Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Militare Trapani

Sentenza

Carabiniere scelto ritiene 85 proiettili di vari lotti e tipologia senza avere d...
Carabiniere scelto ritiene 85 proiettili di vari lotti e tipologia senza avere dimostrato che tali oggetti di armamento militare avessero legittimamente cessato di appartenere al servizio militare
Cassazione Penale Sent. Sez. 1   Num. 41636  Anno 2019 Presidente: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE Relatore: MINCHELLA ANTONIO Data Udienza: 06/06/2019
SENTENZA Sul ricorso proposto da: L.A., nato il.......; Avverso la sentenza n. 55/2017 della Corte Militare di Appello di Roma in data 24/01/2018; Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Antonio Minchella; Udite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. Luigi Maria Flamini, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso; 
RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 11/05/2016 la Corte Militare di Appello confermava la sentenza del Tribunale Militare di Verona, con cui L.A.  era stato dichiarato responsabile del reato di acquisto e ritenzione di oggetti di armamento militare aggravato di cui agli artt. 4, n. 2, e 166 cod. pen. mil. di pace in relazione all'art. 164 dello stesso codice, perché, quale Carabiniere scelto effettivo alla Stazione Carabinieri di Genova-Forte San Giuliano, aveva ritenuto complessivi n. 85 proiettili (di vari lotti e tipologia) nonché alcune parti di proiettili sprovviste del marchio o del segno di rifiuto o comunque senza avere dimostrato che tali oggetti di armamento militare avessero legittimamente cessato di appartenere al servizio militare; era stato, pertanto, condannato, alla pena di mesi sei di reclusione militare, con concessione dei benefici di legge. Detta sentenza riteneva provata la penale responsabilità dell'imputato sulla base del rinvenimento nella disponibilità del L., in una cassaforte all'interno dell'abitazione dell'imputato, di munizionamento appartenente all'Amministrazione Militare (tra cui numerose cartucce cal. 9 parabellum) indebitamente ritenuto dal medesimo e utilizzato sia in attività di istituto sia in attività addestrativa; quanto alla detenzione dei proiettili 7,62 Nato, la pronuncia ne sottolineava la destinazione alle forze armate e quindi evidenziava la rilevanza penale di detta detenzione, in assenza di segni di dismissione da parte di tali forze, ai fini della configurazione del reato contestato. 2. Con sentenza in data 10/01/2017 la Corte di Cassazione annullava la citata sentenza limitatamente alla condotte concernente le residue munizioni differenti dalle cartucce cal. 9 Parabellum e cal 7,62 NATO: infatti per queste ultime era sufficiente la consapevolezza che il munizionamento non avesse legittimamente cessato di appartenere al servizio militare; si trattava di indebita detenzione da parte del militare di oggetti di armamento militare, tali rimasti. L'imputato, appartenendo all'Arma dei Carabinieri, svolgeva anche funzioni di polizia giudiziaria e senza dubbio era consapevole delle conseguenze penali della propria condotta. La sentenza veniva, invece, annullata limitatamente alla condotta concernente le residue munizioni costituenti parti di cartucce in relazione alla cui penale rilevanza non vi era alcuna motivazione nella pronuncia impugnata né in quella di primo grado, che si limitavano ad individuarle, al pari delle altre, come "oggetto di armamento militare". 3. In sede di giudizio di rinvio, con sentenza in data 24/01/2018 la Corte Militare di Appello confermava la sentenza nella parte costituente oggetto di rinvio: rilevava la Corte territoriale che l'imputato aveva sostenuto che quel materiale era stato rinvenuto casualmente durante escursioni in montagna, trattandosi di oggetti risalenti alla seconda guerra mondiale: tuttavia detti oggetti (due ogive cal. 9 ed un bossolo cal. 7,62) erano parti di cartucce che intrinsecamente non potevano risalire al menzionato conflitto, ma che invece appartenevano all'Amministrazione Militare e non vi era stata idonea dimostrazione che avessero cessato di appartenere al servizio militare. 4. Avverso detta sentenza propone ricorso l'interessato per mezzo del difensore Avv. Edoardo Truppa, deducendo, ex art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod.proc.pen., mancanza e manifesta illogicità della motivazione: sostiene che le munizioni calibro 9 Parabellum non sono inserite nel munizionamento comune solo perché sono in dotazione alle Forze Armate e non per la loro natura intrinseca, per cui il divieto di vendita in Italia deriva dal fatto che sono armamento in dotazione alle Forze Armate mentre sono di libera vendita negli altri Paesi dell'Unione Europea; conseguentemente non vi è prova dell'effettiva proprietà degli oggetti in capo all'Amministrazione Militare, anche perché i bossoli sono privi dello stemma NATO, sono di fabbricazione ultradecennale e nei reparti in cui il ricorrente aveva prestato servizio non risultavano essersi verificati ammanchi di munizionamento; quanto al resto, si trattava di oggetti rinvenuti casualmente in montagna. 