Gli internati militari italiani possono rivolgersi al giudice italiano per ottenere il risarcimento contro la Repubblica Federale di Germania.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 7 luglio – 28 settembre 2020, n. 20442
Presidente Mammone – Relatore Scrima
Fatti di causa
Con atto di citazione notificato il 18 ottobre 2004, T.P. , figlio ed erede del generale T.M. , convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Firenze, la Repubblica Federale di Germania (di seguito indicata, per brevità, anche RFG) per sentirla condannare al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito iure proprio e iure hereditatis, derivante dalla illegittima cattura, dalla deportazione, dal lavoro forzato e dalla morte del padre.
L'attore espose che T.M. , sospettato di collaborare con la resistenza, nel XXXX si era presentato spontaneamente al comando tedesco per ottenere in cambio la liberazione del figlio (attuale ricorrente e all'epoca tredicenne), preso in ostaggio durante una perquisizione domiciliare.
Il generale T.M. era stato immediatamente imprigionato dalle Forze Armate tedesche - che rilasciarono il figlio - e il (OMISSIS) era stato deportato nei campi di concentramento prima di (OMISSIS) , poi di [...] e infine di (OMISSIS) , precisamente in un sub-campo a [...]X, in provincia di [...], come lavoratore forzato. Dopo essere stato costretto a lavorare in condizioni disumane in una fabbrica di materiale bellico (la Mitteldeutsche Stahlwerke GmbH di proprietà della famiglia F. , in cui si costruivano cannoni ed altri armamenti per la marina militare tedesca e dove la SS aveva il comando sul campo di concentramento, che era totalmente integrato nella fabbrica), con l'avvicinamento delle truppe sovietiche, T.M. , unitamente ad altri prigionieri, non potendo essere incluso nelle cd. marce della morte, perché malato, era stato ucciso a opera di un comando delle SS in una cava vicino (OMISSIS) .
L'attore precisò che per l'impiego dei prigionieri - classificati, su ordine del Fuhrer, come "internati militari italiani" anziché come "prigionieri di guerra" - nei lavori forzati della fabbrica, il titolare della fabbrica, F.F. , era stato condannato alla pena di sette anni di reclusione dal Tribunale di Norimberga.
La Repubblica Federale di Germania si costituì in giudizio ed eccepì: 1) il difetto di giurisdizione del Tribunale adito, per il principio di immunità dello Stato, e, comunque, 2) l'inammissibilità o improcedibilità della domanda, per aver l'Italia rinunciato ad ogni pretesa dei propri cittadini in seguito al Trattato di Pace del 1947 e agli Accordi di Bonn 1961, 3) la prescrizione del credito risarcitorio e 4) l'infondatezza della pretesa; inoltre, chiamò in causa la Repubblica Italiana per esserne manlevata.
La Repubblica Italiana si costituì in giudizio e contestò integralmente sia le pretese attoree che la domanda in garanzia della convenuta.
In corso di causa venne proposto, da parte della convenuta, regolamento di giurisdizione, che venne deciso con l'ordinanza 29/05/2008, n. 14202, con la quale queste Sezioni Unite dichiararono la giurisdizione del giudice italiano.
Il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 1086 del 14 marzo 2012, pubblicata il 28 marzo 2012, accogliendo l'eccezione preliminare della RFG, dichiarò inammissibile la domanda risarcitoria, rilevando, in motivazione, che la Corte Internazionale di Giustizia (CIG), con sentenza del 3 febbraio 2012, intervenuta nelle more del giudizio su impulso della RFG, aveva ritenuto immuni dalla giurisdizione civile gli atti compiuti dagli Stati iure imperii ai sensi dei principi di diritto internazionale.
