Maresciallo Capo della Guardia di Finanza condannato per collusione aggravata.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-02-2020) 13-05-2020, n. 14820
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IASILLO Adriano - Presidente -
Dott. SIANI Vincenzo - rel. Consigliere -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere -
Dott. RENOLDI Carlo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.R.G., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/07/2019 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SIANI VINCENZO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Militare, Dott. Block Maurizio che ha concluso chiedendo quanto segue;
Il PG conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore:
E' presente l'avvocato SPADARO GIUSEPPE del foro di LOCRI in difesa di C.R.G. che conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe, emessa il 3 luglio 2019, la Corte militare di appello ha confermato la decisione resa dal Tribunale militare di Napoli il 17 ottobre 2018 che aveva giudicato C.R.G., Maresciallo Capo della Guardia di finanza, in ordine ai seguenti reati:
A) reato di collusione del militare della Guardia di finanza, aggravata dal grado rivestito (L. n. 1383 del 1941, art. 3 e art. 47 c.p., n. 2, mil. pace), perchè, quale Maresciallo Capo della Guardia di finanza in servizio presso la Tenenza di B., Comandante del Nucleo Mobile, accordandosi o comunque inducendo M.F., persona disabile ai sensi della L. n. 104 del 1992, non legata da alcun rapporto di parentela a lui, aveva fatto intestare fittiziamente alla suddetta l'autovettura di grossa cilindrata Range Rover, meglio identificata in rubrica, del valore di vendita di Euro 52.000,00, veicolo di fatto nella proprietà e nell'uso di C., che l'aveva pagata e di cui aveva curato la manutenzione, così da frodare l'Amministrazione finanziaria, eludendo le disposizioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA, ottenendo l'aliquota agevolata del 4%, rispetto a quella ordinaria del 20%, sottraendo allo Stato la differenza dei 16%, pari ad Euro 8.000,00, in (OMISSIS);
B) reato di collusione del militare della Guardia di finanza, aggravata dal grado rivestito (L. n. 1383 del 1941, art. 3 e art. 47 c.p., n. 2, mil. pace), perchè, nella qualità suindicata, aveva violato le leggi finanziarie relative al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante l'uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, indicando nelle dichiarazioni annuali dei redditi relative agli anni 2010, 2011 e 2012 elementi passivi fittizi, avvalendosi delle fatture relative a operazioni, in tutto o in parte, inesistenti identificate nella rubrica; in B., accertato in data (OMISSIS).
Il Tribunale aveva ritenuto C. responsabile dei reati a lui ascritti, riuniti in continuazione, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, lo aveva condannato alla pena di anni due, mesi uno, giorni quindici di reclusione militare.
1.1. Dall'esame delle conformi sentenze di merito si trae che i giudici militari, quanto al primo reato, analizzando la documentazione acquisita, hanno ritenuto la sussistenza dell'accordo fra l'imputato e M.F. finalizzato allo scopo di far conseguire al primo, considerato l'effettivo proprietario e possessore della Range Rover identificata in rubrica, un trattamento fiscale più favorevole di quello ordinario, ossia quello destinato ai soggetti (quali la suddetta M.) aventi titolo ai benefici stabiliti dalla L. n. 104 del 1992.
1.2. In particolare, la Corte di secondo grado ha contrastato l'inquadramento proposto dall'appellante, secondo cui l'acquisto dell'autovettura era stato fatto effettivamente da M.F. con l'aiuto di C., ponendo in evidenza gli atti ascrivibili direttamente a quest'ultimo e concludendo nel senso della sussistenza della prova piena dell'accordo collusivo intercorso tra i due suddetti soggetti per far conseguire all'imputato l'acquisto del veicolo fruendo in modo consapevolmente fraudolento del trattamento fiscale di favore relativo all'Iva agevolata per i portatori di handicap. Quanto al secondo reato, le sentenze di merito hanno passato in rassegna le fatture e i documenti che erano stati utilizzati da C. per giustificare le spese di natura medica esposte nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni 2010, 2011 e 2012, evidenziando le chiare discrasie fra l'importo delle spese effettivamente sostenute dall'imputato per sè e i propri familiari presso tre Centri sanitari e quello, nettamente maggiorato, esposto dai documenti acclusi alle tre dichiarazioni dei redditi e smentito dal riscontro costituito dalle contabilità dei soggetti percettori, con analisi dell'affidabilità di questi ultimi dati rispetto a quelli ritenuti scientemente alterati da C., indicando il vantaggio fiscale indebitamente derivatone al dichiarante con le relative detrazioni di imposta, escludendo che altri soggetti (fra cui il consulente O.D.) avessero potuto realizzare le consapevoli e volontarie alterazioni fraudolente enucleate, configurando le violazioni delle leggi finanziarie commesse dall'imputato, da riferirsi al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, inerente alla dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso il difensore di C. chiedendone l'annullamento e affidando l'impugnazione a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamentano la violazione dell'art. 125 c.p.p. e L. n. 1383 del 1941, art. 3 e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla prima fattispecie contestata.
