Perdita del grado. Iscrizione d'ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell'Esercito Italiano, senza alcun grado. Ma il procedimento disciplinare viene iniziato dopo 2 anni dalla irrevocabilità della sentenza di condanna.
T.A.R. Puglia Bari Sez. I, Sent., (ud. 06-03-2019) 21-03-2019, n. 426
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 404 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonino Galletti, domiciliato ex lege presso la Segreteria del T.A.R. Puglia in Bari, piazza Massari, n.6;
contro
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliato ex lege presso i suoi uffici in Bari, via Melo, n.97;
per l'annullamento, previa sospensiva:
(chiesto con il ricorso principale)
- del decreto (prot. (...)) del Ministero della Difesa - Direzione Generale per il personale militare - Direttore della terza divisione, datato 23.12.2015 e notificato il 20.1.2016, con cui è stato disposto "a decorrere dal 29 maggio 2003, la perdita del grado ai sensi degli articoli 866, comma primo e 923, comma quinto del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66" e, per l'effetto, che "il predetto militare viene iscritto d'ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell'Esercito Italiano, senza alcun grado, ai sensi dell'art. 861, comma quarto del richiamato decreto legislativo";
-nonché di ogni altro atto o provvedimento, antecedente o conseguenziale, comunque connesso;
chiesto con motivi aggiunti:
-del decreto (prot. (...)) del Ministero della Difesa - Direzione Generale per il personale militare, datato 12.6.2018 e notificato il 21.6.2018, con cui è stata disposta nuovamente "a decorrere dal 29 maggio 2003, la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari ai sensi degli articoli 861, comma primo, lettera d) e 923, comma quinto del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66" e, per l'effetto, che "il predetto militare viene iscritto d'ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell'Esercito italiano, senza alcun grado, ai sensi dell'art. 861, comma quarto del richiamato decreto legislativo", nonché
-di ogni altro atto o provvedimento, antecedente o consequenziale, comunque, connesso con i provvedimenti impugnati e lesivo degli interessi del ricorrente, nonché ivi incluse ove occorra "le risultanze della Commissione di Disciplina che, nella seduta del 7 aprile 2018, lo riteneva "non meritevole di conservare il grado".
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 marzo 2019 la dott.ssa Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Giova premettere, in punto di fatto, per una migliore comprensione della vicenda che ha condotto ai ricorsi in questa sede scrutinati, che il Tribunale di Bari, con sentenza n. 68/2005, condannava l'odierno ricorrente, all'epoca dei fatti-OMISSIS-, alla pena di quattro anni di reclusione, comminando, altresì, la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici.
Con sentenza n. 3669/2013 - divenuta irrevocabile il 2.5.2014 -, la Corte di Appello di Bari confermava la sentenza di primo grado, riducendo, tuttavia, la pena a tre anni e otto mesi di reclusione, risultando alcuni reati ormai estinti per prescrizione.
In conseguenza della inflitta condanna, con decreto n. (...) del 23.12.2015, il Ministero della Difesa-Direzione Generale per il Personale Militare (da ora, Direzione Generale) adottava, nei confronti del militare, il provvedimento di "perdita del grado", ai sensi del combinato disposto degli artt. 866 co. 1 e 923 co. 5 del D.Lgs. n. 66 del 2010, disponendo, per l'effetto, la sua iscrizione d'ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell'Esercito Italiano, senza alcun grado, ai sensi dell'art. 861 del citato decreto, a decorrere dal 29.5.2003 (data di cessazione del servizio a seguito del collocamento in congedo del ricorrente).
Intervenuta la sentenza n. 268/2016 della Corte Costituzionale (che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 866, co. 1, 867, co. 3 e 923, co. 1 lett. i) del D.Lgs. n. 66 del 2010, nella parte in cui prevedono, senza l'instaurazione di un procedimento disciplinare, l'automatica sanzione disciplinare della perdita del grado, conseguente alla condanna definitiva che abbia comportato la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici), la Direzione Generale, con decreto n. M_DGMIL_REG2017 0592266 del 31.10.2017, disponeva l'annullamento - ex art. 21 nonies, L. n. 241 del 1990 - del decreto n. (...) (provvedimento impugnato dall'odierno ricorrente con il ricorso principale), reintegrando il militare del grado posseduto all'atto della sua destituzione e riammettendolo in servizio.
