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Sentenza

Ufficiale del Genio Guastatori chiede il risarcimento del danno al Ministero del...
Ufficiale del Genio Guastatori chiede il risarcimento del danno al Ministero della difesa per esposizione a fattori di rischio ambientale.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio  (Sezione Prima Bis) sentenza nr. 3744/2020
Pubblicato il 31/03/2020

N. 03738/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00646/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 646 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Cristiani, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Terenzio, 10;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'ottemperanza

- della sentenza n. 9634/2016, emessa dal Tar Lazio, Sez. I Bis, il 25 maggio 2016 e pubblicata in data 9 settembre 2016.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2020 la dott.ssa Rosa Perna e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con il ricorso in ottemperanza, come in epigrafe proposto, il Generale -OMISSIS-, odierno esponente, rappresentava quanto segue.

1.1 Proponeva ricorso innanzi al T.A.R. del Lazio per l'accertamento e la declaratoria – ai sensi dell'art. 2087 c.c. – della responsabilità del Ministero della Difesa, in qualità di datore di lavoro, nella causazione della -OMISSIS-contratta, ricondotta all'asserita esposizione a fattori di rischio ambientali, che sarebbe avvenuta in occasione della partecipazione - quale Ufficiale del Genio Guastatori - a varie missioni internazionali di pace all'estero, nonché la condanna dell'Amministrazione intimata al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti.

1.2 Il TA.R. del Lazio, Sez. I bis, con sentenza n. 12516/2015, accoglieva il ricorso, disponendo, ai soli fini della quantificazione del danno, l'espletamento di una C.T.U. medico-legale.

Il consulente tecnico d'ufficio riconosceva al ricorrente un danno biologico permanente pari al 100%, con inabilità temporanea assoluta di 91 giorni. Tali conclusioni peritali non erano oggetto di contestazioni ad opera di alcuna delle parti in causa.

Con sentenza n. 9634/2016, oggetto del presente giudizio di ottemperanza, la Sezione condannava l'Amministrazione al risarcimento dei danni in favore del ricorrente, rimettendo alle parti la concreta quantificazione del danno, ai sensi dell'art. 34, comma 4, c.p.a. “precisando comunque in questa sede i criteri che dovranno guidare l'Amministrazione nella formulazione dell'offerta al danneggiato ed in particolare della ricomprensione del danno morale da parte del CTU nella percentuale del danno biologico riconosciuta (100%). Pertanto, il predetto accordo dovrà considerare la percentuale del danno biologico permanente nella misura del 100% dal CTU e degli altri indici dallo stesso indicati (91 giorni di inabilità), decurtando le altre somme riconosciute dall'Amministrazione e percepite dal ricorrente per lo stesso evento dannoso (cfr. Consiglio di Stato, IV, n. 4136/2011). Per la determinazione del quantum complessivo dovranno essere utilizzate le tabelle all'uopo predisposte dal Tribunale di Milano da valere quale misura di personalizzazione del danno biologico, tenendo conto dell'entità delle lesioni subite, quale accertate dal CTU, ed anche dell'età del ricorrente all'epoca dell'insorgenza della malattia. Oltre il danno biologico dovranno essere considerati anche 91 giorni di inabilità temporanea assoluta indicati dal CTU. Nella liquidazione complessiva peraltro dovrà tenersi presente che il debito in questione è di valore, per cui la sua liquidazione deve consentire la rimessa in pristino del patrimonio del danneggiato all'attualità (…). Sulle predette basi l'Amministrazione dovrà quindi valutare, ed effettuare, sempre ai sensi del comma 4 dell'art. 34 cod. proc. amm., una proposta di risarcimento al ricorrente nel termine di gg. 90 dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notifica della presente sentenza”.

1.3 Con comunicazione del 23 settembre 2016, inviata a mezzo PEC, il ricorrente invitava e diffidava il Ministero resistente a formulare, nei termini indicati nella suddetta sentenza, una proposta transattiva ai sensi dell'art. 34, 4° comma, c.p.a. La diffida, tuttavia, rimaneva priva di riscontro.

1.4 Con il ricorso in epigrafe, il ricorrente adiva, quindi, la Sezione per la declaratoria dell'inottemperanza del Ministero e la diretta determinazione e liquidazione da parte di questo Giudice della somma a lui dovuta, ai sensi della norma sopra detta, con conseguente condanna della parte resistente al pagamento di quanto, nella presente sede, determinato. Chiedeva, infine, per il caso di ulteriore inadempimento, la nomina di un Commissario ad acta.

2. La sentenza di cui si chiede l'ottemperanza veniva appellata dall'Amministrazione della Difesa dopo la introduzione del presente giudizio, con ricorso depositato in data 7.4.2017 e iscritto al R.G. n. 2531/2017; l'efficacia della stessa non era sospesa.

