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Sentenza

Bari. Finanziere accusato di concussione (art. 317 c.p.) e di abbandono del post...
Bari. Finanziere accusato di concussione (art. 317 c.p.) e di abbandono del posto aggravato (artt. 47, c.2 e 4 e art. 120 c. 1 del c.p.m.p.). Ilprocedimento per il reato di concussione si concludeva con l'assoluzione mentre l'abbandono del posto (giurisdizione militare) veniva sanzionato con la condanna.
T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., (ud. 04-02-2020) 17-07-2020, n. 8244
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9763 del 2007, proposto da

-OMISSIS- -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Maria La Scala, con domicilio eletto presso lo studio Stefania Steri in Roma, Piazzale Clodio, 8/C - 3;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del provvedimento del 18 giugno 2007, notificato il 23 luglio 2007, con il quale l'Amministrazione resistente ha inflitto nei confronti del ricorrente la sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione, ponendolo a disposizione del Distretto Militare competente come soldato semplice.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2020 il dott. Fabio Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Nell'odierno giudizio, il ricorrente, in servizio nella Guardia di Finanza, impugna il provvedimento con il quale gli è stata comminata la sanzione della perdita del grado per rimozione.

Espone che la sanzione derivava da una unica vicenda, avuta luogo durante un turno di servizio presso una postazione nel porto di Bari, ove il ricorrente era impiegato alla fine del mese di gennaio del 2001 ed in esito alla quale scaturivano due procedimenti, l'uno di fronte all'autorità giudiziaria ordinaria, l'altro di fronte alla magistratura militare.

Più precisamente, la difesa del ricorrente riferisce che quest'ultimo veniva denunciato da un autotrasportatore, secondo il quale egli gli avrebbe chiesto del danaro onde consentirgli l'imbarco su una nave in partenza per l'Albania, al dichiarato fine di evitare i controlli doganali sul carico trasportato.

Denunciato presso il locale ufficio di PS nell'immediatezza del fatto, il ricorrente veniva visto allontanarsi dal proprio posto di servizio dagli agenti di PS che, accompagnati nella circostanza dal diretto superiore del ricorrente, si stavano recando a raggiungerlo per svolgere i necessari accertamenti.

Veniva quindi instaurato di fronte all'AG ordinaria un procedimento penale per concussione (art. 317 c.p.) e, di fronte alla magistratura militare, un procedimento avente ad oggetto l'ipotesi di reato di abbandono del posto aggravato (artt. 47, c.2 e 4 e art. 120 c. 1 del c.p.m.p.).

In quest'ultima sede di giudizio, dopo tre gradi, il ricorrente veniva condannato definitivamente alla pena detentiva di mesi 6 di reclusione - pena sospesa - non avendo trovato credito la deduzione difensiva svolta secondo la quale sarebbe sussistita la scriminante di cui all'art. 51 c.p., dipesa dall'esigenza improvvisa di inseguire un soggetto datosi alla fuga (Tribunale militare di Bari, sentenza 014/2003 del 27.2.2003, successivamente confermata con sentenze di appello - nr. 93/05 - e Cassazione - nr. 1081/2006 - tutte in atti); mentre, in sede penale, il GIP disponeva il rinvio a giudizio del ricorrente in data 6.3.2003 ed il giudizio si concludeva con sentenza di assoluzione in data 4.4.2007, con la formula "perché il fatto non sussiste".

Evidenzia la difesa di parte ricorrente, pertanto, che quando il giudizio di fronte all'A.G militare si concludeva, né la Corte d'Appello, né la Cassazione avevano contezza della (solo successivamente dichiarata) assoluzione del ricorrente dal reato di concussione.

Nel descritto contesto, la PA riteneva di avviare il procedimento disciplinare a carico del ricorrente in data 19.03.2007 (contestazione degli addebiti) sulla scorta del solo giudicato penale militare, senza attendere, pur se sollecitata in tal senso dal ricorrente, l'esito del procedimento ordinario penale, con la conseguenza che trovavano ingresso nel procedimento disciplinare elementi e valutazioni ultronee in quanto attinenti a fattispecie delittuose successivamente escluse.

In particolare, ciò emergerebbe dall'atto di incolpazione laddove al ricorrente si rimprovera di essersi dato "a precipitosa fuga" quando, non sussistendo alcun reato, non c'era alcuna ragione di fuggire. Inoltre, dalla stessa entità della sanzione, si evince che a carico del ricorrente sono stati considerati, in sede disciplinare, sia gli addebiti della Procura Militare che quelli della Procura penale ordinaria, mentre questi ultimi avrebbero dovuto essere espunti e si sarebbe dovuto procedere solo per la prima parte, con ogni conseguenza in ordine al dimensionamento della sanzione.

Da qui, il ricorrente contesta (I) l'eccesso di potere per sviamento di potere nelle figure sintomatiche dell'ingiustizia manifesta e per travisamento dei fatti contestati; violazione del principio di proporzionalità tra la sanzione inflitta della rimozione per perdita del grado e fatti addebitati; (II) eccesso di potere sotto vari profili; carenza di istruttoria, insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto, contraddittorietà, violazione del giusto procedimento ed elusione del giudicato, violazione di legge per inosservanza degli artt. 2, 3, 24 e 97 della Costituzione.

Si è costituita l'Avvocatura Generale dello Stato a difesa dell'Amministrazione intimata, che resiste al ricorso del quale chiede il rigetto.