Parallelamente, l'Amministrazione, in virtù di quanto disposto dalla già indicata sentenza della Corte Costituzionale, avviava il prescritto procedimento disciplinare, comunicando al ricorrente, in data 19.12.2017, l'avvio di un'inchiesta formale nei suoi confronti, per valutare le eventuali responsabilità disciplinari, derivanti dalle condotte già sanzionate penalmente.
A seguito dell'istruttoria, la Direzione Generale, con decreto n. M_DGMIL_REG2018 0336919 del 12.6.2018, disponeva nuovamente la "perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari" e l'iscrizione d'ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell'Esercito italiano, senza alcun grado, confermando e reiterando la sanzione precedentemente irrogata.
Con il ricorso introduttivo l'odierno ricorrente impugna il decreto n. (...) (il primo con il quale la Direzione Generale ha comminato la perdita del grado).
Reclamando l'annullamento del suddetto provvedimento, parte ricorrente ha adito questo Tribunale, deducendo, con il ricorso principale - questo in estrema e doverosa sintesi il contenuto delle doglianze -, da un lato l'omessa instaurazione di un preventivo procedimento disciplinare e, conseguentemente, la sua mancata conclusione nei termini prescritti dall'art. 1392, co. 1 e 3, del D.Lgs. n. 66 del 2010; dall'altro, la carente e insufficiente motivazione del provvedimento impugnato, che non avrebbe tenuto conto del trentennale e onorato servizio condotto dal ricorrente nell'Arma.
Con ricorso per motivi aggiunti, il ricorrente impugna, altresì, il secondo decreto con cui è stata confermata la sanzione disciplinare già inflitta, riproponendo, contro lo stesso, omologhe censure di tardività dell'azione disciplinare e di sproporzione tra la sanzione espulsiva e la condotta sanzionata.
L'Amministrazione, costituendosi in giudizio in occasione del ricorso principale ha difeso il proprio operato, evidenziando l'automatismo tra l'applicazione della sanzione disciplinare e la condanna definitiva con irrogazione della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici.
In relazione al ricorso per motivi aggiunti, con produzione depositata dopo l'udienza cautelare del 25.7.2018, il Ministero ha ribadito la correttezza delle determinazioni assunte, evidenziando, da un lato, il rispetto, da parte dell'Amministrazione, di tutti i termini perentori per l'emanazione del provvedimento impugnato, dall'altro, la sussistenza del nesso di proporzionalità, alla luce della grave condotta del ricorrente.
Si omette, in questa sede, per esigenze di sintesi, l'esposizione della parallela vicenda processuale relativa al connesso giudizio pensionistico che pure il ricorrente ha sottoposto, in punto di fatto, all'attenzione del Collegio, non risultando essenziale ai fini del decidere.
La fase cautelare si è conclusa con la reiezione della domanda formulata in relazione al ricorso principale (ordinanza n. 329/2016) e l'accoglimento di quella formulata in relazione al ricorso per motivi aggiunti (con ordinanza n. 287/2018, rimasta inappellata).
All'udienza pubblica del 6.3.2018, la causa è stata definitivamente trattenuta in decisione.
Preliminarmente, va dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione al ricorso introduttivo, atteso che il provvedimento con esso impugnato è stato annullato in autotutela dall'Amministrazione resistente.
Il ricorso per motivi aggiunti è fondato nei limiti di seguito indicati.
Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta, anzitutto, la tardività del provvedimento disciplinare per violazione del termine perentorio di 270 (duecentosettanta) giorni previsto dall'art.1392, co 3, D.Lgs. n. 66 del 2010, per concluderlo, deducendone, conseguentemente, la tardività anche per violazione del termine di 90 (novanta) giorni per l'avvio del procedimento disciplinare (ex art. 1373 D.Lgs. n. 66 del 2010).
Egli lamenta che, il procedimento disciplinare, doveva essere concluso entro 270 (duecentosettanta) giorni decorrenti dal provvedimento giudiziario conclusivo del giudizio penale (18.12.2013) ovvero dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di appello (2.5.2014) o, al più, dalla data della decisione della Corte Costituzionale n.268/2016 (pubblicata in data 15.12.2016).
Alla luce di quanto detto, evidenzia che la Direzione Generale aveva adottato il primo provvedimento sanzionatorio con un ritardo di oltre 2 (due) anni dalla pronuncia di condanna irrevocabile ed il provvedimento disciplinare impugnato con i motivi aggiunti, dopo 4 (quattro) anni dalla stessa (ossia in data 12.6.2018).
