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Sentenza

Ufficiale del Corpo delle Capitanerie di Porto impugna l'esito del giudizio di a...
Ufficiale del Corpo delle Capitanerie di Porto impugna l'esito del giudizio di avanzamento della Commissione Superiore di Avanzamento della Marina.
T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., (ud. 24/10/2018) 14-11-2018, n. 10977
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10406 del 2013, proposto da

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Vincenzo Bullara e Giuseppina Ganci, domiciliato presso l'indirizzo PEC dei difensori come da pubblici registri;

contro

Ministero della Difesa, Ministero della Difesa - Stato Maggiore della Marina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in via digitale come da pubblici registri, con domicilio fisico in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

-OMISSIS- non costituito in giudizio;

per l'annullamento

del provvedimento prot. n. (...) del 14.5.2013, notificato il 08.07.2013, con cui il Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare - comunicando al dott. -OMISSIS-, Ufficiale del Corpo delle Capitanerie di Porto, l'esito del giudizio di avanzamento della Commissione Superiore di Avanzamento della Marina - gli attribuiva il punteggio di merito (espresso in trentesimi) di 27,62 sulla base del quale risultava collocato al 59 posto della graduatoria finale di merito e conseguenzialmente non veniva iscritto nel quadro di avanzamento a scelta al grado superiore di Capitano di Vascello formato per l'anno 2013 che vedeva utilmente classificati i primi 13 Ufficiali secondo l'aliquota di avanzamento prevista per l'anno 2013;

del verbale n. 13/S del 28 febbraio 2013 con cui la Commissione Superiore di Avanzamento dello Stato Maggiore della Marina attribuiva le valutazioni di avanzamento, i punteggi finali di merito ed effettuava le operazioni di scrutinio dei Capitani di Fregata per la formazione del quadro di avanzamento al grado superiore di Capitano di Vascello relativo all'anno 2013;

della graduatoria finale di merito compilata in data 28.02.2013 dalla Commissione Superiore di Avanzamento della Marina per l'avanzamento a scelta dal grado di Capitano di Fregata al grado superiore di Capitano di Vascello per l'anno 2013 ed i relativi provvedimenti con cui la predetta graduatoria veniva approvata;

- ed occorrendo del provvedimento di cui alla nota prot n. (...) del 13.6.11, con cui il ricorrente è stato trasferito dalla Capitaneria di Porto Empedocle a quella di Trapani;

nonché per l'accertamento del diritto all'utile collocazione nella graduatoria di avanzamento e per la condanna al risarcimento del danno da mobbing.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa e di Ministero della Difesa - Stato Maggiore della Marina;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2018 il dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo

Parte ricorrente, Capitano di Fregata del ruolo normale del Corpo delle Capitanerie di Porto, ha impugnato il provvedimento prot. n. (...) del 14.5.2013 che, nell'ambito della procedura per l'avanzamento a scelta al grado superiore per il 2013, lo ha giudicato idoneo ma non iscritto in quadro perché collocato al 59 posto della graduatoria di merito e, quindi, escluso dal numero dei 13 Ufficiali da iscrivere nel predetto quadro (punto di merito: 27,62), nonché gli atti connessi.

La medesima parte ricorrente, sostenendo di essere stato vittima di una serie di comportamenti vessatori, tra cui un trasferimento con finalità punitive, ha altresì chiesto la condanna dell'Amministrazione al risarcimento del danno da mobbing e, al contempo, ha anche impugnato il trasferimento disposto con nota prot. n. (...) del 13.6.2011, con cui è stato trasferito dalla Capitaneria di Porto Empedocle a quella di Trapani.

In particolare, parte ricorrente ha? indicato i suoi brillanti sviluppi di carriera fino alla promozione a Capitano di Fregata e il trasferimento, in data 7.9.2008, presso la Capitaneria di Porto Empedocle con le funzioni di Comandante, dove ha conseguito eccellenti risultati ricevuto due encomi per il servizio svolto.

Tuttavia, alla scadenza del secondo periodo di comando, il ricorrente riferisce di essere stato trasferito presso la Capitaneria di Porto di Trapani senza l'attribuzione di alcuna funzione, subendo un trasferimento sorretto da uno scopo ingiustificatamente punitivo, con un provvedimento che a sua detta ha superato il semplice demansionamento, rivelandosi di fatto una "degradazione".

