Chiesto l'accertamento del mobbing all'interno dell'Arma.
T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., (ud. 21/09/2018) 04-02-2019, n. 1421
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2174 del 2008, proposto da
S.G., rappresentato e difeso dall'avvocato Stefano Sgadari, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, v.le delle Medaglie D'Oro, 201;
contro
Ministero dell'Interno, Comando Generale Arma Carabinieri, Ministero della Difesa, in persona dei legali rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la condanna
dell'intimata Amministrazione al risarcimento danni per mobbing.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero degli Interni, del Comando Generale Arma Carabinieri e del Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 21 settembre 2018 la dott.ssa Francesca Romano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
1. L'odierno ricorrente, brigadiere capo dell'Arma dei Carabinieri Giuseppe S., entrato in servizio nel 1977, è stato assegnato alla D.I.A. a decorrere dal 1 gennaio 1993.
Dopo aver svolto servizio presso l'Ufficio Ispettivo, il 22 gennaio 1996 è stato impiegato presso l'Ufficio Amministrazione della D.I.A. con l'incarico di "subconsegnatario" dove ha prestato la sua attività professionale fino al luglio 1998, per poi essere nominato subconsegnatario responsabile del medesimo ufficio, svolgendo le relative mansioni ininterrottamente fino al mese di settembre 2006.
Il ricorrente espone che, tuttavia, dal mese di febbraio 2006 al mese di giugno 2007 veniva sottoposto a persistenti comportamenti vessatori da parte del dirigente dell'Ufficio Amministrazione della D.I.A., a suo dire originati dalle segnalazioni che il medesimo ricorrente aveva fatto al dirigente in merito al comportamento violativo dei doveri d'ufficio posto in essere da una propria collaboratrice.
Sicché del tutto inaspettatamente, il dirigente dell'ufficio, con Provv. del 20 settembre 2006, anziché dar corso alle segnalazioni nei confronti della suddetta collaboratrice, disponeva il trasferimento del ricorrente all'ufficio addestramento, con ciò determinando un demansionamento dello stesso che da un incarico di responsabilità passava a svolgere compiti meramente esecutivi, compilando altresì note caratteristiche per l'anno 2006 con un immotivato abbassamento del giudizio complessivo sull'attività svolta.
Tale situazione si ripercuoteva sulle condizioni psicologiche e fisiche del ricorrente, causando un grave stato ansioso- depressivo, che lo portava a subire un periodo di malattia dal mese di febbraio 2006 al giugno 2007, quando veniva diagnosticato un "disturbo dell'adattamento di tipo ansioso", come da certificazioni mediche in atti e da verbale della Commissione medica ospedaliera del Dipartimento Militare di Medicina Legale del 12 giugno 2007 (con diagnosi di "sindrome ansiosa reattiva; ipertensione arteriosa con retinopatia ipertensiva scarsamente controllata dalla terapia").
Nel medesimo arco temporale, il ricorrente riportava anche altre patologie (dorso-lombalgia, ipertensione arteriosa, disturbo dell'adattamento, disturbi del sonno), parimenti documentate in atti.
2. Il ricorrente deduce, quindi, che i fatti come sopra rappresentati abbiano configurato una fattispecie di mobbing causativa di un danno biologico per il periodo da febbraio 2006 a giugno 2007, per lesione dell'integrità psico-fisica accertata in misura del 35%, pari ad Euro 71.913,00; di un danno esistenziale pari ad Euro 25.000; del danno da mancato guadagno a causa della retribuzione inferiore goduta nel suddetto periodo, pari ad Euro 44.000, di un danno all'immagine pari ad Euro 25.000; di una danno da dequalificazione professionale pari ad e 25.000.
Deduce, altresì l'illegittimità del provvedimento di trasferimento per violazione dell'art. 33, co. 5 e 6, L. n. 104 del 1992, avendo un figlio portatore di handicap grave.
3. Con successivo ricorso per motivi aggiunti del 17 luglio 2008 il ricorrente ha censurato il riscontrato comportamento omissivo dell'amministrazione che non avrebbe dato corso ad alcun procedimento di accertamento della malattia professionale per mobbing.