Sostiene, altresì, che, seppure l'art. 1373 D.Lgs. n. 66 del 2010 (rubricato "Rinnovazione del procedimento disciplinare") contempli che "Annullati uno o più atti del procedimento disciplinare a seguito di autotutela, anche contenziosa, di giudicato amministrativo ovvero di decreto decisorio di ricorso straordinario, se non è esclusa la facoltà dell'amministrazione di rinnovare in tutto o in parte il procedimento e non sono già decorsi, limitatamente alle sanzioni di stato, gli originari termini perentori, il nuovo procedimento riprende, a partire dal primo degli atti annullati, nel termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto piena conoscenza dell'annullamento o dalla data di adozione del provvedimento di autotutela.", questo trovi, comunque, un limite, contrariamente a quanto sostenuto da parte resistente, nei termini perentori, sopra riportati, previsti dall'art. 1392 del decreto medesimo.
La doglianza è fondata, sia pure con le precisazioni di seguito indicate, dovendosi appuntare gli elementi motivazionali solo sulla tempestività o meno del secondo provvedimento (quello impugnato con motivi aggiunti), risultando ogni questione relativa alla tardività del primo del tutto superflua, in considerazione del suo annullamento in autotutela.
L'art. 1392, co 3, cit così recita "3. Il procedimento disciplinare di stato, instaurato a seguito di giudizio penale, deve concludersi entro 270 giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione."
E' pacifica ed incontestabile la natura perentoria di suddetto termine.
E' parimenti incontestabile che l'Amministrazione militare abbia avuto notizia dell'irrevocabilità della sentenza di appello in data anteriore al 28.12.2015 (data di adozione del primo decreto con cui è stata irrogata la sanzione della perdita del grado).
Pertanto, senz'altro in tale data può individuarsi il dies a quo di decorrenza del termine perentorio dei 270 giorni per l'adozione del provvedimento disciplinare.
Il provvedimento impugnato con motivi aggiunti è stato adottato in data 12.6.2018, sicchè del termine sopraindicato, a tale data, non può che rilevarsi l'intervenuto decorso, essendo esso spirato irrimediabilmente.
Né vale rilevare, come fatto dall'Amministrazione con la propria relazione depositata telematicamente in data 20.11.2018, che "ai sensi dell'art. 1373 del Codice dell'Ordinamento Militare, il dies a quo per esercitare l'azione disciplinare deve identificarsi nel 31 ottobre 2017, data di annullamento in autotutela del primo atto destitutorio (citato Allegato 8), dalla quale decorre il "termine perentorio di sessanta giorni" per "riprendere" il procedimento disciplinare. In tale contesto, anche il provvedimento finale, adottato il 12 giugno 2018 (citato Allegato 17), rispetta il termine di 270 giorni previsto dall'art. 1392 del suddetto Codice. La Decretazione Dirigenziale impugnata è stata emessa, dunque, entro i termini previsti dalla citata norma e la successiva fase di notifica del provvedimento non è necessaria per il perfezionamento dell'atto (Consiglio di Stato Sezione Quinta, 15 settembre 2010, n. 6876; id. 30 giugno 2010, n. 4163; Sezione Quarta, 2 novembre 2012, n. 5582).".
Erroneamente, infatti, l'Amministrazione individua il dies a quo per l'adozione del provvedimento conclusivo nel 31.10.2017 (data di annullamento in autotutela del primo decreto destitutorio).
Il disposto dell'art. 1392 cit, infatti, non lascia adito a dubbi, fissando tale termine nella data di conoscenza (e non di adozione o di irrevocabilità, come sostenuto dal ricorrente) "della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili", senza deroga alcuna.
Sulla scorta di tali ragioni, il provvedimento impugnato con motivi aggiunti va annullato, risultando assorbita l'ulteriore censura.
Le spese, in ragione della particolarità in fatto dell'intera vicenda, nonché in considerazione del suo complessivo andamento processuale, vengono integralmente compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, dichiara cessata la materia del contendere in relazione al ricorso principale.
Accoglie il ricorso per motivi aggiunti e per l'effetto annulla il decreto prot. (...) del Ministero della Difesa - Direzione Generale per il personale militare, datato 12.6.2018.
Spese integralmente compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2019 con l'intervento dei magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Desirèe Zonno, Consigliere, Estensore
Angelo Fanizza, Primo Referendario
02-04-2019 04:31
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