E' resistenza a pubblico ufficiale l'atto di avvicinare la sigaretta accesa al carabiniere che sta soccorrendo la persona offesa procurando l'ustione al militare.
Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-02-2019) 25-02-2019, n. 8349
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Presidente -
Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere -
Dott. BORSELLINO Maria D. - rel. Consigliere -
Dott. FILIPPINI Stefano - Consigliere -
Dott. DI PISA Fabio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B.F., NATO A (OMISSIS);
avverso la sentenza del G.I.P. del Tribunale di Torino del 6 settembre 2018;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere BORSELLINO MARIA DANIELA;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANGELILLIS Ciro che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con la sentenza impugnata il G.I.P. del Tribunale di Torino ha applicato al B. la pena concordata tra le parti per i delitti di rapina aggravata in danno della propria madre, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni, commessi il (OMISSIS).
2. Ricorre per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo l'erronea qualificazione giuridica del delitto di resistenza a pubblico ufficiale, con riferimento alla circostanza aggravante dell'uso di arma impropria prevista dall'art. 339 c.p., comma 1, sul rilievo che dalla ricostruzione della vicenda riportata nel verbale di arresto emerge che, mentre il brigadiere soccorreva la persona offesa, veniva raggiunto dall'imputato, il quale avvicinava la sigaretta accesa procurando l'ustione al militare . Il ricorrente ne desume che questa condotta non era finalizzata ad opporsi ad un atto dell'ufficio del militare intervenuto in aiuto della madre dell'imputato.
3. Il ricorso è inammissibile, perchè il motivo è diverso da quelli consentiti.
Il 3 agosto 2017 è entrata - in vigore la L. 23 giugno 2017, n. 103, che, tra l'altro, ha modificato la formulazione dell'art. 448 c.p.p., inserendo dopo il comma 2 il comma 2 bis che recita: "Il pubblico ministero e l'imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e alla illegalità della pena o della misura di sicurezza".
Nel caso in esame deve convenirsi con il Procuratore Generale che il ricorrente lamenta, formalmente, il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all'art. 339 c.p., comma 1, ma poi deduce la presunta mancanza dell'elemento soggettivo del reato di resistenza a pubblico ufficiale, in quanto assume che la condotta dell'imputato non sarebbe stata finalizzata ad opporsi ad un atto dell'ufficio, ma si sarebbe consumata in un momento successivo.
In ogni caso, deve rilevarsi che secondo costante giurisprudenza di questa Corte, l'erronea qualificazione giuridica del fatto può costituire motivo di ricorso per Cassazione solo quando risulti con indiscussa immediatezza palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione o sia frutto di un errore manifesto, mentre gli errori valutativi in diritto che non risultino in modo evidente dal testo del provvedimento impugnato non sono ammissibili in questa sede. Inoltre in altro recente arresto è stato ribadito che la possibilità di ricorso è limitata soltanto ai casi in cui sussiste l'eventualità che l'accordo sulla pena si trasformi in un accordo sui reati e quindi va esclusa ogni qual volta vi siano margini di opinabilità. Nel caso in esame la qualificazione giuridica della condotta ascritta all'imputato, appare del tutto conforme alla ricostruzione della vicenda per come emerge dal verbale di arresto e le eventuali contestazioni in fatto avrebbero dovuto essere avanzate nel giudizio di merito.
3. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e - della somma di Euro 2000 in favore della Cassa delle ammende.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, udienza in camera di consiglio, il 1 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2019
30-03-2019 14:16
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