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Sentenza

Il diritto di mentire dell'imputato vale nell'ambito militare? Nell’ambito del r...
Il diritto di mentire dell'imputato vale nell'ambito militare? Nell’ambito del rapporto di subordinazione gerarchica e alla luce degli specifici doveri che ne derivano, a tutela di un particolare interesse pubblico, non esiste per il militare il diritto di mentire; per le stesse ragioni, il principio nemo tenetur se detegere vale a escludere la responsabilità penale, non quella disciplinare, tenuto conto delle particolari esigenze di disciplina che caratterizzano i corpi militari”.
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3679 del 2017, proposto da
A.C., rappresentato e difeso dall'avvocato Gianfranco Polinari, con domicilio eletto presso lo studio Gianfranco Polinai in Roma, viale Giulio Cesare 118;

contro

Ministero della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento, previa sospensiva

della determina n. M_D GMIL Reg 2017 0058663 del 25.01.2017 notificata il

6.2.2017 con la quale il Carabiniere Scelto A.C., sospeso

precauzionalmente dal servizio a titolo facoltativo era disposta dal 31.5.2016, ai

soli fini giuridici, la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi

disciplinari e per l'effetto lo stesso cessa dal servizio permanente e viene iscritto

d'ufficio al ruolo dei militari di truppa dell'Esercito Italiano senza alcun grado.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa e di Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2018 il dott. Roberto Vitanza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il ricorrente, al tempo dei fatti era un carabiniere scelto in servizio presso la caserma di Roma Garbatella.

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, indagava il predetto, oltre ad altri militari ed alcuni pregiudicati, per aver acquisito e commercializzato ingenti quantitativi di stupefacente.

In particolare il ricorrente veniva accusato di essersi impossessato di somme di denaro rinvenute nel corso di operazioni di polizia e per aver ceduto a terzi a fine di profitto della sostanza stupefacente entrata nella sua disponibilità.

Il predetto, dopo la notifica dell'avviso di garanzia, veniva trasferito di sede e, successivamente, sospeso precauzionalmente dal servizio (dell'art.917 c. 2 D. L.vo n.66 del 2010).

Quindi il ricorrente veniva deferito alla apposita commissione di disciplina.

Al termine del procedimento disciplinare il predetto, con il provvedimento in questa sede impugnato, veniva sanzionato con la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.

Avverso tale determinazione il predetto reagiva con ricorso giurisdizionale, affidato a tre motivi di gravame e contestuale istanza cautelare.

Alla camera di consiglio del giorno 22 maggio 2017 il Collegio, con ordinanza n. 6096/17, ha ordinato incombenti istruttori.

La p.a. ha assolto l'indicato onere nei termini indicati.

Alla camera di consiglio del giorno 13 luglio 2017 il Collegio, con ordinanza n. 3579/17 respingeva la chiesta misura cautelare.

La parte proponeva appello.

Il Consiglio di Stato con ordinanza n. disponeva la sola trattazione anticipata del merito del ricorso.

All'udienza del giorno 7 maggio 2018 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

Con il primo motivo di gravame la parte censura la carenza di motivazione del provvedimento contestato.

Sostiene il ricorrente che non vi è traccia della istruttoria disciplinare, ma solo del dispositivo della sanzione.

Inoltre il ricorrente eccepiva che, essendo il procedimento penale ancora in corso, non potevano utilizzarsi le conseguenti risultanze istruttorie che, oltretutto, escludevano ogni responsabilità del ricorrente.

Tale censura è infondata.

Risulta dagli atti di causa che la parte resistente ha provveduto alla prevista inchiesta formale nei termini e con le formalità normativamente previste e che il ricorrente si è rifiutato di presentare scritti difensivi.

Quanto al difetto di motivazione eccepito dal ricorrente, è appena il caso di osservare come tale rilievo risulta smentito per tabulas, avendo la p.a. provveduto in modo analitico a rappresentare le ragioni di fatto e di diritto del provvedimento assunto.

Con il secondo motivo di gravame la parte eccepisce la mancata osservanza della pregiudiziale penale come indicato nelle circolari ministeriali del 26 agosto 2015 e 18 gennaio 2016 che statuiscono la sospensione del procedimento disciplinare in attesa degli esiti del procedimento penale presupposto.

Nella sua nuova formulazione (D.L.26 aprile 2016, n. 91 ) l'art. 1393 del D.L. n.66/2010, applicabile alla presente vicenda ratione temporis ( l'attivazione dell'inchiesta formale porta la data 7 luglio 2016), recita : “Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all'articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all'articolo 1357, l'autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al militare ovvero qualora, all'esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale. Il procedimento disciplinare non è comunque promosso e se già iniziato è sospeso fino alla data in cui l'Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio. Rimane salva la possibilità di adottare la sospensione precauzionale dall'impiego di cui all'articolo 916, in caso di sospensione o mancato avvio del procedimento disciplinare”.

