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Sentenza

I bossoli risultanti dallo sparo di munizioni per arma da guerra portatile indiv...
I bossoli risultanti dallo sparo di munizioni per arma da guerra portatile individuale non possono essere considerati parti di munizioni per armi da guerra, mancando il requisito della destinazione, espressamente previsto dalla norma, giacchè una cartuccia allestita, ricaricando un bossolo di provenienza militare, non è destinabile al caricamento di armi da guerra.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-02-2020) 02-04-2020, n. 11197


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. APRILE Stefano - Presidente -

Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere -

Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere -

Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere -

Dott. RENOLDI Carlo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.A., nato a (OMISSIS);

M.G.A., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria in data 13/6/2019;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Carlo Renoldi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CASELLA Giuseppina, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione al ricorso proposto da M.G.A. per non avere commesso il fatto in relazione ai reati di cui ai capi a), b), d), f) e con rinvio in relazione al capo e) per la rideterminazione della pena e per la valutazione del riconoscimento delle attenuanti generiche nonchè la declaratoria di inammissibilità del ricorso di M.A.;

udito, per gli imputati, l'avv. Aldo De Caridi, che si è riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l'accoglimento.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 13/6/2019, la Corte di appello di Reggio Calabria confermò la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria in data 16/11/2018 con la quale M.A. e M.G.A. erano stati ritenuti colpevoli dei reati di cui all'art. 110 c.p., L. 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 (capo a), art. 110 c.p., e L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 23, comma 3 (capo b), artt. 110 e 648 c.p. (capo d), art. 110 c.p. e L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 2 (capo e) e art. 697 c.p. (capo f); sicchè, riconosciuto il vincolo della continuazione tra essi e applicata la diminuente per il rito, erano stati condannati alla pena di 3 anni di reclusione e di 2.000,00 Euro di multa, ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali. I due imputati erano stati, invece, assolti dal capo c) di imputazione per insussistenza del fatto.

1.1. Secondo quanto accertato in occasione di una perquisizione domiciliare eseguita R.D. 18 giugno 1931, n. 773, ex art. 41 (di seguito indicato come "TULPS") il (OMISSIS) presso l'abitazione di via (OMISSIS) di proprietà di M.A. nella quale, nel frangente, erano fisicamente presenti entrambi gli imputati, personale della Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria aveva rinvenuto, all'interno di alcuni vani e nelle pertinenze della medesima abitazione (e precisamente in alcuni locali utilizzati quali ricoveri attrezzi, costruiti nel terreno recintato, non accessibile a terzi, circostante l'abitazione) di cui gli imputati, padre e figlio, avevano la disponibilità - alcune armi da fuoco (ovvero: un fucile monocanna marca Beretta, modello A301, calibro 12, con matricola punzonata e canna tagliata; una doppietta a canne mozze, marca Bernardelli calibro 12, con calcio in legno parzialmente tagliato e matricola abrasa, presente all'interno di un tubo in "pvc" di colore arancione, nascosto nel terreno antistante il ricovero per attrezzi), un silenziatore artigianale e numerose munizioni (12 cartucce calibro 12, all'interno del locale officina, 18 cartucce calibro 12, nel tubo; numerosi pallini di piombo, presenti all'interno di un contenitore in vetro con tappo a vite). Indi, gli operanti avevano esteso la perquisizione all'abitazione di M.G.A., sita in (OMISSIS), ove erano stati rinvenuti 23 bossoli di munizioni da guerra già esplosi, uniti da nastro metallico, appesi al muro del corridoio, nonchè 5 bossoli di munizioni da guerra già esplosi, presenti, invece, nel vano cucina, custoditi in un contenitore in vetro a tappo posto all'interno di un cassetto pensile.

Sulla base di tali risultanze, i Giudici di merito ritennero provata la responsabilità penale di entrambi imputati in ordine ai reati loro ascritti, avuto riguardo alla disponibilità dell'immobile in cui erano state rinvenute le armi, nonchè alle dichiarazioni dagli stessi rese in sede di udienza di convalida dell'arresto che aveva fatto seguito alle operazioni di perquisizione.