3. Con ordinanza collegiale n. 8512 del 14.7.2017 la Sezione ordinava all'Amministrazione intimata il deposito di: a) una dettagliata relazione in ordine alle questioni dedotte con il presente giudizio, contenente, in particolare, documentati chiarimenti dall'Amministrazione, con particolare riferimento allo stato del procedimento di formulazione della proposta risarcitoria ed all'eventuale attività istruttoria espletata al riguardo; b) copia degli eventuali atti istruttori intervenuti al riguardo; c) ogni altro atto e /o documentato chiarimento ritenuto utile ai fini del presente giudizio; all'uopo assegnando all'Amministrazione un termine di novanta giorni per il deposito di quanto richiesto.

4. Nelle more, a fronte dell'istanza attorea depositata in data 1.12.2017, con cui si chiedeva l'anticipazione della trattazione del presente giudizio in considerazione delle precarie condizioni di salute dell'interessato, con ordinanza presidenziale n. 7649/2017 del 6 dicembre 2017 venivano ordinati alla parte ricorrente incombenti istruttori volti ad “acquisire documentazione (es.: istanza di prelievo, etc.), atta a comprovare che la medesima si sia concretamente attivata per ottenere la fissazione dell'udienza di discussione del giudizio pendente presso il Consiglio di Stato, iscritto al numero RG. 2531/2017, ancorché proposto dall'Amministrazione”.

A tale incombente il ricorrente ottemperava in data 6 giugno 2018 presentando istanza di prelievo innanzi alla IV Sezione del Consiglio di Stato, ove era pendente il giudizio d'appello iscritto al R.G. n. 2531/2017.

5. Con memoria depositata il 17.9.2018 il ricorrente rappresentava un'ipotesi di liquidazione del danno dal medesimo subito in ossequio ai parametri fissati dalla Sezione nella sentenza oggetto del presente giudizio d'ottemperanza.

6. In ottemperanza all'ordinanza collegiale n. 8512/2017 della Sezione, in data 9.10.2018 il Ministero della Difesa depositava apposita relazione sui fatti di causa.

In via preliminare, rappresentava che all'Amministrazione non risultava pervenuta, né la notifica dell'ordinanza n. 8512/2017 – che la parte ricorrente avrebbe avuto l'onere di effettuare "anche presso la sede reale dell'Amministrazione"; né la "comunicazione del 23 settembre 2016, inviata a mezzo PEC” con la quale il ricorrente aveva invitato e diffidato il Ministero resistente a formulare una proposta transattiva ai sensi dell'art. 34, 4° comma, c.p.a. come riportato a pag. 9 e 11 del ricorso in epigrafe.

Nel merito, rappresentato che il “Brig. Gen.-OMISSIS-è titolare di diversi istituti indennitari (a carattere continuativo e non), anche in relazione al positivo riconoscimento dello status di "equiparato" a vittima del dovere” e richiamato il principio del “divieto del cumulo con conseguente necessità di detrarre dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario”, riportava il dettaglio dei benefici medio tempore riconosciuti al ricorrente a titolo indennitario (rispettivamente, per equo indennizzo, pensione privilegiata con assegno integrativo, speciale elargizione, assegno vitalizio e speciale assegno vitalizio), per un importo di complessivi € 629.120,33 (, da detrarsi dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno.

7. Con ordinanza collegiale n. 10473 del 30.10.2018 la Sezione ordinava all'Amministrazione di produrre, nel termine di 180 giorni dalla comunicazione in forma amministrativa dell'ordinanza medesima, documentati e comprovati chiarimenti in ordine: a) a tutte le attività che siano state concretamente espletate per l'esecuzione della sentenza n. 9634/2016, laddove essa prevede che l'Amministrazione debba formulare un'offerta al danneggiato, secondo i criteri nella stessa indicati; b) a tutte le attività che siano state concretamente espletate (domande di prelievo, etc.), nelle more, per sollecitare la fissazione della data di discussione del giudizio di appello R.G. n. 2531/2017, proposto dalla P.A. presso il Consiglio di Stato, avverso l'epigrafata sentenza del Tar Lazio, Sez. I Bis n. 9634 del 25 maggio 2016, la cui celere definizione risponde anche al preciso interesse della P.A. inteso ad evitare eventuali danni all'erario, derivanti dalla eventuale maturazione di interessi per il mero decorso del tempo”.

8. In seguito, con ordinanza collegiale n. 7497 del 10.6.2019 la Sezione, rilevato che non era stata data esecuzione all'ordinanza n. 10473/2018, reiterava l'ordine istruttorio, chiedendo altresì di acquisire documentati chiarimenti in merito alle ragioni per le quali l'ordinanza medesima non era stata eseguita nei termini, e assegnava ulteriore termine perentorio di 180 giorni.

9. In data 12 giugno 2019 si costituiva in giudizio il Ministero della Difesa per resistere al ricorso in epigrafe e, con atto meramente formale, chiedeva il rigetto del gravame.