Deduce al riguardo l'irragionevolezza e l'illegittimità di tale trasferimento e lamenta che gli sia stato irragionevolmente impedito di rientrare presso la sede di Palermo. Ha indicato, altresì, di aver fatto richiesta di conferimento gerarchico ai sensi dell'art. 735 del testo unico di cui al D.P.R. n. 90 del 2010 che è rimasta inspiegabilmente inevasa. Nella nuova sede di Trapani è stato assegnato al ricorrente, con ordine di servizio n. 846/11 del 23.9.2011, l'incarico di Capo Sezione Demanio e Contenzioso e Ufficiale addetto alle certificazioni, dallo stesso ritenuto inadeguato e non consono al suo grado e ai suoi pregressi incarichi.

Parte ricorrente non risulta abbia impugnato, se non in questa sede, il provvedimento di trasferimento, nè abbia mai gravato il provvedimento di assegnazione dell'incarico di Capo Sezione Demanio e Contenzioso e Ufficiale addetto alle certificazioni.

Il ricorrente ha chiesto, quindi, di lasciare il servizio militare, chiedendo il comando, in via temporanea, presso altra amministrazione e il Comando Generale, con decreto n 1170 del 2012, autorizzava il comando del ricorrente, con le funzioni di dirigente presso l'ARPA per un periodo limitato di un anno non rinnovabile; quest'ultima limitazione temporale sarebbe stata del tutto illegittima a parere del medesimo ricorrente e dovrebbe essere anch'essa inserita nell'azione persecutoria.

Neanche quest'ultimo provvedimento è stato impugnato dal ricorrente.

Lo stesso ricorrente rileva, infine, che in seguito al suo comando presso l'ARPA, il Comandante della Capitaneria di porto di Trapani gli ha intimato di liberare l'alloggio di servizio di cui disponeva a Trapani e che è non è stata accolta la sua richiesta di mantenere alloggio di servizio in previsione del suo rientro a fine distacco.

Il medesimo ricorrente indica che tale "trattamento" persecutorio sarebbe derivato dall'ostilità di un superiore, il Comandante della Direzione Marittima di Palermo. Tale ostilità sarebbe presumibilmente derivata dalla circostanza che il ricorrente, prima che il Comandante in questione assumesse il comando, era ufficiale stimato dai precedenti comandanti della Direzione Marittima di Palermo e il nuovo comandante disapprovava la gestione dei suoi predecessori, tanto che era giunto a sporgere denuncia nei loro confronti al Comando Generale a alla Corte dei Conti.

In tale supposto contesto persecutorio parte ricorrente inserisce anche l'impugnato provvedimento prot. n. (...) del 14.5.2013 (il primo atto impugnato prima del presente ricorso) che, pur giudicandolo idoneo alla procedura per l'avanzamento a scelta al grado superiore per il 2013, non lo ha collocato in posizione utile all'iscrizione nel quadro di avanzamento.

Nel richiedere l'annullamento di quest'ultimo provvedimento e la declaratoria del suo diritto all'utile collocazione in graduatoria, parte ricorrente ha formulato motivi inerenti all'eccesso di potere in senso assoluto e relativo e precisamente:

1. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 1032 del D.Lgs. n. 66 del 2010. Eccesso di potere per manifesta arbitrarietà e abnormità, palese travisamento dei presupposti di fatto, illogicità, difetto di coerenza e di motivazione, manifesta ingiustizia, sviamento di potere.

In particolare, con tale motivo di ricorso viene sostanzialmente denunciato un eccesso di potere in senso assoluto, indicando come l'assegnazione dei punteggi, nell'ambito del giudizio di merito, ai sensi dell'articolo 1058, comma 5, del D.Lgs. n. 66 del 2010, non abbia tenuto conto degli eccellenti giudizi contenuti nei momenti caratteristici del ufficiale dal 2004 al 2012.

2. Eccesso di potere per disparità ed omogeneità di trattamento, illogicità e carenza di motivazione. Eccesso di potere per vizio della funzione.

