Sergente Maggiore dell’Esercito italiano viene sottoposto a misure cautelari personali per gravi accuse e viene sospeso obbligatoriamente dal servizio. A seguito di condanna a tre anni di reclusione il procedimento disciplinare viene sospeso in attesa di applicazione della interdizione. Il Mnnistero disponeva la perdita del grado senza giudizio disciplinare. Interveniva la Corte Costituzionale sull'art. 866 com. Deferimento Commissione disciplina.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 5683 del 2018, proposto da
M.D., rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe La Marra, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Avv. La Marra in Roma, Piazzale Clodio n. 12 Avv. Taldone;
contro
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Direzione Generale per il personale Militare non costituito in giudizio;
per l'annullamento, previa sospensiva
-del provvedimento D.M. n. M_D GMIL REG2018 0162441 emesso dalla Direzione Generale per il Personale Militare in data 05 marzo 2018, notificato al ricorrente in data 07 marzo 2018, con cui il Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare ha decretato a carico di quest'ultimo quanto segue: ART. 1: “Il Sergente Maggiore (E.I.) Michelangelo D'Amico incorre, dalla data del presente provvedimento, nella perdita del grado per rimozione all'esito di procedimento disciplinare, ai sensi degli articoli: 861, comma 1, lettera d); 865 e 1357, lettera d) del Codice dell'Ordinamento Militare (...)”; ART. 2: “Ai sensi dell'art. 867, commi 5 e 6 del Codice dell'Ordinamento Militare, la perdita del grado decorre dalla data del presente decreto e, ai soli fini giuridici, dal 10 luglio 2010, data di applicazione della sospensione precauzionale obbligatoria dall'impiego di cui al Decreto Ministeriale n. 0330/III-7/2010 del 2 agosto 2010”; ART. 3: “La perdita del grado comporta la cessazione del rapporto di impiego con l'Amministrazione e l'iscrizione d'ufficio del D'Amico nel ruolo dei Militari di Truppa dell'Esercito senza alcun grado, ai sensi degli articoli: 861, comma 3; 923, commi 1, lettera i) e 3 del Codice dell'Ordinamento Militare”;
- di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi, consequenziali e, comunque ad esso collegati, ancorché sconosciuti nella parte in cui sono lesivi di diritti ed interessi del ricorrente, fra i quali devono intendersi – e sono – ricompresi l'“ordine di deferimento a Commissione di Disciplina” prot. M_D GMIL REG2018 0020179 del 10 gennaio 2018 nonché il “Verbale della seduta della Commissione di Disciplina” del 23 febbraio 2018;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2018 il dott. Roberto Vitanza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
E' necessario premettere.
Il ricorrente, Sergente Maggiore dell'Esercito italiano, è stato, nel luglio 2010 sottoposto a misure cautelari personali perché accusato di gravi reati.
Lo stesso veniva, pertanto sospeso obbligatoriamente dal servizio.
Al momento della sua riammissione in libertà, la p.a. sostituiva la sospensione obbligatoria con quella facoltativa.
In data 19 gennaio 2012 il ricorrente veniva condannato dal GIP presso il Tribunale di Roma con la sentenza n. 98/12 alla pena di anni tre di reclusione, senza i benefici di legge, decisione, poi, confermata dalla Corte di Appello di Roma con la sentenza n. 7373/14 del 23 ottobre 2014.
Conseguentemente la p.a. provvedeva a revocare il provvedimento di sospensione facoltativa sostituendolo con quello di sospensione precauzionale obbligatoria dal servizio, quindi, con Decreto del 10 agosto 2015, disponeva la sospensione dall'impiego.
In data 23 dicembre 2015 l'amministrazione provvedeva alla apertura, nei confronti dell'indicato militare, di una inchiesta formale.
L'amministrazione, contestualmente, chiedeva all'ufficio del pubblico ministero, in relazione alla pena irrogata, che il giudice applicasse la pena accessoria della interdizione perpetua dal pubblico impiego.
In conseguenza alla avanzata richiesta del pubblico ministero, nei termini indicati dall'amministrazione, la p.a., per tale motivo, sospendeva il procedimento disciplinare.
Il GIP presso il Tribunale di Roma disponeva, invece, applicarsi la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni 2 e mesi 4.
Con successivo Decreto Ministeriale n.371/I-3/2016 datato 8 agosto 2016, veniva disposto, nei confronti dell'attuale ricorrente, la perdita del grado per condanna penale, ai sensi dell'articolo 866 del Codice dell'Ordinamento Militare, senza giudizio disciplinare.
Avverso tale determinazione insorgeva il ricorrente innanzi a questo Tribunale che, con sentenza n. 7043/17, non appellata, accoglieva il gravame perché la Corte Costituzionale con la Sentenza n. 268/2016 aveva dichiarato incostituzionali gli artt. 866, comma 1, 867, comma 3 e 923, comma 1, lettera i del D.lgs 15 marzo 2010, n. 66.
L'amministrazione, pertanto, dava esecuzione al giudicato, disponendo la interdizione dall'impiego del militare per il periodo indicato dal giudice.
In data 11 settembre 2017 l'amministrazione disponeva la rinnovazione della originaria inchiesta formale che si concludeva con la proposta di mesi dodici di sospensione dall'impiego.
L'amministrazione, non condividendo il parere espresso dal Comandante per la Formazione, Specializzazione e Dottrina dell'Esercito ha deferito il militare innanzi alla Commissione di disciplina per l'applicazione della sanzione della perdita del grado.
Con Decreto Ministeriale M_D GMIL REG2018 0162441 del 5 marzo 2018 la p.a, al termine del procedimento disciplinare, ha disposto, nei confronti del ricorrente, la perdita del grado per rimozione.
Avverso tale determinazione l'attuale ricorrente ha reagito con il ricorso oggetto del presente scrutinio affidato a tre motivi di gravame e contestuale istanza cautelare .
Con decreto Presidenziale n. 2827/2018 è stata respinta la chiesta misura cautelare urgente.
Alla camera di consiglio del giorno 30 maggio 2018, previo avviso di definizione del ricorso con sentenza in forma semplificata, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
L'aspetto dirimente della questione riguarda la legittimità della sospensione del procedimento disciplinare, attivato nei confronti di un militare, per ragioni estranee a quelle espressamente previste dalla norma.
Nel caso di specie la p.a. ha acquisito formalmente la sentenza di condanna in data 14 ottobre 2015, ed ha avviato l'azione disciplinare il 23 dicembre 2015 che si è definitivamente conclusa in data 5 marzo 2018 con l'irrogazione della sanzione in questa sede censurata.
Nelle more e per le ragioni sopra riportate, ha sospeso il procedimento attivato.
La parte ricorrente eccepisce la tardività della determinazione escludente a fronte del superamento del termine decadenziale per la definizione del procedimento, individuato in giorni 270.
Sostiene, di contro, la p.a. che il termine decadenziale di giorni 270 per la definizione del procedimento disciplinare risulta osservato una volta sottratto il tempo di sospensione del procedimento.
Recita l'art. 1392 D.lgs cit. :” Il procedimento disciplinare di stato, instaurato a seguito di giudizio penale, deve concludersi entro 270 giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione”.
In tal senso si è conformemente posizionata la giurisprudenza ritenendo perentorio l'indicato termine ( cfr., per tutti : Cons. St,. sez. IV, 1° giugno 2018, n. 3318).
Osserva il Collegio.
In disparte la mancata partecipazione dell'atto di sospensione del procedimento disciplinare, quale motivo di illegittimità della sanzione irrogata, come sostenuto dal ricorrente, invero il predetto ha contestato, tra l'altro, la legittimità di riattivare il procedimento disciplinare già sospeso per ragioni estranee alle previsioni di legge.
In altri termini ritiene la parte che le ipotesi di sospensione del procedimento disciplinare costituiscono un numerus clausus non altrimenti estensibile.
Sul punto.
Costituisce principio generale quello che la definizione dei procedimenti disciplinari deve avvenire in tempi certi e determinati, proprio perchè la situazione giuridica del dipendente pubblico non può essere connotata da incertezza nella sua definizione disciplinare.
In tale contesto si inserisce il principio della tipicità degli atti del procedimento disciplinare, principio volto proprio a salvaguardare la razionalità e la speditezza della peculiare azione amministrativa.
Ne consegue che risultano illegittime tutte quelle attività dilatorie non riconducibili a quelle tipiche previste dalla legge.
Pertanto, le interruzione del procedimento disciplinare costituiscono evenienze eccezionali e di stretta interpretazione, che non possono essere, in nessun caso, ampliate dall'amministrazione.
In tal senso milita la lettura combinata delle norme del D.lgs n.66/2010, per comodità sotto riportate :
art. 1370, comma 5, D.lgs cit, recita :” Il militare inquisito può chiedere il differimento dello svolgimento del procedimento disciplinare solo se sussiste un effettivo legittimo impedimento. Se la richiesta di differimento è dovuta a ragioni di salute: a) l'impedimento addotto deve consistere, sulla scorta di specifica certificazione sanitaria, in una infermità tale da rendere impossibile la partecipazione al procedimento disciplinare”;
art. 1392, comma 4, D.lgs cit : “In ogni caso, il procedimento disciplinare si estingue se sono decorsi novanta giorni dall'ultimo atto di procedura senza che nessuna ulteriore attività è stata compiuta”;
art. 1393 comma 1, D.lgs cit, statuisce : “Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all'articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all'articolo 1357, l'autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al militare ovvero qualora, all'esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale. Il procedimento disciplinare non è comunque promosso e se già iniziato è sospeso fino alla data in cui l'Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio”.
