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Sentenza

Appuntato scelto della G.d.F. accusato di aver concorso alla gestione di un eser...
Appuntato scelto della G.d.F. accusato di aver concorso alla gestione di un esercizio commerciale, di cui era titolare formale la compagna, assumendo in più occasioni e a tempo determinato lavoratrici "in nero" le cui prestazioni ed esibizioni nel locale erano state pagate per contanti, in tutto o in parte, concordando con la titolare anche gli espedienti per eludere eventuali controlli.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-12-2020) 08-01-2021, n. 461
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano - Presidente -

Dott. SANDRINI Enrico G. - rel. Consigliere -

Dott. SARACENO Rosanna - Consigliere -

Dott. MAGI Raffaello - Consigliere -

Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P.F., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 17/09/2019 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI;

letta la requisitoria scritta del Procuratore Generale Dott. Flamini Luigi Maria, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 17.09.2019 la Corte militare d'appello ha confermato la sentenza pronunciata il 28.02.2018 con cui il Tribunale militare di Verona aveva condannato P.F. alla pena (sospesa) di anni 1 mesi 4 di reclusione, sostituita con la reclusione militare per uguale durata, oltre pene e statuizioni accessorie, per il reato di collusione con estranei per frodare la finanza, L. n. 1383 del 1941, ex art. 3 in relazione all'art. 215 c.p.m.p., mediante la condotta consistita, in qualità di appuntato scelto della G.d.F. in servizio presso la tenenza di (OMISSIS), nell'aver concorso alla gestione dell'esercizio "(OMISSIS)" di (OMISSIS), di cui era titolare formale la compagna B.D.M., assumendo in più occasioni e a tempo determinato lavoratrici "in nero" le cui prestazioni ed esibizioni nel locale erano state pagate per contanti, in tutto o in parte, concordando con la B. anche gli espedienti per eludere eventuali controlli, fatti commessi dall'(OMISSIS).

Secondo la conforme ricostruzione del fatto e delle risultanze istruttorie operata dalle sentenze di merito, la prova della colpevolezza dell'imputato in ordine al reato ascritto discendeva dalla sua accertata veste di amministratore di fatto dell'esercizio intestato formalmente alla compagna, posto che il P. era colui che intratteneva i rapporti coi fornitori e - per quanto qui interessa - si occupava dell'assunzione e della retribuzione delle ragazze che si esibivano nel locale, così come emerso dalle dichiarazioni convergenti di queste ultime, ritenute precise, dettagliate, intrinsecamente coerenti e prive di acredine nei riguardi dei datori di lavoro, per giunta provenienti da persone legate tra loro solo da rapporti occasionali e che ritraevano dall'attività serale prestata nel "(OMISSIS)" un reddito marginale, così da non potersi dubitare della genuinità e della affidabilità dei ldro apporti dichiarativi; ulteriormente confermative del ruolo del P. erano le dichiarazioni del tutto disinteressate rese da uno dei clienti del locale e le emergenze oggettive dei messaggi whatsapp scambiati tra l'imputato e la sua compagna, provenienti dalle utenze telefoniche in loro rispettivo uso e attestanti l'autonomia del P. nell'individuare le ragazze da assumere, nell'istruirle sull'attività e sulla condotta da tenere, anche in caso di accessi ispettivi ai locali, nonchè nel pattuire con loro i compensi e le relative modalità di pagamento.

I giudici di merito ritenevano perciò provato l'accordo tra l'imputato e la B. finalizzato a frodare la finanza mediante l'elusione degli obblighi contributivi e fiscali derivanti dai rapporti di lavoro con le ragazze che si esibivano nel locale, posto che, pur potendo tali rapporti ricondursi alla tipologia del lavoro c.d. accessorio. retribuibile mediante rilascio di voucher del valore di dieci Euro per ciascuna ora lavorativa prestata, era concordemente emerso dal compendio dichiarativo che il pagamento avveniva per contanti in tutto o in parte (a fronte del rilascio di un solo voucher in presenza di una pluralità di ore lavorate nella stessa serata); la qualità di militare della G.d.F. del P., postulante una specifica competenza cognitiva nel settore fiscale, e le istruzioni da lui date alle lavoratrici su ciò che avrebbero dovuto riferire in caso di controlli nel locale, rivelavano la piena consapevolezza e volontà dell'illecito, così da escludere ogni dubbio sull'elemento psicologico del reato, costituente un delitto di pericolo non richiedente per la sua perfezione la realizzazione della frode, nel caso concreto peraltro effettivamente materializzatasi grazie alla violazione dei doveri funzionali gravanti sul soggetto incorporato nella guardia di finanza.

2. Avverso la sentenza d'appello ricorre per cassazione P.F., a mezzo dei suoi difensori, prospettando una questione di legittimità costituzionale della norma incriminatrice di cui alla L. n. 1383 del 1941, art. 3 e deducendo quattro motivi di doglianza.