Con questo motivo di ricorso viene rilevato l'eccesso di potere in senso relativo, operando una comparazione tra le valutazioni del ricorrente e quelle riportate dall'ufficiale di pari grado, -OMISSIS-, a cui veniva assegnato un punteggio maggiore e che risulta essere l'ufficiale inserito nel graduatoria di avanzamento al tredicesimo posto, ovvero sia l'ultimo posto utile a conseguire il quadro di avanzamento. Da tale comparazione, alla luce delle rispettive carriere militari, si evincerebbe l'eccesso di potere in senso assoluto e relativo, con i vizi disparità di trattamento, illogicità di carenza di motivazione.

Parte ricorrente ha altresì dedotto, sulla base delle evidenziate circostanze, di essere stato vittima di una unitaria strategia persecutoria realizzata mediante la commissione di più condotte che gli avrebbero prodotto un ingiusto danno psicofisico e professionale, di cui l'amministrazione deve ritenersi responsabile. Sulla base di tali presupposti ha articolato l'istanza di risarcimento del danno derivante da mobbing, che avrebbe comportato la perdita di chance in seguito al trasferimento ritenuto illegittimo e all'altrettanto illegittima non inclusione in graduatoria in posizione utile al conseguimento del quadro di avanzamento, nonché un danno alla salute.

Si è costituita in giudizio l'Amministrazione intimata resistendo al ricorso.

Con atto depositato il 27.11.15, si è costituita in giudizio per parte ricorrente l'avv. Giuseppina Ganci, in sostituzione dell'avv. Bianca Maria Castoldi

All'udienza del 7.3.2018, parte ricorrente ha dichiarato di rinunciare "alle censure relative all'eccesso di potere in senso relativo, insistendo su quelle relative all'eccesso di potere in senso assoluto quanto al mobbing".
Motivi della decisione

1) In via preliminare il Collegio ritiene che, stante la manifesta infondatezza del ricorso nel merito, il Collegio può soprassedere sulla questione inerente alla possibile inammissibilità per la proposizione di un ricorso cumulativo avente ad oggetto pretese diversità di petitum e causa petendi, e non direttamente connesse tra loro, quali, da un lato, l'impugnativa del provvedimento prot. n. (...) del 14.5.2013 che ha collocato il ricorrente in posizione non utile a all'iscritto nel quadro di avanzamento a scelta al grado superiore e, dall'altro, la domanda di condanna al risarcimento per danni da mobbing, nonché l'impugnativa del provvedimento di trasferimento di sede di cui alla nota prot. n. (...) del 13.6.11.

Allo stesso modo, la manifesta infondatezza del ricorso consente di soprassedere sulla questione relativa alla verifica dell'ammissibilità dell'effettuato rinnovo della notifica al controinteressato. Parte ricorrente infatti, dopo aver indicato che la notifica controinteressato non era andata a buon fine non per sua colpa?, ha chiesto di essere rimesso in termini ai fini della notifica. Lo stesso ricorrente ha quindi proceduto al rinnovo della notifica in assenza, tuttavia, di un provvedimento da parte dell'adito T.A.R., per cui si porrebbe il problema di verificare la validità del rinnovo della notifica, quantomeno sotto il profilo del ricorrere dei suoi presupposti.

2) Nel merito il ricorso si palesa infondato.

3) In primo luogo, il Collegio rileva come sia evidentemente tardiva l'impugnativa formulata nei confronti dell'atto, di cui alla prot n. (...) del 13.6.11, con cui il ricorrente è stato trasferito dalla Capitaneria di Porto Empedocle a quella di Trapani.

4) Quanto al provvedimento prot. n. (...) del 14.5.2013 che ha collocato il ricorrente al 59 posto della graduatoria di merito, escludendolo dal numero degli Ufficiali da iscrivere nel quadro di avanzamento, parte ricorrente ha, come indicato, rinunciato alle censure relative alla carenza di potere in senso relativo, ovverosia alle doglianze contenute nel secondo motivo di ricorso.

Le restanti censure, inerenti alla carenza di potere in senso assoluto, formulate nel primo motivo di ricorso, sono infondate e non possono essere accolte.