La normativa interna ha aggiunto anche la possibilità di sospensione del procedimento per esigenze istruttorie, salvaguardando, però il previsto termine decadenziale : “La sospensione di cui sopra può essere disposta nel rispetto dei termini previsti dalla normativa che regola il procedimento” Ministero della Difesa- Direzione Generale per il personale militare -Guida tecnica delle procedure disciplinari 5° ed. 2016, capitolo II, Sezione III, parte 4.11.e).
1) L'art. 1372 D.lgs cit, prevede ” E' consentito l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio degli atti del procedimento disciplinare riconosciuti illegittimi dall'amministrazione militare, nei limiti sanciti dall'articolo 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241”;
2) L'art. 1373 D.lgs cit “Annullati uno o più atti del procedimento disciplinare a seguito di autotutela, anche contenziosa, di giudicato amministrativo ovvero di decreto decisorio di ricorso straordinario, se non è esclusa la facoltà dell'amministrazione di rinnovare in tutto o in parte il procedimento e non sono già decorsi, limitatamente alle sanzioni di stato, gli originari termini perentori, il nuovo procedimento riprende, a partire dal primo degli atti annullati, nel termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto piena conoscenza dell'annullamento o dalla data di adozione del provvedimento di autotutela”.
Dal combinato disposto delle norme riportate emerge chiaro ed univoco che il termine per la definizione dei procedimenti disciplinari di stato non può essere superato neppure in caso di annullamento di atti in via di autotutela.
Una ulteriore considerazione ermeneutica.
Il legislatore ha inteso affermare, con l'introduzione dell'art 1392, comma 4 D.lgs cit. nel contesto procedimentale, l'esistenza di un termine perentorio nella sequenza endoprocedimentale in contrasto con la natura ordinatoria o sollecitatoria dell'analogo art. 120 del DPR n.3/57 ( Cons.St., sez. IV, 11 giugno 2015, 2853; Cons. St., Ad. Plen., nn. 4/2000 e 1/2004).
Ciò, indubbiamente significa che, per il contesto militare, il legislatore ha previsto termini più stringenti e cogenti per la definizione delle incolpazioni, anche nel caso di contestuale scrutinio del medesimo fatto da parte del giudice penale.
Il legislatore, infatti, modificando la precedente previsione normativa, ha previsto, in tali evenienze, la sospensione dell'avviato procedimento “solo nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al militare ovvero qualora, all'esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare “ ( art. 1393, comma 1, D.lgs cit.).
A ciò si aggiunga il generale principio di non aggravamento del procedimento : “la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria ( art. 1. Comma 2 L. 241/90).
Ora, nel caso di specie la p.a. ha sospeso il procedimento attivato per l'irrogazione di una sanzione di stato per motivi estranei alle previsioni normative sopra riportate e connesse a mere ed ipotetiche evenienze afferenti alla applicazione della sanzione accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici.
In altri termini la p.a. ha anticipato la decisione dell'Autorità giudiziaria nella convinzione della irrogazione della sanzione accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici che, come tale, non è soggetta ad alcuna valutazione da parte della p.a..
Ma, al momento della sospensione procedimentale, l'Autorità giudiziaria non aveva irrogato alcuna pena accessoria definitiva.
Né, la giurisprudenza riportata dalla stessa amministrazione ( Cons. St., Sez. IV, 30 giugno 2009, n. 5526), nella relazione prodotta a mente dell'art. 46 cpa, appare conferente.
Invero, la fattispecie scrutinata dal Consiglio di Stato si riferisce alla ipotesi in cui la pena accessoria, originariamente irrogata è, successivamente, venuta meno.
Solo in tale evenienza rivive il potere disciplinare non esercitato, da attivarsi, comunque, nei termini normativamente previsti.
Nel caso di specie, invece, la p.a. ha ritenuto che la sanzione accessoria, originariamente solo chiesta per il ricorrente, rendeva superfluo ogni successiva e conseguente azione disciplinare.
Tale convinzione non consentiva, né consente alcuna sospensione del procedimento, il quale doveva, comunque, essere definito, impregiudicati gli eventuali ed ulteriori provvedimenti conseguenti alla pena accessoria eventualmente e definitivamente applicata dal giudice.
Ora la sanzione irrogata ad oltre due anni dalla contestazione degli addebiti è, all'evidenza, tardiva e pregiudizievole del termine decadenziale, atteso, come detto, la illegittimità del provvedimento di sospensione della procedura.
Per tali ragioni il ricorso deve essere accolto ed annullato il provvedimento impugnato.
Sussistono valide ragioni per compensare le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Concetta Anastasi, Presidente
Antonella Mangia, Consigliere
Roberto Vitanza, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Roberto Vitanza Concetta Anastasi
IL SEGRETARIO
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06-01-2019 14:57
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