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Sentenza

Ai fini dell'attribuibilità della qualifica di parte di un'arma da guerra, da cu...
Ai fini dell'attribuibilità della qualifica di parte di un'arma da guerra, da cui consegue la configurabilità del delitto di cui all'art. 2 legge 2 ottobre 1967, n. 895, è sufficiente l'autonomia funzionale di essa, che ne rende possibile l'individuazione come elemento strutturale tipico dell'arma stessa, e la facile ricomposizione dell'intero senza la necessità di speciali procedimenti. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la condanna dell'imputato per la detenzione di un caricatore già in dotazione ad un fucile d'assalto in uso all'esercito elvetico, idoneo per il tiro a raffica). (Conf. n. 701/1988, Rv.180228).
Cass. pen. Sez. I Sent., 29/10/2019, n. 51880 (rv. 278067-01)
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZEI Antonella - Presidente -

Dott. SARACENO Rosa Anna - Consigliere -

Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere -

Dott. MAGI Raffaello - Consigliere -

Dott. MINCHELLA Antonio - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.F., nato il (OMISSIS);

Avverso la sentenza n. 2092/2016 della Corte di Appello di Catanzaro in data 19/09/2018;

Visti gli atti e il ricorso;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Antonio Minchella;

Udite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona della Dott.ssa Assunta Cocomello, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;

Udito il difensore Avv. Massimo Cortesi, in sostituzione dell'Avv. Domenico Bruno, che ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 06/04/2016 il Tribunale di Paola condannava M.F. alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa per detenzione illecita di otto munizioni da guerra cal. 7.50x55 e di un caricatore di arma da guerra. Rilevava il Tribunale che il rinvenimento degli oggetti sequestrati da parte della polizia giudiziaria era avvenuto in data (OMISSIS) in un magazzino dell'imputato che era annesso ad una baita di montagna in (OMISSIS); più precisamente, però, si trattava di luoghi che erano stati già perquisiti pochi giorni prima nell'ambito di una più vasta indagine: l'esito era stato negativo, ma la polizia giudiziaria era appunto tornata ed aveva rinvenuto le cartucce e il caricatore avvolti in due buste in pvc, stipati dentro una cassetta in legno riposta in un armadio. Il Tribunale respingeva le deduzioni difensive circa il fatto che quei luoghi non erano utilizzati esclusivamente dall'imputato: ciò perchè alla baita ed al magazzino si accedeva attraverso una stradina di montagna da percorrere a piedi e dopo avere scavalcato una sbarra messa a protezione della proprietà; inoltre, era stato proprio l'imputato ad aprire i locali, prendendo le chiavi da una tettoia alta dove esse erano nascoste; nel magazzino vi erano attrezzi utili al lavoro di fabbro svolto dall'imputato; non vi erano segni o elementi riconducibili a terze persone e la proprietà e la disponibilità dell'imputato non erano messe in discussione nè inficiate dal fatto che talora egli utilizzasse la baita per occasioni conviviali con i familiari, anche perchè gli oggetti sequestrati erano nel magazzino appunto e non nella baita. Concludeva il Tribunale che certamente vi era quanto meno la co-detenzione di munizioni e caricatore da parte dell'imputato, ammesso che gli oggetti fossero anche riconducibili ad altre persone (quali alcuni suoi parenti pregiudicati) e che, con ogni probabilità, l'imputato, dopo l'esito negativo della prima perquisizione, aveva spostato proiettili e caricatori in un luogo già controllato, ritenendo che non vi sarebbe stato un altro controllo; quanto alle cartucce, esse dovevano ritenersi, sulla base di una consulenza tecnica, come munizionamento militare in quanto esse erano blindate e quindi parificate a proiettili a nucleo perforante da guerra: quanto al caricatore, esso era suscettibile di essere inserito in un fucile d'assalto che era stato in dotazione all'esercito svizzero e che quindi era idoneo per il tiro a raffica e non era stato sottoposto ad operazioni di "demilitarizzazione". Si negavano le circostanze attenuanti generiche, per la gravità del fatto, la portata micidiale degli oggetti e la scaltrezza nell'occultamento degli stessi.

2. Interponeva appello l'imputato, sostenendo che l'utilizzo del predetto magazzino non era esclusivo e che la qualificazione degli oggetti sequestrati doveva essere differente, nonchè lamentando il trattamento sanzionatorio.