Il giudizio valutativo di idoneità, e ancor più quello di merito assoluto (e quindi non comparativo) espresso con l'attribuzione del punteggio, costituiscono esplicazione di apprezzamenti di amplissima discrezionalità tecnica che hanno riguardo alla percezione globale e complessiva di tutto il complesso di qualità manifestate dall'ufficiale (sia pure riferite a indicatori tipizzati) nel corso dell'intera carriera, di tal ché il sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo è confinato (salvi i casi di violazioni delle regole formali procedurali) in uno spazio assai limitato, se non angusto, come delineato dai vizi funzionali dell'eccesso di potere in senso assoluto e in senso relativo. Il vizio dell'eccesso di potere in senso assoluto si fonda sulla valutazione della coerenza generale del metro valutativo e della non manifesta incongruità e irragionevolezza del giudizio e del punteggio assegnato in rapporto agli elementi di valutazione (Cons. Stato Sez. IV, 17-04-2018, n. 2280) e, in particolare, è circoscritto alla coerenza generale del metro valutativo adoperato oppure alla manifesta incongruità del punteggio, avuto riguardo agli incarichi ricoperti, alle funzioni espletate ed alle positive valutazioni ottenute durante tutto l'arco della carriera dello scrutinando (T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, 20-08-2018, n. 8997).

Il giudice amministrativo si deve limitare a verificare se il giudizio espresso sia stato determinato da un errore nell'acquisizione dei fatti determinati (attribuzioni di fatti non concernenti l'interessato, omessa rilevazione di circostanze o fraintendimento delle stesse, ovvero considerazione di elementi non pertinenti etc.) oppure da un macroscopico errore nell'apprezzamento e nella valutazione degli stessi elementi, talmente abnorme e grossolano da essere evidente a chiunque (macroscopico travisamento tale da consentire anche ad un non esperto della materia di ravvisare la palese "abnormità della valutazione") ovvero sia stato determinato dalla violazione delle regole del procedimento valutativo, in primis dall'adozione di un criterio di valutazione diverso da quello prescritto dalla normativa in materia.

E', infatti, precluso al giudice amministrativo invadere l'ambito delle valutazioni apportate dalla Commissione di avanzamento per gli Ufficiali, dovendo il giudizio rimanere limitato ad una generale verifica della logicità e razionalità dei criteri seguiti in sede di scrutinio (TAR Lazio, Sez. I bis, 5 febbraio 2018, n. 1427; Cons. Stato, Sez. IV, 23 ottobre 2017, n. 4860).

Ciò comporta che la discrezionalità tecnica della Commissione è sindacabile solo in presenza di valutazioni macroscopicamente incoerenti o irragionevoli, così da comportare un vizio della funzione (TAR Lazio, Sez. I bis, 7 settembre 2012, n. 7629; Cons. Stato, Sez. IV, 28 dicembre 2005, n. 7397).

Nell'ambito della mancata iscrizione in quadro di un ufficiale, la censura di eccesso di potere in senso assoluto presuppone una figura di ufficiale con precedenti di carriera costantemente ottimi (tutti giudizi finali apicali, massime aggettivazioni nelle voci interne, conseguimento del primo posto nei corsi basici, di applicazione ed in quelli successivi di aggiornamento professionale), ed esenti da qualsiasi menda o attenuazione di rendimento (Cons. Stato Sez. IV, 22.11.2006, n. 6847; Cons. Stato Sez. IV, 1.3.2006, n. 1008), di modo che i sintomi di tale vizio potrebbero cogliersi esclusivamente quando nella documentazione caratteristica risulti un livello tanto macroscopicamente elevato dei precedenti dell'intera carriera dell'ufficiale, da rendere a prima vista il punteggio attribuito del tutto inadeguato. In ogni caso il vizio di eccesso di potere in senso assoluto, non è automaticamente riscontrabile sulla base del mero apprezzamento della eccellenza dei precedenti di carriera, poiché il giudizio di avanzamento a scelta comprende una valutazione estesa a numerosi fattori di apprezzamento che non consente di attribuire al possesso di certi requisiti automatiche aspettative di progressione in carriera (Cons. Stato Sez. IV, 01/03/2006, n. 1008). Non ricorre, quindi, il vizio di eccesso di potere in senso assoluto nel caso in cui, come quello in questione, l'ufficiale non abbia sempre ottenuto le massime aggettivazioni possibili nelle schede valutative, non risultando che sia sempre arrivato primo nei corsi ed abbia conseguito giudizi non apicali (Cons. Stato Sez. IV, 12/12/2005, n. 7037).

