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Sentenza

Ex carabiniere condannato a risarcire l'Arma con 30.000 euro....
Ex carabiniere condannato a risarcire l'Arma con 30.000 euro.
Corte dei Conti Lombardia Sez. giurisdiz., Sent., (ud. 12-10-2016) 26-10-2018, n. 207


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

la Corte dei conti

sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia

nelle persone dei magistrati:

Silvano Di Salvo - Presidente

Vito Tenore - Giudice

Eugenio Musumeci - Giudice relatore

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio iscritto al n. (...) del registro di segreteria, proposto dalla Procura regionale (nella persona del s.p.g. F.C.) presso questa Sezione giurisdizionale;

contro

R.S., nato a C. (V.) il (...) e residente a L. (M.) in via G. n. 65, codice fiscale (...), non costituito.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. Con atto di citazione depositato presso questa Sezione il 22 aprile 2016 la Procura regionale ha convenuto in giudizio S.R., ex militare dell'Arma dei Carabinieri, in relazione ai danni da lui cagionati a quella P.A. mediante reati di corruzione propria antecedente, accesso abusivo ad un sistema informatico concernente l'ordine pubblico, truffa, sostituzione di persona e rivelazione di segreti d'ufficio (tutti unificati dal vincolo della continuazione) da lui perpetrati tra il 2008 e il 2011 in concorso con terzi. In particolare, secondo quanto desumibile dalla sentenza n. 576/2013 emessa con rito abbreviato dal giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Milano (all. 9 alla citazione attorea, al pari degli altri documenti di sèguito menzionati), il R., all'epoca dei fatti assegnato al Nucleo Operativo e Radiomobile presso il comando di Monza (MB) con il grado di vicebrigadiere:

- aveva ricevuto una complessiva somma di 15.000 Euro da O.P. e G.G. (persone dedite al riciclaggio di denaro proveniente dalla mafia calabrese, nonché all'usura, all'estorsione e alla truffa) quale corrispettivo per atti contrari ai doveri d'ufficio, ossia per fornire a quei due soggetti informazioni riservate, desunte dalla banca dati informatica SDI del Ministero dell'Interno, in merito ad un imprenditore (P.M.) le quali erano state utilizzate dal P. e dal G. per ordire una truffa ai danni di G.L., imprenditore e socio del M. (capo d'imputazione n. 11 della predetta sentenza);

- era acceduto abusivamente alla suddetta banca dati informatica SDI, traendone appunto le informazioni riservate concernenti il M. e fornendole poi al P. e al G., i quali se ne erano poi avvalsi per truffare il L. (capo d'imputazione n. 12);

- aveva perpetrato, sempre in concorso con il P. e il G., un'ulteriore truffa ai danni del L. e di un imprenditore sanmarinese (M.G.), a quest'ultimo riferendo falsamente che il P. fosse un militare della Guardia di Finanza (capo d'imputazione n. 13);

- aveva operato una sostituzione di persona, facendo appunto spacciare il P. per un capitano della Guardia di Finanza, asseritamente rispondente al nome di S.M. (capo d'imputazione n. 15);

- aveva ricevuto dal P., ancora quale corrispettivo per atti contrari ai doveri d'ufficio, ossia per fornire a lui ed al suo complice S.S. informazioni riservate (sempre desumendole dalla predetta banca dati informatica SDI e da un'altra banca dati informatica del Ministero dell'Interno, denominata SIS1) su precedenti penali ed indagini in corso concernenti tre persone (E.S., A.L. e G.M.), somme oscillanti tra i 100 e 150 Euro in ciascuna occasione ovvero dosi di cocaina per uso personale del R. stesso (capo d'imputazione n. 19);

- aveva rivelato al P. e allo S. segreti d'ufficio concernenti l'esistenza di precedenti penali e di indagini in corso sullo S., sul L. e sul M. (capo d'imputazione n. 21);

- aveva perpetrato, sempre in concorso con il P. e con lo S., un tentativo di truffa ai danni del L. e del M. prospettando a costoro la possibilità di interferire su procedimenti penali pendenti a loro carico (capo d'imputazione n. 22);

- era acceduto abusivamente alla predetta banca dati informatica SDI, traendone le informazioni riservate concernenti lo S., il L. ed il M. e fornendole poi al P. e allo S., i quali le avevano poi utilizzate per il su descritto tentativo di truffa ai danni del L. e del M. (capo d'imputazione n. 23).