4. All'esito delle udienze pubbliche del 2 febbraio 2018 e del 13 aprile 2018, con ordinanze collegiali n. 1558/2018 e 4537/2018, sono stati chiesti all'amministrazione, non costituitasi in giudizio, documentati chiarimenti sul procedimento per cui è causa.
5. Le resistenti amministrazioni si sono, dunque, costituite in giudizio e in data 6 luglio 2018 hanno depositato documentata memoria sui fatti di causa.
6. Alla pubblica udienza del 21 settembre 2018 la causa è passata, infine, in decisione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
Ancorché prospettate del tutto genericamente, non possono, in via preliminare, essere esaminate le censure di illegittimità mosse avverso il provvedimento di trasferimento ad altro ufficio del 20 settembre 2006, per violazione della L. n. 104 del 1992, perché proposte del tutto tardivamente, essendo stato notificato il presente ricorso in data 22 febbraio 2008.
2. La domanda di accertamento del mobbing asseritamente subito e le conseguenti richieste risarcitorie sono, invece, infondate.
2.1. Ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo, il costante orientamento del giudice della legittimità, al quale si è uniformato l'indirizzo uniforme della stessa giurisprudenza amministrativa, richiede che debbano ricorrere:
"a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico- fisica e/o nella propria dignità;
d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi. (conformi 17 gennaio 2014, n. 898 e 17 febbraio 2009, n. 3785).
Ne consegue che il fenomeno del mobbing, per assumere giuridica rilevanza, implica l'esistenza di plurimi elementi, la cui prova compete al prestatore di lavoro, di natura sia oggettiva che soggettiva e, fra questi, l'emergere di un intento di persecuzione, che non solo deve assistere le singole condotte poste in essere in pregiudizio del dipendente, ma anche comprenderle in un disegno comune e unitario, quale tratto che qualifica la peculiarità del fenomeno sociale e giustifica la tutela della vittima" (così, ex multis, Cass Civ., sez. lavoro, 15 febbraio 2016, n. 2920).
Alla stessa stregua, ribadendo i medesimi principi anche per il mobbing nel pubblico impiego, il Consiglio di Stato ha affermato che:
- la sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall'accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing (Cons. Stato, Sez. III, 14 maggio 2015 n. 2412).
- conseguentemente un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante (Cons. Stato Sez. VI, 16 aprile 2015 n. 1945).
2.2. Facendo applicazione dei suesposti principi al caso di specie, è sufficiente osservare che il comportamento mobbizzante ascrivibile all'ente datoriale non può essere ravvisato nel mero mutamento d'incarico (disposto con Provv. del 20 settembre 2006) ovvero nella predisposizione da parte del dirigente di una nota caratteristica per il 2006 con giudizio complessivo inferiore a quello dei precedenti anni.
Dalla dettagliata relazione depositata in giudizio dalla resistente amministrazione è emerso, d'altra parte, che i fatti per cui è causa hanno portato all'apertura di un procedimento disciplinare a carico del ricorrente in riferimento "ad un fatto gravissimo da parte di un appartenente all'Arma dei Carabinieri" nei confronti di una dipendente dell'Amministrazione Civile del Ministero dell'Interno, conclusosi con l'adozione, in data 5 luglio 2006, nei confronti del militare, della sanzione disciplinare del "rimprovero", ai sensi dell'art.63 R.D.M., per la seguente motivazione: "sovrintendente in servizio presso organismo interforze, assumeva atteggiamenti non sempre, improntati al rispetto delle norme che regolano la civile convivenza, dignità e decoro che sempre debbono confacersi allo status di militare e del grado rivestito, arrecando disdoro al prestigio dell'Istituzione".
In relazione alla suddetta sanzione il sig. S., nel mese di aprile 2007, proponeva il riesame della stessa, ad avverso il suo rigetto, presentava ricorso gerarchico al vice Direttore Amministrativo della DIA che rigettava il ricorso non essendo emersi, nell'atto impugnato, vizi di legittimità o di merito.
Alla luce di questa nuova situazione, in data 27 giugno 2006 il sig. S. presentava un'istanza con la quale chiedeva di essere impiegato presso la Divisione Gabinetto, integrata il 24 luglio successivo con la richiesta, in alternativa, di essere impiegato presso l'Ufficio Addestramento, entrambe allegate in atti.