In tale frangente, infatti, il padre, M.A., si era accollato la responsabilità del possesso delle armi, rendendo dichiarazioni che, sia pur inverosimili quanto alla provenienza, all'acquisto, al costo delle stesse, oltre che in relazione alla finalità della detenzione, erano state ritenute indicative di "una posizione poco compatibile con una tipologia di partecipazione che non raggiunge la soglia di punibilità", quale la mera "connivenza" Quanto, poi, al figlio, M.G.A., costui aveva ammesso, sin da subito, di essere a conoscenza dell'esistenza delle armi, del silenziatore, delle munizioni, e aveva dichiarato di frequentare giornalmente l'abitazione di via (OMISSIS) ove viveva l'altro fratello, M.L.A., resosi irreperibile al momento della perquisizione e nei confronti del quale si era proceduto separatamente. M.G.A. aveva ammesso, inoltre, che gli ambienti in cui erano state rinvenute te armi erano abitualmente frequentati da tutti i componenti della famiglia M. e con riguardo alla stanza degli attrezzi in cui era stato rinvenuto il fucile monocanna marca Beretta calibro 12, con matricola punzonata e canna tagliata, lo stesso aveva riferito che "ci entrava pure lui" Versione confermata dal fratello L.A., il quale, nel corso del separato procedimento, pur negando che il germano sapesse dell'esistenza delle armi, aveva implicitamente avvalorato la circostanza che costui fosse solito frequentare giornalmente l'abitazione di via (OMISSIS).

Più precisamente, alla luce dello stato dei luoghi verificabile dal carteggio fotografico, gli imputati non potevano non essere a conoscenza della presenza, negli spazi abitativi e nelle relative pertinenze, delle numerose armi, parti di armi e munizioni illegalmente detenute. In particolare, quanto al fucile marca Beretta (e alle 12 cartucce del medesimo calibro), sussisteva una "relazione stabile del soggetto con la cosa" tale da configurare l'oggettività del reato di detenzione delle armi, caratterizzato da un minimo di permanenza del rapporto materiale tra detentore e cosa detenuta e un minimo apprezzabile di autonoma disponibilità del bene da parte degli imputati, essendo l'arma custodita su un asse centrale posto nella parte superiore destra della stanza, abitualmente frequentata dall'intero nucleo familiare. Quanto al silenziatore, esso era stato rinvenuto nella stanza arredata, all'interno di un carrello per attrezzi, ovvero in un ambiente di libero accesso a tutti i familiari; mentre la doppietta a canne mozze marca Bemardelli e le 18 cartucce calibro 12, occultate all'interno di un tubo in "pvc" di colore arancione, erano state rinvenute nel terreno antistante ai locale adibito a officina a cui, parimenti, avevano libero accesso tutti i familiari. Infine, i bossoli da guerra esplosi, rinvenuti nell'abitazione di via (OMISSIS), luogo di dimora di M.G.A., si trovavano esposti in un luogo di passaggio, il corridoio, sicchè la loro presenza non poteva essere ignorata da parte di costui, il quale ne aveva anche l'autonoma e materiale disponibilità.

Non emergendo elementi per ritenere che gli autori della cancellazione del numero di matricola dell'arma fossero i due imputati, essi erano stati ritenuti responsabili anche della ricettazione di arma clandestina di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 23, tanto più che nessuna giustificazione era stata addotta, sul punto, dagli stessi.

Quanto, infine, al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, esso era stato escluso per la gravità e la molteplicità dei fatti oggetto di imputazione.

2. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione i due imputati per mezzo dell'unico difensore di fiducia, avv. Aldo De Caridi, deducendo quattro distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), la inosservanza o erronea applicazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla violazione del diritto di difesa e del principio di diritto del cd. "oltre ogni ragionevole dubbio".

