Polizia penitenziaria: legittima la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per un like su Fb.
T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., (ud. 10-11-2020) 02-12-2020, n. 2365
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2314 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da
- -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'Avv. Maria Immacolata Amoroso ed elettivamente domiciliato in Milano, Via Boccaccio n. 15/A, presso lo studio dell'Avv. Valentina Ferri;
contro
- il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano e domiciliato presso la sede della stessa in Milano, Via Freguglia n. 1;
per l'annullamento
quanto al ricorso introduttivo:
- del decreto n. 0159479-2015/15373/S08 adottato dal Capo del Dipartimento Amministrazione penitenziaria in data 29 luglio 2015 e notificato il 31 luglio successivo, con il quale è stata irrogata al ricorrente la sanzione della sospensione dal servizio per la durata di mesi uno, ai sensi dell'art. 5 del D.Lgs. n. 449 del 1992;
- della deliberazione adottata dal Consiglio Centrale di Disciplina in data 2 luglio 2015 e notificata il 31 luglio successivo;
- nonché di ogni altro atto presupposto, connesso, collegato, consequenziale a quello impugnato;
quanto al ricorso per motivi aggiunti:
- del provvedimento n. GDAP - 0411854 del 9 dicembre 2015, notificato in pari data, adottato dal Direttore Generale del Personale e della Formazione, con il quale è stato comunicato che il Consiglio di Amministrazione, nella seduta del 29 ottobre 2015, ha deliberato l'esclusione del ricorrente dallo scrutinio per merito comparativo per la promozione alla qualifica di Commissario del Corpo di Polizia penitenziaria, ai sensi dell'art. 14, comma 4, del D.Lgs. n. 146 del 2000;
- del verbale del Consiglio di Amministrazione relativo alla seduta del 29 ottobre 2015, notificato in data 9 dicembre 2015, nella parte in cui dispone l'esclusione del ricorrente dallo scrutinio;
- nonché di ogni altro atto presupposto, connesso, consequenziale, collegato a quello impugnato.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Vista l'ordinanza n. 1531/2015 con cui è stata respinta la domanda di sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo;
Vista l'ordinanza n. 246/2016 con cui è stata respinta la domanda di sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti impugnati con il ricorso per motivi aggiunti;
Visti tutti gli atti della causa;
Designato relatore il consigliere A.D.V.;
Tenutasi l'udienza di smaltimento in data 10 novembre 2020, senza discussione orale e mediante collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell'art. 25 del D.L. n. 137 del 2020, come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
1. Con ricorso introduttivo, notificato in data 25 settembre 2015 e depositato il 20 ottobre successivo, il ricorrente ha impugnato il decreto n. 0159479-2015/15373/S08 adottato dal Capo del Dipartimento Amministrazione penitenziaria in data 29 luglio 2015 e notificato il 31 luglio successivo, con il quale gli è stata irrogata la sanzione della sospensione dal servizio per la durata di mesi uno, ai sensi dell'art. 5 del D.Lgs. n. 449 del 1992; è stata impugnata anche la deliberazione adottata dal Consiglio Centrale di Disciplina in data 2 luglio 2015.
Il ricorrente, Vice Commissario ordinario appartenente al Corpo di Polizia penitenziaria, è stato sanzionato con la sospensione dal servizio per la durata di un mese, in quanto in data 15 febbraio 2015, nel commentare la notizia del suicidio di un detenuto avvenuto nella Casa di reclusione di Milano-Opera sul sito Facebook.com denominato "-OMISSIS-", ha inserito l'applicazione predefinita corrispondente a "mi piace" (c.d. like), alla quale hanno fatto seguito ulteriori commenti di stampo negativo da parte di altri appartenenti al Corpo di Polizia penitenziaria; tutto ciò ha avuto una rilevante risonanza mediatica. Avviato il procedimento disciplinare, sul presupposto della violazione da parte del ricorrente dell'impegno morale assunto con il giuramento e dei doveri degli appartenenti al Corpo di Polizia penitenziaria, lo stesso si è concluso con l'irrogazione della sanzione della sospensione dal servizio di un mese attraverso il provvedimento del 29 luglio 2015, impugnato nella presente sede.
Assumendo l'illegittimità del predetto decreto di sospensione, il ricorrente ne ha chiesto l'annullamento, in primo luogo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 12 e 15 del D.Lgs. n. 449 del 1992 e per eccesso di potere per difetto di presupposto, per travisamento, per sviamento, per difetto di istruttoria e per illogicità manifesta.
Inoltre, è stato dedotto l'eccesso di potere per sviamento, per manifesta ingiustizia e per illogicità manifesta.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia, che chiesto il rigetto del ricorso.