10. In vista della camera di consiglio del 19 febbraio 2020 fissata per il prosieguo della discussione, in data 17.2.2020 l'odierna intimata depositava una nota dello Stato maggiore della Difesa, Ispettorato Generale della Sanità militare che rappresentava di avere, in data 14.2.2020, “formulato nei confronti dell'interessato la proposta risarcitoria per il danno patito, dopo avere acquisito il necessario e conclusivo parere di merito da parte della competente Difesa erariale circa la correttezza dei criteri adottati per la quantificazione svolta”, e “quantificata la somma complessiva di € 100.000,00, da corrispondere in favore del Gen. -OMISSIS- a titolo di risarcimento del danno”. In allegato, depositava la proposta risarcitoria, il parere dell'avvocatura dello Stato, una scheda con il dettaglio della valorizzazione operata e altra documentazione rilevante.

11. Alla camera di consiglio del 19 febbraio 2020, durante la discussione della causa, il difensore della parte ricorrente, autorizzato dal Collegio a contraddire verbalmente alla documentazione in questione in ragione dell'avvenuto deposito della stessa a ridosso della data di celebrazione dell'udienza camerale, prospettava una articolata serie di censure avverso i criteri di calcolo utilizzati e il risultato della quantificazione dell'importo da riconoscersi al suo assistito a titolo di risarcimento del danno, cui l'Amministrazione era pervenuta.

In particolare, contestava l'età assunta a base di calcolo del danno biologico, l'uso delle Tabelle del Tribunale di Milano aggiornate al 2014, la mancata valorizzazione del danno morale, la mancata rivalutazione dell'ammontare complessivo del risarcimento dovuto, la detrazione da questo del risparmio fiscale così come di voci asseritamente estranee al danno in questione.

La difesa erariale insisteva sulla correttezza dei calcoli e del risultato ottenuto.

12. La causa veniva quindi trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, nei limiti di seguito indicati.

1.1 Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, “ai sensi dell'art. 112, comma 2, lett. b), c.p.a., l'azione di ottemperanza è esperibile anche per le sentenze esecutive e gli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo di primo grado, per cui alcuna valenza assume la circostanza che, avverso la sentenza, sia pendente appello al Consiglio di Stato, che non ne ha sospeso l'esecutività”, con obbligo dell'Amministrazione soccombente di assicurare nelle more del passaggio in giudicato della sentenza l'effettività delle situazioni giuridiche definite nella sentenza stessa (T.A.R. Puglia – Lecce, Sez. I, 05.06.2013, n. 1316; Sez. III, 07.03.2018, n. 289).

La sentenza n. 9634/2016, in quanto provvisoriamente esecutiva ai sensi dell'art. 33, comma 2, c.p.a., stante l'inadempimento dell'Amministrazione resistente a quanto espressamente ordinatole dal Giudice, è suscettibile di essere eseguita coattivamente con il rimedio dell'ottemperanza.

1.2 È stato peraltro precisato che “l'esecuzione del giudicato e l'esecuzione della sentenza di primo grado non sospesa sono istituti differenti, e le regole applicabili all'uno e all'altro, anche sotto il profilo dell'ampiezza dei poteri del giudice dell'ottemperanza, sono conseguentemente differenti. Invero, una totale esecuzione delle statuizioni rese in primo grado, ove queste fossero poi modificate in appello, comporterebbe una serie di effetti problematici e delicati, dovendosi poi modificare la situazione di fatto venutasi a creare a causa di detta totale esecuzione in modo da conformarla alla definitiva statuizione del giudice d'appello. Per tali ragioni, il giudice adito per l'esecuzione di sentenza non sospesa deve procedere con prudente ed equilibrato apprezzamento nell'adozione di provvedimenti esecutivi implicanti pur sempre effetti necessariamente interinali del decisum, perché la sentenza di primo grado non ha, quanto agli effetti conformativi, la forza espansiva propria della res judicata. Di conseguenza, le statuizioni con essa dettate devono essere tali non solo da non compromettere l'assetto degli interessi in gioco, ma da consentire, nella sopravvenienza di un giudicato che dovesse, in ipotesi, vedere soccombente il ricorrente già vittorioso in primo grado, la ricostituzione della situazione quo ante. Non esiste il diritto all'esecuzione completa e puntuale in sede di esecuzione di sentenza non sospesa, a differenza di quanto accade in caso di actio judicati, atteso che il decisum è, nel primo caso, ancora in formazione e che si consoliderà solo a seguito della sentenza di secondo grado” (T.A.R. Lombardia – Brescia, Sez. I, 12.01.2016, n. 25; T.A.R. Lazio – Roma, Sez. II, 16.01.2002, n. 413; Cons. Stato, Sez. IV, n. 5232/2002; T.A.R. Campania – Napoli, Sez. V, 14.11.2017, n. 5402).

