Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Militare Trapani

Sentenza

Ministero della difesa chiede ad un sottufficiale dell'Aeronautica Militare...
Ministero della difesa chiede ad un sottufficiale dell'Aeronautica Militare Italiana la corresponsione di somme percepite per incarichi non autorizzati.
Cons. Stato Sez. II, Sent., (ud. 11-11-2020) 22-12-2020, n. 8231
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8170 del 2011, proposto dal

Ministero della difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12,

contro

il signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Valentina Canale, Maria Antonietta Lamazza e Alessandro Pallottino, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Oslavia, n.12,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente recupero compensi indebitamente percepiti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 novembre 2020 il Cons. Carla Ciuffetti, dati per presenti, ai sensi dell'art. 84, comma 5, D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (conv. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27), richiamato dall'art. 25 D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, gli avvocati delle parti costituite in appello;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. La controversia in esame riguarda la nota in data 26 luglio 2010, prot. -OMISSIS-del Ministero della difesa, recante richiesta, ai sensi dell'art. 53, co.7, del D.Lgs. n. 165 del 2001, all'odierna parte appellata, sottufficiale dell'Aeronautica Militare Italiana, di corresponsione della somma di Euro -OMISSIS-, a titolo di restituzione di compensi percepiti per incarichi non autorizzati. La richiesta si basava su relazione informativa della Guardia di Finanza, da cui risultava lo svolgimento, da parte del sottoufficiale, di incarichi di consulenza informatica conferiti da soggetti privati in un periodo di tempo compreso tra il 1999 e il 2008.

2. Con la sentenza in epigrafe, il Tar ha accolto il ricorso dell'interessato avverso la suddetta richiesta, ritenendo fondate: la tesi della prescrizione dei crediti dell'Amministrazione risalenti oltre il quinquiennio precedente la data della richiesta di restituzione di detti compensi; la censura di eccesso di potere per difetto di istruttoria in quanto l'Amministrazione aveva adottato "l'impugnato provvedimento, di chiara natura sanzionatoria, senza l'intervento nel procedimento del ricorrente, al quale è stato inibito di fornire ogni utile chiarimento in ordine ai fatti addebitati": infatti, l'Amministrazione si era basata solo sulla relazione della Guardia di Finanza, dalla quale risultava che non era stato svolto "alcun accertamento diretto nei confronti del ricorrente non potendosi sostenere presuntivamente che lo stesso abbia svolto tale attività solo per il fatto che risulta socio accomandante, titolare del 5% del capitale sociale della società costituita unitamente alla propria moglie".

3. Con il presente appello, il Ministero della difesa deduce l'erroneità della sentenza in epigrafe in relazione ai seguenti profili:

a) il Tar non avrebbe considerato che l'Amministrazione aveva potuto acquisire conoscenza dei fatti solo in conseguenza di un accertamento della Guardia di Finanza; poiché l'art. 2941, n. 8, c.c. stabilisce che, qualora il debitore abbia dolosamente occultato l'esistenza del debito, la sospensione della prescrizione resti sospesa finché il dolo non sia stato scoperto, "tale scoperta coincide con l'accertamento della Guardia di Finanza del 2008, per cui solo da tale data può farsi decorrere il termine di prescrizione della pretesa fatta valere";

b) il procedimento di recupero delle somme corrispondenti ai compensi non autorizzati percepiti non avrebbe avuto natura disciplinare e la fattispecie normativa di riferimento prevede che l'Amministrazione debba procedere al recupero dei compensi illegittimamente percepiti; perciò non sarebbe stato leso il diritto di difesa dell'interessato, che sarebbe stato esercitato attraverso la partecipazione al procedimento disciplinare; in merito al convincimento del Tar circa il mancato accertamento della realtà dei fatti, le verifiche fiscali effettuate dalla Guardia di Finanza avrebbero evidenziato la natura simulata dei contratti per lo svolgimento di consulenze informatiche stipulati con la ditta individuale del coniuge dell'appellato prima e, poi, con la società in accomandita semplice di cui lo stesso appellante era socio accomandante; occorreva inoltre considerare che, siccome "alla Guardia di finanza è devoluta la competenza esclusiva in merito alla ricostruzione dei fatti contestati ed alla quantificazione dei compensi indebitamente percepiti", l'Amministrazione sarebbe "tenuta a prendere atto delle risultanze dei relativi accertamenti e ad adottare i consequenziali provvedimenti".