Con l'ordinanza n. 1531/2015 è stata respinta la domanda di sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo.
2. Con ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 22 gennaio 2016 e depositato il successivo 19 febbraio, il ricorrente ha altresì impugnato il provvedimento n. GDAP - 0411854 del 9 dicembre 2015, notificato in pari data, adottato dal Direttore Generale del Personale e della Formazione, con il quale gli è stato comunicato che il Consiglio di Amministrazione, nella seduta del 29 ottobre 2015, ha deliberato la sua esclusione dallo scrutinio per merito comparativo per la promozione alla qualifica di Commissario del Corpo di Polizia penitenziaria, ai sensi dell'art. 14, comma 4, del D.Lgs. n. 146 del 2000.
In seguito all'irrogazione della sanzione della sospensione dal servizio attraverso il provvedimento del 29 luglio 2015, impugnato con il ricorso introduttivo, il ricorrente è stato conseguentemente escluso anche dalla procedura per ottenere la promozione a Commissario del Corpo di Polizia penitenziaria.
Assumendo l'illegittimità della predetta esclusione, il ricorrente ne ha chiesto l'annullamento in primo luogo per illegittimità derivata rispetto al decreto n. 0159479-2015/15373/S08 adottato dal Capo del Dipartimento Amministrazione penitenziaria in data 29 luglio 2015.
Ulteriormente sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione dell'art. 14 del D.Lgs. n. 146 del 2014, la violazione e falsa applicazione degli artt. 93 del D.P.R. n. 3 del 1957 e 40 del D.P.R. n. 1077 del 1970, la violazione dell'art. 2 della L. n. 241 del 1990, l'eccesso di potere per difetto di presupposto, la contraddittorietà, la perplessità, l'irrazionalità manifesta e la violazione del principio di buon andamento dell'attività della P.A.
Infine, è stato chiesto il risarcimento dei danni ex art. 2043 cod. civ., oppure l'indennizzo ai sensi dell'art. 2 bis della L. n. 241 del 1990.
In prossimità dell'udienza di trattazione del merito della controversia, i difensori delle parti hanno depositato memorie e documentazione a sostegno delle rispettive posizioni; in particolare la difesa erariale ha eccepito l'improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso per motivi aggiunti poiché, per effetto del decreto del Direttore generale del Personale e delle Risorse umane del 7 luglio 2017, il ricorrente ha assunto la qualifica di Commissario capo; la difesa del ricorrente ha contestato la predetta eccezione di improcedibilità, in quanto la qualifica è stata assunta con una decorrenza giuridica successiva rispetto agli appartenenti al proprio Corso, perdendo in tal modo due anni di anzianità nel ruolo.
All'udienza di smaltimento del 10 novembre 2020, svoltasi senza discussione orale e mediante collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell'art. 25 del D.L. n. 137 del 2020, la controversia è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1. I ricorsi, da trattare contestualmente, in quanto aventi un contenuto parzialmente identico, sono infondati.
2. Con le due censure del ricorso introduttivo, riprese con la prima doglianza del ricorso per motivi aggiunti, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connesse, si assume che, nell'atto di contestazione degli addebiti, il commento del ricorrente (like) sia stato erroneamente collocato in una fase temporale posteriore rispetto a quelli effettuati da altri soggetti, mentre sarebbe del tutto pacifico che tale intervento sia stato il primo della serie; inoltre l'Amministrazione non avrebbe compreso la tipologia del commento, manifestatasi attraverso un simbolo e non con parole, e non avrebbe potuto di certo riferirla al solo aspetto della morte del detenuto, ma anche all'intervento della Polizia penitenziaria successivo, teso ad evitare l'evento infausto. In ogni caso, la sanzione irrogata al ricorrente sarebbe legata, più che alla gravità della condotta del predetto, al clamore mediatico suscitato dalla vicenda, alla sua veste di rappresentante sindacale e alla posizione di gestore della pagina facebook riferibile all'organizzazione sindacale di appartenenza.
2.1. Le doglianze sono infondate.
Dalla lettura del provvedimento adottato dal Consiglio centrale di disciplina e del conseguente decreto di irrogazione della sanzione (all. 12 e 13 dell'Amministrazione) si evince che il ricorrente è stato sanzionato per aver posto un commento "mi piace" (like) ad una notizia relativa alla morte di un detenuto, ritenuta dall'Amministrazione manifestazione di disprezzo della vita, dell'incolumità e della salute delle persone detenute, in violazione dei doveri degli appartenenti al Corpo di Polizia penitenziaria.
