Capitano dell'esercito chiede la retribuzione per il tempo impiegato alla vestizione necessaria per partecipare all'alzabandiera. Sostenendo che fino a quando sarebbero perdurate le condizioni in atto egli si riteneva non in grado di presenziare alla cerimonia, dalla quale si reputava escluso.
Cassazione Penale Sent. Sez. 1 Num. 2877 Anno 2019 Presidente: IASILLO ADRIANO Relatore: SIANI VINCENZO Data Udienza: 12/07/2018
ricorso proposto da: P.S. nato a BOLOGNA il avverso la sentenza del 26/09/2017 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO STANI;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ... che ha concluso chiedendo Il P.G. conclude per l'inanimissibilità del ricorso. Udito il difensore ; E presente l'avvocato CASSONE ANGELO del foro di CATANIA in difesa di P.S. che si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento.
RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 23 febbraio - 18 marzo 2016, il Tribunale militare di Verona aveva giudicato S.P., Capitano E.I., Comandante della 1^ Compagnia del Battaglione "Armamento e Ponti" del Reggimento Genio Ferrovieri di Castel Maggiore, per il reato di disobbedienza aggravata e continuata (di cui agli artt. 81 cod. pen., 173 e 47, n. 2, cod. pen. mil . pace), condotta commessa in Caste! Maggiore, dal 3 giugno al 21 agosto 2015, e - ritenutolo responsabile del reato continuato a lui ascritto, nonché riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante - lo aveva condannato alla pena di mesi cinque di reclusione militare, con concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
1.1. Il fatto attribuito all'imputato - relativo alla condotta da tenere nel corso della cerimonia dell'alzabandiera, che segnava l'inizio dell'attività lavorativa e che doveva vedere la partecipazione, indossando la divisa, di tutto il personale con l'eccezione di quello che svolgeva servizio strettamente necessario per il funzionamento dell'ufficio, - aveva avuto origine dal fatto che, per partecipare a tale cerimonia, fissata per le ore 08:00 del mattino, il Cap. P. giungeva in caserma qualche minuto prima per poter indossare la divisa e riteneva che quel tempo concretasse lavoro straordinario per il quale voleva essere retribuito, richiesta che il comando aveva respinto. Con missiva del 30 marzo 2015 P. aveva esposto la sua posizione ribadendo la volontà di essere retribuito per il tempo impiegato alla vestizione necessaria per partecipare all'alzabandiera e preannunciando che fino a quando sarebbero per durate le condizioni in atto egli si riteneva non in grado di presenziare alla cerimonia, dalla quale si reputava escluso. In risposta il Col. C.P. aveva ribadito la posizione del comando risultando il sottoposto a effettuare la prevista timbratura alle ore 08:00 e poi a svolgere attività preparatorie all'alzabandiera che orientativamente avrebbe avuto luogo fra le ore 08:04 e le ore 08:07. Nessun mutamento nella condotta di P. essendosi verificato, il 4 giugno 2015 il Col. P. aveva ordinato categoricamente ha sottoposto di presenziare all'alzabandiera e tale ordine era stato ripetuto più volte anche innanzi a testimoni. Con missiva dello stesso 4 giugno 2015 P. aveva replicato e, pur dando atto di aver ricevuto l'ordine suddetto, aveva ribadito l'esigenza che dovesse ancora chiarirsi come egli potesse osservarlo senza ledere i suoi diritti a percepire il compenso per l'attività lavorativa straordinaria. In concreto P. non aveva partecipato all'alzabandiera, né il 4 giugno 2015, né successivamente fino al 21 agosto 2015, quando era stato collocato in riposo medico. 1.2. Da tale consecutio fattuale era seguita la contestazione a suo carico del reato di disobbedienza aggravata e continuata per tutte le cerimonie di alzabandiera da P. disertate dal 3 giugno al 21 agosto 2015, con sua condanna nei sensi già indicati. 