La Corte di appello, in particolare per quanto concerne la posizione di M.G.A., muoverebbe da una serie di erronei presupposti, ovvero: a) che " sia le armi che il silenziatore e le munizioni sequestrate venivano rinvenute all'interno dei vani che compongono l'abitazione di via (OMISSIS) (si veda pag. 4 della sentenza d'appello)" mentre tali oggetti sarebbero stati ritrovati, esclusivamente, in alcuni siti ritenuti pertinenze dell'abitazione e utilizzati quali ricovero attrezzi o officina, distanti oltre 20 metri dall'abitazione; circostanza tanto più rilevante per M.G.A., che risiedeva in un'abitazione diversa da quella dei genitori e del fratello L. e che, pur avendo ammesso di recarsi giornalmente a far visita alla madre, difficilmente avrebbe fatto ingresso, con la stessa frequenza, nelle citate pertinenze, site nel giardino e distanti dall'abitazione; b) che il padre avrebbe "ammesso fin da subito di essere a conoscenza dell'esistenza delle armi, del silenziatore, delle munizioni...", mentre l'imputato più giovane, pur potendo evitare il coinvolgimento nella vicenda affermando semplicemente di dimorare in altra abitazione, avrebbe ammesso, sin dal primo interrogatorio di garanzia, di visitare giornalmente la casa dei genitori per via delle gravi condizioni di salute della madre e di essere entrato talvolta anche nelle pertinenze dove erano state ritrovate le armi, e che, in quelle occasioni, non aveva però visto niente di strano; c) che mentre, con riferimento alla posizione di M.A., il Procuratore generale territoriale avrebbe concluso chiedendo la conferma della sentenza di primo grado, nel caso del figlio il Pubblico ministero ne avrebbe chiesto l'assoluzione, valorizzando il fatto che egli risiedesse altrove e che, pertanto, la conoscenza della presenza delle armi poteva essere qualificata, tuttalpiù, come "connivenza non punibile".

La sentenza errerebbe, ancora, nel ritenere che armi e parti di armi clandestine, con matricola abrasa o detenute senza autorizzazione, nonchè i bossoli e le munizioni fossero state rinvenute nell'abitazione di M.G.A., laddove colà sarebbero stati reperiti unicamente i bossoli da guerra esplosi, peraltro appesi al muro come cimelio della leva militare.

La Corte di appello avrebbe, poi, erroneamente affermato che M.G.A. avrebbe ammesso di essere a conoscenza dell'esistenza delle armi, laddove, come confermato dalle dichiarazioni del fratello L., egli avrebbe sempre affermato di non avere conoscenza di quelle rinvenute nell'abitazione di via (OMISSIS). Fermo restando che M.G.A. non avrebbe di certo dichiarato di frequentare giornalmente l'abitazione genitoriale qualora avesse avuto qualcosa da nascondere in relazione alla conoscenza delle armi.

Ancora, la motivazione sarebbe carente in relazione all'intercettazione eseguita presso la Casa circondariale di (OMISSIS) e concernente la conversazione fra M.L.A. e la madre, P.A., nella quale il primo avrebbe affermato la paternità di tutte le armi ritrovate, dolendosi per i problemi creati al padre e al fratello; conversazione che la Corte non avrebbe valutato.

Da ultimo, il ricorso censura le espressioni dubitative utilizzate in sentenza nell'affermare la responsabilità degli imputati (quali: "appare evidente... che anche alla luce della conformazione della conformazione dello stato dei luoghi... che gli odierni imputati non potevano non accorgersi della presenza delle numerose armi, parti di armi e munizioni illegalmente detenute" e ancora "deve quindi ritenersi pressochè impossibile che i due imputati non fossero al corrente della presenza di dette armi e munizioni"); espressioni indicative dell'impossibilità di affermare "oltre ogni ragionevole dubbio" l'effettiva conoscenza della presenza delle armi da parte dei due congiunti.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), la inosservanza o erronea applicazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata applicazione del principio della cd. connivenza non punibile nei confronti di M.G.A., quand'anche egli fosse stato a conoscenza della presenza delle armi nell'abitazione dei genitori. E altrettanto dovrebbe affermarsi in relazione a M.A., anziano e gravemente ammalato.

