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Sentenza

Primo Maresciallo dell'Aeronautica Militare accusato di truffa militare aggravat...
Primo Maresciallo dell'Aeronautica Militare accusato di truffa militare aggravata continuata: avrebbe manipolazione dei dati informatici per ottenere somme a titolo di straordinario mai effettuato.
Cassazione Penale Sent. Sez. 1   Num. 42068  Anno 2019 Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIARelatore: TALERICO PALMAData Udienza: 18/07/2019
SENTENZA sul ricorso proposto da: M.M. nato a G.D.P. il .......... avverso la sentenza del 28/11/2018 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere PALMA TALERICO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore BLOCK Maurizio che ha concluso chiedendo la conferma della sentenza di secondo grado rigettando il ricorso con condanna alle spese. udito il difensore avv. Enrico Antonio Cleopazzo che illustra le argomentazioni difensive insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso. 
RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 28 novembre 2018, la Corte di appello militare confermava la pronuncia resa dal Tribunale militare di Verona in data 30.11.2017, con la quale Ma.M., Primo Maresciallo dell'Aeronautica Militare, in servizio presso il Reparto Supporto Servizi Generali di Poggio Renatico, era stato riconosciuto responsabile del reato al medesimo ascritto di truffa militare aggravata continuata,ai sensi degli artt. 81 cpv. cod. pen., 234, commi 1 e 2,e 47 n. 2 cod. pen. mil. pace e, conseguentemente, condannato - unificati i singoli episodi sotto il vincolo della continuazione, concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle ritenute aggravanti - alla pena di anni uno, mesi due di reclusione militare e alla rimozione del grado, con concessione dei doppi benefici di legge. Rigettata, preliminarmente, la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, tendente a ottenere l'espletamento di una perizia avente a oggetto l'esame tecnico dei dati e dei tabulati acquisiti, nonché la nuova escussione del teste F., la Corte militare condivideva il giudizio del Tribunale, che aveva ritenuto provato l'assunto accusatorio secondo cui il M., nella indicata qualità, nel periodo dal gennaio 2012 al 31 marzo 2016, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, aveva indotto in errore il proprio reparto, ponendo in essere artifici e raggiri consistiti nel far risultare, attraverso la manipolazione dei dati inseriti nel sistema informatizzato, ore di lavoro straordinario e ore utili alla fruizione di permessi orari e di compensi forfettari di impiego, in realtà mai effettuate, così conseguendo un ingiusto profitto con correlativo danno per l'Amministrazione militare nella misura complessiva di 6.220,68 euro. 2. Avverso detta sentenza il difensore di fiducia del M., avvocato Enrico Antonio Cleopazzo, ha proposto ricorso per cassazione, formulando tre motivi di impugnazione. 2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto che la pronuncia impugnata è viziata, ai sensi dell'artt. 606, lett. d), cod. proc. pen., per mancata assunzione di una prova decisiva, nonché, ai sensi dell'art. 606,Iett. e) cod. proc. pen., per contraddittorietà della motivazione. Ha, in proposito, sostenuto che l'argomentare della Corte militare posto a sostegno della decisione,  con cui è stata rigettata la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale tendente a ottenere una nuova escussione del teste F. (il quale, dopo essere stato sentito, aveva ricordato l'episodio in cui erano state riscontrate delle discordanze nei dati registrati dal sistema informatico relativo al colonnello M.), non può essere condiviso, sia perché il F. aveva riferito di due episodi (episodio colonnello B. ed episodio colonnello M.), mentre i testi D.S. e V.avevano riferito di un unico episodio (cioè quello del comandante B.); sia perché la Corte militare aveva affermato, in maniera contraddittoria e apodittica, che si era trattato di un malfunzionamento del sistema sol perché il teste D.S. aveva riferito che "probabilmente" la discordanza era derivata da un errore umano. 2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto che la pronuncia impugnata è viziata, ai sensi dell'art. 606, lett. e) cod. proc. pen., per contraddittorietà della motivazione rispetto ai dati informatici risultanti per tabulas. Secondo il ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata è contraria al dato testuale emergente dai tabulati che riportano svariate centinaia di operazioni attraverso cui risultano modificati, innumerevoli volte e in brevissimo tempo, i dati delle presenze Oh, singole giornate lavorative ieffettuate in pochi secondi; la giustificazione svolta in sentenza sul punto (c.d. "scarica dei dati") non è convincente e riposa su valutazioni provenienti da soggetti privi di competenze tecniche (testi V. e D.S.); altrettanto contraddittoria è la motivazione in relazione alle operazioni sulle schede risalenti, laddove è stato affermato che "non può escludersi che in taluni casi, nell'intento di effettuare rapidamente le modifiche, gli operatori possano avere omesso di compiere tutti i passaggi riuscendo comunque a compiere le predette operazioni", senza alcuna spiegazione sul come ciò fosse realmente accaduto; infine, la motivazione in ordine alla segnalata impossibilità per il M. di effettuare le abusive modifiche dei dati relativamente allo statino del mese di marzo 2016 non è logica e, peraltro, in contrasto con i riferimenti dei testi V., D'A. e C.. 2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto che la pronuncia impugnata è viziata, ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 533 cod. proc. pen. in relazione al principio del ragionevole dubbio. Ha, al riguardo, sostenuto che, non essendo stata espletata una perizia tecnica, non è stato raggiunto un quadro probatorio sufficientemente coerente e solido tale da superare il ragionevole dubbio. 
CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso - con cui la difesa dell'imputato lamenta .la mancata la violazione dell'articolo 606, lettera d), cod. proc. pen., per mancata assunzione di una prova decisiva, è inammissibile. La mancata assunzione di una prova decisiva - quale motivo di impugnazione per cassazione - può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495, comma 2, cod. proc. pen.:e, dunque, il motivo non può essere validamente invocato nel caso di specie,in cui la Corte territoriale ha rigettato la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale al fine di procedere all'espletamento di una perizia avente a oggetto l'esame tecnico dei dati e dei tabulati acquisiti, nonché alla nuova escussione del teste F,, già escusso in sede di istruttoria dibattimentale. Il motivo è, altresì, inammissibile, perché manifestamente infondato, anche nella parte in cui il ricorrente censura la decisione della Corte di appello militare, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e),cod. proc. pen., per contraddittorietà della motivazione. E infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, "la rinnovazione del dibattimento in appello è istituto di carattere eccezionale perché in tale grado di giudizio deve presumersi che l'indagine istruttoria sia ormai completa. Pertanto non basta la ipotetica attitudine dei mezzi di prova richiesti ad influire sulla decisione del punto controverso per obbligare il giudice di secondo grado a disporre la richiesta rinnovazione, occorrendo invece che il giudice ritenga di non potere decidere allo stato degli atti. Ne deriva che detta rinnovazione del dibattimento costituisce esercizio di potere discrezionale del giudice dell'impugnazione, il cui giudizio al riguardo è sottratto al sindacato di legittimità, se adeguatamente motivato" (Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, Rv. 203574; Sez. 2, n. 41808 del 27/09/2013, Mongiardo, Rv. 256968; Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, Ferrara, Rv. 256228; Sez. 2, n. 3458 del 01/12/2005, dep. 2006, Di Gloria, Rv. 233391; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, Rv 266820). Ebbene, nella specie, i giudici della Corte di appello militare hanno chiarito, con argomenti logico - giuridici corretti, le ragioni per cui hanno ritenuto di non dovere disporre la chiesta rinnovazione del dibattimento. In particolare, hanno spiegato che tutte le circostanze addotte nell'appello a sostegno della richiesta di espletamento di una perizia tecnica si sono rilevate inidonee a contrastare la ricostruzione accusatoria, alla luce delle prove documentali e testimoniali, sulla scorta delle quali si deve escludere che le discrasie siano imputabili ad anomalie dell'applicativo informatico. Trattasi di motivazione assolutamente logica che resiste alle doglianze difensive. Parimenti, con argomentare congruo e adeguato, i giudici di merito hanno spiegato che sull'episodio riguardante il Comandante M. in relazione al quale era stato richiesto un nuovo esame del F., già escusso in primo grado, avevano reso dichiarazioni anche il capitano D.S. e il Primo Aviere Capo V., sicché la nuova audizione del F. era del tutto superflua alla stregua di tutte le risultanze probatorie e considerato che da detto episodio non era possibile in alcun modo desumere la presenza di anomalie di funzionamento del sistema applicativo Perseo. 
2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso. Al di là dei vizi denunciati, il ricorrente invoca, in realtà, una riconsiderazione alternativa del compendio probatorio, con riguardo all'affermazione di penale responsabilità. Invero, con detti motivi non vengono sollevate censure che attingono il percorso argomentativo sviluppato dalla Corte di appello militare, ma ci si duole della mancata valorizzazione di determinati elementi di fatto, omettendo di confrontarsi con il percorso argomentativo sviluppato dai giudici di merito. E' stato da tempo chiarito che non è consentito alle parti dedurre censure che riguardano la selezione delle prove effettuata da parte del giudice di merito. A tale approdo, si perviene considerando che, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1004 del 30.11.1999, Rv. 215745; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 21.12.1993, Rv. 196955). Come già sopra si è considerato, secondo la comune interpretazione giurisprudenziale, l'art. 606 cod. proc. pen. non consente alla Corte di Cassazione una diversa "lettura" dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. E questa interpretazione non risulta superata in ragione delle modifiche apportate all'art. 606, comma primo lett. e),cod. proc. pen. ad  opera della Legge n. 46 del 2006; ciò in quanto la selezione delle prove resta attribuita in via esclusiva al giudice del merito e permane il divieto di accesso agli atti istruttori, quale conseguenza dei limiti posti all'ambito di cognizione della Corte di Cassazione. Ebbene, si deve in questa sede ribadire l'insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, per condivise ragioni, in base al quale si è rilevato che nessuna prova, in realtà, ha un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; che occorre necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile; che il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito e che il giudice di legittimità non può ad esso sostituirsi sulla base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per cassazione (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16959 del 12.4.2006, Rv. 233464). E preme evidenziare che la Corte di appello - dopo avere descritto le modalità di funzionamento del sistema applicativo di rilevazione, acquisizione, elaborazione e trasmissione dei dati necessari per la contabilizzazione e la liquidazione delle spettanze mensili di ciascun militare, alla stregua delle testimonianze assunte - ha messo in evidenza che dalle emergenze processuali era risultato che: le verifiche compiute, nell'ambito dell'inchiesta amministrativa, a seguito della segnalazione di anomalie riscontrate dal sergente Aquilino relativamente aservizio svolto dal M.i, avevano consentito di accertare la costante difformità tra i modelli M cartacei sottoscritti dall'imputato e gli allegati O, i cui dati si presentavano, invece, corrispondenti a quanto indicato nei modelli M archiviati dal sistema; esteso il controllo a tutto il personale dell'Ufficio Comando, era stato constatato che le incongruenze riguardavano solo la posizione del M., il quale, peraltro, in quanto amministratore del sistema Perseo, era nelle condizioni di potere intervenire sui dati relativi alle presenze in servizio e modificarli a suo vantaggio per trarne profitto; le risultanze degli accertamenti compiuti non erano state oggetto di contestazione da parte dell'imputato, il quale aveva sollevato perplessità in ordine alla sua possibilità di operare sul sistema applicativo "Perseo 2" (non avendone la disponibilità sul suo computer) e all'affidabilità dell'applicativo stesso, nonché tentato di ricondurre le discrasie oggetto dell'imputazione ad anomalie di sistema. Inoltre, esaminando tutte le censure difensive, la Corte le reputava prive di pregio evidenziando che: tutte le operazioni erano state effettuate dall'imputato con le sue credenziali personali; l'ipotizzata anomalia di funzionamento del sistema Perseo era inconciliabile con il dato certo costituito dalla sistematica discordanza tra i modelli M cartacei sottoscritti dall'imputato e i correlativi modelli M informatici, che rendeva, invece, plausibile, in assenza di