2.1.1. Secondo il ricorrente, il punto critico nel ragionamento sviluppato nella decisione si è evidenziato nello snodo in cui si è sostenuto che è stato ampiamente provato l'accordo intercorso tra l'imputato e M.F. sulla base della documentazione prodotta e dei numerosi dati indiziari convergenti nella prova dell'accordo collusivo: in effetti l'accordo fra i due soggetti, con l'univoca volontà finalizzata alla frode della pubblica finanza, è stato fondato sulla sola documentazione acquisita, la quale però aveva valenza neutra e non poteva dimostrare alcuna intesa tra un sottufficiale della Guardia di finanza e una persona ottantenne e disabile, che di lì a qualche anno sarebbe deceduta; sicchè, in concreto, nella sentenza impugnata nulla sarebbe emerso circa la prova, di ordine documentale, dichiarativo o anche logico-deduttivo, dell'effettiva conclusione del suddetto accordo.
2.1.2. In questo senso, i giudici di appello, non hanno considerato sottolinea la difesa - la carenza di elementi di fatto relativi alla consapevolezza di M.F. dell'intestazione in capo a lei dell'autovettura, sia con riguardo alla manutenzione della stessa, sia con riguardo al pagamento dei premi assicurativi, sia con riferimento alla medesima dichiarazione di vendita del veicolo dalla donna a C., avvenuta il (OMISSIS), data in cui M.F. era ricoverata in gravi condizioni nell'Ospedale civile di Locri, dove poi sarebbe deceduta il (OMISSIS), mentre la dichiarazione di vendita era stata trascritta il successivo 31 agosto 2011: l'insieme di tali elementi avrebbe dovuto condurre, secondo logica, a ritenere assente la partecipazione della donna, oltre che alla fase della dichiarazione di vendita, anche alla fase del primo acquisto dell'autovettura, fatto figurare in capo alla medesima.
E, se dell'accordo iniziale e susseguente non era emersa la prova, i giudici di merito hanno errato - evidenzia il ricorrente - nel riferirsi al reato contestato, che è monosoggettivo, ma presuppone una condotta plurisoggettiva, non verificatasi nella specie; ciò avrebbe dovuto condurre all'affermazione di insussistenza della collusione militare, salvo a verificare l'eventuale integrazione di un altro reato, ma per condotta susseguente all'accordo postulato e non dimostrato, condotta che non aveva formato oggetto di contestazione.
2.1.3. Ulteriore aspetto rimarcato dal ricorrente in merito al primo reato è che, tutelando l'interesse dell'estraneo con cui si sarebbe accordato, il finanziere non avrebbe violato un dovere istituzionale, ma avrebbe agito come un privato cittadino, perseguendo un suo specifico, seppure illecito, interesse: questa condotta, interpretando la norma incriminatrice contestata in senso compatibile con il dettato costituzionale, esulerebbe dall'art. 3 cit., non essendo dunque il militare punibile ai sensi di questa disposizione, impregiudicata la verifica di una diversa fattispecie antigiuridica, mai oggetto di contestazione.
