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Sentenza

Maresciallo capo della Guardia di finanza impugna la determinazione del Comandan...
Maresciallo capo della Guardia di finanza impugna la determinazione del Comandante interregionale dell’Italia centrale della Guardia di finanza del 26 luglio 2017, recante l’irrogazione della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, in conseguenza di condanna penale definitiva a pena detentiva.
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3688 del 2019, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Costanzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Luigi Antonelli, 10;

contro

Ministero dell'economia e delle finanze; Comando generale della Guardia di finanza, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Roma, Sez. II-ter, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l'irrogazione della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2020 il consigliere Luca Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Andrea Costanzo e l'avvocato dello Stato Fabio Tortora;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso avanti il T.a.r. per il Lazio – Roma l'odierno ricorrente, maresciallo capo della Guardia di finanza, ha impugnato la determinazione del Comandante interregionale dell'Italia centrale della Guardia di finanza del 26 luglio 2017, recante l'irrogazione della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, in conseguenza di condanna penale definitiva a pena detentiva.

Il ricorrente ha svolto, con un unico complesso motivo, le seguenti censure:

- superamento, sotto vari profili, dei termini massimi del procedimento disciplinare;

- incompetenza del Comandante interregionale ad ordinare la convocazione di una nuova commissione di disciplina nelle ipotesi di cui all'art. 1389 cod. ord. mil..

2. Con la sentenza in questa sede impugnata il Tribunale ha respinto il ricorso.

Il ricorrente ha interposto appello, riproponendo criticamente le censure di prime cure.

Si sono costituite in resistenza le intimate Amministrazioni.

3. Il ricorso, trattato alla pubblica udienza del 30 gennaio 2020, non è fondato.

4. Quanto al superamento dei termini, il Collegio premette che, nella materia disciplinare relativa alle Forze armate ed alle Forze di polizia, per computare il dies ad quem del termine procedimentale stabilito dalla legge si deve sempre fare riferimento alla data di emanazione dell'atto, essendo irrilevante la successiva comunicazione dello stesso all'incolpato (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2017, n. 2752, ove si richiama “il condivisibile principio giurisprudenziale secondo il quale, in considerazione della sua specialità, in tema di sanzioni disciplinari militari, non trova applicazione la disciplina generale di cui all'art. 21 bis, L. n. 241/1990, dovendosi pertanto escludere il carattere ricettizio degli atti che incidono negativamente sulla sfera giuridica del destinatario, sicché il termine perentorio per la conclusione del procedimento coincide con l'adozione dell'atto, e non con la sua comunicazione”).

4.1. Ciò premesso, il Collegio osserva, in fatto, che:

- l'Amministrazione ha avuto conoscenza formale della sentenza di condanna in data 26 luglio 2016;

- il procedimento è stato radicato, con l'ordine di inchiesta formale contenente la contestazione degli addebiti, in data 6 ottobre 2016 (cfr., sulla corretta individuazione del dies a quo del procedimento disciplinare per le Forze armate e le Forze di polizia ad ordinamento militare, Cons. Stato, Sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484, § 7);

- con foglio del 17 ottobre 2016, notificato all'incolpato il giorno successivo, l'ufficiale inquirente ha contestato gli addebiti al militare;

- con determinazione del 13 gennaio 2017 il Comandante regionale ha deferito l'incolpato al giudizio di una commissione di disciplina;

- la commissione, in data 21 febbraio 2017, ha ritenuto l'incolpato meritevole di conservare il grado;

- con determinazione del 21 aprile 2017 il Comandante interregionale, ai sensi dell'art. 1389, comma 1, lett. b), cod. ord. mil., ha ordinato la convocazione di una nuova commissione di disciplina;

- con telegramma del 24 aprile 2017 l'incolpato ha ricusato un membro della commissione;

- con foglio del 26 aprile 2017, notificato all'incolpato il giorno successivo, il Comando interregionale ha disposto la sospensione dei termini del procedimento disciplinare “fino alla notifica della nomina del membro sostituito”;

- con successivo foglio del 30 maggio 2017, notificato all'incolpato in pari data, il Comando interregionale ha reso nota l'identità del nuovo membro della commissione;

- la commissione, in data 26 luglio 2017, ha ritenuto l'incolpato non meritevole di conservare il grado;

- in pari data, è stato emanato il provvedimento in questa sede impugnato, contestualmente notificato a mani all'incolpato.