5. In udienza il P.G. ha concluso come indicato in epigrafe., CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, poiché è manifestamente infondato. Infatti, manifestamente infondate devono ritenersi le doglianze prospettate, in quanto sostanzialmente orientate a riprodurre un quadro di argomentazioni già esposte nel giudizio di merito, ed ivi ampiamente vagliate e correttamente disattese dal giudice, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, poiché imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal guisa richiedendo l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica consequenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell'impugnata decisione. In relazione ai suindicati profili, dunque, il ricorso non è volto a rilevare mancanze argomentative , erronee applicazioni di norme o illogicità ictu ocull percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato sulla congruità di scelte valutative compiutamente giustificate dal giudice, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema d'accusa. La Corte territoriale non ha trascurato di considerare le giustificazioni fornite dal ricorrente, ma le ha valutate come non credibili: infatti, da un lato ha sottolineato che le parti di cartucce rinvenute nella sua abitazione non risalivano affatto al secondo conflitto mondiale, come l'imputato aveva tentato di accreditare; d'altro lato, l'evidenza della loro appartenenza all'Amministrazione Militare non era smentita in alcun modo, atteso che non 'erano risultati elementi attestanti la cessazione dell'appartenenza al servizio militare. Va rammentato che l'art. 166 cod. pen. mil. di pace così recita: «Chiunque acquista o per qualsiasi titolo ritiene oggetti di vestiario, equipaggiamento o armamento militare o altre cose destinate a uso militare, senza che siano muniti del marchio o del segno di rifiuto, o comunque senza che egli possa dimostrare che tali oggetti abbiano legittimamente cessato di appartenere al servizio militare, soggiace alle pene rispettivamente stabilite dagli articoli precedenti». L'oggetto dell'incriminazione è chiaro: il bene giuridico tutelato dall'art. 166 cod.pen.mil. di pace deve essere identificato non nel patrimonio, bensì nell'interesse generale al regolare svolgimento del servizio militare, inteso come complesso di attività preordinate all'assolvimento del compito fondamentale della difesa del territorio nazionale (Sez. 1, 03/04/1995, n. 5208; Sez. 1, 16/03/2000, n. 5982). La norma punisce la condotta di ritenzione di munizionamento militare non munito del marchio di rifiuto e/o palesemente dismesso. Ai fini della configurabilità del reato è sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza, da parte del militare, che il munizionamento non ha legittimamente cessato di appartenere al servizio militare. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi a fronte dell'obiettivo rinvenimento presso l'abitazione dell'imputato del munizionamento militare privo del marchio di rifiuto o palesemente dismesso e dell'omessa acquisizione di elementi obiettivi indicativi della cessazione della sua appartenenza al servizio militare. Né può avere rilevanza la circostanza indicata dal ricorrente come la mancata verificazione di ammanchi di munizionamento nei reparti in cui egli aveva prestato servizio: questo, infatti, rappresenta un elemento estraneo alla fattispecie criminosa, poiché irrilevante ai fini della configurabilità del reato contestato (tutt'al più, avrebbe potuto essere significativo ove l'imputazione avesse avuto ad oggetto i diversi delitti di furto e di ricettazione). Inoltre, il reato previsto dall'art. 166 cod.pen.mil. di pace non richiede, ai fini della sua sussistenza, che gli oggetti di armamento militare siano in uso esclusivo alle Forze Armate italiane (Sez. 1, n. 3364 del 13/12/2011, Rv. 251681). Infine, la invocata circostanza del casuale rinvenimento degli oggetti nel corso di escursioni montane sollecita un apprezzamento di merito che non può trovare spazio in questa sede di legittimità: secondo una linea interpretativa in questa Sede da tempo tracciata, che l'esito del giudizio di responsabilità non può certo essere invalidato da prospettazioni alternative, risolventisi in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 22256/2006, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369/2006, Rv. 235507). In definitiva, la linea argomentativa così sviluppata nella sentenza impugnata risulta immune da qualsiasi caduta di conseguenzialità logica, evidenziabile dal testo del provvedimento, mentre il tentativo del ricorrente di prospettare una diversa ricostruzione del fatto si risolve nella prospettazione di una lettura soggettivamente orientata del materiale probatorio, alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito nel tentativo di sollecitare quello di legittimità ad una rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o all'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei medesimi. 2. Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sentenza n. 186 del 2000), al versamento di una somma alla cassa delle ammende, determinabile in 3.000,00 euro, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro Tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 06 giugno 2019.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza