Caporal maggiore scelto del 21° rgt genio guastatori offende il prestigio, l'onore e la dignità di alcuni inferiori di grado dicendo. Condannato a 4 mesi e 15 giorni di reclusione militare.
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.A.
avverso la sentenza del 19/09/2017 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DOMENICO FIORDALISI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
che ha concluso chiedendo
Il P.G. conclude per l'inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
E presente l'avvocato MARROCCO GERARDO del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE
in difesa di COMUNE ALFREDO che conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.
C.A. Caporal Maggiore Capo dell'Esercito Italiano in servizio
quale Caporal Maggiore Scelto presso il 21° Reggimento genio guastatori di
Caserta ricorre avverso la sentenza della Corte militare d'appello emessa il 19
settembre 2017 che ha confermato la sentenza la condanna del Tribunale
militare di Napoli del 30 novembre 2016 alla pena di quattro mesi e giorni e 15
giorni di reclusione militare per il delitto di ingiuria, ai sensi degli articoli 196
comma 2 codice penale militare di pace e 47 numero 2 del codice penale militare
di pace, nonché degli articoli 196 comma 1 e 47 numero 2 codice penale militare
di pace, fatti commessi il 22 ottobre del 2011 nei pressi del posto di vigilanza
fissa presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
I giudici di merito avevano riconosciuto, infatti, che il Caporal maggiore
C.A. aveva offeso il prestigio, l'onore e la dignità degli inferiori di
grado, Caporal Maggiore P.P., C.M. e A.S. ,
dicendo a C.D. in presenza dei suddetti militari inferiori di grado
«Alpini di merda, Alpini del cazzo, vi trovate a Bolzano, perché non avete
educazione, vi trovate negli Alpini, perché non valete niente e non siete in grado
di fare questo tipo di lavoro al sud", nonché per averli minacciati di ingiusto
danno, dicendo "se voglio vi faccio tornare a Vipiteno a calci in culo"; i giudici
hanno ritenuto che le offese e le minacce rivolte in modo gratuito nei confronti
dei militari che stavano svolgendo un servizio di particolare delicatezza come
quello della sorveglianza dell'ufficio giudiziario in orario notturno aveva causato
la distrazione dal servizio delle persone offese e non consentiva nemmeno un
giudizio di speciale tenuità di tale condotta.
2.
Deduce il ricorrente violazione gli articoli 192 e 533 codice di procedura
penale, perché la Corte di merito non aveva valutato le dichiarazioni del teste
Appuntato scelto della Guardia di Finanza G.M. , che aveva
riferito, invece, che non era vero che C.A. durante l'alterco con gli
Alpini fosse stato portato via dal padre che era con lui in auto per evitare che
proseguisse le sue condotte e che l'imputato in quel momento era in stato di
apprensione, perché stava accompagnando la moglie in stato di gravidanza al
nono mese, sicché tale testimonianza minava l'attendibilità delle persone offese
che palesemente avevano l'interesse ad «ammantare» la ragione per la quale
l'imputato alle ore 23:00 circa avesse deciso di attaccar briga con tali militari,
così facendo sorgere un'alternativa ricostruzione dei fatti, che poteva portare a
svelare una violata consegna da parte delle persone offese e che poteva essere
stigmatizzata nell'immediatezza dall'imputato.
3.
Col secondo motivo, denuncia violazione di legge, perché i giudici non
avevano riqualificato i reati di ingiuria e diffamazione aggravata, perché rivolte a
militari di grado inferiore, come ingiuria e diffamazione semplice in quanto
l'imputato avrebbe discusso solo esclusivamente con il Caporal Maggiore Scelto
C.D. , che era suo pari grado, venendo meno pertanto le ragioni di
tali circostanze aggravanti sul fatto che avrebbe determinato l'estinzione del
reato di ingiuria semplice, perché depenalizzato; per l'ipotesi di minaccia
semplice a un altro militare, invece, si sarebbe dovuto dichiarare il difetto di
procedibilità stante l'assenza dell'autorizzazione a procedere da parte del
comandante del reparto; a questo proposito, vi sarebbe la violazione dell'obbligo
di motivazione da parte dei giudici di merito.
4.
Da ultimo lamenta il ricorrente l'omessa motivazione sulla questione di
incostituzionalità dell'art. 196 comma 2 cod. pen. mil. pace, per violazione degli
artt. 3 e 52 Cost., nonostante proprio la Corte di appello militare avesse emesso
l'ordinanza n. 117 del 26 aprile 2016 sollevando tale questione, per la mancata
depenalizzazione del delitto di ingiuria militare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.
Il ricorso è manifestamente infondato per entrambi i motivi, in quanto la
motivazione della Corte di merito appare logica, esaustiva e fondata su precise
emergenze dell'istruttoria svolta e prive di pregio sono le doglianze sulle asserite
violazioni di legge.
2.
In particolare, sul fatto che le frasi fossero rivolte al Caporal Maggiore
C.D. e non alle persone offese indicate nel capo di imputazione, i
giudici d'appello hanno evidenziato ineccepibilmente che gli altri militari diversi
dal C. erano comunque in grado di ascoltare le minacce e le frasi ingiuriose
profferite dall'imputato e va inoltre evidenziato che già nella sentenza
impugnata risulta indicata la
differenza di grado militare che esisteva con tutti i
militari presenti tra i quali lo stesso C., che era di grado inferiore, perché
era Caporal Maggiore Capo, non Caporal Maggiore Scelto.
Il ricorso, inoltre, appare meramente confutativo delle argomentazioni svolte
in modo logico e coerente dalla Corte militare, perché la motivazione della
sentenza di condanna appare fondata sulla convergente versione dei testimoni
che avevano dichiarato di aver visto un'autovettura fermarsi nel luogo ove gli
stessi stavano svolgendo il servizio di vigilanza fissa e, mentre il Capo pattuglia
C.D. era impegnato a dare informazioni all'autista di un veicolo, era
sopraggiunta un'altra autovettura il cui conducente, C.A. , dopo aver
più volte lampeggiato con i fari, era uscito dall'autovettura con fare aggressivo
pronunciando le citate frasi contro il Capo pattuglia C., alla presenza degli
altri militari che avevano così avuto modo di sentirle. Le apparenti divergenze
rispetto alle dichiarazioni rese dal teste Appuntato scelto della Guardia di Finanza
G.M. sono state spiegate in modo adeguato a pag. 8 della
sentenza impugnata col fatto che questi aveva probabilmente sentito solo una
parte delle frasi pronunciate dall'imputato. Correttamente, infatti, i giudici hanno
evidenziato che non fosse dimostrato in modo rigoroso che tutte le fonti orali
presenti abbiano avuto una percezione nella loro interezza di tutti i segmenti
dell'azione criminosa (Sez. 1 n. 34473 del 27/05/2015).
Nel giudizio di cassazione inoltre sono precluse al giudice di legittimità la
rilettura di elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e
l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione
dei fatti indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una
migliore capacità esplicativa rispetto a quelli ritenuti dal giudice di merito (Sez.
6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 26548201); né è sindacabile in questa
sede, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione
del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti
di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e
interpretazioni dei fatti (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 25036201).
3.
Sulla questione di legittimità costituzionale del reato di ingiuria militare in relazione alla depenalizzazione dell'art. 594 cp, infine va osservato che essa è manifestamente in contrasto con quanto affermato dalla Corte di legittimità Sez. 1 n. 17830 del 07.4.2017 e soprattutto dalla Corte Costituzioni nr. 215/17 che ha dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale stante il particolare bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice militare.
4.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di una
sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro 2000,00, ai sensi dell'
art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2000 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 12/07/2018.
19-01-2019 19:18
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