profilo della corretta ricostruzione del fatto.
5.1. La sentenza impugnata premette che, nel corso degli accertamenti iniziati dai capitani P. e Co., fu ritrovata nell'ufficio di D.V.A. una scatola di cartucce calibro 9 parabellum in dotazione dei Carabinieri, ma in numero superiore a quello consentito come dotazione individuale. Osserva, poi, che nella relazione di servizio redatta in data 6 settembre 2008 e trasmessa alla Procura della Repubblica di Nocera Inferiore, D.V. ha rappresentato di aver rinvenuto in luogo pubblico, in località (OMISSIS), in data (OMISSIS), un contenitore in plastica contenente n. 50 cartucce cal. 9 parabellum su di un muretto sito nelle immediate vicinanze dell'abitazione di un imprenditore che in passato aveva ricevuto minacce mediante proiettili lasciati davanti alla sua abitazione. Rappresenta, quindi, che il mendacio di tale rappresentazione deve evincersi non solo dalla "incredibile coincidenza" di tale ritrovamento con quello effettuato da G.A. nel medesimo arco di tempo e della mancata segnalazione di tali "scoperte" ai superiori, ma anche: -) dalla mancata predisposizione nell'immediato di indagini volte all'identificazione degli autori del reato; -) dalle "anomale modalità di recupero", tali da compromettere un successivo utile sviluppo delle investigazioni; -) dalle "strane modalità di effettuazione della minaccia", effettuata con munizioni in dotazione dell'Arma dei Carabinieri, ordinatamente riposte nel loro contenitore, e lasciate in un luogo che poteva anche non essere preso in considerazione dal presunto destinatario dell'intimidazione. Per quanto attiene al connesso reato di ritenzione di munizioni, la Corte di appello, nel dichiararne l'estinzione per prescrizione, rileva che non sussistono elementi obiettivi ed univoci che dimostrino la piena innocenza dell'imputato.
5.2. Questi essendo gli elementi e le considerazioni esposti dalla Corte d'appello, è doveroso distinguere.
5.2.1. Con riferimento al reato di falso ideologico in atto pubblico fidefaciente (capo O della rubrica), le deduzioni della difesa, pur se correttamente formulate, non evidenziano vizi logici.
In particolare, le censure riguardanti la mancata considerazione sia delle dichiarazioni rese davanti alla Corte d'appello dai capitani P. e Co., sia della possibilità di riferire la provenienza delle cartucce ad ambienti non precisati, e comunque estranei all'Arma dei Carabinieri, risultano inidonee ad evidenziare la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità di motivazione, neppure in una prospettiva parametrata al principio dell'accertamento della colpevolezza al di là del ragionevole dubbio: esse, infatti, non fanno emergere lacune in ordine ad elementi a tal punto rilevanti da disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale o probatorio pretermesso.
5.2.2. Con riguardo al reato di ritenzione di munizioni (capo P della rubrica), le censure difensive, espressamente ancorate al vizio di motivazione, sono diverse da quelle consentite.
Invero, occorre premettere che il delitto in questione è stato dichiarato estinto per prescrizione, nè in relazione ad esso risultano statuizioni civili. Ora, secondo la giurisprudenza di legittimità assolutamente consolidata, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (così Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275, e, più di recente, Sez. 2, n. 2545 del 16/10/2014, dep. 2015, Riotto, Rv. 262277).
6. Alla complessiva infondatezza delle censure formulate da G.A. e da D.V.A. segue il rigetto dei rispettivi ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 1 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2018
03-05-2018 14:22
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