Nel caso di specie, il motivo non può essere accolto in quanto, parte ricorrente nei vari giudizi attributi nelle schede di valutazione non ha riportato sempre valutazioni apicali, inoltre, come indicato dall'Amministrazione in sede difensiva e non contestato ex adverso, il ricorrente non ha raggiunto posizioni apicali nei corsi di base (si è classificato 21 su 21 al corso Ufficiali a nomina diretta e 18 su 24 al corso pre-comando per TT.VV) e solo dal 2000 ha riportato la valutazione di "Eccellente" nella documentazione caratteristica. Infine, né il punteggio di merito di 27,62 riportato nello scrutinio sul quadro di avanzamento, nè le singole valutazioni sugli elementi di cui alle lettere a, b, c e d di cui al comma 5 dell'art. 1058 del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare) sono così basse da potersi ritenere irragionevoli considerati i precedenti di carriera e le risultanze dei documenti caratteristici.

5) Risulta infondata anche la domanda risarcitoria per i danni derivante da mobbing.

Per consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in tema di individuazione degli elementi costitutivi della pretesa risarcitoria da mobbing nell'ambito dei rapporti di pubblico impiego e della conseguente responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., il mobbing si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica (C. Stato, Sez. VI, 13 marzo 2018, n. 1589; 28 gennaio 2016, n. 284; 12 marzo 2015, n. 1282).

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva da mobbing, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati in particolare: - dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio;

- dall'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; - dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore; - dall'elemento soggettivo, cioè dall'intento persecutorio unificante i singoli fatti lesivi, che rappresenta elemento costitutivo della fattispecie (C. Stato, Sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1945).

E proprio l'elemento soggettivo consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, il disegno unitario teso alla dequalificazione svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito e che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing (Cons. Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 815).

La sussistenza di condotte c.d. mobbizzanti deve essere qualificata dall'accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione o emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito, che è imprescindibile ai fini della configurazione dell'illecito in questione.

Conseguentemente un singolo atto illegittimo, o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante. Nei casi di preteso mobbing il giudice deve, poi, considerare le peculiarità dell'ambiente di lavoro e, nel caso di specie, la realtà particolare delle Amministrazioni militari o gerarchicamente organizzate (C. Stato, III, 12 gennaio 2015, n. 28; 4 febbraio 2015, n. 529).

Il "danno - conseguenza", ossia allo specifico pregiudizio professionale, biologico ed esistenziale sofferto dal lavoratore, esso deve essere parimenti allegato e provato dal danneggiato, in quanto non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nelle suindicate categorie: non è sufficiente, in altre parole, dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, ma incombe sul lavoratore l'onere non solo di allegare gli elementi costitutivi del demansionamento o del mobbing, ma anche di fornire la prova, ex art. 2697 c.c., del danno non patrimoniale che ne è derivato e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale (Tar Lazio, Sez. I ter, 26 giugno 2015, n. 8705).

Nel caso di specie non sussistono elementi per ravvisare gli estremi del mobbing.

Gli atti denunciati dal ricorrente riguardano, infatti, tutti l'adozione di provvedimenti amministrativi, e non comportamenti materiali, di cui viene dedotta l'illegittimità e viene sostanzialmente sostenuto che gli stessi integrano una serie di comportamenti di carattere persecutorio posti in essere in modo sistematico contro il dipendente con intento vessatorio.

Al riguardo, per quanto riguarda l'atto più recente, ovverosia il provvedimento che non ha incluso il ricorrente in posizione utile al conseguimento del quadro di avanzamento, questa stessa sentenza ne ha escluso l'illegittimità e, in ogni caso, affinchè possa essere ritenuto un atto di mobbing dovrebbero sussistere, non semplici ragioni di illegittimità, ma macroscopici profili di illogicità ed eccesso di potere tali da far trasparire in modo evidente la finalità volutamente persecutoria dell'atto, che nel caso di specie non sono stati rilevati.

Gli altri atti, denunciati come atti persecutori, non sono stati a suo tempo impugnati, e solo l'atto di trasferimento è stato gravato tardivamente in questa sede.

