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Sentenza

Appuntato scelto dei Carabinieri durante l'effettuazione di un servizio di trasp...
Appuntato scelto dei Carabinieri durante l'effettuazione di un servizio di trasporto di un collaboratore di giustizia, in occasione di un rifornimento di carburante, si appropria del controvalore di due cedole di carburante da Euro 50,00 l'una.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-02-2020) 08-05-2020, n. 14147


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente -

Dott. VANNUCCI Marco - Consigliere -

Dott. APRILE Stefano - Consigliere -

Dott. MINCHELLA Antonio - rel. Consigliere -

Dott. CAIRO Antonio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

D.V.S., nato il (OMISSIS);

Avverso la sentenza n. 2/2019 della Corte Militare di Appello in data 10/04/2019;

Visti gli atti e il ricorso;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Antonio Minchella;

Udite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del Dott. Uffluggelli Francesco, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;

Udito il difensore Avv. Pierfrancesco Bruno, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 18/10/2018 il Tribunale Militare di Roma condannava D.V.S., Appuntato Scelto dei Carabinieri, alla pena di mesi due di reclusione militare e della rimozione dal grado per appropriazione indebita aggravata. Si legge in sentenza che l'imputato, in servizio presso il (OMISSIS), in data (OMISSIS), durante l'effettuazione di un servizio di trasporto di un collaboratore di giustizia dalla (OMISSIS), in occasione di un rifornimento di carburante, si era appropriato del controvalore di due cedole di carburante da Euro 50,00 l'una; per l'esattezza, nella stazione di servizio di (OMISSIS) aveva effettuato un rifornimento per Euro 20,00 ma si era fatto cambiare dal gestore le due schede ulteriori, appropriandosi della somma di Euro 100,00 che ne rappresentava il controvalore; a dimostrazione dell'accusa vi erano sia la documentazione relativa al cambio delle cedole sia la testimonianza degli altri militari incaricati del servizio medesimo, i quali rammentavano che il rifornimento era stato di quella entità, inferiore al cambio delle cedole, e che non vi erano stati i tre rifornimenti corrispondenti al numero delle cedole cambiate, per come sostenuto dall'imputato (anche perchè una delle pompe indicate dall'imputato era abilitata ad erogare soltanto GPL e quindi non era utilizzabile per la vettura blindata usata per il servizio); del resto, quel rifornimento era avvenuto in un percorso autostradale che rappresentava una deviazione lunga ed inutile rispetto al percorso da effettuare e l'imputato ammetteva di avere effettuato un rifornimento di soli Euro 20,00 e di avere chiesto al gestore il cambio delle due cedole, sostenendo di averlo fatto per disporre di Euro 100,00 in contanti al fine di fare successivi rifornimenti in caso di erogatori nei quali non era funzionante il pagamento elettronico: tuttavia non era stato in grado di indicare dove avrebbe compiuto i successivi rifornimenti così asseritamente pagati nè di produrre o esibire le ricevute dei pagamenti. Così, ritenuto che la condotta fosse stata posta in essere non per indurre in errore l'Amministrazione bensì dopo il perfezionamento del reato, si ravvisava il reato di appropriazione indebita.

2. Interponeva appello l'imputato, censurando sia la ricostruzione dei fatti che la qualificazione del reato nonchè il trattamento sanzionatorio.

3. Con sentenza in data 10/04/2019 la Corte Militare di Appello confermava la condanna. Rilevava la Corte territoriale che la prima decisione non aveva avuto carattere congetturale, poichè si era basata su prove oggettive che dimostravano che l'imputato aveva percepito il controvalore di due cedole carburante per la somma complessiva di Euro 100,00 e non era risultato l'avesse utilizzato per effettuare ulteriori rifornimenti di carburante, giacchè nemmeno lui era stato in grado di fornire indicazioni in merito: pertanto, la prova dell'appropriazione indebita era stata raggiunta mentre il segmento successivo era soltanto asserito dall'imputato; peraltro, era meramente congetturale, invece, che taluni erogatori di carburante potessero non disporre del pagamento elettronico e comunque una simile informazione era reperibile sulla rete internet o per via telefonica, per cui era ampiamente preventivabile: inoltre era indicativo che l'imputato non avesse riferito nulla agli altri militari di quel servizio in ordine a quello scambio di cedole convertite in danaro contante; la qualificazione giuridica del fatto era esatta poichè il bene era dell'Amministrazione e l'imputato ne aveva il possesso; non si ravvisava la possibilità di applicare l'art. 131 bis c.p., per il sotterfugio, per il fatto che lui stesso aveva adombrato essere stata una condotta già posta in essere e per il fatto che aveva rischiato di compromettere anche i suoi colleghi in servizio.