4. La parte appellata, costituita in giudizio con atto depositato in data 8 novembre 2011, ha chiesto il rigetto del ricorso. Secondo l'interessato, ai fini della pretesa applicazione dell'art. 2941, n. 8, c.c., non sarebbe stata raggiunta alcuna prova in merito ad un suo comportamento tale da comportare per l'Amministrazione "una seria difficoltà di accertamento del credito" o l'impedimento di controlli che l'Amministrazione avrebbe potuto effettuare, poiché i compensi percepiti dal 2004 nella qualità di socio accomandante (quindi non lavoratore) e titolare del 5% del capitale sociale della società in accomandita semplice del coniuge erano indicati nelle annuali dichiarazioni dei redditi. In ogni caso, non sarebbe prescritta alcuna autorizzazione per attività svolte a titolo gratuito e per l'assunzione della qualità di socio accomandante in una società a fine di lucro, "ipotesi che è proprio quella in cui verte l'appellato". La richiesta di restituzione sarebbe stata formulata in difetto di istruttoria e senza interpellare l'interessato, in quanto le conclusioni cui era giunta della Guardia di Finanza sarebbero state assunte nell'ambito di accertamenti riguardanti soggetti terzi, cioè società per cui sarebbero stati svolti incarichi non autorizzati. Poiché il procedimento in questione avrebbe natura sanzionatoria, sarebbero stati violati l'art. 59 del D.P.R. n. 545 del 1986 (regolamento di disciplina militare), che prevede le fasi di svolgimento del procedimento disciplinare, a partire dalla contestazione degli addebiti, nonché le disposizioni in tema di istituti partecipativi di cui alla L. n. 241 del 1990 e l'art. 18 della L. n. 689 del 1981, ledendo il "basilare diritto alla difesa costituzionalmente sancito, per il quale si può essere ritenuti colpevoli solo dopo che è stata concessa la possibilità di fornire le proprie ragioni in merito ai fatti contestati". Dunque l'appellato sarebbe stato sanzionato pur in mancanza di prova dei fatti contestati e solo in base a mere presunzioni.

Per l'eventualità che le esposte difese non vengano ritenute sufficienti a confermare l'illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado, l'odierno appellato ripropone nel presente giudizio le seguenti censure già proposte in primo grado e ritenute assorbite dal Tar:

a) "eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti - infondatezza dei fatti contestati": l'interessato non avrebbe mai svolto "attività lavorativa retribuita al di fuori dell'Amministrazione Pubblica dal 1999 al 2008", essendosi limitato ad aiutare il coniuge senza alcun compenso e "benché nel nuovo contratto dell'ottobre del 2004 fosse prevista la figura del -OMISSIS-quale consulente aziendale, cionondimeno è stata la moglie di questi che ha continuato a svolgere la quasi totalità del lavoro"; la presunta attività di consulenza per gli anni precedenti non sarebbe stata in alcun modo provata;

b) "violazione di legge - eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti - infondatezza dei fatti contestati - illegittima richiesta di denaro", in quanto l'appellato non aveva percepito i pretesi compensi, erogati invece al coniuge; dunque all'interessato l'Amministrazione avrebbe potuto al più chiedere il 5% degli utili della società di cui era accomandante, che, del resto, erano stati oggetto di dichiarazione dei redditi;

c) ulteriore violazione di legge e manifesta ingiustizia sarebbe sostanziata dalla circostanza che la somma matematica delle fatture relative all'attività di consulenza svolta dalla ditta individuale del coniuge e poi dalla società in accomandata semplice non coinciderebbe con la somma richiesta, che non corrisponderebbe all'utile al netto delle imposte e sarebbe comprensiva anche di importi a titolo di rimborso spese.

5. Tanto esposto, il Collegio passa all'esame dell'appello.

5.1. Si rileva che il motivo d'appello riportato sub (...) lett. b) investe la questione della natura dell'atto impugnato e, pertanto, pare opportuno esaminarlo per primo.

Al quadro legislativo di riferimento di tale atto, che poggia sul principio di esclusività del servizio reso alla Nazione da parte dei pubblici impiegati di cui all'art. 98 Cost., vanno ascritti: in relazione alla fattispecie in esame, l'art. 12, co. 2, della L. n. 599 del 1954 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica) vigente all'epoca dei fatti (abrogato dal D.Lgs. n. 66 del 2010 recante Codice dell'ordinamento militare), che ha previsto che "il sottufficiale in servizio permanente non può esercitare alcuna professione, mestiere, industria o commercio, né comunque attendere ad occupazioni o assumere incarichi incompatibili con l'adempimento dei suoi doveri"; l'art. 53, co.7, del D.Lgs. n. 165 del 2001 (applicabile a tutti i dipendenti delle amministrazioni pubbliche in forza del comma 6 dello stesso articolo), secondo cui "i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza" e "in caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti"; per completezza va considerato che il comma 7-bis del medesimo articolo art. 53, introdotto dall'art. 1, co. 42, lett. d), L. n. 190 del 2012, quindi dopo lo svolgimento dei fatti di cui è controversia, ha poi previsto che l'omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisca ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti.