1.3 Nel caso di specie, dopo aver indicato i criteri ai quali l'Amministrazione avrebbe dovuto attenersi nella formulazione al ricorrente della proposta relativa alla concreta quantificazione del danno, con la sentenza n. 9634/2016 la Sezione ha chiaramente indicato il termine entro il quale tale proposta doveva essere formulata (90 giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notifica della sentenza medesima). Tuttavia, nonostante il decorso di detto termine e la diffida inviata in data 23.9.2016 a mezzo PEC dal difensore del ricorrente, il Ministero della Difesa non formulava alcuna proposta transattiva al ricorrente; e, pertanto, correttamente il presente giudizio di ottemperanza è stato incardinato dinanzi a questo Giudice, essendo l'azione di ottemperanza esperibile, come dianzi chiarito, anche per le sentenze esecutive.

1.4 Orbene, poiché nelle more del giudizio, sia pure tardivamente e all'esito di reiterati ordini istruttori, l'odierna intimata ha formulato l'offerta al danneggiato ai sensi della sentenza n. 9634/2016 in epigrafe, e, tuttavia, avverso la stessa la parte ricorrente ha articolato censure multiple deducendone il contrasto coi criteri individuati nella sentenza da ottemperare e, più in generale, coi principi enucleati in materia dalla giurisprudenza, l'operazione all'odierno vaglio del Collegio è quella di verificare se la proposta risarcitoria per il danno patito, formulata dall'Amministrazione intimata in data 14.2.2020 nei confronti dell'interessato, costituisca o meno corretta e compiuta esecuzione della sentenza della cui ottemperanza si tratta.

2. Il Collegio ritiene opportuno rammentare alcuni principi di carattere generale affermati in materia dalla giurisprudenza.

Il danno biologico scaturisce dalla compromissione dell'integrità psicofisica, che può essere tanto temporanea quanto permanente. Difatti, da una lesione dell'integrità psicofisica normalmente consegue un periodo di malattia, che è un fenomeno necessariamente transeunte, nel senso che al suo esaurimento potrà seguire una guarigione clinica senza postumi o con presenza di postumi invalidanti permanenti. Quest'ultima alternativa è quella suscettibile di configurare il danno biologico permanente (Trib. Lucca, n. 231/2017).

Sia il periodo di malattia, sia la guarigione con postumi permanenti, costituiscono un danno biologico: il primo è un danno perché, costringendo la vittima ad una totale o parziale inattività, lo costringe temporaneamente ad un modus vivendi diverso da quello usuale; il secondo è un danno in quanto, in ragione dell'efficacia invalidante dei postumi, riduce proporzionalmente la possibilità del soggetto leso di attendere alle proprie ordinarie attività (Cass. civ., n. 16788/2015).

La liquidazione del danno biologico deve dunque tenere conto della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell'invalidità temporanea e di quella permanente (Cass. civ., n. 26897/2014).

Ai fini della determinazione del quantum dovuto a titolo di risarcimento, la giurisprudenza maggioritaria applica le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano (Cass. civ., n. 11754/2018; T.A.R Toscana, n. 564/2017; T.A.R. Campania, n. 5447/2014; T.A.R. Campania, n. 5182/2014; T.A.R. Lazio, n. 1291/2014).

3. Nel caso all'odierno esame, come anticipato nella narrativa in fatto, il consulente tecnico d'ufficio ha riconosciuto al ricorrente un danno biologico permanente pari al 100%, con inabilità temporanea assoluta di 91 giorni. Tali conclusioni peritali non sono state oggetto di contestazioni ad opera delle parti.

La sentenza n. 9634/2016, quindi, ha stabilito i seguenti criteri:

1 - ricomprensione del danno morale nella percentuale del danno biologico (100%), e decurtazione dalla percentuale del danno biologico permanente (100%) e degli altri indici (91 giorni di inabilità) indicati dal CTU, delle altre somme riconosciute dall'Amministrazione e percepite dal ricorrente per lo stesso evento dannoso (Consiglio di Stato, IV, n. 4136/2011);

2 - utilizzo per la determinazione del quantum delle tabelle del Tribunale di Milano, con personalizzazione del danno biologico tenendo conto dell'entità delle lesioni subite, come accertate dal CTU, e dell'età del ricorrente all'epoca dell'insorgenza della malattia;

3 – considerazione sia del danno biologico sia della inabilità temporanea assoluta (91 giorni) indicati dal CTU;

4 - liquidazione del quantum quale debito di valore, che consenta la rimessa in pristino del patrimonio del danneggiato all'attualità (Cass. Civ. n. 29191/2008; Cass. Civ. n. 10022 del 24.6.2003; Cass. Civ. n. 748 del 24.1.2000).