2.3. Con il terzo motivo, il ricorso deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la illogicità e carenza di motivazione in ordine alla condanna per il delitto di cui al capo e) della rubrica, relativo alla detenzione dei 23 bossoli delle munizioni da guerra già esplose, uniti da nastro metallico, appesi al muro del corridoio e dei 5 bossoli, aventi identiche caratteristiche, presenti nel cassetto pensile.

I bossoli, prodotti nel lontano 1988, relativi a munizioni esplose, sarebbero stati semplici cimeli del servizio militare prestato da M.L., tanto è vero che essi sarebbero stati privi di polvere da sparo e non si sarebbero potuti ricaricare, sicchè essi sarebbero stati assolutamente inoffensivi. Una soluzione, questa, che sarebbe stata condivisa dal Ministero dell'Interno, che con parere n. 559/C - 50, 133 - E - 99, 22 marzo 1999 avrebbe affermato che l'bossoli risultanti dallo sparo di munizioni per arma da guerra non dovrebbero essere ricompresi tra le parti di munizioni da guerra ai sensi della L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 1, comma 3, atteso che essendo le munizioni destinate alle armi da guerra prodotte in risposta ai capitolati emessi dall'Amministrazione della Difesa, una cartuccia allestita ricaricando un bossolo usato di provenienza militare non sarebbe destinabile al caricamento delle armi da guerra, sicchè i bossoli in argomento non potrebbero essere considerati parti di munizioni per armi da guerra mancando il requisito della destinazione, espressamente previsto dalla norma.

In ogni caso, la buona fede di M.G.A. sarebbe dimostrata dal fatto che, ove fosse stato consapevole di commettere un reato, non avrebbe tenuto i bossoli esposti nel corridoio, ove nel corso di altre perquisizioni sarebbero stati rinvenuti e mai sequestrati.

2.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la illogicità e carenza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, che la Corte territoriale avrebbe giustificato con il fatto che non sussistessero elementi all'uopo valorizzabili, avuto riguardo al particolare allarme sociale generato dagli armamenti detenuti. In questo modo, la sentenza non avrebbe considerato il fatto che i due imputati avevano reso, da subito, "dichiarazioni scriminanti", collaborando con gli inquirenti, e che essi erano assolutamente incensurati e del tutto avulsi da circuiti di criminalità organizzata.
Motivi della decisione

1. I ricorsi sono parzialmente fondati e, pertanto, devono essere accolti per quanto di ragione.

2. Occorre muovere, secondo l'ordine logico delle questioni, dalle censure che concernono la motivazione offerta in relazione alla ricostruzione dei profili di fatto e, in particolare, alla attribuibilità delle condotte di detenzione contestate ai due imputati.

In proposito, vanno preliminarmente analizzate le condotte di detenzione delle armi, delle parti di esse e del relativo munizionamento; e che costituiscono oggetto dei capi a), b) e f) della rubrica.

Tali reperti, secondo quanto si evince nitidamente dalla sentenza di primo grado e da taluni passaggi di quella di appello, sono stati pacificamente rinvenuti soltanto nella abitazione M.A. e nelle relative pertinenze di essa; e non anche nella casa del figlio, M.G.A..

Tale circostanza, ovviamente, rileva in relazione alla posizione processuale di entrambi.

2.1. Quanto ad M.A., il fatto che le armi e le munizioni fossero stati rinvenute in ambienti domestici che gli appartenevano e che egli fosse pienamente consapevole della loro presenza in ragione delle modalità con cui le stesse venivano custodite, del tutto accessibili alla vista, ha condotto i giudici di merito ad affermare, in maniera niente affatto illogica, che fosse nella specie ravvisabile una situazione definibile come di detenzione, caratterizzata da un minimo di permanenza del rapporto materiale tra detentore e oggetto detenuto e un minimo apprezzabile di autonoma disponibilità del bene da parte dell'agente (Sez. 1, n. 16992 del 12/12/2014, dep. 2015, Genovese, Rv. 263311; Sez. F, n. 33609 dei 30/8/2012, Bedin, Rv. 253425, Sez. 1, n. 10287 del 16/12/2011, dep. 2012, Alleanza, non massimata; Sez. 1, n. 20935 del 20/5/2008, Ponzo, Rv. 240287, quest'ultima relativa alla contigua fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 697 c.p.). Tanto più che lo stesso imputato aveva reso dichiarazioni ampiamente confessorie, attribuendosi la responsabilità della detenzione del cospicuo compendio illecito.

