La pena accessoria della rimozione, a carattere perpetuo, colpisce i militari rivestiti di un grado e comunque "appartenenti a una classe superiore all'ultima" e fa discendere il militare condannato "alla condizione di semplice soldato o di militare di ultima classe".
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-10-2019) 16-04-2020, n. 12295
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI TOMASSI Maria Stefania - Presidente -
Dott. SARACENO Rosa Anna - rel. Consigliere -
Dott. LIUNI Teresa - Consigliere -
Dott. BINENTI Roberto - Consigliere -
Dott. MINCHELLA Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI VERONA;
nel procedimento a carico di:
T.M., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 07/12/2018 del TRIBUNALE MILITARE di VERONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ROSA ANNA SARACENO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. Ufiligelli Francesco, che ha concluso chiedendo il rigetto del primo motivo di ricorso e l'annullamento senza rinvio con applicazione della pena accessoria della rimozione dal grado.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 7 dicembre 2018 il Tribunale militare di Verona ha dichiarato T.M., sergente dell'E.I., responsabile del delitto di tentato furto militare aggravato (art. 56 c.p., artt. 46 e 230 c.p.m.p., comma 1 e 2), fatto commesso in (OMISSIS), e - escluse le aggravanti di cui agli artt. 61 c.p., n. 5, e 231 c.p.m.p., comma 1, n. 1, concessa l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, in regime di equivalenza con le residue aggravanti- l'ha condannato alla pena di un mese di reclusione militare, sostituita con la sanzione pecuniaria di Euro tremila di multa, da pagarsi in trenta rate mensili di eguale importo.
1.1 Per quanto rileva in questa sede, il Tribunale ha motivato la mancata applicazione della pena accessoria della rimozione dal grado, prevista dall'art. 230 c.p.m.p., comma 3, da un lato escludendone l'applicabilità anche all'ipotesi del furto militare tentato, dall'altro osservando che la pena accessoria, nella struttura della fattispecie incriminatrice, è implicitamente correlata alla pena detentiva, come espressamente previsto dalla norma generale di cui all'art. 29 c.p.m.p., in forza della quale la rimozione consegue alla condanna alla reclusione militare, mentre nel caso in esame era stata inflitta la pena pecuniaria che, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 57, comma 2, si considera sempre tale anche se sostitutiva della pena detentiva.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso diretto per cassazione il Procuratore militare presso il Tribunale di Verona, chiedendone l'annullamento.
2.1 Con un primo motivo denunzia inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 135 c.p. e L. n. 689 del 1981, art. 53. Il Tribunale militare, determinando il valore giornaliero di Euro 100, ha effettuato un ragguaglio non consentito dalla norma, superando per difetto il minimo di legge. Invero la L. n. 689 del 1981, art. 53, comma 2, prevede che, per la determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria, il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Ma il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 c.p. (oggi 250 Euro) e non può superare di dieci volte tale ammontare.
2.2 Con il secondo motivo denunzia erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 29 e art. 230 c.p.m.p., comma 3. La sanzione accessoria della rimozione dal grado consegue obbligatoriamente alla condanna del militare per il reato di furto militare sia esso consumato che tentato, come statuito da Sez. 1, 15.7.2009, Di Castro; la sua applicazione soddisfa l'esigenza di escludere una condizione soggettiva ritenuta incompatibile con il riconoscimento di responsabilità penale per determinati reati, tra cui per l'appunto il furto militare, sicchè le limitazioni di capacità, attività o funzioni che essa comporta si ricollegano non alla pena inflitta, ma alla natura del reato per cui è intervenuta condanna.
Motivi della decisione
1. Osserva il Collegio che il ricorso appare meritevole di accoglimento.
2. Fondato è il primo motivo.
La L. n. 689 del 1981, art. 53, comma 2 stabilisce, infatti, che, per la determinazione della pena pecuniaria sostitutiva, il giudice individua un valore giornaliero, tenendo conto della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare.
Precisa, inoltre, che l'ammontare di ciascun "tasso" "non può essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 c.p. e non può superare di dieci volte tale ammontare" e che "alla sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria si applica l'art. 133 ter c.p.".
L'art. 135 c.p., nel testo attualmente in vigore, prevede che "Quando, per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando Euro 250, o frazione di Euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva".
Ora, la formula "o frazione di Euro 250", presente nel citato art. 135 c.p., non abilita il giudice a determinare discrezionalmente il valore giornaliero minimo della pena detentiva da sostituire in una somma anche inferiore ad Euro 250; "la predetta formula deve intendersi, infatti, riferita alla sola ipotesi della conversione della pena pecuniaria in pena detentiva, e non anche a quella inversa, giacchè solo nel primo caso emerge l'esigenza di tener conto di eventuali "resti" (ciò, stante la possibilità che l'ammontare della pena pecuniaria da convertire non corrisponda a un coefficiente di ragguaglio o ad un suo multiplo)" (Corte Cost. n. 214 del 2014).