T.P. impugnò la sentenza di primo grado insistendo nella propria domanda. In particolare, dedusse che: 1) il Tribunale non poteva dichiarare inammissibile la domanda in quanto la Corte di cassazione aveva dichiarato precedentemente la giurisdizione del giudice italiano, mentre la sentenza della CIG, sulla quale il giudice di prime cure aveva fondato la propria decisione, non poteva interferire nell'autonomia dell'ordinamento giuridico interno; 2) l'azione giudiziaria da lui intrapresa non poteva considerarsi una minaccia "per la pace e la giustizia fra le nazioni", sulla base dei principi di diritto internazionale; 3) avendo la RFG eccepito la prescrizione della pretesa risarcitoria, in base all'art. 77 del Trattato di Parigi del febbraio 1947, non poteva più sostenere la propria immunità giurisdizionale; 4) in ogni caso, la già menzionata sentenza della CIG si poneva in contrasto con altre molteplici decisioni assunte in ambito internazionale, nonché con la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione che, in conformità con il diritto internazionale consuetudinario, aveva ammesso il risarcimento dei danni per crimini contro l'umanità; 5) l'eventuale immunità giurisdizionale di uno Stato nei rapporti con gli altri Stati per le conseguenze degli atti bellici non poteva precludere il diritto del singolo individuo di agire in giudizio per il risarcimento di violazioni concernenti i diritti inalienabili della persona; 6) nella specie, la Germania aveva violato sistematicamente i diritti fondamentali del defunto padre dell'attore e, pertanto, dopo la moratoria concessa nell'ambito della Convenzione di Londra del 1953, doveva ritenersi ammissibile l'azione risarcitoria nei suoi confronti, che in nessun caso poteva riterersi prescritta.
Si costituì anche nel giudizio di appello la Repubblica Federale di Germania contestando l'ammissibilità e la fondatezza del gravame, di cui chiese il rigetto, con vittoria di spese; in via incidentale, ribadì la carenza di giurisdizione del giudice italiano e ripropose la domanda di manleva nei confronti dello Stato italiano.
Anche quest'ultimo si costituì in giudizio contestando integralmente la domanda attorea e la domanda di manleva.
Va evidenziato che, nelle more del giudizio di appello, nel corso di procedimenti analoghi al presente, il Tribunale di Firenze sottopose al vaglio di legittimità costituzionale la L. n. 5 del 2013, art. 3, con la quale lo Stato italiano aveva inteso recepire la norma consuetudinaria di diritto internazionale sull'immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati per tutti gli atti intervenuti iure imperii, così come interpretata dalla CIG con la citata sentenza del 3 febbraio 2012.
Con sentenza del 24 ottobre 2014, n. 238, la Corte costituzionale dichiarò l'illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 2 e 24 Cost., della L. n. 5 del 2013, menzionato art. 3, nonché della L. n. 848 del 1957, art. 1, "limitatamente all'esecuzione data all'art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, esclusivamente nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia (CIG) del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l'umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona"; dichiarò non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale "della norma prodotta nel nostro ordinamento mediante il rece pimento, ai sensi dell'art. 10 Cost., comma 1, della norma consuetudinaria di diritto internazionale sull'immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati".
La Corte di appello di Firenze, con sentenza n. 2945, pubblicata il 17 dicembre 2018, rigettò l'appello, confermando la decisione di primo grado.
La Corte territoriale, nella motivazione della menzionata sentenza, richiamò il percorso normativo e giurisprudenziale fino alla emanazione della L. n. 5 del 2013, sottolineando in particolare che, alla luce della sopravvenienza di tale legge, approvata per dare seguito sul piano interno alla decisione della CIG, queste Sezioni Unite si erano successivamente pronunciate "sconfessando" l'indirizzo precedente - espresso anche dalla decisione resa sulla questione di giurisdizione in corso di causa - con la sentenza a S.U. n. 1136/2014, che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano, stante la necessità di adeguarsi al dettato normativo.
