Inflitta ad un carabiniere la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi degli articoli 861, comma primo, lettera d) e 867 comma quinto del D.Lgs. n. 66 del 2010.
T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., (ud. 04-06-2020) 23-06-2020, n. 1161
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3001 del 2016, proposto da
L.A., rappresentato e difeso dall'avvocato Pasquale Cuomo, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, viale Cirene, 16;
contro
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale di Milano, domiciliataria ex lege in Milano, via Freguglia, 1;
Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
- della determinazione del Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare del 26.09.2016, notificata il 13.10.2016, di inflizione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi degli articoli 861, comma primo, lettera d) e 867 comma quinto del D.Lgs. n. 66 del 2010.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore la dott.ssa Concetta Plantamura nell'udienza pubblica tenutasi il giorno 16 giugno 2020, ai sensi dell'art. 84, commi 5 e 6 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1) Con provvedimento direttoriale del 26 settembre 2016 il Ministero della Difesa ha disposto nei confronti del ricorrente la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari a decorrere dal 6 novembre 2016.
1.1) La motivazione della sanzione è la seguente:
"Carabiniere, all'epoca dei fatti in forza al Nucleo Radiomobile del Comando Provinciale Carabinieri di Milano, maltrattava ripetutamente la propria compagna, mediante reiterate violenze psicologiche e minacce, infliggendo nei confronti della medesima e dei figli minori di questa, vari
patimenti nonché ingenerando negli stessi la paura di subire gravi ritorsioni, facilitate anche in virtù della propria appartenenza all'Arma dei Carabinieri.
Tali condotte già sanzionate penalmente, sono da ritenersi biasimevoli anche sotto l'aspetto disciplinare in quanto contrarie ai principi di moralità e di rettitudine che devono improntare l'agire di un militare ai doveri attinenti al giuramento prestato e a quelli di correttezza ed esemplarità propri dello status di militare e di appartenente all'Arma dei Carabinieri, nonché lesive del prestigio dell'Istituzione".
1.2) Il procedimento disciplinare ha tratto origine da fatti, occorsi in Segrate (Milano) fra maggio e novembre 2014, per i quali è intervenuta sentenza penale irrevocabile del 26.02.2015, di applicazione nei confronti del ricorrente della pena di anni uno e mesi sei di reclusione, per maltrattamenti contro familiari e conviventi.
2) Contro la determinazione conclusiva del procedimento disciplinare l'esponente è insorto, con ricorso notificato il 12.12.2016 e depositato il 22.12.2016, deducendone l'illegittimità sulla base di un unico motivo, con cui lamenta il vizio di eccesso di potere per difetto d'istruttoria, motivazione carente e perplessa, violazione del principio di proporzionalità.
2.1) Sarebbe stata comminata la sanzione massima, ossia la perdita del grado per rimozione, senza che dall'atto impugnato si evinca l'attività istruttoria e le motivazioni che hanno portato il Ministro ad assumere un provvedimento così grave, discostandosi nettamente dalle risultanze della inchiesta formale condotta dall'Ufficiale Inquirente.
L'Amministrazione procedente avrebbe illegittimamente omesso di effettuare un'autonoma istruttoria in ordine ai fatti di rilevanza penale, limitandosi a recepire il quadro indiziario posto a fondamento della misura cautelare custodiale e della successiva sentenza di patteggiamento, senza considerare gli elementi nuovi addotti dall'istante rispetto a quelli acquisiti nel procedimento penale.
3) Si è costituita l'intimata Amministrazione, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie.
4) Con ordinanza n. 11, dell'11.01.2017, la Sezione ha respinto la domanda cautelare per insussistenza del "fumus boni iuris".
5) In vista dell'udienza di merito, con memoria del 17.04.2020, la resistente ha evidenziato la genericità e indeterminatezza delle censure avversarie.
Dopo avere ripercorso i tratti salienti della vicenda, la resistente ha, poi, rammentato che:
- la sentenza ex artt. 444 e 445 c.p.p. non prescinde dall'accertamento della responsabilità penale dell'imputato, in quanto il giudice, nonostante la richiesta concorde delle parti, non può emettere la
pronuncia di patteggiamento se ricorrono le condizioni per il proscioglimento perché il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso ovvero perché il fatto non costituisce reato, per cui rimane impregiudicata ai fini disciplinari - ai sensi dell'art. 445, comma 1 bis, ultima parte, c.p.p., - l'efficacia di giudicato della ridetta sentenza quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputo lo ha commesso;
- lo stesso art. 653 c.p.p. prevede che anche la sentenza di patteggiamento, quale sentenza irrevocabile di condanna, abbia efficacia di giudicato nei giudizi per responsabilità disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso;
- l'Amministrazione, nell'esercizio del proprio potere disciplinare, può, anzi, deve utilizzare gli indizi di colpevolezza raccolti al fine di esercitare in giudizio l'azione penale e non sussiste, né è ragionevolmente esigibile, l'obbligo di svolgere una particolare e diversa attività istruttoria al fine di acquisire ulteriori mezzi di prova, dovendo i profili di condanna essere oggetto di una diversa
valutazione soltanto in merito alla loro rilevanza sotto il profilo disciplinare, tanto più in presenza di plurimi e concordanti elementi, chiaramente emersi nel corso dell'istruttoria.