4. Avverso detta sentenza propone ricorso l'interessato, a mezzo del difensore Avv. Pierfrancesco Bruno.

4.1. Con il primo motivo deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione: sostiene che la conversione della cedola carburante in danaro era stata considerata come consumazione del reato, ma il delitto configurato avrebbe richiesto il comportamento uti dominus mentre il ricorrente aveva spiegato di voler utilizzare il danaro per successivi rifornimenti di carburante e ciò sarebbe stato nel solo interesse dell'Amministrazione, la quale restava titolare di quel danaro, atteso che la permuta delle cedole cambiava soltanto la natura fisica del bene; invece la Corte territoriale aveva congetturalmente preteso una sorta di inversione dell'onere della prova, nella quale il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare la destinazione del danaro, il quale era stato usato per il rifornimento, per come poteva evincersi dalle tabelle sul consumo dell'autovettura che escludeva quindi che il ricorrente avesse trattenuto il danaro per sè.

4.2. Con il secondo motivo deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), erronea applicazione di legge: lamenta che il ricorrente era stato condannato per l'art. 235 c.p.m.p., commi 1 e 2 ma mentre il comma 1 richiede che il bene sia di un altro militare, il comma 2 aumenta la pena senza costituire autonoma figura di reato per cui esso richiede non soltanto che il bene sia della amministrazione militare ma anche che vi siano tutti gli elementi del comma 1 e cioè che il possesso sia esercitato da un altro individuo della organizzazione militare poichè la norma tutela la disponibilità del bene da parte di un commilitone del reo e non anche la proprietà dell'amministrazione.

4.3. Con il terzo motivo deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione: sostiene che, in ogni caso, la condotta andava considerata di tenue gravità con conseguente applicazione dell'art. 131 bis c.p., atteso che non era stato compromesso il servizio e che le dichiarazioni dell'imputato non erano ammissioni di colpevolezza per il passato.

4.4. Con il quarto motivo deduce ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la mancanza di adeguata motivazione sulla misura della pena inflitta.

5. In udienza le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
Motivi della decisione

1. Il ricorso deve essere rigettato, poichè esso è infondato.

2. La prima doglianza del ricorrente lamenta che la Corte di Appello aveva considerato la conversione della cedola carburante in danaro come consumazione del reato, ma non aveva voluto considerare che il ricorrente aveva spiegato di voler utilizzare il danaro per successivi rifornimenti di carburante e non per svolgere un ruolo uti dominus: in realtà, il danaro era stato usato per il rifornimento di carburante, per come poteva evincersi dalle tabelle sul consumo dell'autovettura che escludeva quindi che il ricorrente avesse trattenuto il danaro per sè.

Si tratta di argomentazioni di connotazione congetturale, ai limiti della inammissibilità: infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale aveva considerato ogni deduzione difensiva, ma aveva sottolineato che la ricostruzione della vicenda si era basata su di un dato oggettivo e cioè l'avvenuto cambio delle due cedole per un controvalore di Euro 100,00 in contanti (fatto storico non negato nemmeno dal ricorrente); a questo dato aveva aggiunto l'inconsapevolezza dell'azione da parte degli altri militari addetti al medesimo servizio nonchè la mancanza di ogni indicazione in ordine alle stazioni di servizio in cui sarebbero avvenuti i successivi rifornimenti di carburante: e questo ultimo elemento affermato dal ricorrente senza alcuna precisazione - non trovava un qualche riscontro nè cartaceo (poichè non vi erano le ricevute dei pagamenti) nè mnemonico (poichè gli altri militari in servizio non ricordavano che fossero avvenuti quei successivi rifornimenti). Di conseguenza, il percorso argomentativo utilizzato dalla Corte territoriale si connota per la logica stringente, giungendo ad escludere che vi fossero stati altri rifornimenti di carburante: quale ulteriore conseguenza era quella di ritenere necessariamente che il controvalore della due cedole (cambiate peraltro in un tragitto autostradale eccentrico rispetto alla destinazione) era stato trattenuto dal ricorrente e non utilizzato per gli scopi del servizio.