Una ricostruzione, questa, che è sostanzialmente rimasta priva di censure da parte della Difesa, se si eccettua un generico, appena accennato riferimento al dato anagrafico dell'imputato, in tesi suscettibile di escludere la sua responsabilità per i fatti ascrittigli.

Quanto, poi, alla conversazione fra M.L.A. e la madre, P.A., che le sentenze non avrebbero valutato, è sufficiente rilevare come già la sentenza di primo grado avesse posto in luce come, in quel frangente, il detenuto, temendo che la madre potesse lasciarsi andare a commenti compromettenti, le avesse intimato di non parlare per via della presenza di microspie; circostanza a partire dalla quale è stato ritenuto, in maniera niente affatto illogica, che le dichiarazioni di M.L.A. non potessero considerarsi attendibili, avendo egli tenuto un comportamento tale da generare giustificate perplessità sulla genuinità delle sue esternazioni.

Ne consegue, pertanto, il rigetto, sul punto, delle censure difensive.

2.2. Venendo, invece, alla posizione di M.G.A., la condotta concorsuale è stata affermata dai giudici di merito a partire dal fatto che, per sua stessa ammissione, egli frequentasse, con cadenza quotidiana, l'abitazione dei genitori, ove le armi erano, in molti casi, ben visibili a tutti.

Ritiene, nondimeno, il Collegio che il giudizio articolato, sul punto, dalle due sentenze di merito sia in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di concorso di persone nel reato e di detenzione illegale di armi.

Si è già richiamata la consolidata affermazione giurisprudenziale secondo cui ai fini della configurazione del delitto di detenzione illegale di un'arma da sparo, previsto della L. 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7, è necessario un minimo di permanenza del rapporto materiale tra detentore e oggetto detenuto e un minimo apprezzabile di autonoma disponibilità del bene da parte dell'agente, che deve intendersi non già nei termini di una mera possibilità di accesso al bene, quanto piuttosto in quelli di una signoria di fatto su di esso.

Nella medesima prospettiva, ai fini della configurabilità di un concorso nella detenzione illegale di armi è necessario che il compartecipe presti un contributo materiale che sia in grado di agevolare la detenzione da parte degli altri concorrenti (come nel caso di chi, ad esempio, metta a disposizione il luogo per occultare l'arma), come sopra intesa, o che, quantomeno, rafforzi l'altrui proposito criminoso.

Ne consegue che la semplice consapevolezza che taluno abbia della disponibilità dell'arma da parte di altri non integra, di per sè, nè sotto il profilo soggettivo, nè sotto quello oggettivo, l'elemento tipico della fattispecie di concorso (Sez. 2, n. 11126 del 28/5/1991, Riggio, Rv. 188500; Sez. 1, n. 4494 del 29/9/1987, dep. 1988, Cappuccio, Rv. 178089), risolvendosi, tale conoscenza, in un atteggiamento di mera connivenza; così come la possibilità di accedere liberamente al bene da altri detenuto non può assumere alcun rilievo fintanto che essa non si sia concretizzata in un effettivo esercizio del dominio.

Nel caso di specie, invero, le due sentenze non hanno posto in luce alcun concreto comportamento da cui trarre il motivato convincimento che M.G.A. avesse positivamente contribuito alla detenzione delle armi e delle munizioni realizzata dal genitore, sia sul piano materiale, sia su quello psicologico, apparendo le condotte ascrittegli, ovvero la frequentazione della casa e la consapevolezza della presenza delle armi, come del tutto prive di una specifica valenza non solo causale, ma anche solo agevolatrice rispetto alla detenzione come sopra definita.