Sebbene nell'atto di contestazione fosse stato erroneamente ritenuto che il commento del ricorrente fosse successivo a quello di altri utenti, con la condivisione dei toni di grave disprezzo per la persona che aveva perso la vita in carcere (all. 6 dell'Amministrazione), successivamente sia il funzionario istruttore, nella relazione conclusiva del 15 aprile 2015 (all. 7 dell'Amministrazione), sia il Consiglio centrale di disciplina, nella deliberazione del 2 luglio 2015 (all. 12 dell'Amministrazione), hanno rettificato tale circostanza, evidenziando che il commento postato dal ricorrente era stato il primo in ordine cronologico; quindi la sanzione irrogata è stata correttamente rapportata a tale presupposto di fatto e non a quello erroneamente indicato nell'atto di contestazione. Peraltro tale accadimento non ha impedito al ricorrente di difendersi pienamente e di partecipare efficacemente al procedimento disciplinare, considerato che proprio le difese dell'incolpato hanno permesso all'Amministrazione di rilevare l'errore originariamente commesso in ordine alla collocazione del fatto nel contesto temporale in cui lo stesso è avvenuto.
2.2. Non appare illegittima nemmeno la valutazione dell'apposizione del like ("mi piace") come inequivoca manifestazione di approvazione o compiacimento per l'evento infausto accaduto, non potendosi ragionevolmente assumere che l'inserimento del commento "mi piace" costituirebbe soltanto una manifestazione di interesse per la notizia e non necessariamente di approvazione o compiacimento (l'opzione "mi piace" ha una portata amplificatrice e di condivisione del contenuto veicolato sui social network per Cass. penale, V, 12 dicembre 2017, n. 55418). Difatti, lo stesso ricorrente, consapevole del significato del like postato, ha tentato di sostenere che la sua approvazione non sarebbe stata indirizzata al suicidio del detenuto, ma fosse rivolta al pronto intervento della Polizia penitenziaria, cercando così di derubricare la circostanza che tale intervento non ha avuto successo, essendosi comunque verificata la morte del detenuto; in relazione al tenore complessivo della notizia è ragionevole ipotizzare che il commento fosse da riferire all'evento infausto verificatosi (nonostante il tentativo della Polizia penitenziaria), e quindi teso ad esprimere approvazione per quanto avvenuto.
Il comportamento del ricorrente è stato quindi ritenuto contrario al rispetto della dignità della persona umana e di quella dei soggetti detenuti, in favore dei quali un funzionario del Corpo di Polizia penitenziaria dovrebbe avere un ruolo attivo nel percorso di rieducazione, ed è stato valutato come contrastante con il giuramento e i doveri degli appartenenti al predetto Corpo, che anche fuori dal servizio sono tenuti ad osservare una condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni, come richiesto anche dall'art. 54 della Costituzione a tutti coloro che esercitano funzioni pubbliche.
Le conclusioni raggiunte dall'Amministrazione sembrano ragionevoli e quindi appaiono coerenti con la circostanza che la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati al pubblico dipendente, in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che per violazione delle norme procedurali o in alcune ipotesi limite di eccesso di potere, sotto il profilo della abnormità e del travisamento dei fatti, nella specie non sussistenti (Consiglio di Stato, IV, 4 marzo 2020, n. 1580; 15 gennaio 2020, n. 381; 20 settembre 2018, n. 5473). Ne discende che il giudice amministrativo non può sostituire la propria valutazione a quella della competente autorità amministrativa, salvi i limiti della manifesta irragionevolezza e/o arbitrarietà (cfr., Consiglio di Stato, IV, 15 gennaio 2020, n. 381).
2.3. Inoltre, non risulta condivisibile l'assunto che la sanzione abbia riguardato anche l'attività svolta dal ricorrente in qualità di amministratore del sito internet dell'organizzazione sindacale, visto che tale elemento è stato utilizzato quale rafforzativo del convincimento degli organismi disciplinari in ordine al reale significato del commento, anche in considerazione della mancata dissociazione rispetto ai commenti successivi di contenuto altamente denigratorio e offensivo; ugualmente non è stata irrogata la sanzione in ragione della rilevante risonanza mediatica dell'accaduto in quanto tale, ma si è legittimamente tenuto conto di tale elemento con riguardo al conseguente discredito che ne è derivato per l'Amministrazione.
2.4. Quanto all'asserita eccessività della sanzione irrogata rispetto a quelle disposte nei confronti degli autori di espliciti commenti offensivi, la stessa non appare affatto sussistente.