2. Impugnata da P. la suddetta decisione, la Corte militare di appello, con sentenza del 26 settembre - 10 ottobre 2016, ha parzialmente riformato quella di primo grado e, precisato che la circostanza aggravante contestata e ritenuta era quella di essere l'imputato rivestito di un grado, lo ha assolto dal reato ascrittogli relativamente ai fatti contestati come avvenuti il 3 giugno 2015 e dal 5 giugno al 21 agosto 2015, perché il fatto non sussiste e, con riferimento alla sola condotta del 4 giugno 2015, ha ridotto la pena a mesi tre di reclusione militare, confermando nel resto. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che, mentre il reato istantaneo contestato si era perfezionato con riferimento all'omesso adempimento dell'ordine specifica dato il 4 giugno 2015, la fattispecie antigiuridica non poteva ritenersi nuovamente integrata nei giorni successivi e fino al 21 agosto 2015, in quanto non era stata acquisita la prova che l'ordine categorico fosse stato impartito, oltre che per il giorno (antecedente) del 3 giugno 2015, nuovamente anche per i giorni successivi al 4 giugno 2015. 3. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso il difensore di P. chiedendone l'annullamento, con i provvedimenti consequenziali, e affidando l'impugnazione a due motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce l'erronea applicazione della legge penale per violazione degli artt. 173 cod. pen. mil . pace e 729 d.P.R. n. 90 del 2010, nonché vizio di motivazione, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. La Corte militare di appello aveva ritenuto erroneamente accertato il momento consumativo del reato omettendo di fare buon governo dei principi che regolavano l'iter progressivo necessario al perfezionamento del delitto di disobbedienza: aveva, cioè, dato per scontato che il Col. P. avesse dato l'ordine a P. in tempo antecedente all'alzabandiera 4 giugno 2015, unica data in cui si era ritenuta accertata la violazione; gli elementi acquisiti, costituiti unicamente dall'assenza dell'imputato alla cerimonia in data 4 giugno 2015 e della missiva inviata in pari data da P. al superiore in cui spiegava la sua posizione, ossia quella del sottoposto che non può eseguire l'ordine non 3 V conforme alle norme in vigore, non autorizzavano la conclusione che la reiterazione dell'ordine fosse avvenuta prima dell'alzabandiera dello stesso 4 giugno 2015, essendo più verosimile ritenere che la reiterazione fosse avvenuta in tempo successivo alla cerimonia, sicché l'ordine avrebbe potuto dispiegare efficacia solo dal 5 giugno 2015. In secondo luogo, i giudici di appello avevano erroneamente escluso il meccanismo previsto dall'art. 729, comma 2, dell'Ordinamento militare di cui al d.P.R. n. 90 del 2010 giacché quell'ordine, essendo stato ritenuto da P. potenzialmente lesivo del suo diritto a un equo e corretto trattamento retributivo, ben poteva ritenersi, quanto meno in forma putativa, contrario alle norme in vigore e quindi giustificare l'iter previsto dalla norma indicata. In presenza di ordine ritenuto illegittimo, il destinatario aveva, infatti, diritto di ometterne l'esecuzione e di farlo presente, dal momento che ai sensi dell'art. 727 d.P.R. cit., gli ordini dovevano essere emanati in conformità e nei casi previsti dalla legge: dal testo della missiva scritta dallo stesso imputato il 4 giugno 2015 emergeva che P. aveva contestato al superiore la reale possibilità di eseguire l'ordine. Posto ciò, secondo il ricorrente, da un lato, occorreva la reiterazione confermativa dell'ordine da parte del superiore affinché il destinatario dovesse comunque darvi ricorso, cosa che non era intervenuta se non nel corso della mattinata, per cui il reato poteva perfezionarsi unicamente dall'alzabandiera del 5 giugno in poi, e, dall'altro, il giudice penale era tenuto a svolgere un'indagine circa la ragionevole percezione di illegittimità che l'imputato avesse avuto dell'ordine impartitogli, con l'effetto che, ove fosse stato dimostrato o comunque residuasse il dubbio che l'imputato aveva riconosciuto l'ordine come scarsamente sensato, avrebbe dovuto emettersi sentenza di assoluzione.