Ne consegue che, per quanto riguarda il compendio illecito rinvenuto nell'abitazione di M.A. e nelle pertinenze di esse, deve escludersi la responsabilità di M.G.A. per non avere commesso il fatto, sicchè la sentenza impugnata va annullata senza rinvio in relazione a tali reati.

3. Fondato è, pure, il terzo motivo di doglianza, con cui viene dedotto il vizio di motivazione in ordine alla condanna dei due imputati per il delitto di cui all'art. 110 c.p. e L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 2, contestato al capo e) della rubrica, relativo alla detenzione senza la prescritta autorizzazione, e dunque illegalmente, di alcuni bossoli esplosi da guerra.

3.1. In proposito, giova premettere che la L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 2, punisce "chiunque illegalmente detiene a qualsiasi titolo" le "munizioni da guerra"; nozione, questa, nella quale rientrano, ai sensi della L. 18 aprite 1975, n. 110, art. 1, "le cartucce e i relativi bossoli, i proiettili o parti di essi destinati al caricamento delle armi da guerra".

Dunque, la norma incriminatrice sanziona la detenzione delle cartucce (o munizioni) e dei loro singoli componenti (costituiti dal proiettile, dalla carica di lancio, a sua volta composta da polvere da sparo e da innesco, e, infine, dal bossolo, che rappresenta un involucro destinato a contenere la carica di lancio e tenere saldo il proiettile) quando essi siano, appunto, "destinati al caricamento delle armi da guerra".

Il problema interpretativo che si pone, dunque, riguarda le condotte di detenzione degli involucri metallici (bossoli) di cartucce già esplose, originariamente destinate a un'arma da guerra, la quale, secondo un risalente indirizzo interpretativo, integrerebbe il cennato delitto, non reputandosi necessario, a tal fine, che le parti di munizioni siano idonee all'impiego e considerandosi, dunque, sufficiente la toro originaria e normale destinazione (così Sez. 1, n. 15086 del 19/6/2018, dep. 2019, Dimitri, Rv. 276389; Sez. 1, n. 22655 del 21/2/2008, Martini, Rv. 240402; Sez. 1, n. 24267 del 6/5/2004, Reale, Rv. 228902).

A tale orientamento esegetico si contrappone altro filone giurisprudenziale che richiede un concreto accertamento di fatto circa l'idoneità del bossolo esploso a essere riutilizzato per produrre una munizione da guerra. Ciò in base alla formulazione della L. n. 110 del 1975, menzionato art. 1, u.c., in virtù del quale sono considerate munizioni da guerra anche le parti delle cartucce, purchè siano destinate al caricamento delle suddette armi e, dunque, purchè siano riutilizzabili (Sez. 1, n. 8184 del 28/4/1986, Vitali, Rv. 173560), dovendo, peraltro, la possibilità del reimpiego essere accertata in concreto (Sez. 1, n. 5306 del 2/4/1998, Sgrò, Rv. 210573), anche mediante perizia, verificando la eventuale sostituzione delle capsule di accensione (Sez. 1, n. 6279 del 22/3/1990, Collareta, Rv. 184201). Un approdo interpretativo, questo, che ha valorizzato il contenuto della circolare n. 559 del 22 marzo 1999 del Ministero dell'interno, secondo cui i bossoli risultanti dallo sparo di munizioni per arma da guerra portatile individuale non possono essere considerati parti di munizioni per armi da guerra, mancando il requisito della destinazione, espressamente previsto dalla norma, giacchè una cartuccia allestita, ricaricando un bossolo di provenienza militare, non è destinabile al caricamento di armi da guerra.

3.2. Ritiene il Collegio, dopo una consapevole e condivisa rimeditazione degli orientamenti giurisprudenziali, che il secondo dei due indirizzi sia da preferirsi in ragione della sua più stretta aderenza al dettato normativo e ai principio di offensività.

Sul punto, va, infatti, evidenziato come il ricorso, da parte del legislatore, al paradigma dei reati cd. di pericolo presunto, da ritenersi costituzionalmente compatibile tutte le volte che la relativa valutazione prognostica sia basata su una massima di esperienza dal ragionevole fondamento empirico-criminologico, non esime il giudice dall'obbligo di verificarne la concreta idoneità a porre il bene giuridico tutelato in una effettiva situazione di rischio; atteso che, in caso di verifica negativa, la fattispecie concreta non potrebbe essere sussunta in quella astratta, profilandosi la figura del reato impossibile ai sensi dell'art. 49 c.p. (così Corte costituzionale, n. 360 del 1995, n. 133 del 1992 e n. 333 del 1991).

Ne consegue che la astratta possibilità di riutilizzo del bossolo esploso non costituisce, per ciò solo, una situazione di fatto idonea a configurare un pericolo concreto per l'ordine pubblico e per la pubblica incolumità - costituente la ratio della disciplina vigente in tema di detenzione e porto illegale di armi - legato al possibile riuso del medesimo, apparendo necessario verificare la effettiva possibilità di una agevole riutilizzazione di esso nel corpo di una nuova munizione.

Nè appare privo di significato, ai fini di una valutazione della concretezza di tale pericolo, il peculiare contesto nel quale la detenzione dei bossoli si inserisce e la possibilità di inferirne, da tale aspetto, la probabile riutilizzazione; essendo all'evidenza ben diverso il caso di chi detenga, occultati e dunque in maniera clandestina, numerosi bossoli esplosi, unitamente ad armi, a munizioni e polvere da sparo, da chi invece detenga, accessibili alla vista, pochi bossoli riconducibili a una specifica e ben riconoscibile situazione (ad es. souvenir del servizio militare et similia).

Nè potrebbe opinarsi che la menzionata circolare 2 marzo 1999 sia priva di rilevanza in ragione della sua natura giuridica, che non le consentirebbe di derogare la norma incriminatrice, atteso che le determinazioni, sul punto, del Ministero dell'Interno non rilevano per la forza cogente del relativo atto giuridico, quanto piuttosto per l'elemento di intrinseca ragionevolezza secondo cui dal mero fatto dell'esistenza del bossolo esploso non può trarsi alcuna indicazione circa la sua destinazione e per l'ovvia considerazione che, al fine della sua individuazione, non può certo farsi riferimento all'originaria destinazione, non attenendo alla concreta dimensione offensiva della condotta la considerazione di una funzione dell'oggetto che sia, in ipotesi, ormai mutata.

Del resto, la giurisprudenza di legittimità si è da tempo consolidata, per quello che riguarda le munizioni per arma da guerra, ad affermare che, derivando tale indicazione dalle caratteristiche estrinseche dell'oggetto, non è di per sè sufficiente a integrare la violazione della L. n. 895 del 1967, art. 2, la circostanza che si tratti di una munizione di calibro tale da essere formalmente destinato all'armamento militare (cd. parabellum).

Si è infatti chiarito che "ai fini della configurabilità del reato di detenzione abusiva di munizioni da guerra, è necessario accertare il tipo di arma alla quale le stesse possono essere destinate, nonchè quali siano le loro caratteristiche di potenzialità offensiva, non essendo invece sufficiente la sola indicazione del calibro" (Sez. 1, n. 52170 del 29/10/2014, Spadaro Tracuzzi, Rv. 261602), tanto sarebbe irragionevole adottare, di contro, una presunzione di destinazione all'uso militare per il bossolo esploso che costituisce, in effetti, soltanto una parte, di per sè inerte, dell'originario munizionamento da guerra.

3.3. Nel caso di specie, non può non rilevarsi, sotto un primo profilo, che le sentenze di merito non hanno fornito alcuna concreta indicazione in ordine alla possibilità di un effettivo riutilizzo dei bossoli esplosi, essendo stato omesso qualunque riferimento all'espletamento di accertamenti tecnici sui bossoli esplosi, i quali, pertanto, deve ragionevolmente ritenersi che non siano stati mai effettuati.