4. Nella scheda contenente il dettaglio della valorizzazione operata dall'Amministrazione per la formulazione della proposta risarcitoria in questione, di cui all'allegato 3 della documentazione depositata dall'odierna intimata in data 14.2.2020, sono stati esposti in sintesi i seguenti criteri:

I) Per la valorizzazione del danno biologico (DB) sono state utilizzate le tabelle del Tribunale di Milano per l'anno 2014 (poiché la sentenza da eseguire è stata pubblicata nel 2016) ed è stata stimata l'età del danneggiato nel valore massimo del 100% a 71 anni (in relazione alla ulteriore evoluzione peggiorativa della patologia neoplastica iniziale nel corso del 2015);

II) Le voci del danno biologico permanente e del danno biologico temporaneo, per “91 giorni di inabilità temporanea assoluta”, sono state considerate senza applicazione di alcun incremento per il danno morale, per un importo totale di € 791.909,00 (ann. 4);

III) Al suddetto importo totale di € 791.909,00 sono stati aggiunti gli interessi legali sino al soddisfo, ipotizzando la data del 31.03.2020, pari a € 10.091,96 (ann. 5), per un importo complessivo pari a € 802.000,99;

IV) Da tale importo di € 802.000,99 sono state detratte “le altre somme riconosciute dall'Amministrazione e percepite dal ricorrente per lo stesso evento dannoso”, nel dettaglio: equo indennizzo, pensione privilegiata, speciale elargizione, assegno vitalizio, speciale assegno vitalizio (ann. 6), per un importo complessivo pari ad € 715.275,04 ottenuto mediante “la capitalizzazione dei diversi emolumenti corrisposti medio tempore fino al mese corrente” (ann. 8), per tali intendendo sia gli emolumenti riconosciuti una tantum (equo indennizzo e speciale elargizione) sia gli importi dei benefici attribuiti con cadenza periodica (pensione privilegiata, assegno vitalizio e speciale assegno vitalizio).

Quanto alla pensione privilegiata, sono stati conteggiati gli importi lordi derivanti dal riconoscimento della 1^ ctg. per l'infermità “-OMISSIS-”, mentre sono stati espunti gli importi derivanti per la 3^ ctg. e per la 6^ ctg., in quanto concessi per infermità diverse da quella in esame.

V) E' stato valorizzato il risparmio fiscale per lo status di equiparato a vittima del dovere, atteso che dal 1.1.2017, come stabilito dall'art. 1, comma 2118, della legge 232/2016, sono esenti da IRPEF i trattamenti pensionistici in favore degli equiparati alle vittime del dovere e dei loro familiari superstiti.

VI) Sulla base dei descritti conteggi, come da prospetto riepilogativo (ann. 13), la somma residuale dovuta all'attualità al ricorrente a titolo risarcitorio, è risultata pari a € 89.644,16 complessivi.

Sulla base di ulteriori valutazioni, e su concorde parere dell'Avvocatura Generale dello Stato, l'Amministrazione ha ritenuto congruo offrire alla parte ricorrente la somma di € 100.000,00 complessivi.

5. Quanto alle censure che la parte ricorrente ha proposto avverso la valorizzazione del danno risarcibile, per la cui ordinata trattazione si seguirà l'ordine espositivo di cui al precedente paragrafo 4), si osserva quanto segue.

5.1 In merito al punto 4.I e ai criteri seguiti per la valorizzazione del danno biologico, l'odierno esponente contesta sia l'avere assunto come base di calcolo l'età di 71 anni del ricorrente, anziché l'età che il ricorrente aveva alla data di origine della patologia (59 anni, nel 2003), come da relazione del CTU; sia l'utilizzo delle tabelle del Tribunale di Milano aggiornate all'anno 2014 anziché all'anno 2018.

5.1.1. Entrambe le censure sono meritevoli di adesione.

5.1.2 Quanto alla prima, osserva il Collegio che il criterio seguito dall'odierna intimata si pone in patente contrasto con quanto statuito dal giudice della cognizione, che tra i criteri da seguire per la personalizzazione del danno biologico faceva esplicito riferimento “all'età del ricorrente all'epoca dell'insorgenza della malattia”; e tale momento veniva chiaramente individuato, nella relazione del CTU dell'11 aprile 2016, laddove si attestava che “la storia clinica … inizia con resezione endoscopica di neoformazione vescicale il 19/05/2003 con diagnosi istologica di Carcinoma uroteliale superficiale a basso grado di malignità (pTa G1), trattato successivamente con ciclo di istallazioni endovescicali di chemioterapico”.

5.1.3 Quanto alla seconda doglianza, ritiene il Collegio che l'Amministrazione avrebbe dovuto far riferimento alle tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale del Tribunale di Milano, nell'ultima edizione del 2018, che il Collegio ritiene il parametro di valutazione più congruo in quanto attuale e vigente al momento della liquidazione medesima. Una diversa soluzione si risolverebbe in una non corretta applicazione del criterio equitativo ex art. 1226 c.c., in quanto comporterebbe che una identica lesione del medesimo interesse riferibile alla persona, verrebbe ad essere, intollerabilmente, compensata in modo differente, a seconda della scelta della Tabella operata, con la conseguente violazione del principio di parità di trattamento cui dà luogo una diversa “valutazione-tipo” ed una diversa “tecnica liquidatoria” del medesimo fenomeno, scelta rispetto alla quale rimarrebbe del tutto estranea l'applicazione del principio “tempus regit actum”.