Di tutti i reati fin qui elencati il R. è stato riconosciuto colpevole con la su menzionata sentenza del tribunale di Milano: venendo quindi condannato alla pena di tre anni di reclusione, nonché alla pena accessoria dell'interdizione quinquennale dai pubblici uffici, e venendo altresì dichiarata l'estinzione del rapporto d'impiego con l'Arma dei Carabinieri. Tale condanna è stata confermata dalla corte d'appello di Milano con sentenza n. 4314/2014 (all. 10), infine divenendo irrevocabile dopoché con sentenza n. 3721/2015 la Corte di cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso del R. (all. 11, depositato integralmente in corso di causa).

Dunque, basandosi su quanto accertato nel giudizio penale secondo cui per la suddetta attività criminosa l'odierno convenuto aveva percepito remunerazioni in denaro complessivamente pari ad almeno 15.000,00 Euro, la Procura regionale ha quantificato nel doppio di quelle utilità il danno all'immagine cagionato all'Arma dei Carabinieri mediante i reati contro la P.A. perpetrati dal R.: a tal fine richiamando sia i parametri oggettivi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, sia la "... ampia diffusione mediatica" dei fatti oggetto del giudizio penale stesso. Inoltre parte attrice ha domandato il risarcimento del danno patrimoniale di 1.245,00 Euro pure arrecato alla P.A. di appartenenza: equivalente al "... costo ... degli adempimenti gravati sull'Arma dei Carabinieri derivanti dall'esecuzione delle ordinanze cautelari di perquisizione e di traduzione in carcere ..." del R. (pag. 24 della citazione).

2. Il R. non si è costituito nell'odierno giudizio: ragion per cui va innanzitutto dichiarata la sua contumacia.

A tal proposito va osservato che la citazione (così come, prima di essa, il prodromico invito a dedurre) è stata notificata al convenuto all'indirizzo di via Giotto n. 65 a Lissone (MB): che costituiva la sua residenza anagrafica, come certificato da quel comune il 3 marzo 2016 (pag. 19 dell'allegato 14). Tale notificazione è stata eseguita il 30 maggio 2016 ai sensi dell'art. 140 c.p.c., con spedizione della c.d. raccomandata informativa l'indomani (pag. 3 dell'avviso di deposito) e conseguente rituale perfezionamento della notificazione il decimo giorno successivo a tale spedizione, cioè il 10 giugno 2016: vale a dire (oltre al periodo di trenta giorni di sospensione feriale dei termini pro tempore vigente) novantatré giorni antecedentemente alla data dell'odierna udienza, con conseguente rispetto del termine di comparizione di novanta giorni ex art. 163-bis c.p.c. tra la data di notificazione dell'atto di citazione e quella dell'udienza di discussione.

3. All'udienza del 12 ottobre 2016 il giudizio è stato discusso esclusivamente dalla Procura regionale, rappresentata dal V.p.g. M.S., che ha concluso riportandosi alla domanda attrice quale già formulata; e quindi è stato trattenuto in decisione.

4. Ferma restando l'efficacia che il giudicato penale riveste nell'odierno giudizio, il R. è assimilabile ad un reo confesso rispetto alla materialità delle condotte criminose a lui ascritte: atteso che già in primo grado il suo difensore di fiducia avv. Gnesi neppure aveva chiesto l'assoluzione nel merito, limitandosi invece ad invocare la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche (rispetto alle contestate aggravanti) ed il contenimento della pena detentiva entro il limite previsto per la sospensione condizionale o, almeno, entro un quantum che potesse poi consentire di accedere ad una misura alternativa alla detenzione (pag. 15 della sentenza). Analogamente pure i motivi di gravame contro tale pronuncia di prime cure hanno riguardato "... il solo trattamento sanzionatorio" (pag. 23 della sentenza d'appello).