2.1. Sotto il primo profilo, il ricorrente lamenta l'indeterminatezza della norma censurata, che punisce il semplice accordo non seguito da un'effettiva violazione della legge, in contrasto con l'art. 115 c.p.; deduce l'irragionevolezza del trattamento deteriore previsto per i militari della G.d.F. rispetto agli appartenenti ad altre amministrazioni militari e civili esercenti le medesime funzioni, lamentando la tendenza giurisprudenziale a privilegiare il risvolto soggettivo della fattispecie e a non ancorare la punibilità alla tutela del bene-fine, così che l'attuale previsione normativa appare incorrere nella violazione dell'art. 3 Cost..

2.2. Col secondo motivo il ricorrente censura l'omessa motivazione sulla rinnovazione istruttoria espletata nel giudizio d'appello mediante l'esame ex art. 197 bis c.p.p. di B.D.M., in quanto la deposizione della teste assistita non era stata considerata dalla sentenza impugnata, pur trattandosi di una prova il presupposto della cui assunzione era rappresentato dall'impossibilità di decidere allo stato degli atti.

2.3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione all'omessa motivazione sulla dedotta inutilizzabilità dei messaggi whatsapp, sotto il profilo della mancata acquisizione del supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione, ovvero in alternativa della formazione di una copia forense, necessarie a verificare l'affidabilità della prova.

2.4. Col quarto motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione con riguardo alla deduzione della prova del concorso nel reato del P. dalla collaborazione prestata alla compagna nella gestione dell'esercizio a lei intestato, in assenza di prova dell'accordo collusivo e dell'effettiva messa in pericolo del bene protetto, non essendo dimostrata la sussistenza di un danno nè contributivo nè tributario.

2.5. Col quinto motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine al giudizio di credibilità formulato nei confronti delle ex dipendenti, contestandone la genuinità delle dichiarazioni accusatorie, censurando altresì la mancata disamina del tema della offensività della condotta sotto il profilo del reato impossibile.

3. Non essendo stata formulata istanza di discussione orale del processo, il procuratore generale militare ha tempestivamente trasmesso ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 le proprie richieste scritte, con cui chiede il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile in ogni sua deduzione.

1.1. La questione di legittimità costituzionale della norma incriminatrice di cui alla L. n. 1383 del 1941, art. 3 prospettata dal ricorrente, è manifestamente infondata.

In tali termini si è già pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza n. 70 del 1976, che ha escluso che la ridetta incriminazione crei un'ingiustificata disparità di trattamento, lesiva del principio di uguaglianza, in danno degli appartenenti al corpo della guardia di finanza, rispetto ai dipendenti civili delle amministrazioni finanziarie e ai militari appartenenti agli altri corpi di pubblica sicurezza che, nelle ipotesi contemplate dalla norma impugnata, non sono assoggettati alle sanzioni ivi comminate, ma a quelle, più lievi, previste per altri reati eventualmente ravvisabili nella loro condotta, stante la peculiare e diversa posizione del militare appartenente alla guardia di finanza.

Tale conclusione è stata, più di recente, ribadita da questa Corte, anche sotto il profilo dell'insussistenza della prospettata violazione dell'art. 25 Cost., in considerazione del fatto che il particolare status del militare della guardia di finanza (al quale è istituzionalmente affidata la tutela degli interessi finanziari dello Stato, con conseguente - parallela e specifica - connotazione dei doveri di fedeltà derivanti dall'appartenenza a tale corpo) non è comparabile con quello di altri militari o pubblici ufficiali, e l'incriminazione della "collusione" di cui alla L. n. 1383 del 1941, art. 3 non contrasta con i principi di tassatività e offensività, in quanto il reato si perfeziona con il solo accordo avente ad oggetto la frode alla finanza, senza che tale risultato debba necessariamente realizzarsi, posto che è proprio l'accordo consistente nell'indicazione o nell'apprestamento di qualsiasi espediente, o altro mezzo fraudolento, dotato di potenzialità lesiva dell'interesse dello Stato alla percezione dell'entrata tributaria, a mettere in pericolo l'interesse protetto (Sez. 1 n. 15019 del 15/12/2005, Rv. 234010).

Del resto, l'art. 115 c.p., (comma 1), nello stabilire che il mero accordo per commettere un reato, che non sia seguito dalla sua commissione, non è in via di principio punibile, fa testualmente salvo il caso "che la legge disponga altrimenti" (com'è il caso del reato qui in esame: Sez. 1 n. 45864 del 15/10/2014, Rv. 260845), e proprio la declinazione corretta del principio di eguaglianza sancito nell'art. 3 Cost. legittima il fatto che a situazioni diverse corrispondano regolamentazioni diverse.

1.2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato e altresì generico, nella misura in cui è strutturalmente privo del requisito dell'autosufficienza.

