Appartenenti al Corpo Forestale dello Stato chiedono l'annullamento dei decreti che hanno disposto il loro collocamento presso l'Arma dei Carabinieri.
T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., (ud. 08-06-2021) 14-06-2021, n. 7059
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 485 del 2017, proposto da D.B. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Francesco La Gattuta, presso il cui studio in Roma, viale Anicio Gallo 194, sono elettivamente domiciliati;
contro
Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, non costituito in giudizio;
nei confronti
P.L. e S.F., non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
dei Decreti del Capo del Corpo Forestale dello Stato, n. 81253, n. 81275, n. 81276, n. 81277, n. 81278, n. 81279, n. 81280, n. 81282, n. 81284 di assegnazione del personale, in base a quanto previsto dall'art.12, comma 2, del D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 177 , pubblicati nel Supplemento al Bollettino Ufficiale del Corpo Forestale dello Stato del 7/11/16.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2021 la dott.ssa Roberta Cicchese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato che l'udienza si svolge ai sensi dell'art. 25, del D.L. n. 137 del 2020, convertito in L. n. 176 del 2020, attraverso videoconferenza con l'utilizzo di piattaforma "Microsoft Teams";
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
I ricorrenti, appartenenti al Corpo Forestale dello Stato (di seguito, in breve "CFS"), agiscono per l'annullamento dei decreti in epigrafe, che hanno disposto il loro collocamento presso l'Arma dei Carabinieri.
Dopo aver ricapitolato i principi salienti della normativa (art. 8 L. n. 124 del 2015, D.Lgs. n. 177 del 2016), gli interessati evidenziano come, in attuazione di questa, è stato emanato, tra l'altro, il D.P.C.M. del 21 novembre 2016 (adottato ai sensi dell'art. 12, 3 comma, D.Lgs. n. 1 del 7 7 cit.) cui hanno fatto seguito i provvedimenti impugnati, con i quali la resistente amministrazione ha assegnato i ricorrenti all'Arma dei Carabinieri.
Detto modus procedendi sarebbe, a dire dei ricorrenti, costituzionalmente illegittimo e contrario ai principi comunitari.
Secondo il ricorso i vizi del provvedimento deriverebbero, appunto, dalla illegittimità costituzionale della riforma di cui gli atti impugnati costituiscono applicazione.
In particolare sussisterebbe la violazione degli articoli 2, 3, 4, 18, 35, 39, 40, 97, 117 della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt.15 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, 8 e 11 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, 1 della Carta sociale europea.
Il Ministero delle politiche agricole e forestali non si è costituito in giudizio.
All'udienza dell'8 giugno 2021 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso è infondato, alla luce della consolidata giurisprudenza della sezione, anche recentemente ribadita (Tar Lazio, Roma, sezione II ter, 7 giugno 2021, nn. 6763, 6761 e 6758).
Occorre premettere che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 170/2019, ha dichiarato infondate le questioni di legittimità dell'art. 8, comma 1, lettera a), della L. 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), sollevate sotto molteplici profili in riferimento agli artt. 3, 5, 9, 32, 76, 77, primo comma, 81, 97 e 117, quarto comma, 118 e 120 della Costituzione. Nell'occasione la Corte ha altresì dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli da 7 a 19 del D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 177 (Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del CFS, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della L. 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) che erano state sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 76 e 77, primo comma della Costituzione.
In estrema sintesi, con la suddetta sentenza di rigetto la Corte ha affermato la conformità alla Carta dell'assorbimento del CFS nell'Arma dei carabinieri, previsto dalla riforma c.d. Madia del 2016 con l'obiettivo di dare maggiore efficienza al servizio e contenere le spese, dichiarando non fondate le questioni di costituzionalità sollevate dai Tribunali amministrativi di Abruzzo, Veneto e Molise, che, in particolare, avevano messo in discussione la "militarizzazione forzata" (denunciata anche qui con il primo e il sesto motivo di ricorso) derivata dal passaggio all'Arma del personale della Forestale, la quale dalla nascita della Repubblica e sino alla riforma era stata un "corpo di polizia ad ordinamento civile".