Ancora, la difesa del Ministero ha allegato e dimostrato come a carico del ricorrente già figurassero due pregiudizi disciplinari di corpo e che, quanto al rendimento in servizio, le valutazioni sullo stesso - da controparte definite positive o addirittura lusinghiere - si sarebbero invece attestate molto spesso "nella media", talvolta al di sotto, e sarebbero state persino "non favorevoli".
Non si ravviserebbe, infine, alcun contrasto tra la decisione della Commissione di Disciplina e le conclusioni dell'Ufficiale Inquirente, atteso che, nella relazione finale di quest'ultimo, si leggerebbe che: "Dalla presente inchiesta formale emerge pertanto che:
- il comportamento del Carabiniere s.p.i. -OMISSIS-, avuto riguardo alla
frequentazione di persona controindicata, è stato comunque contrario alle finalità dell'Istituzione
e lesivo dell'immagine dell'Arma".
6) Con memoria dell'8 maggio 2020 la difesa del ricorrente ribadisce le proprie conclusioni, soprattutto alla luce della sentenza, che pure allega (n. 816/2019 del 23.09.2019, non ancora irrevocabile), con la quale il Tribunale di Como ha condannato la sig.ra -OMISSIS-alla pena di mesi 10 di reclusione, col beneficio della sospensione, perché riconosciuta colpevole dei reati di cui agli artt. 612 bis e 660 c.p., commessi in danno del ricorrente. Si chiede, pertanto, l'autorizzazione alla produzione in giudizio fuori termine della citata sentenza, attesa l'impossibilità di entrarne in possesso in tempo utile in ragione della emergenza sanitaria da Covid-19.
7) All'udienza del 4 giugno 2020, tenutasi ai sensi dell'art. 84, commi 5 e 6 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, la causa è stata trattenuta in decisione.
8) Preliminarmente, il Collegio ritiene che, per quanto genericamente prospettata, può essere accolta la richiesta di parte ricorrente di rimessione in termini in relazione alla produzione della sentenza del Tribunale di Como n. 816, del 23.09.2019, stante anche la non decisività della produzione stessa ai fini della decisione della presente causa.
9) A tal proposito, il Collegio non condivide le perplessità espresse dal patrocinio ricorrente sull'efficacia probatoria degli elementi raccolti in sede penale atteso che, la neutralizzazione di tali elementi avrebbe richiesto un giudicato assolutorio, che, nel caso di specie, non ha avuto luogo, essendo per contro intervenuta una pronuncia ex art. 444 c.p.p., "vincolante (recte, avente efficacia di giudicato) nei giudizi disciplinari davanti alle pubbliche autorità "quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso"" (Consiglio di Stato, Sezione IV, 28 marzo 2019, n. 2050).
Più in dettaglio, ai sensi degli artt. 445, comma 1 bis e 653 comma 1 bis c.p.p., l'Amministrazione è vincolata ai fini disciplinari all'accertamento del fatto, alla sua qualificazione come illecito penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso contenuti nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, mentre "l'organo competente deve compiere, sulle univoche risultanze fattuali emerse in sede penale, un autonomo apprezzamento circa la gravità della condotta tenuta dall'inquisito" (Cons. Stato, IV, 5 novembre 2018, n. 6259; id., 2 novembre 2017, n. 5053).
Nessun deficit d'istruttoria è, allora, ravvisabile nella fattispecie in esame, per non avere l'Amministrazione effettuato un'autonoma istruttoria in ordine ai fatti di rilevanza penale su cui è intervenuta la citata sentenza del GIP del Tribunale di Milano, non essendo l'Amministrazione stessa a tanto tenuta.
Né rileva, allo scopo di neutralizzare l'accertamento contenuto nella ridetta sentenza del GIP, passata in giudicato, quanto successivamente accertato nella sentenza del Tribunale di Como n. 816/2019, a carico di colei che, nella prima sentenza, è stata la vittima del reato commesso dall'istante.