Inoltre il primo giudice ha confermato in 15.000,00 Euro l'entità del pretium sceleris specificamente connesso al reato di corruzione di cui al poc'anzi ricordato capo d'imputazione n. 11: in proposito disattendendo, motivatamente, la "... minimizzante ma interessata confessione ..." resa dall'odierno convenuto (pag. 347 della sentenza).

Ad abundantiam deve rilevarsi come la Procura regionale abbia omesso di considerare, per la quantificazione del danno all'immagine, le ulteriori dazioni connesse all'altro reato di corruzione di cui al capo d'imputazione n. 19.

Ancora dalla sentenza penale di primo grado (nella quale vanno dalla pagina 259 alla 347, dalla pagina 357 alla 372 e ancora da pagina 375 alla fine i passaggi riguardanti il R.) risulta come questi abbia ammesso che, allorquando erano sprovvisti di cocaina da fornirgli per uso personale, comunque il P. e gli altri correi erogavano al R. una somma di denaro che gli consentisse di acquistare altrovequella sostanza stupefacente: il che dimostra l'assenza di alcuna differenza sostanziale tra la "remunerazione" in denaro e quella in natura, cioè sotto forma di droga, percepita dal convenuto.

5. Non soltanto queste ultime considerazioni concorrono a render condivisibile la quantificazione del danno all'immagine prospettata dalla Procura attrice; ma anche l'obiettiva rilevanza del comando territoriale a cui era assegnato il R., la risonanza nazionale insita in reati di accesso abusivo a banche dati informatiche del Ministero dell'Interno e la perpetrazione di reati unificati a quelli contro la P.A. dal vincolo della continuazione.

Pertanto, ancorché l'arco temporale interessato dalla condotta criminosa del R. sia antecedente alla novella di cui alla L. n. 190 del 2012, per quel capitolo di danno non patrimoniale appare comunque congruo commisurare il risarcimento in favore dell'Arma dei Carabinieri alla misura (attuale) di 30.000,00 Euro invocata dalla Procura attrice: con l'aggiunta degli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino a quella di effettivo soddisfo.

6. Va invece rigettata la pretesa attorea concernente il danno patrimoniale: perché, nel momento in cui il comma 1 dell'art. 692 c.p.p. dispone che a carico del "... condannato a pena detentiva per il reato per il quale egli stesso sia stato ... sottoposto a custodia cautelare ..." vengano "... poste le spese per il mantenimento durante il periodo di custodia", a contrario vanno reputate non rimborsabili le spese sostenute dall'organo di polizia giudiziaria a cui sia stata demandata l'esecuzione della misura custodiale stessa.

Peraltro, secondo quanto evincibile dall'epigrafe della sentenza penale di primo grado, la custodia cautelare in carcere era stata applicata al R. dal 1 marzo all'11 maggio 2012 (e poi tramutata, fino all'8 ottobre di quello stesso anno, negli arresti domiciliari): con conseguente sua condanna al rimborso delle relative spese di mantenimento, emessa dal giudice penale ai sensi del comma 3 dell'art. 535 c.p.p..

7. Infine la condanna del R. trae con sé quella al pagamento delle spese di giustizia, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, definitivamente pronunciando in merito al giudizio n. 28501 e previa declaratoria di contumacia di S.R.:

1) condanna il R. a risarcire all'Arma dei Carabinieri il danno all'immagine di 30.000,00 (trentamila/00) Euro da lui cagionato per il fatto descritto nell'atto di citazione introduttivo del suddetto giudizio, con l'aggiunta degli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza fino a quella di effettivo soddisfo di tale obbligazione risarcitoria;

2) pone a carico del R. le spese di giustizia, liquidate in Euro 428,25 (quattrocentoventotto/25)

Così deciso a Milano nella camera di consiglio del 12 ottobre 2016.

Depositata in Cancelleria il 26 ottobre 2018.
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Avv. Antonino Sugamele

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