Il ricorrente, infatti, neppure indica o riporta i contenuti dell'esame della teste assistita B.D.M., così da impedire in radice a questa Corte di valutare l'eventuale vizio in cui fosse incorsa la motivazione della sentenza impugnata nel non prendere in specifica considerazione il risultato della relativa deposizione (Sez. 2 n. 26725 dell'1/03/2013, Rv. 256723), sotto il profilo - peraltro nemmeno dedotto nel ricorso - della sua idoneità a contraddire e disarticolare in modo decisivo il ragionamento probatorio complessivo della Corte d'appello fondato sull'univoca valenza accusatoria delle risultanze istruttorie a carico del P.; il motivo è dunque inammissibile.

1.3. Parimenti generico e inammissibile è il terzo motivo di doglianza, che omette completamente di confrontarsi con l'argomento decisivo, emergente dalla motivazione della sentenza gravata (pagina 17), della pacifica e riconosciuta provenienza dalle utenze telefoniche in uso rispettivo all'imputato e alla di lui compagna B.D.M. dei messaggi whatsapp, di ritenuta valenza incriminante, scambiati tra i due soggetti, la cui genuinità non è stata contestata dalla difesa (che si è limitata a prospettare una possibile lettura alternativa, in punto di fatto, del relativo significato), e la cui utilizzabilità come prova di natura documentale non può essere messa in discussione.

Costituisce, invero, principio acquisito, nella giurisprudenza di questa Corte, che i messaggi whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 c.p.p., sicchè è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione la disciplina delle intercettazioni, posto che nel caso di acquisizione di messaggi conservati nella memoria del cellulare non si è in presenza della captazione di un flusso di comunicazioni in corso, bensì della documentazione ex post di detti flussi (ex plurimis Sez. 6 n. 1822 del 12/11/2019, dep. 17/01/2020, Rv. 278124).

1.4. Il quarto motivo di ricorso si risolve in un'inammissibile censura di merito diretta a sollecitare una diversa interpretazione dei dati probatori, di natura sia dichiarativa che documentale, che la Corte territoriale - con motivazione adeguata e coerente, e perciò incensurabile - ha posto a fondamento della ritenuta partecipazione dell'imputato, in qualità di protagonista principale, all'accordo collusivo con la B., formale intestataria della (comune) attività commerciale, volto a frodare gli obblighi contributivi e fiscali derivanti dalle prestazioni lavorative delle ragazze assunte per esibirsi nel locale, retribuendole in tutto o in parte "in nero" mediante pagamenti per contanti oppure ricorrendo all'escamotage di corrispondere un unico voucher a fronte di una pluralità di ore lavorate nella stessa serata, facendo così figurare una durata della prestazione inferiore a quella reale, nonchè ponendo in essere l'ulteriore condotta fraudolenta consistita nell'istruire le ragazze sulle inveritiere dichiarazioni da rendere in caso di controlli o accessi ispettivi al locale.

La natura di reato di pericolo, a consumazione anticipata, della violazione della L. n. 1383 del 1941, art. 3 che si perfeziona col mero raggiungimento dell'accordo tra il militare e l'altro soggetto partecipe della frode (Sez. 1 n. 37820 del 6/06/2019, Rv. 276840) - accordo che può consistere nell'indicazione o nell'apprestamento di qualsiasi espediente o mezzo fraudolento dotato di potenzialità lesiva dell'interesse erariale alla percezione di un'entrata tributaria (Sez. 1 n. 14146 del 19/02/2020, Rv. 279050), sia mediante la commissione di illeciti, anche penalmente irrilevanti, che mediante comportamenti diretti a eludere o sviare le attività di accertamento tributario (Sez. 1 n. 45864 del 15/10/2014, Rv. 260845) - toglie ogni rilevanza alle deduzioni del ricorrente circa l'indimostrata sussistenza di un danno contributivo o tributario, di cui la sentenza impugnata ha peraltro dato atto della positiva verificazione.

1.5. Anche il quinto motivo di ricorso si esaurisce in una mera contestazione in punto di fatto - che non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità - della credibilità attribuita dai giudici di merito alle dichiarazioni rese dalle ragazze assunte dall'imputato, la cui genuinità è stata puntualmente argomentata dalla Corte territoriale nei termini sopra riportati nella parte in fatto: in tema di valutazione della prova testimoniale, l'attendibilità del teste e del suo dichiarato costituisce una questione di fatto, che non è sindacabile dal giudice di legittimità in presenza di una congrua e logica motivazione, spettando al giudice di merito il giudizio sulla rilevanza e sull'affidabilità delle fonti di prova (Sez. 4 n. 10153 dell'11/02/202, Rv. 278609; Sez. 5 n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623).

Parimenti inammissibile, infine, è la deduzione difensiva afferente l'assenza di offensività del reato, formulata in termini assertivi e che non si confrontano con la pacifica natura di reato di pericolo del delitto ascritto al P..

2. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle Ammende della sanzione pecuniaria che si stima equo quantificare nella somma di 3.000 Euro.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021
Avv. Antonino Sugamele

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