2.2. Con il secondo motivo si prospetta violazione dell'art. 131-bis cod. pen., in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. Onde pervenire alla negazione dell'accertamento della fattispecie di cui all'art. 131-bis cod. pen., i giudici di appello avevano fatto ricorso a formule di mero stile, mentre era certo che in casi analoghi la stessa Corte militare di appello aveva ritenuto di particolare tenuità altri reati di disobbedienza. Nel caso di specie, rifacendosi a precedenti analoghi, avrebbe dovuto argomentarsi nel senso che la condotta non aveva interessato la sicurezza o la funzionalità del reparto, né aveva riguardato altre attività o esigenze di servizio, ma si era risolta in un fatto meramente formale riguardante la disciplina. Opinando diversamente i giudici avevano finito per escludere aprioristicamente l'applicabilità dell'istituto in parola all'ambito dei reati militari.3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, in quanto le deduzioni svolte dal ricorrente apparivano prive di fondamento.
CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile per entrambi i profili dedotti. 2. In ordine al primo motivo, deve osservarsi che la Corte militare di appello, interpretando in modo incensurabile la complessiva fattispecie, se, per un verso, ha considerato priva di rilevanza penale la condotta serbata da P. nel tempo successivo al 4 giugno 2015, considerando non dimostrata l'avvenuta reiterazione dell'ordine categorico da parte del suo superiore di partecipare alla cerimonia dell'alzabandiera nei corrispondenti giorni, per altro e inscindibilmente collegato verso, ha raggiunto tale conclusione sull'accertato presupposto che per il giorno 4 giugno 2015 l'ordine categorico del Col. P. era stato tempestivamente impartito a P., con reiterazioni del suo oggetto anche in presenza di testimoni, per imporne la partecipazione all'alzabandiera dello stesso lo stesso 4 giugno 2015, con l'effetto che la disobbedienza da parte del subordinato era maturata per la stessa data del 4 giugno 2015, su questa specifica base avendolo assolto (anche) per la mancata partecipazione alla cerimonia del 5 giugno 2015. 2.1. La testimonianza del superiore, Col. P., è stata con congrue argomentazioni e in modo logicamente corretto, interpretata dai giudici di appello nel senso che il suddetto ufficiale era giunto a impartite all'imputato l'ordine in forma solenne di partecipare alla cerimonia dell'alzabandiera per il giorno 4 giugno 2015. E il complesso delle risultanze processuali è stato dalla Corte di merito valutato nella convergente direzione che tale ordine, all'esito di un contrasto ormai emerso da tempo, era stato impartito da P. a P. in tempo antecedente all'alzabandiera del 4 giugno 2015, senza che il subordinato vi ottemperasse: anzi, ha annotato la Corte Militare di appello, disattendendo il gravame, entrambe le versioni rese, sia dal Col. P., nella testimonianza resa, sia dal Cap. P. nella sua lettera dello stesso 4 giugno 2015, l'ordine era stato categorico e reiterato. Trattasi di accertamento di fatto adeguatamente motivato sulla scorta di argomenti inseriti in un iter logico coerente privo di cesure, che - si ripete - ha costituito, nello stesso tempo, la base fattuale onde pervenire all'assoluzione dell'imputato con riferimento alla restante condotta anche dal reato di disobbedienza per l'omessa partecipazione alla stessa cerimonia relativa al giorno del 5 giugno 2015. Le prospettazioni tendenti alla ricostruzione alternativa in punto di fatto svolte dal ricorrente, siccome collidono con la suindicata valutazione, incensurabile in sede di legittimità, non possono avere ammissibile ingresso in questa sede. 2.2. In ordine alla seconda censura, pure svolta con il primo motivo, deve ritenersi ictu ocull infondata la deduzione di erronea applicazione dell'art. 729, comma 2, dell'Ordinamento militare di cui al d.P.R. n. 90 del 2010. La difesa ha prospettato che l'ordine di partecipare all'alzabandiera era stato ritenuto correttamente, se non altro in via