Militare si fa consegnare la somma di 1.100,00 Euro da un collega, impegnandosi a organizzare un viaggio negli Stati Uniti, per il quale non si attivava, essendosi limitato il ricorrente ad acquistare un biglietto aereo low cost, procurandosi un ingiusto profitto in danno della persona offesa. Userà in parte il denaro per giocare d'azzardo, online.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-12-2020) 08-01-2021, n. 457
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IASILLO Adriano - Presidente -
Dott. SANDRINI Enrico G. - Consigliere -
Dott. SARACENO Rosanna - Consigliere -
Dott. MAGI Raffaello - Consigliere -
Dott. CENTONZE Alessandro - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
1) A.M., nato a (OMISSIS);
Avverso la sentenza emessa l'11/06/2019 dalla Corte militare di appello di Roma;
Sentita la relazione del Consigliere Dott. Alessandro Centonze;
Lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Dott. Flamini Luigi Maria, che ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa il 13/10/2017 il Tribunale militare di Verona giudicava l'imputato A.M. colpevole del reato di cui all'art. 234 c.p.m.p. e art. 47 c.p.m.p., comma 1, n. 2, condannandolo alla pena di quattro mesi di reclusione militare, oltre alle pene accessorie di legge.
2. Con sentenza emessa l'11/06/2019 la Corte militare di appello di Roma, decidendo sull'impugnazione proposta dall'imputato, confermava la decisione appellata, condannando l'appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali.
3. Da entrambe le sentenze di merito, che risultano pienamente convergenti, emergeva che l'imputato A.M., nella qualità militare contestata, si faceva consegnare la somma di 1.100,00 Euro da L.M., impegnandosi a organizzare un viaggio negli Stati Uniti, per il quale non si attivava, essendosi limitato il ricorrente ad acquistare un biglietto aereo low cost, procurandosi un ingiusto profitto in danno della persona offesa.
La responsabilità di A.M. veniva accertata attraverso la documentazione acquisita al fascicolo processuale, tra cui la Corte militare di appello di Roma richiamava una carta prepagata Postepay riconducibile all'imputato, su cui veniva effettuato il versamento di cui si controverte, che veniva correlata alle dichiarazioni rese da L.M., che consentivano di ricostruire le circostanze di tempo e di luogo in cui la truffa militare aggravata organizzata dal ricorrente si era concretizzata.
Si accertava, al contempo, che una parte consistente delle somme versate da L.M. per l'organizzazione del viaggio negli Stati Uniti veniva destinata da A.M. al gioco d'azzardo, che veniva abitualmente praticato dall'imputato mediante una società di scommesse online.
Sulla scorta di tale ricostruzione dei fatti di reato, l'imputato A.M. veniva condannato alle pene di cui in premessa.
4. Avverso la sentenza di appello l'imputato A.M., a mezzo degli avvocati Guglielmo Scarlato e Giovanni La Mura, ricorreva per cassazione, deducendo quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento all'art. 234 c.p.m.p., conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi costitutivi del reato di truffa miliare aggravata, la cui sussistenza appariva smentita dalle emergenze processuali, che non avevano chiarito quali fossero gli accordi intervenuti tra A.M. e L.M., in relazione alla dazione della somma di 1.100,00 Euro.
Con il secondo motivo di ricorso si eccepiva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 162-ter c.p., nella parte in cui limitava l'applicazione dell'esimente dell'estinzione del reato per le sole ipotesi di reati perseguibili a querela di parte, nonchè dell'art. 234 c.p.m.p., nella parte in cui prevedeva la perseguibilità d'ufficio della truffa militare.
Con il terzo e il quarto motivo di ricorso, di cui si impone una trattazione congiunta, si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti all'incongruità del trattamento sanzionatorio irrogato dalla Corte militare di appello di Roma a A.M., censurato per l'eccessiva dosimetrica della pena applicata all'imputato; per il diniego della conversione della pena di quattro mesi di reclusione militare nella pena pecuniaria, invocata L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 53; per il mancato riconoscimento dell'esimente di cui all'art. 131-bis c.p..
Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto da A.M. è inammissibile.
2. Deve ritenersi inammissibile il primo motivo di ricorso, con cui si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento all'art. 234 c.p.m.p., conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi costitutivi del reato di truffa miliare aggravata, la cui sussistenza appariva smentita dalle emergenze processuali, che non avevano chiarito quali fossero gli accordi intervenuti tra A.M. e L.M., in relazione alla consegna della somma di 1.100,00 Euro oggetto di contestazione.
Osserva il Collegio che il nucleo essenziale probatorio del giudizio di responsabilità formulato dalla Corte militare di appello di Roma nei confronti di A.M. si incentra sulle dichiarazioni accusatorie di L.M., che devono essere ricondotte alla figura della persona offesa, essendo incontroversa la sua condizione di vittima delle condotte fraudolente dell'imputato, finalizzate a farsi consegnare la somma di 1.100,00 Euro, in funzione dell'organizzazione del viaggio negli Stati Uniti di cui si controverte.
In questa cornice, le dichiarazioni accusatorie di L.M., pur dovendo essere valutate con le opportune cautele processuali, dovute al suo interesse all'esito del procedimento e alla situazione di tensione che caratterizzava i suoi rapporti con il ricorrente, dovuta all'esito del viaggio negli Stati Uniti di cui si discute, rappresentavano un elemento probatorio idoneo e sufficiente a consentire di formulare un giudizio di responsabilità nei confronti di A.M.. Le dichiarazioni della persona offesa, peraltro, risultavano riscontrate dalla documentazione bancaria acquisita al fascicolo processuale - relativa alla carta prepagata Postepay utilizzata dall'imputato" sulla quale venivano effettuati i pagamenti in esame -, che chiariva le modalità con cui l'imputato aveva indotto fraudolentemente la vittima a farsi consegnare la somma di 1.000,00 Euro, prospettandole un viaggio turistico, la cui organizzazione non corrispondeva agli accordi intervenuti tra i due militari.
Non si può, in proposito, non richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte che esclude l'applicazione della regola generale dell'art. 192 c.p.p. alle dichiarazioni delle persone offese, affermando: "Le regole dettate dall'art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone" (Sez. U, n. 4161 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214-01).
Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'inammissibilità del primo motivo di ricorso.
3. Parimenti inammissibile deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con cui si eccepiva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 162-ter c.p., nella parte in cui limitava l'applicazione dell'esimente dell'estinzione del reato per le sole ipotesi di reati perseguibili a querela di parte, nonchè dell'art. 234 c.p.m.p., nella parte in cui prevedeva la perseguibilità d'ufficio della truffa militare.
Osserva il Collegio che la doglianza in esame appare generica e priva di autosufficienza, non chiarendo il ricorrente quali fossero le ragioni che imponevano di ritenere fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all'art. 162-ter c.p. e art. 234 c.p.m.p. Tali eccezioni di costituzionalità, invero, censurano l'opzione di politica normativa sottesa alle due fattispecie, senza alcuna indicazione delle norme costituzionali violate e dell'incidenza delle questioni prospettate sul percorso argomentativo seguito dalla Corte militare di appello di Roma, con cui la difesa del ricorrente non si confrontava.
La difesa del ricorrente, infatti, non poteva limitarsi a riproporre le censure di costituzionalità dell'art. 162-ter c.p. e art. 234 c.p.m.p. respinte dalla Corte militare di appello di Roma, ma avrebbe dovuto confrontarsi analiticamente con gli argomenti che sorreggevano il censurato respingimento ed evidenziare, laddove sussistenti, le ragioni consentivano di disarticolare il percorso motivazionale del Giudice di secondo grado, imponendo l'accoglimento delle eccepite illegittimità.