In definitiva, pur non essendo riconducibili le “Tabelle” tra le fonti dell'ordinamento, e non rivestendo natura normativa neppure come elementi richiamati “ab externo” ad integrare la fattispecie normativa che regola l'esercizio del potere equitativo del Giudice di merito, non essendo ad esse fatto alcun espresso rinvio dagli artt. 2056 e 1226 c.c. e pertanto, pur dovendo escludersi (cfr. Corte Cass. Sez. 3, 10.05.2016, n. 9367) che la modifica delle stesse nel corso del giudizio possa operare come “jus superveniens” che il Giudice è obbligato ad applicare anche quando il nuovo diritto sia sopravvenuto in corso di causa (cfr. Corte Cass., Sez. I, 21.12.1999, n. 14357; id., 10.12.2014, n. 26066), tuttavia occorre considerare che le Tabelle costituiscono un utile parametro di verifica della legittimità dell'attività di giudizio, in quanto consentono, avuto riguardo alle caratteristiche di omogeneità ed uniformità di trattamento di situazioni tipo che i criteri tabellari esprimono, di valutare detta attività sotto il profilo della congruità e rispondenza, della liquidazione equitativa, al principio generale per cui al soggetto leso deve attribuirsi l'integrale ristoro del danno, assumendo a riferimento indici “standard” correlati a qualità e condizioni soggettive e oggettive delle persone lese, rispetto ai quali una deviazione non motivata appare dunque sintomatica del vizio di legittimità di violazione dell'art. 1226 c.c.

E, pertanto, come la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato, ogni qual volta le tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale vengano modificate con l'applicazione di "differenti criteri" per il risarcimento, siano essi dovuti a "individuazione di nuovi o diversi indici sintomatici assunti come rilevanti per dimensionare l'equivalente del valore perduto, ovvero di espressa previsione nella tabella di specifiche condizioni personali o situazioni di fatto, regolati precedentemente in modo diverso, o ancora in seguito alla emersione di nuovi interessi non patrimoniali inerenti alla persona meritevoli di tutela risarcitoria -, ovvero alla "rideterminazione del valore-punto base" in conseguenza di una nuova rilevazione statistica dei dati sull'ammontare dei risarcimenti liquidati dagli uffici giudiziari", il Giudice è tenuto ad applicare tali nuove tabelle, anche se il danno si è verificato sotto la vigenza delle precedenti (Corte Cass., Sez I, 19.12.2016, n. 25485).

5.2 In merito al punto 4.II, il ricorrente lamenta la mancata valorizzazione del danno morale.

La doglianza non è meritevole di favorevole apprezzamento, tenuto conto che la scelta operata dall'Amministrazione per la valorizzazione del danno biologico, di considerare le voci del danno biologico permanente e del danno biologico temporaneo, senza applicazione di “alcun incremento per il danno morale attesa la espressa previsione della sentenza n. 9634/2016 del T.A.R. per il Lazio” è non solo corretta ma chiaramente tesa a dare puntuale applicazione ai criteri in proposito dettati nella ripetuta sentenza, dove si legge “in particolare della ricomprensione del danno morale da parte del CTU nella percentuale del danno biologico riconosciuta (100%)”.

5.3 In merito al punto 4.III, si censura la mancata rivalutazione dell'ammontare complessivo del risarcimento dovuto, assumendo la violazione dell'art. 1284 c.c. e della stessa sentenza n. 9634/2016.

5.3.1 La censura merita adesione.

La sentenza ha prescritto la “liquidazione del quantum quale debito di valore, che consenta la rimessa in pristino del patrimonio del danneggiato all'attualità”.

A tal fine, il mero conteggio degli “interessi legali sino al soddisfo”, come operato dall'Amministrazione, non si palesa sufficiente.

5.3.2 E invero, le obbligazioni di valore si qualificano tali allorché l'oggetto diretto e originario della prestazione consista in una cosa diversa dal denaro, rappresentando la moneta solo un bene sostitutivo di una prestazione con diverso oggetto, mentre sono di valuta le obbligazioni aventi fin dall'origine ad oggetto una somma di denaro (cfr. Cass. Civ., sez. I, 20 gennaio 1995, n. 634).