In motivazione, inoltre, la Corte territoriale affermò di "non ignora(re)" che il Tribunale di Firenze aveva sollevato dubbi di legittimità costituzionale su quella disciplina normativa, ritenendoli tuttavia - al di là dei nobilissimi intenti - non convincenti e non suscettibili di avere seguito, alla luce della giurisprudenza di legittimità secondo cui il diniego all'azione civile della singola vittima di crimini di guerra avrebbe dovuto ricondursi alle limitazioni di sovranità previste dall'art. 11 Cost.. Ritenne, pertanto, la Corte di merito che l'impugnazione del T. dovesse essere respinta in quanto il regolamento di giurisdizione definito in corso di causa da queste Sezioni Unite doveva ritenersi superato dallo ius superveniens ed evidenziò che, comunque, il giudice di prime cure si era espresso per l'inammissibilità, nel senso che, anche presupponendo la giurisdizione, avrebbe trovato comunque applicazione prevalente il principio dell'immunità degli Stati per gli atti compiuti iure imperii.
La Corte territoriale aggiunse che, essendo la citata sentenza della CIG vincolante nell'ordinamento italiano, ammettere le azioni risarcitorie dei singoli nei confronti degli Stati sovrani, avrebbe alterato le dinamiche negoziali nella definizione dei rapporti internazionali (specie nella sistemazione delle recriminazioni postbelliche), ostacolando in tal modo il sistema condiviso di "pace e giustizia fra le nazioni".
Inoltre, ritenne la Corte di merito che non potevano dirsi rinunciate le eccezioni di carenza di giurisdizione e d'inammissibilità dell'azione sollevate dalla RFG per avere contestato nel merito la fondatezza delle pretese risarcitorie del T. , che, dato l'esito della lite, non vi era luogo a provvedere sulla domanda di manieva tra la RFG e la Repubblica Italiana, e che andavano interamente compensate tra le parti le spese di quel grado.
Avverso la sentenza della Corte di appello T.P. ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi e illustrato da memoria.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Alla pubblica udienza la difesa del ricorrente ha depositato "foglio di conclusioni" e "nota spese".
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, rubricato "A - ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1) e 3), per violazione del principio di giurisdizione universale per gravi crimini contro l'umanità nonché degli artt. 18 e 20 c.p.c., per errata applicazione dell'art. 136 Cost., L. n. 5 del 2013, art. 3 e della L. 17 agosto 1957, n. 848, art. 1 (e art. 94 della Carta ONU) alla luce della sentenza n. 238/2014 e Ordinanza n. 30/2015 della Corte Costituzionale", il ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato non sarebbe conforme alla giurisprudenza della Suprema Corte e all'uopo richiama Cass., Sez. Un., n. 9097/2015 e 9098/2015; Cass., Sez. Un., n. 2146/2015; Cass., Sez. Un., n. 15812/2016.
1.1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
1.2. Come pure evidenziato dal P.G. nella sua requisitoria scritta, dalla metà del primo decennio di questo secolo si è formato, nella giurisprudenza di legittimità, un orientamento secondo cui deve ritenersi non più assoluta - come in precedenza - la portata del principio dell'immunità degli Stati nazionali dalla giurisdizione civile straniera per gli atti compiuti iure imperii, in ragione del principio fondamentale del rispetto dei diritti inviolabili della persona umana. Questo indirizzo ha preso le mosse dalla emersione di numerosi casi di domande risarcitorie proposte nei confronti della Repubblica Federale di Germania, in relazione a fatti commessi dal regime nazista durante la seconda guerra mondiale, per ottenere il ristoro dei danni non patrimoniali subiti dagli attori - e per successione dai loro eredi - in conseguenza della deportazione e della sottoposizione a lavoro forzato nei campi di prigionia.
