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Sentenza

Reati contro la disciplina militare - Disobbedienza - Inottemperanza all'ord...
Reati contro la disciplina militare - Disobbedienza - Inottemperanza all'ordine impartito da un superiore gerarchico - Sottoufficiale in aspettativa - Configurabilità del reato - Sussistenza - Sottoufficiale sospeso dal servizio - Configurabilità del reato - Sussistenza - Esclusione
Cass. pen. Sez. I Sent., 13/09/2016, n. 51398 (rv. 268840)

 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria Stefania - Presidente -

Dott. MAZZEI Antonella P. - Consigliere -

Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -

Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere -

Dott. MINCHELLA Antonio - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.M., N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 128/2015 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA, del 15/12/2015;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/09/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DI GIURO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FLAMINI Luigi Maria, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio in ordine ai capi B) e c) per insussistenza del fatto e la rideterminazione della pena in mesi 1 giorni 20 di reclusione militare, sostituita da pena pecuniaria.

Udito il difensore avv. Palazzo Fabio Marzio, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del Tribunale militare di Verona in data 27/05/2015 M.M., per quanto in questa sede di interesse, era dichiarato responsabile dei reati di disobbedienza aggravata (sub a e b) e di appropriazione indebita aggravata (sub c) contestatigli, aggravati dall'essere il suddetto militare rivestito di un grado e dalla recidiva infraquinquennale, e pertanto veniva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione militare, sostituita nella corrispondente pena pecuniaria di Euro 30.000,00, e alla rimozione dal grado. La Corte militare di appello, con la pronuncia di cui in epigrafe, previa riqualificazione del fatto di cui al capo c), contestato come appropriazione indebita, in disobbedienza aggravata, ha ridotto la pena complessivamente inflitta al M. a mesi due di reclusione militare, sostituita nella corrispondente multa di Euro 15.000,00, da pagarsi in trenta rate mensili di Euro 500,00 ciascuna, ed ha escluso la pena accessoria della rimozione dal grado, confermando nel resto l'appellata sentenza.

La sentenza impugnata sottolinea come la vicenda in oggetto sia relativa al protrarsi per quasi un anno del rifiuto dell'imputato di dare esecuzione ad ordini legittimi, ricevuti dai suoi diretti superiori e sicuramente attinenti al servizio (sgombero di locali e sottoscrizione di atti), nel quale si inserisce anche la mancata restituzione della Carta Multiservizi della Difesa. In particolare con riguardo a detto fatto la pronuncia evidenzia: - come non sia riconducibile alla fattispecie dell'appropriazione indebita - non potendosi ritenere la Carta Multiservizi della Difesa bene appartenente all'Amministrazione militare, bensì documento rientrante nella categoria delle autorizzazioni ed appartenente al titolare, anche se soggetto a revoca, per abusi nel suo uso, ovvero a scadenza, o a ritiro, per cessazione del rapporto di servizio - presentando piuttosto tutti gli elementi costitutivi della diversa e meno grave fattispecie di disobbedienza, quali l'intimazione del comandante, l'obbligo di restituire e l'espresso rifiuto ovvero l'inottemperanza all'ordine superiore; - inoltre, come l'attinenza al servizio o alla disciplina sia caratteristica inequivoca dell'ordine, così come descritto nella condotta contestata, in relazione tanto al suo oggetto quanto alla sua funzione; come l'esame dell'imputato davanti al Tribunale militare abbia riguardato la richiesta di restituzione di detta Carta e la qualificazione giuridica di detta richiesta; - come la Difesa abbia avuto, pertanto, la possibilità di interloquire sulla mancanza dei requisiti di un ordine vincolante di consegna di detto documento e quindi non solo sulla sussistenza del reato di appropriazione indebita, ma anche sulla disobbedienza all'ordine ricevuto da M.; - come, essendo stato il fatto sub c) contestato con identità sostanziale di elementi rispetto al reato di cui all'art. 173 c.p.m.p., la riqualificazione giuridica dell'imputazione consenta di giudicare l'imputato - pienamente avvertito sin dal processo di primo grado della possibilità di detta riqualificazione ed in grado di discutere in contraddittorio la nuova accusa - per avere rifiutato di obbedire all'ordine di restituzione della Carta impartitogli dal superiore gerarchico.