putativa, dal suo destinatario, Cap. P., potenzialmente lesivo del suo diritto a un equo e corretto trattamento retributivo, sicché esso era da considerarsi contrario alle norme in vigore e quindi tale da giustificare la sua mancata esecuzione. Il dettato normativo invocato orienta immediatamente nel senso opposto, dal momento che, dopo aver dettagliato (al comma 1) le modalità con cui il militare deve eseguire gli ordini ricevuti "con prontezza, senso di responsabilità ed esattezza, nei limiti stabiliti dal codice e dal regolamento, nonché osservando scrupolosamente le specifiche consegne e le disposizioni di servizio", astenendosi da ogni osservazione non necessaria per la corretta esecuzione di quanto ordinato, stabilisce (al comma 2) che il militare al quale è impartito un ordine che non ritiene conforme alle norme in vigore lo faccia presente, con spirito di leale e fattiva partecipazione, a chi lo ha impartito dichiarandone le ragioni, fermo restando che egli "è tenuto a eseguirlo se l'ordine è confermato". La norma prescrive, infine, che il militare ha il dovere di non eseguire l'ordine e informare al più presto i superiori quando gli sia impartito "un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente reato". Orbene, la disposizione che il Cap. P. era stato chiamato a osservare, vale a dire la partecipazione all'alzabandiera, indossando la divisa, al pari di tutte le altre unità di personale, con l'eccezione di coloro che svolgevano servizio strettamente necessario per il funzionamento dell'ufficio, non conteneva, all'evidenza, alcunché di illegale e meno che mai appariva costituire manifestamente reato o, addirittura, indirizzare il comportamento del destinatario di essa contro le istituzioni dello Stato. Il fatto che - per quanto concerne il tempo necessario, prima della cerimonia, a indossare la divisa per il militare che entrasse in servizio in quel medesimo frangente - P. aveva inteso_promuovere la rivendicazione del TA-4-e telACJi suo diritto a vederne retribuito Il lasso hieste respinte, fino a quel momento, dai suoi superiori, non poteva pertanto abilitare in nessun modo il militare - impregiudicato il suo diritto di verificare se e secondo quali modalità la sua rivendicazione potesse ricevere un ulteriore e vaglio amministrativo e, se del caso, giurisdizionale - a disertare la cerimonia oggetto dell'ordine. E di tanto l'imputato non poteva non essere conscio, attesa anche l'interlocuzione articolata registratasi fra ufficiale superiore e inferiore prima del 4 giugno 2015, considerando d'altronde che per integrare il reato di disobbedienza militare (art. 173 cod. pen. mil . pace) è sufficiente il dolo generico, costituito dalla volontà di rifiutare di obbedire a un ordine che appaia oggettivamente attinente al servizio, nella piena consapevolezza della ribellione funzionale e dell'attinenza al servizio dell'ordine impartito dal superiore (Sez. 1, n. 28232 del 13/06/2014, Ciccone, Rv. 261412 - 01). Non può pertanto reputarsi l'evenienza dell'esimente invocata, nemmeno a titolo putativo, ai sensi e per gli effetti dell'art. 59, ultimo comma, cod. pen., giacché per la sua configurabilità sarebbe stato necessario che - pur non essendo obiettivamente vero l'ordine costituente manifestamente reato o l'ordine indirizzato contro le istituzioni dello Stato - il destinatario di esso si fosse trovato nella situazione di fatto tale da indurlo a ritenere l'evenienza di un siffatto ordine manifestamente contra legem nei sensi ora indicati, ossia fosse incorso in un errore di fatto sulla situazione determinativa della dedotta esimente. Invece, nel caso esaminato, anche a voler dare per dimostrato l'asserto del ricorrente, si verterebbe in situazione in cui l'autore del fatto illecito avrebbe erroneamente inteso la normativa come applicabile a una situazione rispondente alla realtà, a cui era evidente che essa non si attagliava, per cui, a tutto concedere, si tratterebbe di un mero errore di diritto. Ebbene, quest'ultimo errore non vale - in via generale e impregiudicati i (qui non influenti) casi specificamente eccettuati dall'art. 5 cod. pen. (all'esito di Corte cost. n. 364 del 1988) - a escludere la punibilità dell'agente, perché esso concettualmente non può sotto alcun profilo assimilarsi all'errore di fatto, risolvendosi in un errore sulla liceità del comportamento, dipendente dalla personale opzione interpretativa ascrivibile al medesimo, contraria all'effettività degli obblighi giuridici derivanti dall'ordinamento. 