difformità con riguardo alla posizione di altri militari, la manipolazione dei dati da parte del prevenuto; le segnalate incongruenze relative alla presenza di numerose operazioni effettuate in pochi secondi dovevano essere giustificate con la c.d. "scarica dati", secondo quanto puntualmente chiarito dal tenente V. e dal capitano D.S., soggetti che avevano adeguate conoscenze, sia sotto il profilo teorico che pratico; anche i casi segnalati dalla difesa in cui risultavano essere state modificate schede mensili risalenti, ritenuti sintomo della presenza di anomalia nel sistema, avevano trovato plausibile giustificazione nelle dichiarazioni del sergente A.; le discrasie e anomalie rilevate sempre dalla difesa nel sistema di gestione ed elaborazione informatica dei dati relativamente alla documentazione del mese di marzo 2016, sintomatiche della materiale impossibilità per il M. di avere potuto egli 5 effettuare le abusive modifiche dei dati, erano, invece, da ritenersi conseguenza di una C manipolazione avvenuta nell'intervallo di tempo intercorso tra la "chiusura" a fine mese della scheda M, stampata e consegnata all'interessato per la verifica dei dati, e la generazione automatica dell'allegato O. 3. Manifestamente infondato è, infine, il terzo motivo di ricorso. E, in vero, non ricorre il vizio della violazione di legge né sotto il profilo della inosservanza (per non avere il giudice a quo applicato una determinata norma in relazione all'operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della disposizione, ovvero per averla applicata sul presupposto dell'accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie), né sotto il profilo della erronea applicazione, avendo il giudice a quo esattamente interpretato la norma di cui all'art. 533 cod. pen. alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte. Secondo la giurisprudenza di legittimità, "la previsione normativa della regola di giudizio dell' al di là di ogni ragionevole dubbio non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell'imputato" (Cass. Sez. 2, n. 16357 del 02/04/2008, Rv. 239795). Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, "la regola di giudizio compendiata nella formula al di là di ogni ragionevole dubbio rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova" (Cass. Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, Rv. 270108; conforme, tra le tante, Cass. Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Rv. 270519, che ha affermato che "il principio dell'oltreiragionevole dubbio, introdotto nell'art. 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, ch'e non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell'appello, giacché la Corte è chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito"). In altri termini, la regola di giudizio che richiede l'accertamento della sussistenza del reato al là di ogni ragionevole dubbio implica che, in caso di prospettazione di un'alternativa ricostruzione dei fatti, siano individuati gli elementi di conferma dell'ipotesi accusatoria e sia motivatamente esclusa la plausibilità della tesi difensiva. Ebbene, nel caso di specie, la Corte di appello militare ha ritenuto di dovere confermare la penale responsabilità del ricorrente sulla base delle prove documentali e testimoniali ritenute, per la loro chiarezza e pregnanza, idonee a dimostrare la tesi accusatoria; mentre tutte le circostanze addotte dalla difesa,volte a sollevare dubbi in ordine all'affidabilità del sistema Perseo, sono state reputate - con motivazione assolutamente logica - inidonee a contrastare la ricostruzione accusatoria; anche il chiesto accertamento peritale è stato respinto con argomentare congruo che ha messo in rilievo come il compendio probatorio, tutto,escludeva che le discrasie, in relazione alle 
quali è stato contestato il reato continuato di truffa, fossero imputabili ad anomalie dell'applicativo informatico. 4. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell'art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento in favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso, il 18 luglio 2019
Avv. Antonino Sugamele

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