Con riferimento alle disposizioni dell'art. 53, co. 7, del D.Lgs. n. 165 del 2001, va osservato che questo Consiglio (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 2018, n. 5944) ha già avuto modo di sottolineare che la Corte costituzionale, con ordinanza 17 marzo 2015 n. 41, pur dichiarando inammissibile la proposta questione di costituzionalità, ha rilevato che: "la norma denunciata mira a rafforzare la garanzia che il lavoro dei pubblici dipendenti a favore di terzi non si riverberi negativamente sul servizio d'istituto e che, quanto alla libertà di iniziativa economica, la stessa prevedrebbe limiti in ragione dell'interesse generale a tutela del buon andamento della pubblica amministrazione"; inoltre, "il richiamo ad un eventuale contrasto con i principi di cui all'art. 36 Cost. si rivela 'palesemente improprio', dal momento che la norma censurata non incide in alcun modo sul diritto del pubblico dipendente alla propria retribuzione".

A tale disposizione è stata ascritta una funzione compensativa di una condotta irregolare del dipendente pubblico la cui attivazione avviene non con "una sanzione disciplinare, ma una misura reale di destinazione dei compensi" dell'incarico non autorizzato, di natura non riparatoria e non risarcitoria, cosicché il provvedimento di recupero costituisce "un atto dovuto, totalmente privo di discrezionalità sia nell'an della sua emissione che nel relativo contenuto" e "nessun rilievo assumono le censure relative all'omissione delle garanzie partecipative" (Cons. Stato, sez. I, parere 5 marzo 2019, n. 671).

Occorre però evidenziare anche l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale l'atto di recupero dell'Amministrazione "pur avente ad oggetto una ingiunzione di pagamento, costituisce un tipico atto amministrativo di natura autoritativa proprio della gestione del rapporto di pubblico impiego non contrattualizzato", cioè "un provvedimento amministrativo nel quale si coagula la valutazione dell'ente circa la sussistenza dei presupposti per procedere al recupero delle somme" (Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 2018, n. 5944).

Va considerato inoltre l'indirizzo secondo il quale il recupero da parte dell'Amministrazione dei compensi percepiti per incarichi non autorizzati costituisce "un effetto legale conseguente ad una condotta omissiva acclarata" nei confronti del pubblico dipendente, per il quale "il dovere di rispettare la regola per cui - tra gli incarichi non vietati - gli incarichi extraistituzionali consentiti al dipendente (rispetto ai quali quest'ultimo è legittimato a trattenere le relative remunerazioni) sono solo quelli o previamente autorizzati dall'Amministrazione datoriale o quelli dalla stessa direttamente conferiti costituisce interpolativamente (giacché introdotto per legge) null'altro che uno dei diversi doveri del dipendente che rientrano nel fascio dei suoi obblighi dovuti per effetto del rapporto lavorativo dipendente" (Cons. Stato sez. VI, 2 novembre 2016, n. 5490).

Si è altresì ritenuto che l'obbligo di versamento dei compensi percepiti in difetto di autorizzazione "rappresenta una particolare sanzione ex lege al fine di rafforzare la fedeltà del dipendente pubblico e quindi prescinde dai presupposti della responsabilità per danno (evento; nesso di causalità; elemento psicologico): Cass. Sez. Un, n. 19072/2016" (Cons. Stato, sez. II, parere 30 aprile 2018, n. 1129).

Tale ricognizione degli orientamenti giurisprudenziali in materia, consente di constatare che, non solo l'indirizzo giurisprudenziale che attribuisce connotati provvedimentali e portata valutativa all'atto di recupero dei compensi in questione, da ascrivere agli "strumenti pubblicistici" (Cons. Stato, sez. VI, n. 5944/2018), ma anche l'indirizzo secondo il quale tale recupero costituisce "un effetto legale conseguente ad una condotta omissiva acclarata" (Cons. Stato sez. VI, n. 549/2016), attribuiscono rilievo alla partecipazione procedimentale dell'interessato. Ciò, sia che si consideri necessario, in base al primo indirizzo richiamato, "un apposito procedimento disciplinare al quale deve farsi partecipare il soggetto interessato, che si concluderà con un provvedimento amministrativo nel quale si coagula la valutazione dell'ente circa la sussistenza dei presupposti per procedere al recupero delle somme" (Cons. Stato, sez. VI, n. 5944/2018, cit.); sia che, in base al riferito secondo indirizzo, si ascriva ad una facoltà dell'Amministrazione (che "può"), da esercitare prima di avviare le attività di recupero, la verifica degli incarichi effettivamente svolti in difetto di previa autorizzazione "nel contraddittorio amministrativo appropriato" (Cons. Stato sez. VI, n. 5490/2016 cit.).

Alla luce di tale constatazione, va ritenuto che nel procedimento che mette capo all'atto di recupero dei compensi per incarichi non autorizzati debba essere salvaguardata la partecipazione dell'interessato, da valersi quale presidio generale, immanente e indefettibile nell'esercizio di ogni funzione pubblicistica destinata a incidere sulla sfera giuridica del destinatario, assicurando l'esercizio del diritto di difesa e la completezza dell'istruttoria. Ciò a prescindere dal contraddittorio garantito dal procedimento disciplinare, che nella fattispecie si è concluso solo nel 2014, con provvedimento in data 11 giugno.

Perciò, il motivo d'appello sub (...), lett. b), deve essere respinto, confermando quanto a tale profilo, l'illegittimità dell'atto impugnato in primo grado, rilevata dal Tar.

Il Collegio ritiene che tale rigetto esoneri dall'esame delle censure della parte appellata presentate in primo grado e riproposte nel presente grado di giudizio per l'eventualità che non venisse confermata l'illegittimità dell'atto impugnato. Le questioni con esse sollevate saranno, in ogni caso, suscettibili di esame nell'ambito del contraddittorio procedimentale che dovrà essere assicurato dall'Amministrazione in sede di riedizione dell'atto impugnato in primo grado.

5.2. Venendo all'esame del motivo d'appello esposto sub (...) lett. a), giova premettere che, non essendo stata avversata dalle parti, deve ritenersi coperta da giudicato la statuizione del Tar circa la natura quinquennale della prescrizione dei crediti dell'Amministrazione.

In merito alla questione della decorrenza del relativo termine, il Collegio non resta convinto dall'orientamento giurisprudenziale per cui il termine in discorso "deve essere fatto decorrere dal momento della commissione dell'evento e non già da quello nel quale l'Amministrazione datoriale ne ha avuto contezza" e che "la commissione dell'evento, inoltre, deve essere fatta coincidere con il momento di conclusione dell'incarico censurato e non con quello di assunzione dello stesso da parte del dipendente ovvero con il momento addirittura anteriore nel quale l'incarico è stato offerto ovvero conferito dal soggetto per il quale esso, poi, è stato svolto" (Cons. Stato, sez. VI, n. 5490/2016 cit.). Poiché, come detto, secondo tale orientamento, il recupero da parte dell'Amministrazione dei compensi percepiti per incarichi non autorizzati costituisce "un effetto legale conseguente ad una condotta omissiva acclarata" (Cons. Stato sez. VI, n. 549/2016), intanto l'Amministrazione potrebbe attivarlo in quanto sia venuta a conoscenza della condotta omissiva. Cosicché, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, può prescindersi dalle previsioni dell'art. 2941, n. 8, c.c. richiamato dalla difesa dell'Amministrazione, in quanto non potrebbe non trovare applicazione il principio di cui all'art. 2935 c.c., per cui il termine decorre "dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere", che, come sostenuto dall'appellante, "coincide con l'accertamento della Guardia di Finanza del 2008".

In proposito, dalla documentazione in atti, risulta che l'Amministrazione aveva avuto contezza della percezione da parte dell'interessato di compensi per gli incarichi controversi solo a seguito della pertinente comunicazione del Dipartimento della Funzione Pubblica - Ispettorato per la Funzione pubblica, in data 25 marzo 2009, e che nessun elemento atto a garantire piena e compiuta conoscenza in proposito fosse stato precedentemente in possesso dell'Amministrazione ai fini dell'art. 53, co. 7, D.Lgs. n. 165 del 2001. Il che sembra del tutto coerente, da un punto di vista sistematico, con le competenze attribuite dall'ordinamento al suddetto Dipartimento, cui vanno ascritte anche quelle in merito alle comunicazioni motivate degli incarichi autorizzati dalle singole Amministrazioni, previste dallo stesso art. 53, co. 12, del D.Lgs. n. 165 del 2001, nonché l'intervento a titolo di concerto ai fini degli atti di cui all'art. 1, co. 58-bis della L. n. 662 del 1996. Né pare che possa portare a diverse conclusioni l'argomento dell'appellato per cui la partecipazione al capitale sociale e la qualità di socio accomandante emergevano dall'annuale dichiarazione dei redditi, il che avrebbe consentito all'Amministrazione di attivare i controlli ritenuti più opportuni.

Dunque, deve ritenersi fondato il motivo di appello riportato sub (...) lett. a), con la conseguente statuizione che il dies a quo del termine di prescrizione in questione debba coincidere con l'accertamento della Guardia di Finanza del 2008.

6. Per quanto sopra esposto l'appello deve essere parzialmente accolto.

Sussistono giustificati motivi, data la parziale soccombenza, per la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, per l'effetto, stabilisce la diversa decorrenza della prescrizione indicata in motivazione, confermando, per il resto, la decisione appellata.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità della parte appellata.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2020, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:

Carlo Deodato, Presidente

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Carla Ciuffetti, Consigliere, Estensore
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza