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Sentenza

Truffa militare aggravata....
Truffa militare aggravata.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-11-2017) 17-11-2017, n. 52616
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOVIK Adet Toni - Presidente -
Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere -
Dott. ROCCHI Giacomo - rel. Consigliere -
Dott. MAGI Raffaello - Consigliere -
Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
T.C., nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/12/2016 della CORTE MILITARE  APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ROCCHI GIACOMO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. FLAMINI Luigi Maria, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte  Militare  d'appello, in sede di rinvio a seguito dell'annullamento da parte di questa Corte, rideterminava la pena nei confronti di T.C. in ordine al reato di truffa  militare  aggravata commessa in danno di M.D., unico reato non estinto per prescrizione, in mesi sette di reclusione  militare  (pena base: mesi sei di reclusione, aumentata di un mese di reclusione per l'aggravante del grado); confermava la pena accessoria della rimozione dal grado nonchè i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna.
Con la sentenza di annullamento, questa Corte aveva rigettato le questioni di merito relative a tale truffa, annullando senza rinvio le condanna per altri reati e rinviando alla Corte territoriale per la rideterminazione della pena.
2. Ricorre per cassazione il difensore di T.C., deducendo violazione degli artt. 606, 597, 627 e 628 cod. proc. pen..
La Corte di rinvio aveva determinato la pena in mesi sette di reclusione  militare  benchè con la precedente sentenza di appello per lo stesso reato fosse stato calcolato un aumento della pena di mesi uno di reclusione per la continuazione con altro reato poi dichiarato estinto per prescrizione.
Pertanto la pena non poteva essere superiore a mesi due di reclusione (pena base: mesi uno di reclusione aumentata di un mese di reclusione per il grado).
In un secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 29 c.p.m.p..
Essendo stata inflitta una pena inferiore ad un anno di reclusione non poteva essere adottata la sanzione della rimozione dal grado. 

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente fa leva sulla sentenza di annullamento di questa Corte, ritenendo che essa non avesse modificato la dosimetria della pena adottata dalla precedente sentenza di appello; al contrario, la Corte aveva annullato senza rinvio la condanna per il delitto che era stato ritenuto più grave tra quelli riuniti per continuazione e rimesso gli atti alla Corte  Militare  per la rideterminazione della pena: decisione che dimostra eloquentemente che nessuna irrevocabilità sul punto può dirsi raggiunta.
Il tema che viene posto, quindi, è quello della violazione dell'art. 597 cod. proc. pen. da parte del giudice di appello in sede di rinvio con riferimento alla pena stabilita dal giudice di primo grado.
Questa Corte ha affermato il principio secondo cui nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dal solo imputato non riguarda unicamente l'entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, quando esclude uno dei reati in continuazione e per l'effetto infligge una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza, non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado (Sez. 2, n. 48259 del 23/09/2016 - dep. 15/11/2016, Pappalepore, Rv. 268636).
Tale principio non comporta affatto che il giudice dell'appello fosse vincolato a fissare la pena base per il reato residuo, dopo la declaratoria di estinzione per prescrizione di quello più grave, nella misura pari all'aumento per continuazione calcolato dal giudice di primo grado ma, piuttosto, che la pena base per il reato residuo non poteva superare quella calcolata dal giudice di primo grado per il reato poi dichiarato estinto per prescrizione.
Ciò non è avvenuto nel caso di specie: la pena base per la truffa ai danni di D. era stata fissata in mesi sette di reclusione  militare ; annullata senza rinvio la condanna in relazione a tale reato, la Corte di rinvio ha stabilito, per la truffa  militare  ai danni di M., la pena base di mesi sei di reclusione  militare .
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto la questione dell'applicazione della pena accessoria della rimozione dal grado è coperta dal giudicato.
Questa Corte, con la sentenza del 15/3/2016, aveva rigettato il ricorso salvo che per la parte relativa alle truffe ai danni di D.L., estinte per prescrizione. La difesa di T. aveva formulato un motivo concernente la pena accessoria della rimozione dal grado, sia pure sotto il profilo della violazione del divieto di reformatio in peius da parte del giudice di appello, atteso che la pena accessoria era stata adottata d'ufficio dalla Corte  Militare di appello pur in assenza di impugnazione della sentenza di primo grado da parte del P.M..
Il motivo è stato rigettato con autonoma motivazione.
Si deve, quindi, ritenere che la decisione sia coperta dal giudicato, atteso che la decisione della Corte è irrevocabile e copre il dedotto e il deducibile.
3. Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 2.000 (duemila) in favore delle Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000). 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 8 novembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2017
Avv. Antonino Sugamele

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