3. Per quanto concerne la disamina del secondo motivo, occorre muovere dall'analisi compiuta dai giudici di appello, che hanno accuratamente spiegato le ragioni per le quali non ritenevano applicabile al caso di specie la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis cod. pen., impregiudicata, in punto di principio, la natura sostanziale di essa. La Corte militare di appello ha, in particolare, evidenziato che dalla ricostruzione dell'episodio oggetto di esame era emersa l'insussistenza dei presupposti necessari per l'applicabilità dell'istituto: la condotta di disobbedienza, infatti, aveva attinto la disciplina militare e aveva posto in contestazione la potestà giuridicamente riconosciuta di esercizio del potere tipico del rapporto gerarchico ascendente mettendo in crisi in modo radicale, nei rapporti fra sottoposto e superiore, la considerazione dell'istituto della partecipazione dei militari presenti in caserma alla cerimonia dell'alzabandiera. La Corte di merito ha specificamente osservato che, per come messo in essere, il comportamento di disobbedienza censurato era divenuto causa di pregiudizio del prestigio del superiore, essendosi - la condotta dell'imputato - dispiegata anche in presenza di altri militari, quasi tutti subordinati all'ufficiale inadempiente, rispetto ai quali l'inosservanza dell'ordine proveniente dal Comandante di Battaglione aveva costituito un esempio indubbiamente riprovevole e negativo. Anche in relazione al complesso delle circostanze, concomitanti e successive, che aveva caratterizzato la condotta dolosa di P., la valutazione di essa conclusivamente data dalla Corte militare di appello si è risolta, pertanto, in un giudizio di maggiore gravità della stessa, concretizzatasi in una forma e con modalità che - sulla base di una ponderazione congrua e coerente - sono state ritenute estranee alla sfera della particolare tenuità. Come appare evidente, i giudici di appello hanno, con motivazione adeguata e priva di cesure logiche, ritenuto il reato commesso dall'imputato connotato da seria gravità e, comunque, inidoneo - per livello dell'offesa al bene giuridico protetto, portata del danno o pericolo cagionato e modalità della condotta - a rientrare nell'area dei fatti di particolare tenuità a cui l'art. 131-bis cod. pen. stabilisce applicarsi la corrispondente causa di non punibilità. Va, in tal senso, richiamato e riaffermato il principio di diritto, già evidenziato dal più autorevole consesso di legittimità, secondo cui, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590 - 01). A fronte di questi rilievi la doglianza complessivamente svolta dal ricorrente, che critica il discorso giustificativo della sentenza di appello traendone conclusioni chiaramente incongrue (non avendo affatto i giudici di merito eccettuato in modo aprioristico l'applicazione della causa di non punibilità ai reati militari, ma avendone motivatamente escluso l'applicazione al reato militare oggetto di processo), si appalesa, per un verso, generica e, per altro verso, manifestamente infondata. 4. Entrambi i motivi si sono, pertanto, rivelati tali da imporre la declaratoria di inammissibilità del complessivo ricorso. A questa pronuncia consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000) - di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in rapporto alle questioni dedotte, si reputa equo fissare in euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila alla cassa delle ammende.
Così deciso il 12 luglio 2018
24-01-2019 20:23
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