2.2. Con il secondo motivo, si denunciano la violazione dell'art. 125 c.p.p. e L. n. 1383 del 1941, art. 3, anche in relazione al disposto del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla seconda fattispecie contestata, con richiesta di assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
2.2.1. Indiscussi i profili di merito, il ricorrente osserva che la Corte militare di appello si è limitata all'esame delle singole fatture condividendo l'inquadramento giuridico ritenuto dal Tribunale militare, ossia individuando il delitto finanziario posto alla base della condotta incriminata in quello di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, considerando che le fatture in questione, salvo che per due casi, costituivano documenti alterati nell'importo effettivamente pagato, ascrivendo a C. la responsabilità di aver commesso scientemente un delitto di utilizzazione fraudolenta nelle dichiarazioni dei redditi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; tuttavia, nè il primo giudice, nè il giudice di appello hanno verificato se la condotta dell'imputato fosse stata sorretta dal necessario dolo specifico, se l'operazione avesse prodotto un'effettiva evasione di imposta, se le contestate falsità materiali non configurassero piuttosto la diversa ipotesi di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3 e se, in questo caso, si fosse superato il tetto di punibilità, non essendosi violata, altrimenti, una legge finanziaria costituente delitto.
2.2.2. In ogni caso, la difesa rimarca l'omessa disamina del profilo psicologico che aveva accompagnato la condotta dell'imputato: nessuna considerazione, nemmeno di stile, sarebbe stata formulata dalla Corte militare di appello all'accertamento del dolo specifico per integrare una carenza che aveva connotato la sentenza di primo grado, laddove il presupposto di applicazione del L. n. 1383 del 1941, art. 3 è che l'imputato abbia commesso una delle violazioni previste anche con riferimento al corrispondente elemento soggettivo.
2.2.3. Inoltre, la sentenza impugnata, ha aggiunto il ricorrente, non ha dato conto di aver verificato l'uso da parte di C. dei documenti la cui alterazione era stata ricostruita e l'avvenuto accertamento della corrispondente imposta evasa: in particolare, non sarebbe risultato che dall'esame delle dichiarazioni semplificate presentate nei tre anni suindicati dall'imputato fosse avvenuta l'effettiva detrazione dei rispettivi importi, con conseguente impossibilità di conoscere se l'imposta sia stata effettivamente evasa e se quest'ultimo fosse lo specifico scopo perseguito dall'agente.
2.2.4. Circa la questione di inquadramento giuridico, la difesa fa carico alla Corte di merito di non aver inquadrato la condotta contestata nella fattispecie di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, per cui la violazione della legge finanziaria costituente reato avrebbe potuto ritenersi realizzata solo nel caso in cui l'agente avesse annotato nelle dichiarazioni annuali elementi passivi fittizi superiori ad Euro 30.000,00 per ogni dichiarazione e l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti fosse superiore al 5% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o comunque fosse superiore a un milione di Euro: è vero che tale fonte normativa non differenzia i documenti ideologicamente falsi da quelli alterati o contraffatti, ma è del pari vero che il D.Lgs. cit., art. 1, lett. a), vincola la rilevanza delle fatture o degli altri documenti per operazioni inesistenti alla loro effettiva emissione e tale condizione implica la necessaria relazione con un soggetto diverso dall'utilizzatore, relazione nel caso in esame esclusa.
Sul tema, il ricorrente dà atto di non ignorare il diverso orientamento espresso da parte della giurisprudenza sull'argomento, ma nota che esso contrastato da altro indirizzo: ragione per la quale ritiene giustificata l'evocazione della decisione da parte delle Sezioni Unite.
3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, in quanto, premesso che entrambi i reati non sono prescritti, con riguardo al primo, la posizione di soggetto appartenente alla Guardia di finanza di C. nel compimento della condotta incriminata non può essere messa in dubbio, al pari dell'adeguatezza della motivazione sulla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata, ivi incluso l'accordo fra l'imputato e M.F., e, con riguardo al secondo, non può essere contestato l'accertamento di fatto dell'acclusione alle dichiarazioni dei documenti alterati e del beneficio fiscale ritrattone da C., così come la norma inerente al delitto presupposto è stata bene individuata nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, che sottende l'uso delle fatture e di altri documenti con particolare idoneità decettiva.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile per tutti i profili dedotti.