In questa volontà è stata correttamente ravvisata l'appropriazione indebita, che è un reato istantaneo, che si consuma con la prima condotta appropriativa, e cioè nel momento in cui l'agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria (Sez. 2, n. 29451 del 17/05/2013, Rv. 257232).

Pertanto, non risponde al vero che la Corte territoriale non abbia considerato le spiegazioni fornite dal ricorrente: esse sono state considerate e motivatamente respinte, fornendo una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicità e compiuta su base per nulla congetturale, ma anzi dotata di riferimenti individualizzanti, anche con riferimento alla possibilità di ipotizzare soluzioni alternative parimenti plausibili (come l'utilizzo di tabelle di consumo dell'autovettura utilizzata, la quale invece introduceva dati meramente ipotetici e confliggeva con la mancanza di prove in ordine ai successivi rifornimenti di carburante, che non risultavano avvenuti).

3. La seconda doglianza del ricorrente attiene alla tematica della qualificazione giuridica del reato e censura la condanna del ricorrente per l'art. 235 c.p.m.p., commi 1 e 2 sostenendo che mentre il comma 1 richiede che il bene sia di un altro militare, il comma 2 aumenta la pena senza costituire autonoma figura di reato, per cui esso richiederebbe non soltanto l'appartenenza del bene all'amministrazione militare ma anche la sussistenza di tutti gli elementi del comma 1 e cioè il possesso esercitato da un altro individuo della organizzazione militare, poichè la norma tutelerebbe la disponibilità del bene da parte di un commilitone del reo e non anche la proprietà dell'amministrazione.

Tale prospettazione non è condivisibile.

L'art. 235 c.p.m.p. così recita: "1. Il militare, che, per procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile di altro militare, di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito con la reclusione militare fino a tre anni. 2. Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario o appartenenti all'amministrazione militare, la pena è aumentata...".

Correttamente la Corte territoriale ha rilevato che quando il bene appartiene all'amministrazione e il soggetto agente ne ha il possesso ma se ne appropria, senza che tale possesso sia qualificato dalle funzioni amministrative o dal comando, non sussistono nè il peculato militare di cui all'art. 215 c.p.m.p. ("Il militare incaricato di funzioni amministrative o di comando, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso di denaro o di altra cosa mobile, appartenente all'amministrazione militare, se l'appropria, è punito con la reclusione da due a dieci anni") nè il furto militare di cui all'art. 230 c.p.m.p. ("1. Il militare, che, in luogo militare, si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola ad altro militare che la detiene, al fine di trarne profitto per sè o per altri, è punito con la reclusione militare da due mesi a due anni. 2. Se il fatto è commesso a danno della amministrazione militare, la pena è della reclusione militare da uno a cinque anni..."): i presupposti dei due menzionati reati sono differenti da quelli dell'appropriazione indebita, richiedendo il primo lo svolgimento di funzioni non presenti nella fattispecie e non contemplando il secondo il previo possesso del bene da parte dell'agente.

Correttamente pertanto è stata configurata l'appropriazione indebita di cui all'art. 235 c.p.m.p., la cui descrizione è stata tratteggiata da tempo con la pronunzia Sez. U., Ordinanza n. 1 del 16/03/1974, Rv. 126845, in base alla quale vi è appropriazione indebita quando le cose militari siano date in dotazione all'agente per l'attuazione di scopi istituzionali: del resto, l'interpretazione fornita dal ricorrente circa la norma violata è ingiustificatamente riduttiva, giacchè proprio il raccordo tra il primo ed il comma 2 della norma contestata rende evidente che l'appropriazione indebita sussiste o quando il bene appartiene ad altro militare o quando il bene appartiene all'amministrazione militare, ma di esso il soggetto agente ha il possesso. E' pur vero che a protezione del diritto di proprietà dell'amministrazione esiste anche la figura del peculato, ma tale reato non può sussistere quando, come appunto nella fattispecie, l'agente non aveva funzioni amministrative o di comando.