Sul punto, la Corte costituzionale, pur dando atto che lo status giuridico di militare comporta l'adempimento di doveri e obblighi e limita alcune prerogative riconosciute dalla Costituzione, ha escluso il conflitto di costituzionalità sulla base delle seguenti osservazioni:
- "l'assenza di un meccanismo coercitivo al passaggio dallo status civile a quello militare e l'esigenza di assicurare un maggiore livello di efficienza agli stessi servizi, già svolti dal Corpo forestale e ora assegnati all'Arma dei carabinieri, costituiscono elementi decisivi per ritenere la correttezza del bilanciamento tra interessi antagonisti che il legislatore delegato si è trovato a esprimere nell'ambito della concreta attuazione della riforma";
- "il mutamento di status, come rilevato dal Consiglio di Stato nel parere sullo schema di decreto legislativo (Consiglio di Stato, commissione speciale, parere 12 maggio 2016, n. 1183/2016), è espressione di una nuova concezione organizzativa in cui sono le competenze - e non lo status - a dare la misura della professionalità";
- "…è comunque prevista l'opzione per la privatizzazione del rapporto di lavoro, con transito in altra amministrazione dello Stato, disciplinata nei termini anzidetti dall'art. 12";
- "…la specificità dell'ordinamento militare rispetto a quello civile è stata in parte mitigata dalla recente sentenza di questa Corte n. 120 del 2018, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1475 cod. ordinamento militare, il quale non consentiva ai militari di costituire associazioni professionali a carattere sindacale, nonché dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sezione IV, 12 dicembre 2017, n. 5845), che ha riconosciuto il diritto di iscrizione ai partiti politici e di elettorato passivo ai militari, con l'unico limite dell'assunzione di cariche statutarie".
La Corte ha ritenuto, poi, che sia la legge delega sia il decreto delegato non presentino vizi di costituzionalità, in quanto le relative scelte sono "il frutto di un bilanciamento non irragionevole tra le esigenze di riorganizzazione dei servizi di tutela forestale e quelle di salvaguardia delle posizioni del personale forestale".
I motivi di doglianza formulati sul punto dai ricorrenti (motivi da uno a sette) si rivelano quindi, sulla scorta di quanto affermato dalla Corte Costituzionale, privi di fondamento.
Con particolare riferimento al terzo motivo di gravame, pur richiamante parametri costituzionali non espressamente scrutinati dalla Corte Costituzionale, va analogamente rilevato che i valori costituzionalmente tutelati della libertà dell'organizzazione e del pluralismo sindacali ex art. 39, del diritto di sciopero di cui all'art. 40 e della libertà di associazione ex art. 18, attraverso l'avvenuta "militarizzazione" del CFS non sono stati affatto irragionevolmente sacrificati. Ciò in quanto, da un lato, alla riforma è estraneo un meccanismo coercitivo di passaggio dallo status civile a quello militare, e, dall'altro, la specificità dell'ordinamento militare rispetto a quello civile, come sottolineato dalla Corte Costituzionale nella richiamata pronuncia, è stata pur sempre mitigata dalla sentenza della stessa Consulta n. 120 del 2018.
Da qui la manifesta infondatezza anche dei dubbi di costituzionalità prospettati con il terzo mezzo.
Similmente, in relazione al motivo sub 8, per le ragioni sopra indicate non appare configurabile alcuna lesione dell'art. 15 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (né, di riflesso, dell'art. 117 Cost.), concernente la libertà professionale e il diritto di lavorare, il cui comma 1 dispone, per l'appunto, che "ogni persona ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata".
Per i medesimi motivi già esposti nella sentenza della Consulta, va pure recisamente esclusa la configurabilità di una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dagli artt. 8 e 11 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, per come dedotta dalla parte ricorrente nel medesimo ottavo motivo. Le questioni così prospettate, infatti, variamente afferenti alla tutela del diritto fondamentale alla libertà professionale, a una presunta interferenza statale indebita nel godimento del diritto al rispetto della vita familiare e lavorativa, e alle libertà di associazione e di appartenenza a sindacati, risultano tutte depotenziate alla luce della pronuncia e delle analitiche riflessioni della Corte costituzionale, dalle quali emerge che la trasformazione del rapporto lavorativo invisa ai ricorrenti si accompagna solo a talune limitate restrizioni, che si sono già rivelate proporzionate e ragionevoli (Tar Molise, 9 marzo 2021, n. 83).