A tale scopo, dopo brevi cenni in ordine allo svolgimento dei fatti e del procedimento disciplinare (apertosi con atto di contestazione degli addebiti del 19 marzo 2007, proseguito con il giudizio della competente Commissione di disciplina che riunitasi il 31 maggio 2007 riteneva il ricorrente "non meritevole di conservare il grado" e, infine, pervenuta all'irrogazione della sanzione da parte del Comandante in Seconda della Guardia di Finanza che condivideva il predetto giudizio e disponeva la perdita del grado con il provvedimento impugnato, notificato il 23 luglio 2007), l'Avvocatura deduce circa l'infondatezza di ogni motivo di ricorso e conclude per il rigetto del gravame.

Con ordinanza nr. 5901 del 20 dicembre 2007 è stata respinta la domanda cautelare.

Nella pubblica udienza del 4 febbraio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

Rileva in fatto il Collegio che sulla base delle risultanze degli atti ed in accordo con le tesi difensive dell'Avvocatura, il gravame non può trovare accoglimento, in quanto la vicenda contenziosa trae origine da accadimenti svoltisi in maniera difforme da quanto rappresentato a fondamento del gravame.

Più precisamente, risulta che il ricorrente, appuntato della Guardia di Finanza comandato in servizio presso l'area portuale di Bari, veniva avvicinato da tre sottufficiali della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato che avrebbero dovuto svolgere accertamenti in ordine a una notizia di reato che vedeva interessato il medesimo odierno ricorrente. Quest'ultimo, al cellulare mentre veniva avvicinato dai colleghi, non smetteva di telefonare e gradualmente si allontanava sino a darsi "a precipitosa corsa" (e tanto nonostante invitato dal Sottufficiale suo superiore, con l'espressione meglio riportata in atti); quindi, proseguendo nella corsa, mentre i colleghi lo inseguivano, fermava l'autovettura di un privato, vi saliva a bordo e lo induceva ad allontanarsi velocemente dal posto fino ad uscire fuori dall'area portuale.

La vettura non si fermava all'alt intimato dal rappresentante della Polizia di Stato in quanto il conducente privato riceveva tale prescrizione dal graduato che era salito velocemente a bordo della stessa.

Di seguito il ricorrente veniva raggiunto telefonicamente dal proprio superiore, presentandosi quindi spontaneamente in sede.

Sulla base di tali evenienze, desunte dal giudicato militare, appare con evidenza la infondatezza delle doglianze di parte ricorrente.

In primo luogo, nessun rilievo emerge abbia avuto, nel procedimento disciplinare, l'imputazione a carico del ricorrente nella sede del processo penale ordinario, poi conclusosi con la sua assoluzione, con la conseguenza che risulta smentita la principale tesi di fondo che viene dedotta mediante le censure articolate in ricorso. Invero, il procedimento disciplinare si rivela invece del tutto incentrato sul comportamento avuto dal ricorrente durante la prestazione del servizio al quale era comandato, così come ricostruito all'esito del procedimento in sede penale militare e che è stato ritenuto rilevante in quanto lesivo di elementari obblighi di condotta e collaborazione con i diretti superiori e con gli agenti della Polizia di Stato che avevano il compito di svolgere accertamenti su quella stessa notizia di reato che poi si sarebbe rivelata infondata (quindi la condotta osservata dal ricorrente appare altresì, sia pure ex post, contraria ai propri stessi interessi).

Del tutto privo di ogni circostanziato chiarimento risulta il presupposto invocato dal ricorrente in sede penale (ove è stato ritenuto inattendibile) laddove questi affermava di non essersi allontanato ma solo di aver dovuto inseguire un terzo: a tacere di ogni rilievo in ordine alla natura meramente assertiva della tesi difensiva, ciò che osta a darle ingresso nel procedimento disciplinare è il vincolo che il giudicato penale militare opera in ordine all'accertamento dei fatti e della responsabilità dell'interessato, con la conseguenza che l'allontanamento ingiustificato del ricorrente è un dato acquisito che, in sede disciplinare, non può essere rimesso in discussione.

Pertanto, il primo motivo di ricorso (secondo cui la sanzione sarebbe eccessiva e sproporzionata in quanto nel procedimento sanzionatorio sarebbero confluite le accuse di entrambi i procedimenti pendenti) è documentalmente smentito dalla semplice analisi dei provvedimenti e degli atti istruttori; ogni altro apprezzamento circa la corrispondenza tra fatti accertati e sanzione irrogata, per come formulata la censura, impinge nel merito amministrativo in quanto tesa a sostituire la valutazione del giudice a quella dell'Amministrazione e come tale è inammissibile.

Il secondo motivo di ricorso, secondo il quale sussisterebbe il contrasto con il giudicato di assoluzione dell'A.G. penale ordinaria, è parimenti infondato, essendo differente l'ipotesi di reato dedotta in tale sede rispetto al comportamento che è stato oggetto del procedimento disciplinare.

Anche sotto il profilo della denunciata violazione del principio di proporzionalità tra il fatto ascritto e la sanzione applicata, il ricorso non può trovare accoglimento: per come formulata, la doglianza tende ad ottenere una valutazione integralmente sostitutiva dell'apprezzamento di merito dell'Amministrazione e, come tale, è inammissibile.

Per queste ragioni, il ricorso è dunque infondato e come tale va respinto, con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente alle spese di lite che liquida in Euro 2.000,00 oltre accessori come per legge se dovuti.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 5, 6 e 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente e le altre persone fisiche indicate in atti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Pietro Morabito, Presidente

Fabio Mattei, Consigliere, Estensore

Salvatore Gatto Costantino, Consigliere
Avv. Antonino Sugamele

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