Come correttamente rilevato dal ricorrente, dunque, l'art. 53, comma 2 della legge citata, è univoco nello stabilire che la somma indicata nell'art. 135 c.p. rappresenti il valore giornaliero minimo della pena da sostituire, nè avrebbe senso alcuno che il legislatore abbia espressamente individuato e indicato la soglia minima invalicabile, se poi fosse consentito al giudice di scendere discrezionalmente al di sotto di essa. Nella determinazione dell'ammontare del valore giornaliero la norma, poi, impone al giudice lo stesso percorso valutativo dell'art. 133 bis c.p., stabilendo che si debba tenere conto della situazione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare, anche al fine di determinare una pena effettiva ed efficacemente dissuasiva o di evitare che la monetizzazione della libertà avvenga a prezzo vile, ma le condizioni economiche del reo sono oggetto di apprezzamento solo all'interno della forbice prevista dal terzo periodo della richiamata disposizione, che espressamente individua il minimo invalicabile nella somma indicata dall'art. 135 c.p., consentendo che il valore giornaliero possa essere determinato sino a dieci volte il suo ammontare.
Evidente è allora l'errore di diritto in cui è incorso il Tribunale nella individuazione, peraltro affatto immotivata, del coefficiente di ragguaglio in 100 Euro anzichè in 250 Euro, importo quest'ultimo non superabile per espresso e chiaro dettato normativo.
3. Parimenti fondato è il secondo motivo di ricorso.
La pena accessoria della rimozione, a carattere perpetuo, colpisce i militari rivestiti di un grado e comunque "appartenenti a una classe superiore all'ultima" e fa discendere il militare condannato "alla condizione di semplice soldato o di militare di ultima classe". Essa, dunque, mira ad escludere una situazione soggettiva, implicante l'esercizio di poteri gerarchici di natura militare, tutte le volte in cui il militare abbia riportato condanna superiore a tre anni di reclusione militare ovvero quando il mantenimento del grado sia ritenuto incompatibile con il riconoscimento della responsabilità penale per determinate condotte delittuose, che si pongono in contrasto con preminenti esigenze della vita militare.
L'art. 29 c.p.m.p., comma 2, il quale sancisce che la pena accessoria della rimozione consegue alla condanna superiore a tre anni di reclusione militare "salvo che la legge disponga altrimenti", contiene infatti un espresso riferimento a disposizioni derogatorie, in particolare alle fattispecie incriminatrici di singoli reati militari, nelle quali la pena accessoria della rimozione è prevista indipendentemente dalla pena inflitta, come per l'appunto nell'ipotesi di furto militare, per il quale l'art. 230, comma 3, dispone testualmente che "la condanna importa la rimozione", indipendentemente dall'entità della pena inflitta o dalla connotazione di minima entità dell'accadimento. E poichè le esigenze di tutela che il legislatore ha inteso valorizzare con la norma sanzionatoria permangono identiche sia con riferimento alla fattispecie delittuosa consumata che a quella tentata, non v'è ragione di discostarsi dal principio - che si condivide e si riafferma- secondo il quale la sanzione accessoria della rimozione dal grado, prevista dall'art. 230 c.p.m.p., comma 3, obbligatoriamente applicabile allorchè intervenga condanna per il delitto di furto militare trova applicazione, altresì, alla ipotesi tentata (Sez. 1, n. 34368 del 15/07/2009, P.G. in proc. Di Castro, Rv. 244818). Invero, pur costituendo il reato tentato una figura criminosa autonoma, deve escludersi che, quando la legge si limita a fare riferimento alla ipotesi tipica, debba ritenersi in ogni caso esclusa quella tentata; occorre, invece, avere riguardo alla materia cui la legge si riferisce e alla sua ratio per stabilire se sia compresa o meno l'ipotesi del tentativo. Nel caso della pena accessoria specificamente prevista dall'art. 230, comma 3, per il furto militare, obbligatoriamente connessa alla condanna (e lo stesso è a dirsi, ad esempio, per il reato di omessa esecuzione di un incarico di cui all'art. 117 c.p.m.p., il reato di peculato militare ai sensi degli artt. 215 e 219 c.p.m.p., il reato di truffa militare ex art. 234 c.p.m.p., il reato di ricettazione ex art. 237 c.p.m.p.), il legislatore ha considerato incompatibile la conservazione di una condizione soggettiva con il riconoscimento di reponsabilità penali per la consumazione di determinate condotte delittuose; non sarebbe, pertanto, logico escludere dalla suddetta sanzione accessoria le ipotesi caratterizzate dal solo tentativo, ancorchè meritevole di una pena principale meno grave, quando immutate restano le esigenze alla cui tutela è finalizzata la previsione sanzionatoria.
Per le medesime ragioni del tutto inconferente è il richiamo effettuato dal Tribunale alla norma generale di cui all'art. 29 c.p.m.p che non trova applicazione nelle ipotesi, per le quali il legislatore, riaffermando l'applicabilità della pena accessoria per il solo fatto della condanna, ha prescisso dall'entità (e dalla specie) della pena in concreto irrogata.
3. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla pena accessoria della rimozione dal grado che va applicata, nonchè alla entità della sanzione sostitutiva, alla cui rideterminazione può provvedere direttamente la Corte di cassazione, trattandosi di calcolo che, derivando dalla necessità di applicare il coefficiente di ragguaglio minimo di 250 Euro per un giorno di pena detentiva, non richiede alcuna discrezionalità. Per conseguenza la sanzione sostitutiva va rideterminata in Euro 7.500,00, ferma la già disposta rateizzazione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla entità della sanzione sostitutiva, che ridetermina in Euro 7.500,00 - ferma la già disposta rateizzazione in 30 rate mensili -, nonchè alla pena accessoria della rimozione dal grado, che applica.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2020
06-12-2020 16:21
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