Occorre poi osservare che la scelta in ordine alle Amministrazioni presso le quali far confluire il personale proveniente dal Corpo Forestale dello Stato non poteva che appartenere alla sfera di discrezionalità attribuita al legislatore. E che l'esercizio di questa discrezionalità avutosi in concreto, lungi dall'essere irrazionale, risponde a precise valutazioni del tutto coerenti con i dettami dell'art. 97 Cost. (censura formulata con il settimo motivo di ricorso), atteso che il restringimento della scelta solo ad alcune Amministrazioni dello Stato è giustificato proprio dalla necessità di preservare la professionalità acquisita presso l'Amministrazione di provenienza e garantire la continuità in materia di tutela ambientale. Sul punto, la Corte Costituzionale ha anche soggiunto che "Vi sono, poi, elementi fattuali che corroborano in modo appropriato il merito della scelta legislativa: in particolare, vi è una solida coincidenza tra la diffusione capillare sul territorio nazionale delle stazioni dell'Arma dei carabinieri e di quelle del Corpo forestale, mentre la Polizia di Stato, verso cui le parti costituite sembrano esprimere la propria preferenza, è prevalentemente dislocata nel territorio urbano, come emerge con chiarezza, tra l'altro, dall'audizione del 12 luglio 2016 del Capo della Polizia di Stato davanti alle Commissioni Affari costituzionali e Difesa del Senato della Repubblica".
Trova quindi smentita in radice anche l'asserzione della parte ricorrente formulata col settimo motivo di censura, con il quale è stato allegato che la soppressione del CFS potrebbe comportare -almeno parzialmente- il venir meno delle sue funzioni costituzionalmente necessarie: funzioni alle quali, invece, la riforma garantisce una piena continuità, seppure per il mezzo di una differente organizzazione e veste.
Del tutto apodittica, inoltre, è la deduzione dei ricorrenti circa l'affievolimento del principio della tutela ambientale ex art. 9 Cost.. Come ha avuto già modo di chiarire la giurisprudenza amministrativa, "Essendo indubitabile che molte delle funzioni svolte dal Corpo forestale dello Stato abbiano rilevanza costituzionale (tutela dell'ambiente, sicurezza alimentare, ecc.) e che, quindi, non possano conseguentemente venir meno, si sottolinea come le stesse, lungi dall'esser formalmente soppresse ed espunte dall'ordinamento, siano state semplicemente attribuite ad altre strutture dello Stato, in particolare all'Arma dei carabinieri, ritenuta funzionalmente e strutturalmente più idonea all'assolvimento di tali compiti, in ragione della similare struttura capillare presente sull'intero territorio nazionale" (TAR Emilia-Romagna, 27 aprile 2020, n. 253).
Tirando le fila di quanto esposto appare allora evidente che, soprattutto sulla scorta della sentenza n. 170/2019 della Corte Costituzionale, e alla luce del pronunciamento, appunto, già espresso dal Giudice delle leggi, debbano negarsi i presupposti per l'accoglimento del ricorso (la giurisprudenza amministrativa in fattispecie simili si è del resto pronunciata in modo univoco in questo senso: si vedano, tra le tante, Tar Piemonte, 2 luglio 2020, n. 437).
L'accertata manifesta infondatezza dei sollevati profili di censurabilità costituzionale della normativa primaria a base degli atti impugnati vale infatti di per sé - quale circostanza maggiormente liquida, dirimente e assorbente ogni altra questione - a escludere la fondatezza delle doglianze sollevate da parte ricorrente, da questa incentrate proprio sull'asserita violazione dei menzionati parametri costituzionali.
In conclusione, il ricorso è infondato e, in quanto tale, deve essere respinto.
La natura della controversia giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza secondo quanto disposto dall'art. 25 del D.L. n. 137 del 2020, convertito in L. n. 176 del 2020, con l'intervento dei magistrati:
Pietro Morabito, Presidente
Michelangelo Francavilla, Consigliere
Roberta Cicchese, Consigliere, Estensore
19-06-2021 21:04
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