Le Sezioni Unite - a partire dal noto "caso Ferrini" - hanno così riconosciuto la giurisdizione italiana in relazione alla domanda risarcitoria promossa dal cittadino italiano nei confronti della Repubblica Federale di Germania Tedesca per essere stato catturato a seguito dell'occupazione nazista. Con la sentenza 11/03/2004, n. 5044/2004, le Sezioni Unite di questa Corte, proprio in relazione al predetto caso, hanno affermato che: "Il rispetto dei diritti inviolabili della persona umana ha assunto il valore di principio fondamentale dell'ordinamento internazionale, riducendo la portata e l'ambito di altri principi ai quali tale ordinamento si è tradizionalmente ispirato, quale quello sulla "sovrana uguaglianza" degli Stati, cui si collega il riconoscimento della immunità statale dalla giurisdizione civile straniera. Ne consegue che la norma consuetudinaria di diritto internazionale generalmente riconosciuta che impone agli Stati l'obbligo di astenersi dall'esercitare il potere giurisdizionale nei confronti degli Stati stranieri, non ha carattere assoluto, nel senso che essa non accorda allo Stato straniero un'immunità totale dalla giurisdizione civile dello Stato territoriale, tale immunità non potendo essere invocata in presenza di comportamenti dello Stato straniero di tale gravità da configurare, in forza di norme consuetudinarie di diritto internazionale, crimini internazionali, in quanto lesivi, appunto, di quei valori universali di rispetto della dignità umana che trascendono gli interessi delle singole comunità statali. Sussiste pertanto la giurisdizione italiana in relazione alla domanda risarcitoria promossa, nei confronti della Repubblica federale di Germania, dal cittadino italiano che lamenti di essere stato catturato a seguito dell'occupazione nazista in Italia durante la seconda guerra mondiale e deportato in Germania per essere utilizzato quale mano d'opera non volontaria al servizio di imprese tedesche, atteso che sia la deportazione che l'assoggettamento ai lavori forzati devono essere annoverati tra i crimini di guerra e, quindi, tra i crimini di diritto internazionale, essendosi formata al riguardo una norma di diritto consuetudinario di portata generale per tutti i componenti della comunità internazionale".
Tale orientamento è stato poi successivamente ribadito da questa Corte (v. Cass., sez. un., ord., 29/05/2008, nn. 14201 e 14202, quest'ultima ha statuito proprio sulla giurisdizione italiana a favore dell'odierno ricorrente, nonché Cass., sez. I, 20/05/2011, n. 11163).
Nello stesso senso si è espressa la Prima Sezione penale di questa con la sentenza n. 1072 del 21/10/2008 (dep. 13/01/2009).
Secondo il ricordato indirizzo va riconosciuta la categoria dei delicta imperii quale area insuscettibile di poter fruire della prerogativa consuetudinaria della piena immunità statale.
1.3. In tale contesto si è registrata la sentenza Germania c. Italia del 3 febbraio 2012 della Corte Internazionale di Giustizia, con cui è stato accolto il ricorso proposto dalla Germania contro l'Italia per avere quest'ultima mancato di riconoscere la piena immunità spettante in base al diritto internazionale, e in base alla quale sia i giudici di primo grado che, successivamente, la Corte d'appello, hanno fondato il proprio convincimento.
Con la menzionata sentenza, la CIG, interpretando le norme di diritto internazionale, ha negato la giurisdizione dello Stato italiano sulle azioni risarcitorie per danni da crimini di guerra commessi iure imperii dal Terzo Reich.
In ottemperanza a tale decisione, mediante il recepimento ai sensi dell'art. 10 Cost., comma 1, il legislatore italiano ha promulgato la L. n. 5 del 2013.
In particolare, l'art. 3 della citata legge prevedeva che il giudice nazionale dovesse adeguarsi alla pronuncia della CIG e dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo.
Queste Sezioni Unite hanno pertanto mutato il proprio orientamento, riconoscendo nuovamente l'applicabilità del principio dell'immunità. In tal senso le stesse si sono espresse con l'ordinanza n. 4284 del 21/02/2013, secondo cui "Non sussiste la giurisdizione italiana in relazione alla domanda risarcitoria promossa nei confronti della Repubblica federale di Germania con riguardo ad attività iure imperii lesive dei valori fondamentali della persona o integranti crimini contro l'umanità, commesse dal Reich tedesco fra il 1943 ed il 1945, dovendosi escludere che il principio dello ius cogens deroghi al principio dell'immunità giurisdizionale degli Stati". Nello stesso senso queste Sezioni Unite si sono espresse con la sentenza n. 1136 del 21/01/2014, secondo cui "In tema di azione risarcitoria promossa, nei confronti della Repubblica Federale di Germania, dal cittadino italiano che lamenti di essere stato catturato a seguito dell'occupazione nazista in Italla durante la seconda guerra mondiale e deportato in Germania, la L. 14 gennaio 2013, n. 5, art. 3, comma 1, emanata per determinare le modalità di attuazione della sentenza della Corte internazionale di giustizia dell'Aja del 2 febbraio 2012 che ha escluso la sussistenza della giurisdizione civile rispetto agli atti compiuti iure imperii da uno Stato, nel prevedere la declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice italiano, in qualunque stato e grado del processo (e pur dopo una precedente statuizione della cassazione, con rinvio al giudice di merito), costituisce norma di adeguamento dell'ordinamento interno a quello internazionale, in attuazione dell'art. 11 Cost., secondo periodo". Analogamente si è espressa la Prima Sezione penale di questa Corte con la sentenza n. 32139 del 30/05/2012 (dep. 09/08/2012), secondo cui "Non sussiste la giurisdizione italiana in relazione alla domanda risarcitoria promossa in sede penale nei confronti della Repubblica federale di Germania con riguardo ad attività iure imperii, ritenute lesive dei valori fondamentali della persona o integranti crimini contro l'umanità, commesse dal Reich tedesco fra il 1943 ed il 1945".
1.4. L'orientamento appena ricordato, fondato sulla pronuncia della CIG e sulla L. n. 5 del 2013, non è stato e non è più sostenibile, a partire dalla successiva sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2014.
Con tale pronuncia, resa proprio in relazione ai dubbi di costituzionalità sollevati dal Tribunale di Firenze - cui si fa riferimento anche nella sentenza impugnata in questa sede -, la Consulta ha infatti dichiarato l'illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 2 e 24 Cost., della norma in questione, nonché della L. 17 agosto 1957, n. 848, art. 1, limitatamente all'esecuzione data all'art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, nella parte in cui prevede l'obbligo per il giudice italiano di adeguarsi alla pronuncia della CIG del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l'umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona.
L'immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione civile - ha osservato i Giudice delle leggi - esprime una consuetudine di diritto internazionale che ha ingresso nell'ordinamento interno attraverso l'art. 10 Cost.; ma la stessa Costituzione impone di verificare se attraverso tale meccanismo di adattamento automatico risultino avere ingresso norme, quale appunto quella formata dall'interpretazione datane dalla CIG, che entrino in conflitto con i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, tra cui il diritto al giudice (art. 24 Cost.) e, assieme, la garanzia del rispetto dei diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost.). Per questo, nei rapporti con gli Stati stranieri, il diritto alla tutela giudiziale può essere limitato fino al punto in cui vi sia un interesse pubblico riconoscibile come preminente, ciò che non potrebbe mai dirsi in presenza di atti che non esprimono la funzione sovrana dello Stato straniero, bensì integrano crimini contro l'umanità, come la deportazione, i lavori forzati, gli eccidi. Il carattere palesemente criminale di tali fatti impedisce che a essi possa giovare lo scudo protettivo dell'immunità, operando i predetti contro-limiti.
Pertanto, con la pronuncia interpretativa di rigetto sopra richiamata, la Corte Costituzionale ha affermato che, per la parte che concerne i delicta imperli, quella norma di diritto internazionale non è entrata nell'ordinamento, non operando il rinvio ex art. 10 Cost..