4. La terza doglianza del ricorrente lamenta la mancata applicazione dell'art. 131 bis c.p., censurando la mancata considerazione dell'assenza di compromissione del servizio e i rilievi fatti alla passata condotta del ricorrente, che non aveva ammesso alcun reato.

Il motivo di ricorso non è accoglibile.

In ordine all'istituto di cui all'art. 131 bis c.p., per come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa, che ha ad oggetto le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133 c.p., comma 1, richiedendosi una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all'entità dell'aggressione del bene giuridico protetto (Sez. Un., n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).

Ciò posto, deve altresì ricordarsi come, in relazione ai requisiti della motivazione in genere, si sia specificato che la sentenza costituisce un tutto coerente ed organico, con la conseguenza che, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di un valido percorso giustificativo, ogni punto non può essere autonomamente considerato, dovendo essere posto in relazione agli altri, con la conseguenza che la ragione di una determinata statuizione può anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito (v. Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012, Rv. 255096). Più in generale, si è affermato che la sentenza di merito non è tenuta a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 4, n. 26660 del 13/5/2011, Caruso e altro, Rv. 250900; Sez. 6, n. 20092 del 4/5/2011, Schowick, Rv. 250105).

Nel caso in esame emerge chiaramente, dalla complessiva analisi della sentenza impugnata, che il giudice, nel valutare la condotta contestata all'imputato, ha escluso la sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'invocata causa di non punibilità, sottolineando la delicatezza del servizio nell'ambito del quale era stato commesso il reato, la condotta di sotterfugio tenuta e il rischio di compromettere anche i colleghi. Del resto, l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di una sentenza di condanna che si sia limitata ad operare una valutazione di lieve entità del reato, nemmeno se valorizzata dal giudice per quantificare la pena in modo da avvicinarla più ai valori minimi che a quelli massimi: la natura esigua del danno, o del pericolo, concorre, ai sensi dell'art. 131-bis c.p., a rendere non punibile un fatto, sicchè non può essere confusa con le ipotesi di "speciale" o "particolare" o "lieve" entità del fatto che attenuano il reato, senza escluderne l'offensività (Sez. 3, n. 17184 del 14/10/2015, Rv. 266754).

A fronte di questi elementi così delineati, la censura del ricorrente si limita ad essere confutativa e a richiamare le caratteristiche generali dell'istituto giuridico, senza però offrire elementi tali da scardinare l'ordinata ricostruzione motivazionale della sentenza impugnata.

5. L'ultima doglianza del ricorrente censura la motivazione sulla misura della pena inflitta, ritenendola inadeguata.

Il motivo di ricorso va respinto.

La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne discende che non può essere accolta la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142). Pertanto il giudice di merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell'art. 133 c.p., assolve adeguatamente all'obbligo della motivazione; infatti, tale valutazione rientra nella sua discrezionalità e non postula un'analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, Rv. 239754; Sez. 4, n. 56 del 16/11/1988, Rv 180075).

Nella fattispecie, la sentenza impugnata ha confermato espressamente le valutazioni offerte dalla decisione di prima cura, la quale aveva precisato che, al di là del valore pecuniario in questione, l'imputato era gravemente venuto meno ai doveri di fedeltà e di lealtà nei confronti dell'amministrazione proprio nello svolgimento di un servizio di particolare delicatezza. La Corte territoriale ha specificato che la pena inflitta era di poco superiore al minimo edittale ed era proporzionata alla gravità intrinseca del fatto.

Sul punto, il ricorso non va oltre la generica doglianza.

6. Il ricorso va dunque rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si dà atto che il presente provvedimento, redatto dal relatore Consigliere Dott. Antonio Minchella, è sottoscritto dall'estensore e dal Consigliere anziano del Collegio, Dott. Marco Vannucci, per impedimento alla firma del suo Presidente, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2020
Avv. Antonino Sugamele

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