3. Con sentenza in data 19/09/2018 la Corte di Appello di Catanzaro confermava la condanna di primo grado. Rilevava la Corte territoriale che la baita ed il magazzino erano di proprietà ed in uso all'imputato e che era stato proprio lui ad aprirli usando le chiavi che aveva tolto da un luogo in cui esse erano nascoste: pertanto, l'ipotesi di terze persone era soltanto congetturale e poco logica, visto l'isolamento dei luoghi e la loro non semplice raggiungibilità; peraltro, cartucce e caricatore erano conservati in buste in pvc compatibili con quelle presenti nella baita. Circa la natura degli oggetti, il caricatore proveniva senza dubbio da un fucile a ripetizione e cioè da un'arma da guerra, il che rendeva non applicabile la recente riforma normativa relativa ai caricatori di armi comuni; il munizionamento era blindato e ciò escludeva potesse parlarsi di cartucce per armi comuni, giacchè la connotazione perforante della incamiciatura li faceva rientrare nelle munizioni da guerra. La pena inflitta era considerata congrua.

4. Avverso detta sentenza propone ricorso l'interessato a mezzo del difensore Avv. Domenico Bruno. Con motivo unico deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1 lett. e), manifesta illogicità della motivazione: sostiene che le operazioni di "demilitarizzazione" alle quali aveva fatto riferimento la Corte di Appello non potevano che riferirsi al fucile da guerra, ma non anche al caricatore, il quale semplicemente poteva contenere più di dieci cartucce, ma ciò non lo rendeva di per sè una parte di arma da guerra, bensì soltanto soggetto all'obbligo di denunzia ex art. 697 c.p.; in realtà, per qualificare il caricatore come parte di arma da guerra sarebbe stato necessario esaminare il fucile cui poteva essere annesso, ma non vi era stato alcun sequestro di fucile e il consulente tecnico del P.M. aveva infatti ammesso di non avere esaminato una tale arma; quanto alle cartucce, la sola incamiciatura blindata non le rendeva da guerra poichè potevano essere in dotazione di una comune arma da fuoco.
Motivi della decisione

1. Il ricorso deve essere rigettato, poichè infondato.

Le doglianze dal medesimo espresse si appuntano su due ordini di argomentazioni, e cioè: 1) natura del caricatore sequestrato come parte di arma non da guerra; 2) natura non da guerra delle munizioni.

2. Con la prima doglianza il ricorrente assume che il caricatore sequestrato poteva contenere più di dieci cartucce, ma ciò non lo rendeva di per sè una parte di arma da guerra, anche perchè non era stato rinvenuto nessun fucile (unica circostanza di fatto che avrebbe reso possibile una esatta qualificazione).

L'argomentazione non può essere accolta.

Premesso che le modifiche introdotte al D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, dall'art. 3, commi 3-septies e 3-octies convertito con modificazioni nella L. 17 aprile 2015, n. 43 riguardano soltanto i caricatori per armi comuni da sparo, va rilevato che il ricorso non smentisce che il caricatore sequestrato fosse suscettibile di essere inserito in un fucile d'assalto che era stato in dotazione all'esercito svizzero e che quindi esso era idoneo per il tiro a raffica.

Giova rammentare che, ai fini dell'attribuibilità della qualifica di "parte" di una singola arma, che consente la incriminazione della condotta che la concerne, è sufficiente l'autonomia funzionale di essa che ne rende possibile l'individuazione come elemento strutturale tipico della arma stessa, e la facile ricomposizione dell'intero senza la necessità di speciali procedimenti (Sez. 1, n. 701 del 14/03/1988, Rv. 180228).

La L. n. 895 del 1967, al suo art. 2, ha previsto la punibilità della detenzione della parte di arma: e, ai sensi della L. n. 110 del 1975, art. 1 sono armi da guerra le armi di ogni specie che, per la loro spiccata potenzialità di offesa, sono o possono essere destinate al moderno armamento delle truppe nazionali o estere per l'impiego bellico.

Nella fattispecie, nemmeno il ricorso - si ribadisce - ha contestato la correttezza delle conclusioni del consulente tecnico secondo le quali il caricatore sequestrato equipaggiava un fucile che era stato in uso all'esercito elvetico ed era idoneo al tiro a raffica. Di conseguenza, correttamente il Tribunale lo ha qualificato come parte di un'arma da guerra, mentre le censure del ricorrente mostrano una natura congetturale che non inficia la motivazione, piana e logicamente dipanata, della sentenza impugnata.

3. L'ulteriore doglianza del ricorrente attiene alla natura delle munizioni rinvenute e sostiene che la sola incamiciatura blindata delle stesse non le rendeva quali munizioni da guerra, poichè potevano essere in dotazione di una comune arma da fuoco.