Pertanto, nei debiti di valore l'obbligazione pecuniaria non è originaria, ma rappresenta solo l'equivalente di una diversa obbligazione primaria, per cui l'oggetto della prestazione è ab origine diverso dalla dazione di una somma di denaro, che ne costituisce soltanto la traduzione in termini monetari; le obbligazioni aventi ad oggetto debiti di valore, di conseguenza, sono ontologicamente sottratte al principio nominalistico, perché l'importo dovuto deve necessariamente esprimere il valore effettivo dell'obbligazione primaria sostituita e, pertanto, non può restare insensibile alle oscillazioni del potere di acquisto della moneta.

Scopo dell'obbligazione risarcitoria è quello di reintegrare la perdita arrecata al patrimonio del danneggiato, consentendo di pervenire ad una condizione patrimoniale analoga a quella che vi sarebbe stata se il danno non si fosse verificato. Qualora il danno consista nella perdita di un bene suscettibile di valutazione economica, il ripristino di tale condizione avverrà surrogando la perdita con un importo monetario pari al controvalore del bene perso, controvalore che dev'essere espresso non avendo riguardo al momento in cui si è verificato il danno ma a quello in cui avviene la liquidazione, con la conseguenza che qualora questa non avvenga con valori monetari correnti sarà necessario attualizzare il valore che il bene aveva all'epoca del danno (Cass. Civ., Sez. VI, ord. 12 giugno 2019, n. 15856).

5.3.3 Ne discende che, nella determinazione della proposta risarcitoria in esame l'Amministrazione avrebbe dovuto tener conto della rivalutazione monetaria da calcolare a far data dalla data di verificazione del danno e degli interessi maturati e maturandi.

5.3.4 Quanto ai criteri per il calcolo della rivalutazione e degli interessi, deve aversi riguardo ai criteri generali ormai fissati in materia dalla giurisprudenza civile ed amministrativa (Cass. civ., Sez. Un., 17 febbraio 1995, n. 1712; Cons. Stato, Sez. III, 14 dicembre 2012, n. 6444; 8 dicembre 2012, n. 5686; 13 ottobre 2011, n. 18; Ad. Plen., 15 giugno 1998, n. 3; 20 luglio 1998, n. 6), in base ai quali:

- in tema di risarcimento del danno per debiti di valore, la somma calcolata dev'essere aumentata con la rivalutazione secondo i dati ISTAT e gli interessi (Cass., cit.);

- la rivalutazione ha la funzione di reintegrare il danneggiato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non si fosse verificato, adeguando l'importo della somma (che viene liquidata con riguardo al fatto in cui il danno si è verificato) in valori monetari correnti alla data in cui è compiuta la liquidazione giudiziale (Cass., cit.);

- la rivalutazione è calcolata ogni anno sempre sul capitale iniziale utilizzando la variazione dell'indice ISTAT rispetto all'anno e al mese iniziali (in modo da evitare di rivalutare ogni volta un capitale già rivalutato nell'anno precedente) (Cass., cit.);

- gli interessi vanno calcolati dalla data del fatto, non già sulla somma complessiva rivalutata alla data della liquidazione, ma sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno (id est: sul capitale rivalutato anno per anno; ovvero, ciò che esprime il medesimo concetto, sulle somme annualmente rivalutate) (Cass., cit.);

- gli interessi non vanno ad accrescere il capitale da rivalutare e non sono a loro volta produttivi di ulteriori interessi, per il divieto di anatocismo di cui all'art. 1282 c.c. (Cons. Stato, Ad. Plen., 20 luglio 1998, n. 6).

5.4 In merito al punto 4.IV, concernente la detrazione delle “altre somme riconosciute dall'Amministrazione e percepite dal ricorrente per lo stesso evento dannoso”, l'odierno esponente contesta l'avvenuto scomputo di voci asseritamente estranee al danno (patologia tumorale) per il quale è stata riconosciuta la responsabilità risarcitoria della p.a., come la pensione privilegiata.

5.4.1 La doglianza deve essere disattesa perché destituita di giuridico fondamento.

5.4.2 Osserva il Collegio che il modus operandi della p.a. risulta, sul punto, pienamente corrispondente al criterio dettato dalla sentenza n. 9634/2016 che ha prescritto la “decurtazione dalla percentuale del danno biologico permanente (100%) e degli altri indici (91 giorni di inabilità) indicati dal CTU, delle altre somme riconosciute dall'Amministrazione e percepite dal ricorrente per lo stesso evento dannoso (Cons. Stato, Sez. IV, n. 4136/2011)”, e che risulta in linea con i più recenti approdi della giurisprudenza.

5.4.3 Orbene, secondo il principio di diritto formulato dal Consiglio di Stato, Ad. Plenaria n. 1 del 2018, limitatamente alla questione relativa al cumulo tra risarcimento e indennità dovute da enti pubblici, “la presenza di un'unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli diversi aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito dallo stesso bene giuridico protetto, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario che giustifica, in applicazione della regola della causalità giuridica e in coerenza con la funzione compensativa e non punitiva della responsabilità, il divieto del cumulo con conseguente necessità di detrarre dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario”.