Si tratta, evidentemente, di fatti diversi, commessi peraltro a notevole distanza di tempo fra loro (ovvero: tra maggio e novembre 2014, quelli ascritti all'esponente, e tra aprile e maggio 2016, quelli ascritti, peraltro allo stato non ancora in via definitiva, ad -OMISSIS-), da cui non si può affatto argomentare una diversa lettura dell'accertamento contenuto nella sentenza del GIP del Tribunale di Milano del 26.02.2015.
Solo per i fatti del 2014, peraltro, si è resa necessaria la custodia cautelare in carcere dell'esponente, arrestato il 6.11.2014, dopo che lo stesso, il 3.11.2014, ha aggredito -OMISSIS-, cagionandole, con calci e pugni, lesioni consistite nella frattura di due costole, traumatismo lombare, distrazione e distorsione del collo, guaribili in 45 giorni (cfr. la o.c.c.c. n. 34997/2014 r.g.n.r. del 6.11.2014, in atti).
Non va, d'altronde, sottaciuto, quanto alla pregnanza della sentenza da ultimo depositata dal patrocinio ricorrente, che, stando a quanto in essa riportato, "la -OMISSIS-, al di là della violenza verbale manifestata, sicuramente grave, non ha mai compiuto alcun atto effettivamente intimidatorio cosicché gli importi dei risarcimenti richiesti ... appaiono sproporzionati, tenuto conto che le condotte si erano concentrate in poco tempo", mentre, "Rispetto ad -OMISSIS-non si può tuttavia non rilevare come sia stato egli stesso a riallacciare i rapporti con l'imputata, pur dopo la carcerazione subita, e pur conoscendone la sua personalità, cosicché le azioni poi da lei subite (in termini di invettive e minacce verbali) dipendono in qualche modo dall'avere scelto di proseguire una relazione che già appariva morbosa" (così, la sentenza del Tribunale di Como n. 816/2019, in atti).
La sentenza del Tribunale di Como, dunque, non solo, non può sminuire la gravità dei fatti su cui è intervenuta la sentenza del GIP del Tribunale di Milano, ma, neppure fornisce argomenti per incrinare o indebolire la motivazione del provvedimento impugnato, il quale, a ben vedere, non si discosta affatto, come invece pretenderebbe di sostenere il patrocinio istante, dalle risultanze della inchiesta formale condotta dall'Ufficiale Inquirente.
Anche quest'ultimo, infatti, ha rimarcato il disvalore del comportamento del ricorrente, insito nella "frequentazione di persona controindicata" e "comunque contrario alle finalità dell'Istituzione
e lesivo dell'immagine dell'Arma".
Quanto alla motivazione della sanzione disciplinare, il Collegio osserva come l'Amministrazione abbia, sia pur sinteticamente, confezionato una propria orditura motivazionale, dimostrando di ritenere, con riguardo ai fatti irrevocabilmente accertati in sede penale, che la condotta del ricorrente sia incompatibile con il mantenimento dello status di appartenente all'Arma dei Carabinieri.
Né l'Amministrazione era tenuta, come già detto, a motivare ulteriormente le ragioni della sanzione inflitta, anche perché, come più volte affermato dalla giurisprudenza amministrativa, da un lato, la perdita del grado è sanzione unica e indivisibile, non essendo suscettibile di essere regolata tra un minimo e un massimo entro i quali all'Amministrazione spetti di esercitare il potere sanzionatorio (cfr. Cons. St. sez. IV, 18.01.2018 n.307; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 20 giugno 2012, n. 1722), e, dall'altro, il giudizio disciplinare non riguarda la "gravità" di un'ipotesi tipica (e quindi un giudizio quantitativo di disvalore) ma piuttosto il collegamento tra il fatto imputato e gli obblighi assunti dal militare con il giuramento ovvero con le finalità del Corpo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2415 del 21 aprile 2009; 10 luglio 2007 n. 3887, 31 gennaio 2006, n. 339; 11 ottobre 2005, n.5622).
Nella specie, l'atto avversato è congruamente motivato anche con riferimento agli atti presupposti, in esso richiamati, oltreché al comportamento ascritto all'esponente, sicché la sanzione inflitta risulta immune anche dal lamentato vizio di sproporzione rispetto ai fatti contestati.
10) Conclusivamente, quindi, il ricorso in epigrafe specificato va respinto.
11) Sussistono, nondimeno, giusti motivi per la compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente e la signora -OMISSIS-.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2020 con l'intervento dei magistrati:
Ugo Di Benedetto, Presidente
Stefano Celeste Cozzi, Consigliere
Concetta Plantamura, Consigliere, Estensore
27-06-2020 16:02
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