Tali questioni di costituzionalità, in ogni caso, postulano una differenziazione tra reati perseguibili d'ufficio e reati perseguibili a querela di parte, che rileva per i soli reati ordinari, atteso che nelle ipotesi sanzionate dal c.p.m.p. l'istituto della querela non è previsto, essendo richiesta, nei casi di minore disvalore, la richiesta di procedimento da parte del comandante del corpo ex art. 260 c.p.m.p., di cui la Corte costituzionale, più volte, ha ribadito la compatibilità con il dettato costituzionale. Ne consegue che, in tali ipotesi, è il comandante del corpo a dovere scegliere tra l'adozione di provvedimenti disciplinari e il ricorso all'azione penale, sull'assunto che "vi sono casi in cui, per la scarsa gravità del reato, l'esercizio incondizionato dell'azione penale può causare al decoro dell'istituzione militare un pregiudizio proporzionalmente maggiore di quello prodotto dal reato stesso" (Corte Cost., sent. n. 215 del 2017).
D'altra parte, le peculiarità del sistema penale militare sono state ripetutamente affermate dalla Corte costituzionale, che ha costantemente affermato la necessità di garantire le esigenze imprescindibili di coesione dei corpi militari, rispetto alle quali risultano cedevoli le censure di irragionevolezza prospettate dalla difesa del ricorrente con riferimento all'art. 162-ter c.p. e art. 234 c.p.m.p. (Corte Cost., sent. n. 186 del 2001; Corte Cost., sent. n. 396 del 1996).
Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'inammissibilità del secondo motivo di ricorso.
4. Analogo giudizio di inammissibilità deve essere espresso per il terzo e per il quarto motivo di ricorso, di cui si impone una trattazione congiunta, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti all'incongruità del trattamento sanzionatorio irrogato dalla Corte militare di appello di Roma a A.M., censurato per l'eccessiva dosimetrica della pena applicata all'imputato; per il diniego della conversione della pena di quattro mesi di reclusione militare nella pena pecuniaria, invocata L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 53; per il mancato riconoscimento dell'esimente di cui all'art. 131-bis c.p..
Osserva il Collegio che la Corte militare di appello di Roma evidenziava che il compendio probatorio risultava univocamente orientato in senso sfavorevole ad A., formulando un giudizio di colpevolezza che discende da una valutazione congrua dei fatti di reato, tenuto conto delle connotazioni, oggettive e soggettive, della condotta fraudolenta posta in essere nei confronti della persona offesa, escludendo, sulla base di un giudizio ineccepibile, che fosse possibile attenuare, sotto i profili invocati dalla difesa del ricorrente, la pena irrogata all'imputato.
Nella stessa direzione, deve evidenziarsi che le emergenze processuali, oltre a non consentire l'irrogazione a A.M. di un trattamento sanzionatorio mitigato rispetto a quello applicato dal Tribunale militare di Verona correttamente quantificato in quattro mesi di reclusione militare -, non permettevano la conversione della pena detentiva L. n. 689 del 1981, ex art. 53 che veniva correttamente esclusa dalla Corte militare di appello di Roma per "la palesata propensione dell'imputato a commettere reati contro il patrimonio (...)".
Tale percorso argomentativo, infine, deve ritenersi idoneo a escludere in sede di legittimità, senza il compimento di alcuna valutazione complessiva dei profili fattuali, l'esimente invocata nell'interesse di A., non potendosi ipotizzare, anche tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo in cui si concretizzavano gli accadimenti criminosi, la particolare tenuità dell'offesa presupposta dall'art. 131-bis c.p. Sul punto, non si può che richiamare il seguente principio di diritto: "Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133 c.p., comma 1, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo" (Sez. U, n. 13682 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591-01).
Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'inammissibilità del terzo e del quarto motivo di ricorso.
5. Per queste ragioni, il ricorso proposto da A.M. deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle Ammende, determinabile in tremila Euro, ai sensi dell'art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021
19-01-2021 14:08
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