4.2. Il Collegio osserva, in diritto, che, ai sensi dell'art. 1392, comma 1, cod. ord. mil., il procedimento disciplinare di stato conseguente a giudizio penale deve essere instaurato entro 90 giorni dalla data in cui l'Amministrazione ha avuto conoscenza formale della sentenza: nella specie, tale termine risulta rispettato, giacché la sentenza è stata acquisita in data 26 luglio 2016 ed il procedimento instaurato in data 6 ottobre 2016.

Ai sensi dell'art. 1392, comma 3, cod. ord. mil., il procedimento disciplinare di stato instaurato a seguito di giudizio penale deve, poi, concludersi entro 270 giorni dalla data in cui l'Amministrazione ha avuto conoscenza formale della sentenza.

Tale termine ha, per consolidata giurisprudenza, carattere perentorio.

A tenore dell'art. 1389, comma 1, lett. b), cod. ord. mil. (nel testo vigente ratione temporis), allorché l'Autorità competente ritenga, per gravi ragioni di opportunità, che debba essere inflitta la sanzione della perdita del grado per rimozione, ha facoltà di ordinare, per una sola volta, la convocazione di una diversa commissione di disciplina: in tal caso, il procedimento disciplinare deve concludersi nel termine perentorio di 60 giorni.

4.3. Il ricorrente sostiene che, nella specie, il termine massimo di conclusione del procedimento non sia stato rispettato né qualora si ritenga che tale termine di 60 giorni sia ricompreso in quello generale di 270 giorni, né ove, viceversa, si ritenga che detto termine di 60 giorni si aggiunga a quello ordinario di 270 giorni.

4.4. Le censure non sono fondate, ai sensi delle argomentazioni che seguono.

4.5. In primo luogo, il Collegio osserva che il termine perentorio di 60 giorni stabilito dall'art. 1389 cod. ord. mil. (successivamente innalzato a 90 giorni dal d.lgs. n. 173 del 2019, inapplicabile ratione temporis) si aggiunge a quello ordinario di 270 giorni e non è ricompreso in esso (cfr. Cons. giust. amm., 25 luglio 2014, n. 446).

Invero, la previsione legislativa del termine di 270 giorni si riferisce al fisiologico e, per così dire, normale flusso procedimentale; viceversa, l'ordine di convocazione di una diversa commissione di disciplina introduce, nel tessuto procedimentale, un aliquid pluris per il cui compimento la legge stabilisce un ulteriore e specifico termine (la cui previsione, peraltro, non avrebbe in radice senso ove lo stesso fosse ricompreso nel generale termine di 270 giorni).

In sostanza, l'ordine di convocazione di una nuova commissione apre, all'interno del procedimento, un'ulteriore fase (di natura eventuale e carattere supplementare) retta da un autonomo termine: il procedimento, in tali casi, deve essere concluso entro 60 giorni dall'ordine di convocazione.

E', evidentemente, necessario che l'ordine di convocazione sia emesso entro i 270 giorni dalla data in cui l'Amministrazione ha avuto conoscenza formale della sentenza (ciò che è avvenuto nella specie, atteso che l'ordine è stato emanato in data 21 aprile 2017, dunque entro i 270 giorni dal 26 luglio 2016).

Il procedimento, dunque, avrebbe dovuto concludersi entro il 20 giugno 2017 (60 giorni dal 21 aprile 2017).

4.6. Nella particolare vicenda in commento, tuttavia, vi è un elemento in più.

Infatti, a seguito della ricusazione di un membro della commissione, operata dal ricorrente in data 24 aprile 2017, l'Amministrazione ha disposto, con foglio del 26 aprile 2017, la sospensione del termine per la conclusione del procedimento sino alla notifica della nomina del nuovo membro, poi avvenuta in data 30 maggio 2017.

Il foglio in questione ha un evidente carattere provvedimentale, in quanto teso a sterilizzare il tempo necessario ad individuare il nuovo componente della commissione: come tale, era onere del ricorrente procedere ad una specifica, puntuale ed espressa impugnazione dello stesso, in uno con il provvedimento irrogativo della sanzione.

In termini generali, invero, la formulazione della censura di superamento del termine massimo fissato dalla legge onera l'interessato della contestuale impugnazione degli atti di spessore provvedimentale emanati nel corso del procedimento che abbiano comunque determinato un allungamento dei tempi procedimentali oltre il termine massimo (cfr., amplius, Cons. Stato, Sez. IV, 5 novembre 2019, n. 7543); tale onere, ovviamente, si determina nel momento in cui la violazione assume un connotato effettivamente lesivo della sfera giuridica dell'incolpato, evenienza che, a sua volta, si verifica solo quando il procedimento disciplinare si conclude con l'inflizione di una sanzione.

Sul punto, il Collegio evidenzia che l'illegittimità di un provvedimento non ne consente la disapplicazione, essendo nel nostro sistema necessaria ed imprescindibile la tempestiva iniziativa annullatoria dell'interessato, in assenza della quale il provvedimento si consolida ed è idoneo a disciplinare il rapporto amministrativo, eventualmente anche contra legem.

Unica eccezione a tale conseguenza è rappresentata dai casi di nullità come individuati dall'art. 21-septies l. n. 241 del 1990, che tuttavia, nella specie, non ricorrono: non si verifica, infatti, alcuna violazione od elusione di un inesistente giudicato, non si apprezza la mancanza, nel cennato foglio del 26 aprile 2017, di elementi essenziali, non si verte in tema di difetto assoluto di attribuzione (che certo non consiste nell'eventuale contrarietà alla legge, ciò che, di contro, costituisce il proprium della categoria dell'illegittimità), non vi sono ipotesi specifiche di nullità testuale applicabili in materia.

Ne consegue che, difettando la specifica ed espressa impugnazione del menzionato foglio del 26 aprile 2017, il periodo ricompreso fra la ricusazione operata dal ricorrente e la nomina del nuovo membro non deve essere computato nel termine di 60 giorni, con conseguente tempestività del provvedimento finale (ai 3 giorni intercorrenti fra il 21 ed il 24 aprile 2017, infatti, si aggiungono i 57 giorni intercorrenti fra il 30 maggio ed il 26 luglio 2017).

In proposito, il Collegio osserva che la sospensione dei termini disposta con il foglio in commento si lega, con ogni evidenza, all'iniziativa ricusatoria dell'incolpato (che ha bloccato l'attività della commissione) e, pertanto, l'effetto sospensivo ivi stabilito decorre dalla data in cui la ricusazione è stata formulata (ossia, appunto, dal 24 aprile 2017).

4.7. A tali, già dirimenti, considerazioni il Collegio affianca pure le seguenti argomentazioni di spessore sistematico, che depongono per la legittimità del foglio del 26 aprile 2017, dichiarativo di un effetto giuridico (la sospensione del termine) logicamente intrinseco alla materia.

Invero, il termine di 60 giorni di cui all'art. 1389 cod. ord. mil. è dettato dalla legge nell'implicito ma necessario presupposto che la commissione operi: altrimenti detto, il termine corre ove il procedimento possa proseguire il suo ordinario iter.

In sostanza, il termine in parola si riferisce ad una commissione in grado di operare (andando, quindi, l'inerzia od il ritardo nei relativi lavori a detrimento della potestà punitiva dell'Amministrazione).

La proposizione di una ricusazione, tuttavia, impedisce eo ipso ed ex lege alla commissione di operare ed impone all'Amministrazione la sostituzione del membro ricusato (in tal senso, infatti, dispone l'art. 1386, comma 2, cod. ord. mil.), di talché non sono possibili altre attività nelle more dell'individuazione del nuovo membro.

In altra prospettiva, la ricusazione, proprio in quanto impedisce funzionalmente all'organo di operare, osta logicamente al decorso del relativo termine: non può, infatti, ammettersi che decorra un termine volto a circoscrivere temporalmente i lavori di un organo, ove questo sia stato posto nell'oggettiva impossibilità ex lege di operare.

Oltretutto, nel caso della ricusazione la ragione ostativa ai lavori della commissione dipende dalla libera iniziativa dello stesso incolpato, cui la legge riconosce una facoltà non condizionata neanche dalla formulazione di una specifica motivazione (con l'unico limite della non reiterabilità dell'istanza e del numero massimo dei ricusati - arg. ex art. 1386, comma 1, cit.).

Argomentare diversamente, del resto, condurrebbe ad ammettere che con una ricusazione l'incolpato possa, per così dire, comprimere il tempo assegnato dalla legge all'Amministrazione per concludere il procedimento: ciò è tanto più vero ove si ponga mente al fatto che la ricusazione de qua non è soggetta a motivazione e, pertanto, consente oggettivamente iniziative opportunistiche e prettamente dilatorie.

L'interesse dell'incolpato a non essere giudicato da un soggetto verso cui non nutre fiducia ed il contrapposto interesse dell'Amministrazione a disporre pienamente del termine assegnato dalla legge trovano un punto di equilibrio ove si riconosca che la facoltà di ricusazione, liberamente esercitabile dall'incolpato, osti alla decorrenza del termine fissato dalla legge per il completamento del procedimento disciplinare (o, il che è lo stesso, lo sospenda) per tutto il periodo intercorrente fra la proposizione della stessa e la ricomposizione della commissione (ossia nel periodo in cui la commissione non può, ex lege, operare).

Conclusione analoga, del resto, è stata già raggiunta, in una controversia affine alla presente, da questo Consiglio (Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2017, n. 2752).

La censura in commento è, dunque, per più profili infondata.

5. Quanto, invece, alla doglianza di incompetenza del Comandante interregionale, è sufficiente rilevare che l'art. 1375 cod. ord. mil., in combinato disposto con l'art. 2135 cod. ord. mil., consente al Comandante generale di delegare l'esercizio della potestà sanzionatoria di stato (cfr. Cons. gist. amm., 3 maggio 2013, n. 435): più in particolare, l'art. 2135 cod. ord. mil. assegna al Comandante generale, “in applicazione del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, … l'adozione degli atti e provvedimenti di gestione del personale” e l'art. 2149 cod. ord. mil. attribuisce al Comandante generale l'esercizio della potestà sanzionatoria di stato nei confronti del personale di grado inferiore, nel testo vigente ratione temporis, a colonnello.

Orbene, nella specie il Comandante generale, con determinazione prot. n. 98635/08 del 26 marzo 2008, ha delegato ai Comandanti interregionali l'esercizio della “funzione decisionale connessa all'adozione degli atti e provvedimenti” afferenti alla potestà sanzionatoria di stato nei confronti del personale del Corpo appartenente alle categorie degli ispettori, dei sovrintendenti, degli appuntati e dei finanzieri: l'ampia espressione utilizzata ricomprende, con ogni ragionevolezza, anche l'ordine di costituzione di una nuova commissione, che, del resto, è un atto endo-procedimentale emanato nell'ambito e nel contesto dell'esercizio della potestà disciplinare.

Anche la censura in oggetto, dunque, è infondata.

6. Per le esposte ragioni, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.

La complessità delle questioni in diritto suggerisce, tuttavia, la compensazione delle spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere, Estensore

Nicola D'Angelo, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere

Giuseppa Carluccio, Consigliere

 		
 		
L'ESTENSORE		IL PRESIDENTE
Luca Lamberti		Vito Poli
 		
 		
 		
 		
 		

IL SEGRETARIO


In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Avv. Antonino Sugamele

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