Il Brigadiere, con una nuova successiva istanza in data 16 agosto 2006, chiedeva, per sopraggiunti motivi personali, la revoca delle due domande di trasferimento.
Il 20 settembre 2006, non venendo accolta l'istanza di revoca, con ordinanza di servizio nr. 1821, veniva disposto l'impiego del militare all'Ufficio Addestramento.
In data 23 maggio 2007 il Brig. S. al termine di un lungo periodo di convalescenza veniva visitato dal Centro Militare di Medicina Legale di Roma e giudicato "idoneo al servizio militare incondizionato", rientrando in servizio all'Ufficio Addestramento.
Con decorrenza 20 agosto 2007, il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, in accoglimento di due apposite istanze, presentate dal ricorrente in data 28 marzo 2007 (domanda di rientro nell'Amministrazione di appartenenza per il successivo trasferimento alla Scuola di Perfezionamento per le FF.PP.) e 28 aprile 2007 (istanza di prenotazione per la stessa sede), ne disponeva il trasferimento al richiesto Istituto di Formazione, in ragione del quale veniva formalizzato il conseguente provvedimento interministeriale di revoca dell'assegnazione alla DIA.
In data 6 ottobre 2007, il Brigadiere presentava altresì ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con il quale chiedeva l'annullamento:
a) della sanzione disciplinare del "rimprovero";
b) dell'ordine di trasferimento presso la Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia di Roma.
Il predetto ricorso veniva respinto, con D.P.R. 12 luglio 2011 su parere n. 04102/09 reso dal Cons. St., sez. II, nell'adunanza del 9 marzo 2011, che ha ravvisato l'inammissibilità del ricorso avverso la sanzione disciplinare e l'infondatezza del ricorso avverso il trasferimento risultando in atti come lo stesso ricorrente avesse richiesto previamente il trasferimento presso l'Ufficio Addestramento, dove poi è stato appunto trasferito.
3. Così opportunamente ricostruito il quadro fattuale, il collegio ritiene che non siano ravvisabili i lamentati comportamenti vessatori in quanto:
- il Provv. del 20 settembre 2006 è stato un mero atto di mobilità interna che ha attuato un cambio di incarico, qualificabile come "ordine", rispetto al quale l'interesse del militare a prestare servizio in una determinata sede assume di norma rilevanza di mero fatto (così, da ultimo, Tar Lazio, I ter, 8 marzo 2018, n. 2683);
- lo stesso ricorrente, come documentato in atti, aveva espressamente richiesto l'assegnazione a quel medesimo incarico, ancorché la richiesta fosse stata, in ultimo, dal medesimo revocata;
- il provvedimento suddetto è stato preceduto da un procedimento disciplinare a carico del ricorrente conclusosi con l'irrogazione della sanzione del rimprovero, peraltro divenuta inoppugnabile;
Nella fattispecie de qua non è pertanto imputabile all'amministrazione alcuna condotta riconducibile al cd. mobbing lavorativo, né, in particolare, con il disposto mutamento d'incarico è stato attuato alcun demansionamento, trattandosi di incarico corrispondente alla qualifica rivestita al momento dal ricorrente e rivestendo il medesimo carattere prettamente amministrativo, al pari di quello precedentemente svolto.
4. La domanda risarcitoria, spiegata nel presente giudizio, risulta dunque del tutto infondata per mancanza di prova, da parte del ricorrente, dell'intento persecutorio che dovrebbe avvincere, in un complessivo ed unitario disegno, le condotte poste in essere dal dirigente responsabile, di tal che, anche a prescindere dalla effettiva rilevanza, sotto il profilo del danno biologico, della lamentata patologia e del nesso eziologico con i riferiti comportamenti, non si rinviene nella specie alcuna condotta illecita ascrivibile all'ente datoriale.
5. In conclusione, per le motivazioni svolte, il ricorso principale deve essere respinto perché infondato e, conseguentemente, lo stesso ricorso per motivi aggiunti, in assenza di alcuna condotta rilevante ai fini dell'obbligo di denuncia da parte del datore di lavoro.
6. Si ravvisano, tuttavia, giustificati motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2018 con l'intervento dei magistrati:
Germana Panzironi, Presidente
Rosa Perna, Consigliere
Francesca Romano, Primo Referendario, Estensore
09-02-2019 21:14
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