5.4.4 Anche la Corte di Cassazione ha precisato che qualora, pur in presenza di titoli differenti, vi sia unicità del soggetto responsabile del fatto illecito fonte di danni e al contempo obbligato a corrispondere al danneggiato una provvidenza indennitaria, deve essere dedotta dall'ammontare del risarcimento del danno la posta indennitaria avente una finalità compensativa. Il principio della compensatio lucri cum damno opera quindi in tutti i casi in cui sussiste una coincidenza tra il soggetto autore dell'illecito tenuto al risarcimento e quello chiamato per legge ad erogare il beneficio, con l'effetto di assicurare al danneggiato una reintegra del suo patrimonio completa e senza duplicazioni. Se l'atto dannoso produce, oltre al danno, un vantaggio, questo deve essere calcolato in diminuzione all'entità del risarcimento. Questo principio è desumibile dall'art. 1223 c.c., norma che implica, in linea logica, che l'accertamento conclusivo degli effetti pregiudizievoli tenga anche conto degli eventuali vantaggi collegati all'illecito in applicazione della regola della causalità giuridica (Cass. Civ., Sez. Un., 22 maggio 2018, nn. 12564, 12565, 12566, 12567).

La compensatio è operante solo quando il pregiudizio e l'incremento discendano entrambi con rapporto immediato e diretto, dallo stesso fatto, sicché se ad alleviare le conseguenze dannose subentra un beneficio che trae origine da un titolo diverso ed indipendente dal fatto illecito generatore di danno, di tale beneficio non può tenersi conto nella liquidazione del danno, profilandosi in tal caso un rapporto di mera occasionalità che non può giustificare alcun diffalco. La detrazione può cioè trovare applicazione solo nel caso in cui il vantaggio e il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta del fatto illecito, quali suoi effetti contrapposti, mentre non opera quando il vantaggio derivi da un titolo diverso e indipendente dall'illecito stesso, che costituisce solo la condizione perché il diverso titolo spieghi la sua efficacia.

5.4.5 Nel dettaglio della valorizzazione operata dall'Amministrazione sono chiaramente descritti, conteggiati e documentati i vari benefici economici (equo indennizzo, pensione privilegiata, speciale elargizione, assegno vitalizio, speciale assegno vitalizio), riconosciuti al ricorrente una tantum o con cadenza periodica, legati al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, quale effetto della partecipazione dell'Ufficiale a missioni internazionali in diversi periodi, dell'infermità “-OMISSIS-”, e che sono stati portati a scomputo “dalla percentuale del danno biologico permanente (100%) e degli altri indici (91 giorni di inabilità) indicati dal CTU”, come prescritto nella sentenza da ottemperare. In particolare, quanto alla pensione privilegiata, sono stati conteggiati i soli importi lordi derivanti dal riconoscimento della 1^ ctg. per l'infermità “-OMISSIS-”, che è quella per il cui risarcimento è controversia, mentre sono stati espunti gli importi derivanti per la 3^ ctg. e per la 6^ ctg., in quanto concessi per infermità diverse.

5.5 Alla medesima conclusione, reiettiva delle censure attoree, il Collegio deve giungere anche in merito alla contestata valorizzazione, nel calcolo del danno biologico, del risparmio fiscale legato allo status di equiparato a vittima del dovere del ricorrente, di cui al punto 4.V. Si tratta infatti di un ulteriore beneficio che accede ed, economicamente, si aggiunge, alla speciale elargizione riconosciuta all'Ufficiale quale vittima del dovere, ed entrambi discendono, in modo diretto ed immediato dallo stesso fatto e vedono come soggetto obbligato il medesimo soggetto responsabile del fatto illecito fonte di danni.

6. Alla luce delle esposte considerazioni, l'Amministrazione non ha dato piena e corretta esecuzione al dictum della sentenza n. 9634/2016 della Sezione, per le ragioni evidenziate sub parr. 5.1-5.1.3 e 5.3-5.3.4; pertanto, in tali limiti il ricorso è fondato e va accolto, con conseguente obbligo dell'Amministrazione, entro 60 (sessanta) giorni dalla data della comunicazione amministrativa della presente sentenza o se precedente della notifica, di rideterminare la somma dovuta a titolo di risarcimento del danno, secondo le indicazioni del Collegio.

7. Le spese seguono la soccombenza e restano liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione.

Ordina al Ministero della Difesa di procedere al compimento degli atti necessari all'esecuzione della sentenza nei termini indicati in parte motiva.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Concetta Anastasi, Presidente

Rosa Perna, Consigliere, Estensore

Fabrizio D'Alessandri, Consigliere

 		
 		
L'ESTENSORE		IL PRESIDENTE
Rosa Perna		Concetta Anastasi
 		
 		
 		
 		
 		

IL SEGRETARIO


In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Avv. Antonino Sugamele

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