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Sentenza

Brigadiere dell'Arma dei Carabinieri perde il grado per rimozione per motivi dis...
Brigadiere dell'Arma dei Carabinieri perde il grado per rimozione per motivi disciplinari ai sensi dell'art. 60 n. 6 della L. 31 luglio 1954, n. 599.-
Cons. Stato Sez. IV, Sent., (ud. 27-09-2018) 13-11-2018, n. 6382

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10366 del 2008, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Raggi, Raniero Raggi ed Ezio Bonanni, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Crescenzio, n. 2;

contro

Ministero della difesa, in persona del Ministro in carica pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Liguria, Sezione I, n. 1875 del 30 ottobre 2007, resa tra le parti, concernente sanzione della perdita di grado per rimozione di brigadiere dei Carabinieri.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 settembre 2018 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, l'avvocato Camporeale, su delega, e l'avvocato dello Stato Russo;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. L'oggetto del presente giudizio è rappresentato dal provvedimento del Direttore Generale del Ministero della difesa del 14 marzo 2005, con il quale è stato disposto, nei riguardi del signor -OMISSIS-, brigadiere dell'Arma dei Carabinieri, la "perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari ai sensi dell'art. 60 n. 6 della L. 31 luglio 1954, n. 599".

2. Avverso tale atto, emesso all'esito di procedimento disciplinare conseguente alla sentenza passata in giudicato del Tribunale penale di Savona di condanna per i reati di furto aggravato e violata consegna, il signor -OMISSIS- ha proposto ricorso - davanti al T.a.r. per la Liguria, Sezione I - lamentandone l'illegittimità, inter alia, per la dedotta violazione del termine di 90 giorni dalla comunicazione della sentenza anzidetta.

3. Con l'impugnata sentenza n. 1875 del 30 ottobre 2007, nella resistenza della difesa erariale, il Tribunale ha così deciso il ricorso al suo esame:

a) ha respinto il motivo principale, relativo alla violazione del termine di 90 giorni di cui all'art. 5, comma 4, della L. n. 97 del 27 marzo 2001, ritenendo che i reati di furto e violata consegna esulano dall'ambito applicativo della disciplina invocata, come da precedente di questa Sezione (n. 7614/06);

b) ha respinto le ulteriori censure del difetto di motivazione e dell'eccesso di potere per disparità di trattamento, censura quest'ultima della quale se ne è ravvisata peraltro la genericità, rilevandosi che non è consentito in sede giurisdizionale rivalutare i fatti addebitati e che la pronuncia penale, a sostegno dell'irrogata sanzione, è coperta dal giudicato;

c) ha compensato le spese di lite.

4. Avverso tale pronuncia il signor -OMISSIS- ha interposto appello, ritualmente notificato l'11 dicembre 2008 e depositato il 31 dicembre 2008, articolando tre motivi d'appello (pagine 3 - 21 del gravame) nei termini di seguito sintetizzati:

I) ha errato il Tribunale nell'accedere ad una interpretazione restrittiva della disciplina invocata in quanto il comma 4 dell'art. 5 su citato non ha la finalità di introdurre un limite all'ambito di applicazione della disposizione, che statuisce il termine più breve di 90 giorni dalla comunicazione della sentenza penale di condanna, rapportato alla natura del reato contestato, in assenza peraltro di un maggiore allarme sociale che possa derivare da ritardi nell'attivazione del procedimento disciplinare connesso alla perpetrazione dei reati di cui alla citata disposizione;

II) il Tribunale non ha considerato che sia la Commissione di disciplina che l'Amministrazione hanno omesso ogni istruttoria limitandosi a tener conto della natura dei delitti accertati con la sentenza penale;

III) il Tribunale non ha altresì considerato che la censura di disparità di trattamento era stata suffragata dall'indicazione dei nominativi di coloro che avevano goduto di un trattamento più favorevole, formulando istanza istruttoria al fine di acquisire la documentazione comprovante tale deduzione.

5. In data 26 luglio 2013 l'appellante ha prodotto memoria con la costituzione di nuovo difensore.

6. In data 17 settembre 2018 si è costituita l'Amministrazione ministeriale con atto di mera forma.

7. All'udienza pubblica del 27 settembre 2018, la causa è stata discussa e trattenuta dal Collegio in decisione.

8. L'appello non merita accoglimento.

8.1. Rilievo centrale nell'economia del ricorso all'esame della Sezione è il primo motivo d'appello, col quale si invoca l'applicazione dell'art. 5, comma 4, della L. n. 97 del 2001. Mette conto riportare il testuale tenore di tale disposizione, che così recita: "Salvo quanto disposto dall' articolo 32-quinquies del codice penale, nel caso sia pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna nei confronti dei dipendenti indicati nel comma 1 dell'articolo 3, ancorché a pena condizionalmente sospesa, l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego può essere pronunciata a seguito di procedimento disciplinare. Il procedimento disciplinare deve avere inizio o, in caso di intervenuta sospensione, proseguire entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione o all'ente competente per il procedimento disciplinare. Il procedimento disciplinare deve concludersi entro centottanta giorni decorrenti dal termine di inizio o di proseguimento, fermo quanto disposto dall'articolo 653 del codice di procedura penale". L'appellante, nel reiterare il corrispondente motivo di primo grado, ritiene che l'Amministrazione non avrebbe rispettato tale tempistica procedimentale costituendo parametro temporale di riferimento il più ridotto termine di 90 giorni contemplato dalla norma evocata.

8.1.1. Il rilievo in esame non può essere condiviso.

8.1.2. Invero, dalla formula della norma è dato agevolmente evincere che il legislatore ha inteso definire i confini applicativi della disciplina, più favorevole per effetto della riduzione del termine a 90 giorni decorrente dalla comunicazione della sentenza penale, mercé il riferimento ai "dipendenti di cui al comma 1 dell'art. 3". Tale norma, che si pone quindi in combinato disposto con il comma invocato, presenta a sua volta la seguente formulazione: "Salva l'applicazione della sospensione dal servizio in conformità a quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, quando nei confronti di un dipendente di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica è disposto il giudizio per alcuni dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma , 317, 318, 319, 319-ter , 319-quater e 320 del codice penale e dall'articolo 3 della L. 9 dicembre 1941, n. 1383, l'amministrazione di appartenenza lo trasferisce ad un ufficio diverso da quello in cui prestava servizio al momento del fatto, con attribuzione di funzioni corrispondenti, per inquadramento, mansioni e prospettive di carriera, a quelle svolte in precedenza". Orbene, al riguardo vale il consolidato orientamento di questo Consiglio secondo cui "Nel procedimento disciplinare, il termine di 90 giorni, previsto dall'art. 5, comma 4, della L. n. 97 del 2001 trova applicazione solo per le condanne relative ai reati indicati nell'art. 3 della stessa legge mentre negli altri casi di condanna trova applicazione l'art. 9, comma 2, della L. n. 19 del 1990" (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 12 maggio 2016, n. 1893; Sez. III, 13 febbraio 2014, n. 705; Sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3883). Ne consegue l'inapplicabilità della disciplina invocata dall'appellante al caso di specie, non essendo riconducibile i reati contestati al novero di quelli di cui alla menzionata elencazione non estensibile sul piano interpretativo.

8.2. Infondato risulta anche il secondo mezzo, col quale l'appellante ha reiterato le censure del difetto di motivazione e di istruttoria evidenziando che non è sufficiente la mera presa d'atto delle fattispecie di reato per le quali è normativamente prevista la più grave sanzione della destituzione ma si impone all'Amministrazione la disamina degli ulteriori elementi, connessi ai servizi espletati ed alle sue condizioni di salute, che denotino la personalità dell'incolpato.

Il rilievo non può essere condiviso stante la oggettiva gravità dei fatti descritti nella sentenza penale di condanna che, per la sua portata accertativa, non lasciava margini istruttori in grado di potenzialmente sovvertire la consistenza materiale dei fatti addebitati all'appellante ed emersi all'esito del giudizio penale. Occorre verificare quale sia il perimetro valutativo della Commissione di disciplina in relazione ai fatti, dotati di rilievo disciplinare ed accertati in sede penale. Ebbene, va osservato, in termini generali, che, come evidenziato da questa Sezione, "la sentenza penale, che accerta la sussistenza di determinati fatti, ha efficacia nel giudizio disciplinare che si fondi sui fatti medesimi. Conseguentemente l'amministrazione, nel procedere disciplinarmente, non può operare una ricostruzione dei fatti che si ponga in termini diversi da quella accertata dal giudicato penale" (Cons. Stato, sez. IV, 06 novembre 2009, n. 6938). Il provvedimento censurato in primo grado, come è dato inferire dal suo tenore motivazionale, si fonda proprio sulle risultanze dell'accertamento del Giudice penale in ordine alla perpetrazione, da parte dell'appellante, dei reati di furto e violata consegna. Peraltro la oggettiva gravità dei fatti addebiti all'appellante è tale da giustificare la sanzione irrogata avuto riguardo alla connotazione dell'Arma dei Carabinieri quale "forza militare di polizia a competenza generale e in servizio permanente di pubblica sicurezza con rango di Forza Armata" (art. 155 D.Lgs. n. 66 del 2010) che rende vieppiù biasimevole, ai fini disciplinari, una condotta quale quella tenuta dall'odierno ricorrente, stimata, con valutazione prima facie tutt'altro che illogica o irragionevole, contraria ai doveri assunti con il giuramento nonché lesiva dell'immagine e del prestigio dell'Arma presso i consociati, cui l'attività istituzionale del Corpo, a differenza delle altre Forze Armate preposte alla difesa militare dello Stato, è in primis diretta (Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2017, n. 1302).

8.3. Infondato risulta anche il terzo mezzo, col quale si insiste nel denunciare un comportamento disparitario in favore di taluni colleghi dell'appellante, censura in ordine alla quale il Tribunale ha rilevato quanto segue "la deduzione d'eccesso di potere per disparità di trattamento (senza nemmeno l'indicazione della situazione da porre a raffronto) si

sottrae a detto perimetro, essendo diretta a contestare genericamente proprio la valutazione discrezionale sottesa alla sanzione".

La critica in esame non può essere condivisa in quanto il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento, che peraltro postula l'assoluta parità delle situazioni poste a confronto (circostanza questa rimasta indimostrata), non può dirsi adeguatamente articolata attraverso la mera indicazione soggettiva di coloro che avrebbero goduto di un più favorevole trattamento in assenza quantomeno di un principio di prova in grado di corroborare la deduzione così sollevata. Risulta quindi dirimente rilevare che l'odierno ricorrente, nell'articolare detta censura in prime cure, si è limitato a fornire indicazioni circa il nominativo dei colleghi che avrebbero fruito di un più favorevole trattamento in casi analoghi senza addurre alcuna circostanza in fatto o in diritto in grado di lumeggiare tale deduzione, non potendosi ritenere onerato il Tribunale dei relativi incombenti istruttori. Inoltre, per giurisprudenza consolidata da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, in tema di sanzioni disciplinari a militari, la valutazione dei fatti e della loro gravità, così come la misura delle relative sanzioni, rientrano in una valutazione di merito ampiamente discrezionale dell'Amministrazione, sindacabile sul piano della legittimità, oltre all'ipotesi di macroscopici vizi logici o travisamenti dei fatti, in caso sì di disparità di trattamento ma purché sia "evidente" (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 gennaio 2013 n. 28). Nel caso di specie, per le ragioni anzidette, la censura di eccesso di potere, riproposta dall'appellante in questa sede, non presenta alcun grado di evidenza per come rappresentata e documentata.

9. In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

10. La particolarità della vicenda costituisce eccezionale motivo che giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio tra le parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (n.r.g. 10366/2008), lo respinge.

Spese del presente giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi, Presidente

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

Nicola D'Angelo, Consigliere

Giovanni Sabbato, Consigliere, Estensore

Silvia Martino, Consigliere
Avv. Antonino Sugamele

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