Premessa l'ampia discrezionalità dell'Amministrazione nella valutazione e sanzione delle condotte disciplinarmente rilevanti poste in essere dai propri dipendenti, nel caso de quo non appare illogica, né irragionevole o sproporzionata la scelta di irrogare la sanzione della sospensione dal servizio per un mese del ricorrente, considerato che il comportamento posto in essere da quest'ultimo è stato ritenuto particolarmente disdicevole, poiché il ricorrente, pur rivestendo un ruolo apicale all'interno dell'ordinamento gerarchico del Corpo di Polizia penitenziaria (sul rilievo della qualifica rivestita, cfr. art. 11 del D.Lgs. n. 449 del 1992), con tale grave comportamento ha disatteso fortemente i doveri connessi al proprio status nonché quelli attinenti al giuramento prestato, al senso di responsabilità e al contegno che ogni appartenente al Corpo di Polizia penitenziaria deve tenere in qualsiasi circostanza.
In ogni caso, non essendosi al cospetto di vicende identiche, non può ragionevolmente pretendersi alcuna parità di trattamento tra i soggetti sanzionati, stante il principio di personalità che innerva tutta l'attività sanzionatoria amministrativa.
2.5. Ciò determina il rigetto del ricorso introduttivo e del primo motivo del ricorso per motivi aggiunti.
3. Con il secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti, il ricorrente deduce che il periodo da prendere a riferimento per il passaggio alla qualifica superiore di Commissario del Corpo di Polizia penitenziaria, corrisponderebbe al triennio antecedente alla data di decorrenza giuridica delle nomina, ossia al 1 luglio 2012, in cui il ricorrente non aveva riportato alcuna sanzione né era stato sottoposto a sospensione cautelare, con la conseguente illegittimità della sua esclusione dallo scrutinio per merito comparativo per la promozione alla qualifica di Commissario.
3.1. Si può prescindere dall'esame dell'eccezione di improcedibilità formulata dalla difesa erariale, in quanto la doglianza è infondata nel merito.
L'art. 14, comma 4, del D.Lgs. n. 146 del 2000, vigente ratione temporis, stabiliva che "non è ammesso a scrutinio il personale del ruolo direttivo ordinario che nei tre anni precedenti lo scrutinio stesso abbia riportato sanzioni disciplinari più gravi della deplorazione": tale disposizione va interpretata nel senso che i "tre anni precedenti lo scrutinio" - quale momento da cui far decorrere a ritroso il periodo da prendere in considerazione - vanno computati considerando la data di effettivo svolgimento dello scrutinio e non quella in cui avrebbe dovuto svolgersi in ossequio alle tempistiche previste dall'art. 40 del D.P.R. n. 1077 del 1970 (in senso contrario, T.A.R. Lombardia, Milano, IV, ord. 25 ottobre 2019, n. 1391), che comunque hanno natura ordinatoria non essendo prevista alcuna sanzione per il loro mancato rispetto (entro il 30 giugno ed entro il 31 dicembre di ogni anno). Del resto, sarebbe poco coerente con il sistema far transitare al ruolo superiore un soggetto che è stato comunque sanzionato, sebbene in un arco temporale diverso rispetto a quello da considerare, visto che in tal modo si potrebbe giungere al paradosso di promuovere chi al momento di effettuazione dello scrutinio risulta essere stato espulso dal Corpo.
Nessun rilievo applicativo assume invece l'art. 93 del D.P.R. n. 3 del 1957, sul presupposto che alla data dello scrutinio, ossia al 29 ottobre 2015, il ricorrente non risultava sospeso dal servizio, avendo già scontato la sanzione disciplinare, e quindi non avrebbe potuto essere escluso dallo scrutinio: la sospensione che ha colpito il ricorrente è una sanzione disciplinare e quindi non può essere assimilata negli effetti alla misura cautelare, avente identica denominazione, ma diversa natura, della sospensione dal servizio, che successivamente potrebbe essere neutralizzata, laddove il procedimento disciplinare dovesse concludersi con un'assoluzione.
3.2. Ne discende anche il rigetto della esaminata censura.
4. In conclusione, i ricorsi devono essere respinti.
5. All'infondatezza dei ricorsi, consegue anche il rigetto della domanda di risarcimento del danno, nelle sue diverse articolazioni.
6. Avuto riguardo alla risalenza e alle peculiarità della controversia, le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso introduttivo e il ricorso per motivi aggiunti indicati in epigrafe; respinge altresì la domanda di risarcimento del danno.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'art. 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti del giudizio.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2020, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall'art. 25 del D.L. n. 137 del 2020, con l'intervento dei magistrati:
Stefano Celeste Cozzi, Presidente
A.D.V., Consigliere, Estensore
Roberto Lombardi, Consigliere
19-01-2021 13:16
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