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Sentenza

Arresti domiciliari ad un Carabiniere del Nucleo Ispettorato del lavoro per il r...
Arresti domiciliari ad un Carabiniere del Nucleo Ispettorato del lavoro per il reato di tentata induzione indebita ex artt. 56 e 319-quater c.p.: avrebbe tentato di far assumere un consulente del lavoro, suo amico.-
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 19-02-2020) 14-04-2020, n. 12097


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente -

Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere -

Dott. RICCIARELLI Massimo - rel. Consigliere -

Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere -

Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) P.A., nato il (OMISSIS);

2) C.A., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 05/12/2019 del Tribunale di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Massimo Ricciarelli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Fodaroni M. Giuseppina, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

udito il difensore, Avv. Alfredo Vitali per P., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito il difensore, Avv. Vincenzo Di Santo per C., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 5/12/2019, depositata il 9/12/2019, il Tribunale di Roma ha confermato in sede di riesame quella del GIP del Tribunale di Roma del 13/11/2019, con la quale è stata applicata nei confronti di C.G., pubblico ufficiale in veste di carabiniere operante presso il Nucleo Ispettorato del lavoro, e di P.A. la misura cautelare degli arresti domiciliari per il reato di tentata induzione indebita ex artt. 56 e 319-quater c.p. volta a far assumere dalla società INI s.p.a. tale T. quale consulente del lavoro, e, quanto al C., anche per il reato di corruzione ex art. 318 c.p..

2. Ha proposto ricorso il P. tramite il suo difensore.

2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione al delitto tentato.

Il Tribunale non aveva correttamente dato conto degli elementi costitutivi dell'ipotesi tentata, in relazione all'originaria direzione e univocità degli atti, in quanto erano state valorizzate unitariamente fasi diverse, in realtà non correlabili, giacchè l'inizio dei fatti si collocava nel novembre 2017 mentre il T. veniva in rilievo solo nel luglio 2018, senza che in precedenza il ricorrente avesse conosciuto il predetto, con la conseguenza che non si sarebbe potuto delineare un disegno unitario volto all'assunzione del T..

Segnala inoltre il ricorrente che la figura del T. era stata considerata solo a seguito di un'iniziativa della persona offesa F., che aveva fatto riferimento alla questione Assomed.

2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione alle ravvisate esigenze cautelari.

Al fine di configurare il pericolo di reiterazione il Tribunale aveva indebitamente valorizzato la gravità dei fatti e dunque non aveva considerato atti e comportamenti esterni ai reati, tali da rendere valutabile la personalità, a fronte della pregressa incensuratezza.

Vanamente era stato considerato un episodio relativo a minacce formulate nei confronti di Ce., desumibili da una conversazione intercettata, episodio a seguito del quale il ricorrente aveva in realtà cercato di riconciliarsi con il suo interlocutore.

Inoltre erroneamente era stato fatto apoditticamente riferimento al pericolo di inquinamento probatorio, in realtà non desunto da circostanze di fatto espressamente indicate.

3. Ha proposto ricorso il C. tramite il suo difensore.

3.1. Con il primo motivo formula doglianze sostanzialmente corrispondenti a quelle contenute nel primo motivo del ricorso del P., incentrate sulla non configurabilità di una condotta ab origine univocamente diretta a far assumere il T., a fronte di fasi diverse indebitamente unificate.

3.2. Con il secondo motivo formula doglianze in materia di esigenze cautelari sostanzialmente corrispondenti a quelle esposte nel secondo motivo del ricorso del P..

Segnala inoltre che al fine di valutare le esigenze cautelari il Tribunale non aveva considerato il provvedimento di sospensione dall'impiego emesso in data 6/12/2019 dal Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, III Divisione, elemento tale da rendere impossibile la reiterazione di reati analoghi e interventi inquinanti.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di entrambi i ricorsi è generico e comunque manifestamente infondato.

Il Tribunale ha motivato in merito alla doglianza, prospettata in sede di riesame, relativa alla configurabilità del tentativo di induzione indebita.

Ha in particolare rilevato come sulla base di una pluralità di convergenti elementi potesse dirsi che di intesa tra loro il P. e il C., il quale stava coordinando indagini a carico del F., originate da una denuncia del P., avessero cercato di avvicinare il F., con il P. che aveva prospettato la possibilità di un esito favorevole delle indagini e di un alleggerimento della posizione dell'indagato, e il C. che aveva a sua volta avuto un primo contatto con il F..

Secondo la ricostruzione del Tribunale, costui, a fronte di difficoltà insorte nel rapporto di I.N.I. s.p.a. con Assomed, si era sentito formulare dal C. la proposta di conferimento di un incarico ad un professionista, amico del Carabiniere, tal T., il quale peraltro era aduso a versamenti di tipo corruttivo in favore del militare, oggetto del capo c) dell'incolpazione provvisoria: in tale quadro vi era stato un incontro cui avevano partecipato il F., il T. e il P., nel quale il professionista si era proposto come consulente lavoristico per il gruppo societario.