Con la medesima sentenza n. 238, conseguentemente, la Consulta ha dichiarato l'incostituzionalità della legge di adattamento speciale (L. n. 5 del 2013, art. 3) e della legge di esecuzione dello Statuto dell'ONU (L. n. 848 del 1957, art. 1), per la parte in cui tali disposizioni imponevano, con vincolo di adeguamento alla pronuncia della Corte internazionale dell'Aja, di declinare la giurisdizione nazionale in presenza di atti di uno Stato straniero costitutivi di crimini di guerra o contro l'umanità, lesivi dei diritti inviolabili della persona.
1.5. Stante la dichiarazione cumulativa (ribadita poi con l'ordinanza n. 30/2015), di rigetto con interpretazione (vincolante per il giudice nel senso di impedire la reiterazione dell'interpretazione anticostituzionale, v. al riguardo Cass., sez. un., 16/12/2013, n. 27986) e di illegittimità costituzionale delle norme interne di adeguamento, la giurisprudenza di legittimità successiva alla pronuncia della Consulta è tornata a seguire l'orientamento precedente, riconoscendo la prevalenza del principio e meta-valore del rispetto dei diritti inviolabili a fronte di delicta imperii, cioè di atti compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens tali da determinare la rottura di un potere sovrano riconoscibile come tale; con conseguente recessione del principio dell'immunità statale, che non costituisce un diritto quanto piuttosto una "prerogativa" dello Stato nazionale, cosicché il principio del rispetto della "sovrana uguaglianza" degli Stati deve restare privo di effetti nell'ipotesi di crimini contro l'umanità, cioè compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens, in quanto tali lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali e la cui vera sostanza consiste in un abuso della sovranità statuale: così Cass., sez. un., 28/10/2015, n. 21946; Cass., sez. un., 29/07/2016, n. 15812; Cass., sez. un., 13/01/2017, n. 762; v. anche Cass., I sez. pen. 14/09/2015, n. 43696).
1.6. Va osservato che di tale ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità e dell'intervenuta sentenza della Corte costituzionale non ha tenuto assolutamente conto la Corte d'appello di Firenze, la quale, invece, ha motivato la propria decisione sulla base di un indirizzo ormai superato e con mera espressione di dissenso rispetto alle argomentazioni poste a sostegno delle questioni di costituzionalità sollevate dal Tribunale di Firenze, che hanno invece trovato accoglimento in una decisione di ben quattro anni precedente la sentenza impugnata in questa sede.
1.7. Alla luce delle considerazioni che precedono, il motivo all'esame deve essere accolto, con conseguente affermazione della giurisdizione del giudice italiano in relazione alla domanda risarcitoria proposta dal ricorrente.
2. Dall'accoglimento del primo motivo di ricorso, resta assorbito lo scrutinio del secondo motivo, rubricato "B - ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2) e 3), per violazione dell'art. 10 Cost., in combinato disposto con art. 17 dell'Accordo di Londra sui debiti del Deutsches Reich del 27.feb.1953", con il quale il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata debba essere riformata ai sensi dell'art. 10 Cost., avendo la convenuta rinunciato convenzionalmente alla sua immunità, con rinuncia accettata dal diritto internazionale generalmente riconosciuto.
3. Parimenti deve ritenersi assorbito l'esame del terzo motivo, rubricato "C - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell'art. 41 c.p.c. e della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59, nonché dell'art. 2909 c.c.", con il quale il ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver la Corte di merito ritenuto passata in giudicato e vincolante tra le parti la statuizione sulla giurisdizione di cui all'ordinanza di queste Sezioni Unite 29/05/2008, n. 14202, che aveva già affermato la giurisdizione del giudice adito tra le parti in causa.
4. Conclusivamente, va accolto il primo motivo, assorbiti il secondo e il terzo; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Firenze, in diversa composizione, in applicazione dell'art. 383 c.p.c., comma 3 (Cass., sez. un., 1/03/1979, n. 1316; Cass., sez. un., 28/07/2016, n. 15812).
5. Stante l'accoglimento del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo e il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
30-09-2020 20:39
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