Ora, la mera lettura della riportata norma, evidenzia come la pregiudiziale penale afferisca a situazioni estranee al procedimento disciplinare attivato dalla resistente e che le prove a carico del ricorrente risultano proprio dalla ordinanza che ha disposto la custodia cautelare in carcere a carico di due dei conconcorrenti ed utilizzata nel procedimento disciplinare.

Infine, con il terzo motivo di ricorso la parte contesta le condotte addebitate perché “le intercettazioni ambientali e telefoniche assunte non evocano alcuna partecipazione di questo ad attività delittuose…”.

Anche tale motivo non può essere condiviso proprio alla luce della trascrizione di una intercettazione telefonica, riportata nella ordinanza di custodia in carcere del carabiniere C.M. e di B.D. ( p. 64 degli atti).

Infatti, il militare riferisce all'interlocutore B.D. che, in servizio di pattuglia con il ricorrente, quest'ultimo si era accorto di uno scambio di sostanza stupefacente ed era intervenuto proprio nel mentre avveniva uno scambio di una dose di cocaina, rinvenendone, poi, altre cinque nella disponibilità dello spacciatore.

Si evince dalla telefonata che tale stupefacente era stato illecitamente trattenuto dai predetti.

Sempre il C. nella medesima telefonata segnalava all'interlocutore che aveva dovuto redarguire pesantemente il ricorrente che, la sera prima, voleva parlare dell'episodio sopra descritto.

Or bene, anche se tale episodio, è stato riferito de relato nel corso di una intercettazione telefonica, era onere della parte ricorrente contestare la veridicità dell'assunto anche attraverso la testimonianza del C. nel procedimento disciplinare.

Tale evenienza procedimentale, attesa la pubblicità della ordinanza cautelare, era, non solo ammissibile, ma costituiva un preciso onere dell'incolpato.

Come emerge dagli atti di causa la parte ricorrente non ha inteso presentare alcuna memoria difensiva, né ha chiesto ulteriori adempimenti istruttori.

Se tale comportamento omissivo è legittimo nel contesto processual penale, invero nell'ambito dell'azione amministrativa esso assume una valenza negativa che conferma l'assunto accusatorio.

Né, al riguardo, si può condividere la tesi difensiva avanzata dal ricorrente secondo cui :” Anche in questo caso non sussistendo addebito non si comprende quali difese e quali eccezioni avrebbe potuto formulare se non vi era alcun elemento a suo carico”.

E' sufficiente al riguardo segnalare che la trascrizione telefonica sopra riportata ed utilizzata nella motivazione del provvedimento cautelare in carcere a carico del C., in cui, come già detto, questi confessa un grave fatto reato commesso da entrambi.

Ebbene, è questa la condotta imputata al ricorrente e nei confronti di tale accusa che il predetto aveva l'obbligo di difendersi, anche quando le dichiarazioni risultino contrarie al proprio interesse.

Insegna la giurisprudenza : “il particolare status di militare e l'intensità del vincolo gerarchico che connota il rapporto di servizio non consentono di escludere, come si verifica nella generalità dei rapporti di lavoro subordinato, che l'incolpato abbia il dovere di rendere dichiarazioni idonee a fornire la prova della sua responsabilità, dovendosi viceversa ritenere che, in tale particolare contesto, siano esigibili dichiarazioni "autoindizianti" dal dipendente incolpato in sede disciplinare” (T.A.R. Piemonte, Sez. 1°, 29 gennaio 2010, n. 461).

Sul punto il Consiglio di Stato ha ribadito che : “nell'ambito del rapporto di subordinazione gerarchica e alla luce degli specifici doveri che ne derivano, a tutela di un particolare interesse pubblico, non esiste per il militare il diritto di mentire; per le stesse ragioni, il principio nemo tenetur se detegere vale a escludere la responsabilità penale, non quella disciplinare, tenuto conto delle particolari esigenze di disciplina che caratterizzano i corpi militari” ( Cons. St., Sez.IV, 3 novembre 2015, n. 4999).

Per tali ragioni il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che a mente del D.M. n. 55/2014 complessivamente quantifica in euro 1.500,00 ( millecinquecento), oltre IVA, CPA e spese generali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Concetta Anastasi, Presidente

Antonella Mangia, Consigliere

Roberto Vitanza, Primo Referendario, Estensore

 		
 		
L'ESTENSORE		IL PRESIDENTE
Roberto Vitanza		Concetta Anastasi
 		
 		
 		
 		
 		

IL SEGRETARIO
Avv. Antonino Sugamele

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