Di seguito il F. aveva cominciato a prendere tempo, nonostante le sollecitazioni dello stesso P., finchè nel settembre il F. aveva comunicato di non intendere avvalersi della consulenza del T..

Ma a quel punto le indagini a carico del F. erano proseguite e il C. aveva solo allora depositato l'informativa finale, più volte sollecitata dal P.M., nella quale ribadiva il quadro accusatorio a carico del F., proponendo una richiesta di misure cautelari, che lo stesso P. aveva poi contribuito a rendere nota a terzi.

Tale ricostruzione dà conto non solo di una condotta convergente dei due indagati, volta a porre il F. in una condizione di soggezione e di disponibilità ad accettare richieste corrispettive, come alla resa dei conti quella di conferimento di incarico professionale al T., richiesta che era stata progressivamente sollecitata non solo dal diretto interessato ma anche dallo stesso P., agente di concerto con il C..

In tal modo è stata rappresentata una condotta idonee e diretta a conseguire un determinato risultato, condiviso dai due indagati, a prescindere dal fatto che il P. avesse conosciuto il T. solo nel luglio 2018, risultato poi non raggiunto per l'opposizione del F., anche se, come posto in luce dal Tribunale, di seguito il P. aveva tenuto una condotta volta a screditare i vertici del gruppo INI, anche divulgando notizie riguardanti le indagini condotte dal C..

Le deduzioni difensive ripropongono dunque una linea già esaminata dal Tribunale, non contrastata dalla prospettazione di specifici vizi, tali da vulnerare sul piano giuridico e su quello della logica il ragionamento su cui si fonda il provvedimento impugnato, risultando comunque manifestamente infondate le doglianze volte a contestare la configurabilità di un disegno unitario, a fronte di quanto rilevato in ordine agli accadimenti connessi alla richiesta di conferimento di incarico al T., che avevano visto la diretta partecipazione del P..

2. Il secondo motivo di entrambi i ricorsi è nel suo complesso infondato.

2.1. Deve rimarcarsi che un provvedimento cautelare consta dell'analisi del quadro indiziario e della verifica delle esigenze cautelari, le quali costituiscono nel loro insieme un tema unitario, anche se possono concorrere diverse tipologie di esigenze.

Nel contempo l'esclusione di una tipologia ravvisata nel provvedimento impugnato non vale di per sè a disarticolare il quadro cautelare, ove dalla motivazione possa evincersi l'autonoma rilevanza attribuita a ciascuna tipologia.

Tale situazione ricorre in effetti nel caso di specie, in cui sono state ravvisate esigenze connesse sia al pericolo di reiterazione criminosa sia al pericolo di inquinamento probatorio, entrambe fatte oggetto di censure (a tali principi si ispira Sez. 3, n. 6745 del 10/1/2018, D., rv. 272581).

2.2. Orbene, si osserva che i rilievi concernenti il pericolo di inquinamento probatorio sono di per sè meritevoli di considerazione, ma non idonei a vulnerare il provvedimento impugnato che ha fondato la misura applicata sulla specifica valutazione di ciascuna tipologia di esigenza cautelare.

Ed invero deve convenirsi che ai sensi dell'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. a) devono ricorrere specifiche e inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto e attuale pericolo per l'acquisizione e la genuinità della prova.

Nel provvedimento impugnato il pericolo è stato ravvisato sulla base di un dato personologico e funzionale, in relazione al rischio che gli indagati possano indurre taluno a fornire versioni compiacenti o a ritrattare le dichiarazioni rese: si tratta all'evidenza di valutazione astratta, che non tiene conto della concreta struttura del quadro indiziario e delle fonti di prova da cui esso discende e non si misura con la individuazione dei profili di concreto pericolo (per la necessaria concretezza del pericolo Sez. 6, n. 29477 del 23/3/2017, Di Giorgi, rv. 270561).

2.3. Tuttavia le deduzioni difensive sono infondate con riguardo al pericolo di reiterazione criminosa, posto autonomamente a fondamento della misura applicata.

Deve sul punto rilevarsi che le doglianze hanno riguardo al tipo di valutazione compiuta dal Tribunale, in quanto asseritamente fondata sulla sola consistenza e gravità dei reati addebitati.

Orbene, va in primo luogo osservato che il giudizio sulla configurabilità del pericolo di reiterazione criminosa deve essere tratto sia da specifiche modalità e circostanze del fatto sia dalla personalità del soggetto, la quale a sua volta deve essere desunta da comportamenti o atti concreti o dai precedenti: ciò significa che deve stabilirsi una convergenza tra le connotazioni del fatto e il dato personologico, il quale non può essere peraltro correlato ad astratte valutazioni, ma deve essere parimenti ancorato a dati riscontrabili.