Ora se è vero che la sola mancata impugnativa degli atti, e la conseguente loro inoppugnabilità, non vale a escludere che gli stessi siano considerabili atti persecutori in quanto, come anzidetto, anche atti di per sé leciti, possono essere considerati come tali qualora posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente nel perseguimento un disegno vessatorio e l'inoppugnabilità dell'atto non equivale a legittimità dello stesso; è anche vero, tuttavia, che tali atti devono rivelare un intento persecutorio, sicuramente non ravvisabile qualora gli stessi siano legittimi, in quanto posti in essere nel perseguimento dell'interesse pubblico e non di diversi fini. Così la fattispecie del mobbing non è configurabile quando negli stessi provvedimenti non siano presenti palesi aspetti eccesso di potere, nella forma dello sviamento di potere, per essere stati adottati per finalità persecutoria anziché per quella prevista dalla legge. Non è sufficiente, quindi, anche se è necessario, che gli atti siano illegittimi, ma è anche indispensabile che l'insieme o la combinazione di essi denotino l'intento persecutorio perseguito da parte di chi ha adottato gli atti nei confronti del dipendente.

Nel caso di specie ciò non è ravvisabile.

Non lo è, secondo quanto indicato, per l'atto che ha concluso la procedura del quadro di avanzamento.

Non può dirsi lo sia per l'atto di trasferimento, a fronte del quale, state la tardività dell'impugnativa in questa sede, parte ricorrente non ha evidenziato specifici profili di illegittimità limitandosi a denunciarne la natura punitiva e la contrarietà rispetto alla prassi, indicando che lo stesso sarebbe dovuto essere destinatario di un incarico con mansioni equivalenti presso da Direzione Marittima di Palermo. In tale trasferimento e nell'affidamento dell'incarico di Capo Sezione Demanio e Contenzioso e Ufficiale addetto alle certificazioni, anch'esso inoppugnato, e a dire del ricorrente inadeguato rispetto al grado e ai precedenti incarichi svolti, non si possono ravvisare chiari intenti persecutori, non essendo comunque sufficiente ai fini dell'integrazione del mobbing la "mera" illegittimità, peraltro non dimostrata dalla parte ricorrente. Ciò tanto più in quanto parte ricorrente aveva la possibilità di contestare prontamente tali provvedimenti al fine di ripristinare i suoi interessi e, invece, si è mostrato acquiescente nei loro confronti.

Non può dirsi neanche che abbiano rilevanza in tal senso altri tre episodi "minori", anch'essi a suo tempo non contestati.

Il primo è il mancato riscontro di una richiesta di conferimento gerarchico ai sensi dell'art. 735 del testo unico di cui al D.P.R. n. 90 del 2010 relativamente a un generico "futuro impiego a seguito della programmazione per l'anno 2011 - 2012, che non può essere interpretata come atto persecutorio, stante anche che la richiesta è stata diretta al Comando Generale delle Capitanerie di Porto di Roma e non al vertice del Comando della Direzione Marittima di Palermo dal quale, a dire dello stesso ricorrente sarebbe imputabile l'intento persecutorio.

Il secondo è la limitazione a un anno non rinnovabile a partire dall'1.9.2012 del periodo del distacco presso l'ARPA, stante anche che l'Amministrazione su segnalazione della stessa ARPA ha disposto, con nota del 28.5.2013, il prolungamento del comando presso l'ARPA sino al 31.12.2014.

L'ultimo è riconducibile alla circostanza che al ricorrente a seguito del suo comando presso l'ARPA è stato chiesto di liberare l'alloggio di servizio di cui disponeva a Trapani, che il ricorrente avrebbe voluto conservare in previsione del rientro in servizio a fine comando. Tale richiesta di restituzione dell'alloggio, tuttavia, non appare irragionevole e non può essere interpretata in un'ottica persecutoria.

6) Per quanto indicato il ricorso deve essere rigettato e la domanda risarcitoria respinta.

In considerazione della specificità della fattispecie trattata e delle concrete circostanze afferenti al ricorso il Collegio ritiene sussistano gravi ed eccezionali motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta, unitamente alla domanda risarcitoria.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare .............

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Concetta Anastasi, Presidente

Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore

Roberto Vitanza, Primo Referendario
Avv. Antonino Sugamele

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