Già sotto tale aspetto, dunque, deve escludersi che sia stato positivamente riscontrato un essenziale elemento di fattispecie, sicchè non potrebbe, comunque, ritenersi accertata la sussistenza del reato.

In ogni caso, va altresì sottolineato come orienti verso l'assenza di un concreto pericolo di riconversione dei bossoli la specifica modalità della loro conservazione, essendo gli stessi pienamente accessibili alla vista, in uno con le non inverosimili spiegazioni offerte dal fratello dell'imputato, M.L.A., circa la provenienza e la finalità ai medesimi attribuita, quali cimeli del servizio di leva.

Conclusivamente, deve pertanto ritenersi che nei confronti di M.G.A. la sentenza impugnata debba essere annullata senza rinvio, in relazione al reato contestato al capo e), perchè il fatto non sussiste.

E ad analoga soluzione deve, poi, pervenirsi con riferimento alla posizione del padre dell'imputato, M.A., in relazione alla quale va, comunque, osservato che la sentenza impugnata non aveva specificato gli elementi che consentivano di riferire la detenzione dei bossoli di cui al capo e) anche alla sua persona, non essendo emerso neanche che l'uomo frequentasse assiduamente la casa del figlio.

4. Infondate devono, infine, ritenersi le doglianze formulate nell'interesse di M.A. con il quarto motivo, in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

In proposito, va infatti osservato che le due sentenze hanno affermato, da un lato, che l'applicazione della correlata riduzione del trattamento sanzionatorio presuppone la valorizzazione, in positivo, di elementi di fatto che possano giustificare l'intervento mitigatore; e, dall'altro lato, hanno giustificato la scelta compiuta attraverso il riferimento alla gravità delle condotte contestate, ai beni giuridici in concreto lesi, ai precedenti specifici annoverati dall'imputato, nonchè alla condotta post factum.

Una motivazione, immune da censure sul piano logico, rispetto alla quale il ricorso si è limitato a evidenziare talune circostanze di fatto (quali le "dichiarazioni scrimìnanti" rese dagli imputati e la loro collaborazione con gli inquirenti, ovvero la condizione di assoluta incensuratezza) funzionali a sollecitare un nuovo apprezzamento di merito, ovviamente precluso al Giudice di legittimità.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso proposto da M.G.A. deve essere integralmente accolto, sicchè la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, nei suoi confronti, con riguardo al reato di cui all'art. 110 c.p. e della L. n. 895 del 1967, art. 2, contestato al capo e), perchè il fatto non sussiste e in relazione ai restanti reati per non avere commesso il fatto.

Quanto al ricorso proposto nell'interesse di M.A. esso deve essere accolto unicamente con riferimento al reato di cui all'art. 110 c.p. e L. n. 895 del 1967, art. 2, contestato al capo e), in relazione al quale la sentenza deve essere annullata perchè il fatto non sussiste. Nel resto, il ricorso deve essere rigettato.

Per effetto del parziale annullamento delle precedenti statuizioni, la pena inflitta ad M.A. deve essere rideterminata, ai sensi dell'art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), in due anni e otto mesi di reclusione e in 1.800,00 Euro di multa in relazione ai restanti reati, previa eliminazione della pena inflitta per il reato di cui al capo e).
P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di M.A. con riguardo al reato di cui all'art. 110 c.p. e L. n. 895 del 1967, art. 2, contestato al capo e), perchè il fatto non sussiste; rigetta il ricorso nel resto e ridetermina la pena in anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di M.G.A. con riguardo al reato di cui all'art. 110 c.p. e L. n. 895 del 1967, art. 2, contestato al capo e), perchè il fatto non sussiste e in relazione ai restanti reati perchè l'imputato non ha commesso il fatto. Ordina la immediata liberazione di M.G.A. se non detenuto per altra causa, mandando la Cancelleria per la comunicazione al Procuratore generale in sede ai sensi dell'art. 626 c.p.p..

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2020
Avv. Antonino Sugamele

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