In tale quadro nulla osta a che i comportamenti concreti che concorrono a lumeggiare la personalità possano essere ricavati dallo sviluppo della vicenda che connota la gravità indiziaria e dunque anche da quegli elementi che corroborano il giudizio di gravità del fatto, non in astratto bensì in concreto, purchè idonei a dar conto di una modalità operativa o di una specifica inclinazione o di una particolare pulsione.

Deve del resto rilevarsi che costituisce ius receptum il principio per cui ai fini dell'affermazione della sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, il giudice può porre a fondamento della valutazione della personalità dell'indagato le stesse modalità del fatto da cui ha dedotto anche la sua gravità (Sez. 2, n. 51843 del 16/10/2013, Caterino, rv. 258070; Sez. 5, n. 35265 del 12/3/2013, Castelliti, rv. 255763; Sez. 1, n. 8534 del 9/1/2013, Liuzzi, rv. 254928).

Ed allora può concludersi che le deduzioni difensive non sono idonee a vulnerare la valutazione del Tribunale, che ha dato rilievo alla continuità della condotta, al suo scostamento dai canoni di comportamento esigibili, alla conseguente inclinazione a delinquere palesata da entrambi i ricorrenti, che non avevano esitato a compromettere la funzione pubblica in vista del conseguimento di obiettivi personali, peraltro perseguiti con modalità attestanti persistente spregiudicatezza, a fronte di reati risalenti ad epoca recente, non seguiti da condotte rappresentative di resipiscenza.

Agli elementi così posti in evidenza, idonei a dar conto della concretezza del pericolo e della sua attualità, intesa in relazione non "all'imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto" ma invece ad una "valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un'analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale" (Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, Avolio, rv. 277242; in senso conforme Sez. 2, n. 55216 del 18/9/2018, S., rv. 274085), si è aggiunta da parte del Tribunale la considerazione degli ulteriori reati emersi a carico degli indagati, pur non posti a fondamento della misura, cioè le rivelazioni di segreto di ufficio, espressive del rapporto di strumentalità tra funzione e obiettivi privati, e il tentativo di violenza privata, imputabile al P., in relazione alle gravi minacce da lui rivolte al Ce. onde far cessare un procedimento disciplinare a carico della compagna del ricorrente: a tale elemento si è cercato di contrapporre solo una diversa valutazione di merito, non consentita in questa sede, fondata su una successiva conversazione, con cui il ricorrente avrebbe cercato di ricucire il rapporto con il Ce., elemento peraltro inconferente a fronte della significatività attribuita al primo approccio aggressivo e minaccioso, ritenuto rappresentativo della personalità del ricorrente.

2.4. Quanto infine alla sospensione del C., disposta con provvedimento che secondo quanto rappresentato nel ricorso è stato adottato il 6 dicembre 2019, deve in primo luogo rimarcarsi che si tratta di elemento successivo alla celebrazione del contraddittorio nella camera di consiglio del 5 dicembre 2019.

In ogni caso deve rilevarsi che di tale elemento il Tribunale ha comunque tenuto conto, a fronte dell'originaria provvisoria destinazione del C. alla forza potenziale.

E' stato sul punto osservato che la sospensione costituisce atto dovuto connesso all'applicazione della misura cautelare in questa sede, la cui revoca comporterebbe per contro il venir meno della sospensione.

Deve invero rimarcarsi che ai sensi del D.Lgs. n. 66 del 2010, art. 915 la sospensione consegue a misure cautelari coercitive limitative della libertà personale e a misure interdittive o coercitive tali da impedire lo svolgimento del servizio, mentre nel caso di revoca di siffatte misure la sospensione viene meno, potendo intervenire se del caso una sospensione facoltativa, ove siano confermati i gravi indizi.

In tale quadro dunque l'effetto impeditivo derivante dalla sospensione, che assume rilievo nei reati funzionali, va correlato all'applicazione di una misura che comunque non comporti una revoca della sospensione e dunque comunque incida sullo svolgimento del servizio.

Ne discende che vi è semmai margine, ove siano ravvisate esigenze cautelari, per la valutazione in termini di adeguatezza di eventuali misure da applicare in aggiunta alla automatica sospensione: ciò implica dunque uno scrutinio diverso da quello inerente alla mera sussistenza delle esigenze.

Ma nel caso di specie, alla conferma della misura cautelare è stato contrapposto il mero fatto della sospensione, per desumerne il venir meno delle esigenze e non invece per sollecitare un diverso giudizio in termini di adeguatezza, con la conseguenza che sul punto la deduzione risulta priva di fondamento, in quanto il venir meno della misura comporterebbe effettivamente, pur a fronte del persistere di esigenze cautelari, la revoca anche della sospensione.

3. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Il presente provvedimento, redatto dal Consigliere Dr. Ricciarelli Massimo, viene sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell'estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2020
Avv. Antonino Sugamele

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