2. Entrambi i reati ascritti a Camini sono previsti e sanzionati dalla L. n. 1383 del 1941, art. 3, in base al quale il militare della Guardia di finanza che commette una violazione delle leggi finanziarie, costituente delitto, o collude con estranei per frodare la finanza, oppure si appropria o comunque distrae, a profitto proprio o di altri, valori o generi di cui egli, per ragioni del suo ufficio o servizio, abbia l'amministrazione o la custodia o su cui eserciti la sorveglianza soggiace alle pene stabilite dagli artt. 215 e 219 c.p. mil. pace, ferme le sanzioni pecuniarie delle leggi speciali.
Il primo reato inerisce all'ipotesi di collusione dell'imputato con soggetto estraneo per frodare la finanza. Il secondo reato attiene all'ipotesi di commissione di una violazione da parte dell'imputato delle leggi finanziarie costituente delitto.
3. Il primo motivo è inammissibile, perchè, in parte, è manifestamente infondato e, in parte, prospetta valutazioni di merito alternative.
3.1. Il ricorrente, con esso, ha criticato la decisione impugnata per l'approdo raggiunto con riguardo al reato sub A) - consistito nell'aver fatto intestare fittiziamente alla disabile M.F. l'autovettura di grossa cilindrata Range Rover, con l'ottenimento dei benefici fiscali in materia di IVA specificati in rubrica - attuando però il completo rovesciamento del presupposto di fatto adottato rispetto a quello coltivato con l'atto di appello.
Invero, l'addotta carenza dell'accordo collusivo - che la Corte militare di appello avrebbe omesso di rilevare - integra una prospettiva che il C. ha introdotto con il ricorso per cassazione: con l'appello egli aveva sostenuto che era stata M.F. a compiere gli atti essenziali inerenti all'acquisto e alla gestione del veicolo, nonchè la sua corrispondente estraneità alla titolarità effettiva del veicolo del cui regime fiscale si tratta.
3.2. Al di là di questo sovvertimento della base fattuale sulla quale la difesa ha mosso la doglianza, si rileva in modo immediato che - confermando l'analisi del Tribunale (in specie a pag. 53 della sentenza di primo grado) - la Corte militare di appello ha motivato, dandolo per acquisito, circa l'accordo collusivo fra C. e M.: e il raggiungimento dell'intesa sull'oggetto dell'operazione avente effetto fraudolento dal punto di vista fiscale è sufficiente per la consumazione del delitto in questione.
E' stato, in particolare, chiarito che, da un lato, fra la fine del 2007 e l'inizio del 2008, M.F. aveva sottoscritto la proposta di acquisto della Range Rover nuova e aveva anche redatto e prodotto l'autocertificazione della propria disabilità proprio perchè alla compravendita fosse applicata l'aliquota IVA agevolata del 4% e, dall'altro, avvenuto l'acquisto, una parte consistente del corrispettivo (superiore a Euro 52.000,00) era stata pagata da C. con l'emissione di tre assegni bancari direttamente sul conto corrente a lui intestato, per complessivi Euro 3.500,00, con la girata di sei assegni emessi in suo favore o a lui ceduti, per complessivi Euro 18.000,00, e mediante l'ottenimento di uno specifico finanziamento di Euro 17.000,00 da parte di Findomestic Banca Spa, richiesto fornendo i propri dati anagrafici ed esibendo la sua patente di guida, mentre a gennaio 2010 lo stesso C. aveva stipulato una polizza assicurativa per la responsabilità civile e altri rischi avente ad oggetto il veicolo in questione e sempre C. aveva curato costantemente la manutenzione dell'autovettura (presso l'officina autorizzata Piterna di Locri).
A completare l'accertamento di fatto sul tema, i giudici di merito hanno rilevato che soltanto il 26 agosto 2011, trascritto il 31 agosto 2011, M.F., ormai ricoverata e giunta agli ultimi giorni di vita, risultava aver rilasciato la dichiarazione di vendita del veicolo a C. (ella sarebbe deceduta il (OMISSIS)), stante l'evidente necessità di evitare che il bene - effettivamente appartenente dell'imputato - cadesse formalmente nella di lei successione.
Di rilievo è anche l'evidenziata circostanza che in data 22 febbraio 2008, due giorni dopo l'immatricolazione della Range Rover, C. aveva chiesto la trascrizione della vendita a suo favore del veicolo da parte di M.F., richiesta poi annullata: e ciò è stato razionalmente ricollegato al regime dell'agevolazione fiscale di cui si tratta, stabilendo D.L. n. 41 del 1995, art. 36, conv. dalla L. n. 85 del 1995, che, se l'acquisto del bene con l'aliquota agevolata viene seguito dalla cessione prima che siano trascorsi due anni, va versata la differenza fra l'imposta ordinaria e quella di favore.
Posti questi dati indiziari, il ragionamento dei giudici di appello, secondo cui essi convergono in modo grave, preciso e concordante nel senso dell'avvenuta conclusione dell'accordo collusivo, in virtù della completezza dei momenti fattuali illuminati dai singoli fatti accertati e della pregnanza dimostrativa - del tutto opposta rispetto al carattere neutro postulato dal ricorrente - della catena di elementi valutati, si profila congruo e coerente e, come tale, si rivela incensurabile in questa sede.
3.3. La notazione circa il fatto (segnalato anche dalle sentenze di merito) della precaria condizione di M.F. in data (OMISSIS), già ricoverata in ospedale in gravi condizioni quando era risultata redatta la dichiarazione di vendita a C. del veicolo, non toglie - quale che sia stata l'effettiva modalità di redazione di quel documento - che l'intesa fra lei e l'imputato, risalente al 2008, con la sicura attivazione tanto della donna quanto di C., si era già perfezionata e aveva prodotto i suoi effetti, con la corrispondente consumazione del reato.
Va, sul tema, riaffermato il principio di diritto secondo cui il reato di collusione militare previsto dal L. n. 1383 del 1941, art. 3, ha natura di reato istantaneo che si perfeziona per il solo fatto del raggiunto accordo tra il militare e l'estraneo (Sez. 1, n. 12943 del 29/01/2014, Bausone, Rv. 260135, in fattispecie nella quale è stato un mero post factum non punibile la presentazione alla Guardia di finanza da parte del privato, successivamente all'accordo, di una memoria redatta su consiglio del militare colluso). Tale delitto, pertanto, introduce una deroga al generale principio stabilito dall'art. 115 c.p., secondo cui l'accordo o l'istigazione alla commissione di un reato non sono di per sè punibili se non seguiti dalla effettiva commissione dello stesso, dato che la suddetta norma, non solo annette l'attribuzione di rilevanza penale al semplice accordo tra il finanziere e l'estraneo diretto alla commissione di un reato di frode fiscale, ma determina anche la punibilità dell'intesa collusiva mirata all'attuazione della frode fiscale mediante la commissione di illeciti finanziari penalmente irrilevanti, ovvero mediante comportamenti diretti ad eludere o sviare le attività di accertamento e controllo della polizia tributaria (Sez. 1, n. 45864 del 15/10/2014, Romano, Rv. 260845). E, per tale reato - di pericolo a consumazione anticipata che si perfeziona con il mero raggiungimento di un accordo tra il militare ed altro soggetto in frode alla finanza - non è configurabile il tentativo (Sez. 1, n. 37820 del 06/06/2019, Romano, Rv. 276840 - 02).
La configurazione della condotta di C. prospettata nell'impugnazione come atto singolo e unilaterale, quindi, si infrange patentemente sul completo accertamento di fatto dell'avvenuta, effettiva disponibilità del veicolo di proprietà di M.F. per tutto il tempo fino al 2011, sulla scorta di atti necessariamente concordati ab origine.
3.4. Manifestamente infondata si profila anche la questione relativa alla carenza di connessione funzionale della condotta con il servizio di istituto del militare: deve, al contrario, richiamarsi il condiviso principio di diritto secondo cui, per la configurabilità del delitto di collusione, di cui al L. n. 1383 del 1941, art. 3, non è necessario che il finanziere eserciti, con attualità, un determinato servizio d'istituto, funzionale alla frode fiscale che forma oggetto dell'accordo criminoso, ma è sufficiente che l'agente rivesta la qualità di militare della Guardia di finanza, perchè è solo ad essa che fa riferimento l'obiettività giuridica della norma incriminatrice (Sez. 1, n. 23842 del 25/01/2016, Zecca, n. m.; Sez. 2, Sentenza n. 7600 del 09/02/2006, Scalera, Rv. 233235; v. anche Sez. 1, n. 12943 del 29/01/2014, Bausone, cit., Rv. 260134).
4. Trascorrendo al secondo motivo, le diverse deduzioni in cui si condensa la doglianza vanno analizzate in relazione alle tre questioni enucleabili dalle stesse.
4.1. Chiaramente confliggente con l'accertamento del fatto compiuto dai giudici di merito si profila quella parte delle contestazioni formulate dal ricorrente che sostiene non essere stata provata l'effettiva detrazione, nelle dichiarazioni incriminate, degli importi falsamente dichiarati come sborsati, con la conseguente impossibilità di affermare l'evasione dell'imposta.
In contrario, infatti, deve rilevarsi che già il Tribunale militare aveva assodato questi elementi di fatto sottolineando anche che la difesa non aveva mai messo seriamente in discussione le risultanze emerse e analizzate, ivi inclusa la constatazione che C., nelle dichiarazioni presentate rispettivamente nelle date del 28 giugno 2011, del 29 giugno 2012 e del 27 giugno 2013, aveva effettivamente portato in detrazione le spese sanitarie artatamente maggiorate nelle fatture dettagliatamente elencate nelle decisioni di merito.
D'altro canto, la sentenza di secondo grado, dopo aver ripercorso e condiviso l'iter logico esposto dal primo giudice, si è diffusa principalmente sugli altri aspetti connotanti la reiterata alterazione delle fatture, in relazione al contenuto delle censure articolate dalla difesa con l'atto di appello: atto che non aveva specificamente revocato in dubbio che l'allegazione alle tre dichiarazioni dei redditi dei documenti asseverativi di elementi passivi fittizi avesse comportato la corrispondente detrazione di costi per spese mediche in realtà non sostenuti dal contribuente, con correlativa integrazione di altrettante dichiarazioni fraudolente aventi natura delittuosa.
Sicchè, il ricorrente, nella parte in cui ha coltivato una doglianza basata su una questione afferente al fatto accertato che non ha formato oggetto dell'atto di appello, ha ecceduto il limite dei motivi ammissibili ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3: non possono, infatti, essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perchè non devolute alla sua cognizione.
I poteri di cognizione esercitabili in sede di legittimità, ai sensi dell'art. 609 c.p.p., comma 1, si modellano sui motivi di ricorso proposti. E tali motivi rilevano per la delimitazione dell'oggetto della decisione impugnata e l'indicazione delle questioni dedotte, dovendo essere contrassegnati dall'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto posti a sostegno, ai sensi dell'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. d), e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c). Essi, poi, devono sottostare al citato limite fissato dall'art. 606 c.p.p., comma 3, secondo cui il ricorso è inammissibile se, fra le altre ipotesi, è proposto per motivi che, fuori dai casi previsti dall'art. 569 e art. 609, comma 2, prospettano violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello.
Dalla coordinazione di queste norme deriva la conclusione che non è proponibile in cassazione la questione non prospettata in appello, essendo - tale barriera - funzionale a scongiurare il rischio di un annullamento del provvedimento impugnato, in relazione a punti (non rilevabili di ufficio) intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, in effetti, sarebbe agevolmente rilevare l'inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, giacchè esso non era mai stato sottoposto al giudice di appello, il quale, proprio perchè non era stato investito della verifica giurisdizionale, si era correttamente astenuto dal trattarlo (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745).
4.2. E', poi, infondata in modo manifesto la questione giuridica relativa al delitto finanziario integrato da C. attraverso l'indicazione nelle suddette dichiarazioni annuali dei redditi di elementi passivi fittizi, avvalendosi delle fatture relative a operazioni, in tutto o in parte, inesistenti.
Tale delitto è stato correttamente individuato dai giudici di merito nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, non il D.Lgs. cit., art. 3.
E' stato, infatti, ripetutamente affermato che integra il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, comma 1, e non già la diversa fattispecie di cui all'art. 3 dello stesso D.Lgs., l'utilizzo, ai fini dell'indicazione di elementi passivi fittizi, di fatture false non solo sotto il profilo ideologico, in riferimento alle operazioni inesistenti ivi indicate, ma anche sotto il profilo materiale, perchè apparentemente emesse da ditta in realtà inesistente.
Quindi, il reato di frode fiscale D.Lgs. cit. ex art. 2, si configura ogniqualvolta il contribuente, per effettuare una dichiarazione fraudolenta, si avvalga di fatture o altri documenti che attestino operazioni non realmente effettuate.
Tale reato sussiste anche nel caso in cui la falsa documentazione venga creata dal medesimo utilizzatore che la faccia apparire come proveniente da terzi, in quanto la ratio del reato di frode fiscale è da individuarsi nell'esigenza di punire colui che artificiosamente si precostituisce i costi sostenuti al fine di abbattere l'imponibile ed essa non implica il concorso del terzo.
Non rileva, di conseguenza, per l'integrazione della fattispecie incriminatrice la circostanza che la falsità sia di natura ideologica o di natura materiale e, nella nozione di "altri documenti", rientrano tutti quelli aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture, quali, fra gli altri, le ricevute fiscali e i documenti da cui risultino spese deducibili dall'imposta, come le ricevute per interessi sui mutui, le schede carburanti e le ricevute per spese mediche (Sez. F, n. 47603 del 31/08/2017, Morini, Rv. 271033; Sez. 3, n. 2156 del 18/10/2011, dep. 2012, Iossa, Rv. 251877; Sez. 3, n. 9673 del 09/02/2011, Chen, Rv. 249613).
Questo approdo si profila assodato, mentre la diversa tesi sviluppata dal ricorrente non trova addentellati (neanche nel precedente richiamato con estremi che non ne hanno consentito il riscontro) tali da indurre il Collegio a rilevare una concreta contrapposizione di indirizzi interpretativi.
Pertanto, resta escluso in radice il presupposto occorrente per delibare la segnalata possibilità di rimettere la questione al vaglio delle Sezioni Unite.
4.3. In ordine, infine, alla censura della motivazione per quanto concerne l'elemento soggettivo alla base del reato, si osserva nuovamente che, circa la violazione finanziaria integrante il reato di cui al capo B), C. con l'atto di appello non aveva posto nessuna questione relativamente al reperimento del corrispondente dolo. Sicchè anche per tale questione il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità, in relazione al già ricordato limite fissato dall'art. 606 c.p.p., comma 3.
L'atto di appello aveva discorso in merito alla necessità di verifica dell'intento elusivo con esclusivo riferimento al primo reato.
Con riguardo ad esso, dall'analisi degli elementi valutati nella sentenza di appello si evince con nettezza che la collusione del militare imputato con la persona estranea sopra indicata si era tradotta nell'accordo sorretto dal dolo specifico di frodare il fisco: e su questo argomento il ricorrente non ha articolato alcuna censura specifica nel motivo inerente al reato sub A).
Per quanto concerne, invece, il reato sub B), l'accertamento dell'elemento soggettivo sotteso alla constatata violazione finanziaria emergeva dal complessivo discorso giustificativo posto a sostegno della sentenza resa dal Tribunale militare, con il riscontro del dolo specifico richiesto per l'integrazione del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2010, art. 2, dolo concretatosi nel perseguimento della finalità di evasione, unitamente alla volontà di realizzare l'evento tipico, costituito dalla presentazione delle dichiarazioni identificate in rubrica, comprensive anche delle fatture o degli altri documenti inerenti a operazioni in tutto o in parte inesistenti, tali da determinare, con le detrazioni indebite, l'evasione delle imposte dirette dovute sulla base di ciascuna delle tre dichiarazioni dei redditi prese in considerazione.
Posta questa conclusione, l'imputato non aveva, con l'atto di appello, dedotto uno specifico motivo volto a contestare l'accertamento dell'elemento soggettivo alla base del reato sub B).
Pertanto, egli non avrebbe potuto ammissibilmente dedurre la relativa questione, involgente d'altronde anche un profilo di verifica fattuale, con il ricorso per cassazione.
5. In definitiva, tutti i motivi si sono rivelati tali da imporre la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione.
A questa pronuncia consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000) - di una somma in favore della Cassa delle Ammende nella misura che, in rapporto alle questioni dedotte, si reputa equo fissare in Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020
07-06-2020 21:18
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