Anche questa argomentazione è infondata.

Il ricorso non censura che dette munizioni fossero caratterizzate dalla incamiciatura blindata.

Ed allora va ribadito che, sul piano normativo, difatti, per stabilire se una munizione è da guerra o no, è fondamentale la disposizione normativa di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 1, comma 3, che recita: "Sono munizioni da guerra le cartucce e i relativi bossoli, i proiettili o parti di essi destinati al caricamento delle armi da guerra". Questa definizione, com'è evidente, non reca alcun criterio di carattere intrinseco alla munizione stessa, ma collega la qualità di essa alla sua destinazione. Una indicazione di carattere intrinseco, sia pure indiretta, è contenuta nell'art. 2, comma 4, per il quale "Le munizioni a palla destinate alle armi comuni non possono comunque essere costituite con pallottole a nucleo perforante, traccianti, incendiarie, a carica esplosiva, ad espansione, auto propellenti".

L'esistenza di tali caratteristiche elimina ogni dubbio sulla naturale destinazione delle relative munizioni all'armamento bellico (Sez. 1, n. 44555 del 17/11/2010, Verdoscia, Rv. 248985, secondo cui "se le munizioni hanno caratteristiche vietate per il munizionamento civile resta provato che esse sono destinate all'armamento bellico"; in termini: Sez. 1, n. 3159 del 27/05/1988, dep. 1989, Campanella, Rv. 180651; Sez. 1, n. 6914 del 29/04/1992, Rivelli, Rv. 190560; Sez. 1, n. 41978 del 04/10/2005, Basile, Rv. 232872).

Senonchè, contrariamente a quanto assume il ricorrente, la qualifica di munizione da guerra non può essere circoscritta alle munizioni dotate delle predette caratteristiche o di caratteristiche di analoga potenzialità offensiva. Il citato criterio base di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 1, comma 3, infatti, si oppone a tale conclusione - che è del resto contrastata anche dal tenore e dalla ratio della disposizione di cui al cit. art. 2, comma 4, diretta a contenere le potenzialità di offesa delle armi comuni da sparo - e impone di considerare munizione da guerra ogni munizione che sia comunque destinata al caricamento delle armi da guerra. Il requisito generale della "spiccata potenzialità di offesa" è invero nel cit. art. 1, comma 1, per le armi da guerra e non anche per le munizioni, che invece derivano la loro qualificazione dall'arma cui sono destinate, e hanno rilevanza penale anche se limitate ad alcune parti (Sez. 1, n. 15086 del 19/06/2018, Rv. 276389).

Sul punto, occorre ribadire un orientamento consolidato di questa Corte: la tesi difensiva, secondo cui la camiciatura di un proiettile non ne determinerebbe la qualifica di munizione da guerra, è invero errata. Va dapprima rilevato come sia erroneo l'assunto del ricorrente secondo cui il proiettile camiciato non sarebbe "perforante", l'effetto della camiciatura essendo in concreto proprio quello di indurre maggiore effetto perforante per la superiore resistenza agli ostacoli che detta camiciatura (di materiale acciaioso) possiede rispetto al normale proiettile non camiciato (di piombo, sostanza più tenera). Tale principio è stato più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, appunto, il proiettile incamiciato ha effetto perforante, e dunque va considerato, proprio per tale caratteristica, munizione da guerra (Sez. 1, n. 14617 del 09.12.1999, Rv. 216108). La stessa giurisprudenza di legittimità - che qui va richiamata e ribadita - conferma invero che il proiettile incamiciato deve essere qualificato munizione da guerra, a prescindere dal calibro, proprio perchè l'adozione dell'anzidetta caratteristica, che conferisce particolare aggressività incompatibile con gli scopi meramente difensivi connaturati alle armi comuni da sparo, non può essere consentita ai privati (così, espressamente, Sez. 1, n. 6914 del 29.04.1992, Rv. 190560; Sez. 1, n. 41978 del 04.10.2005, Rv. 232872). Le considerazioni sopra elaborate si confermano, invero, sulla base del combinato disposto della fondamentale L. n. 110 del 1975, art. 1, comma 3 e art. 2, comma 4, che fa divieto, per le armi comuni da sparo, di utilizzo di proiettili "a nucleo perforante", ai quali sono da parificare - per quanto detto - i proiettili muniti di camiciatura (o "blindati"), il che inevitabilmente rende tali proiettili qualificabili da guerra (Sez. 1, n. 42872 del 15/10/2009, Rv. 244997).

4. Il ricorso deve dunque essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2019
Avv. Antonino Sugamele

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