La Corte a qua osserva, infine: - come a nulla rilevi che gli ordini in oggetto siano stati impartiti durante lo stato di malattia del M. (a partire dal 26/4/13), rimanendo inalterata la sussistenza del rapporto di servizio e con essa l'antigiuridicità del rifiuto di obbedienza; - come alle condizioni di salute non possa essere riconosciuta efficacia scriminante sotto il profilo dello stato di necessità, per il quale mancherebbe la benchè minima prova, non ascrivendo alle medesime l'impossibilità dell'esecuzione lo stesso M., che, al contrario si presentava nella sede di servizio, rivelando così la sua idoneità in concreto ad eseguire gli ordini; - come neppure rilevante sia stata la sospensione precauzionale (dal 25/2/14), non determinando alcuna interruzione del rapporto di servizio, in costanza del quale inalterati restavano gli obblighi relativi allo status di militare, primo fra tutti il dovere di obbedienza agli ordini ricevuti.

2. Avverso la sentenza della Corte Militare di Appello ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, M.M..

2.1 Col primo motivo di impugnazione il difensore lamenta, con riferimento ai capi a), b) e c), la violazione del D.Lgs. n. 66 del 2010, artt. 622, 884, 905 e 916 e del D.P.R. n. 90 del 2010, art. 445 (norme dell'ordinamento militare), nonchè la mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del "rapporto di servizio" in capo all'imputato, al tempo dei fatti contestati, ed in ordine, quindi, al dovere di obbedienza sussistente in capo allo stesso nel periodo di astensione dal servizio per aspettativa a causa di infermità temporanea e, successivamente, di sospensione precauzionale dal servizio.

Ci si duole che la sentenza impugnata abbia ritenuto che lo stato di aspettativa per infermità temporanea, ai sensi del suddetto art. 884, comma 2, lett. b) dell'Ordinamento Militare, a partire dal 26.4.13, e la sospensione precauzionale dal servizio, ai sensi del suddetto art. 916, dal 25.2.14, lascino inalterate la sussistenza del rapporto di servizio e l'antigiuridicità del rifiuto di obbedienza.

Pur essendo il M.llo M. militare al momento della commissione dei fatti, avendo acquisito detto status con l'arruolamento ai sensi del suddetto art. 621 e non avendolo perso, ai sensi del successivo art. 622, per indegnità, interdizione perpetua dai pubblici uffici o per estinzione del rapporto di impiego, ed essendo, quindi, tenuto ad un comportamento consono al suo stato ai sensi del suddetto art. 732, dovendosi considerare in "forza potenziale" ex D.P.R. n. 90 del 2010, art. 455, il medesimo non poteva, invece, essere destinatario di ordini attinenti al servizio, quali quelli in contestazione, non essendo più in servizio già dal 26.4.13 (come può evincersi dal disposto del D.Lgs. n. 66 del 2010, art. 913, il quale afferma che "allo scadere dell'aspettativa il militare è richiamato in servizio") e sicuramente dal 25.2.14, data della notifica del provvedimento precauzionale.

La difesa rileva che nel caso in esame erano state rivolte al M.llo M. richieste, quali quella di sgombero di locali precedentemente occupati per lo svolgimento del proprio servizio, quella di sottoscrizione delle note caratteristiche ed infine quella di restituzione della Carta Multiservizi Difesa, relative ad attività di servizio (e ricostruite come tali dalla Corte militare) dal medesimo non esigibili o addirittura inibite allo stesso in quanto sospeso dal servizio.

2.2. Col secondo motivo la difesa censura la violazione delle norme processuali di cui agli artt. 521 e 522 c.p.p., in ordine alla riqualificazione giuridica del fatto di cui al capo c) d'imputazione operata in sentenza dalla Corte militare di appello in accoglimento delle conclusioni del Procuratore generale in udienza.

Ci si duole che la suddetta Corte non abbia accolto, nel momento in cui riteneva che la condotta sub c) non integrasse un'appropriazione indebita, ma un'ulteriore condotta di disobbedienza aggravata, la richiesta difensiva di invio degli atti alla Procura, trattandosi di fatto ontologicamente diverso e rilevandosi che, nel caso di contestazione ab origine di un'ulteriore ipotesi di disobbedienza, la difesa avrebbe potuto valutare l'accesso ad un rito alternativo, escluso per l'originaria contestazione di appropriazione indebita e per la connessa pena accessoria della rimozione dal grado, che aveva indotto alla scelta di affrontare l'istruttoria dibattimentale.

Lamenta, altresì, che l'imputato abbia interloquito sul dolo richiesto dall'appropriazione indebita e quindi sulla volontà di restituire o trattenere un bene ovvero di comportarsi rispetto allo stesso uti dominus, e non sulla natura giuridica della richiesta rivoltagli nè sulla propria volontà di disobbedire (ad un ordine che comunque sarebbe illegittimo, in quanto emesso fuori dei casi indicati nella direttiva del Comando Logistico dell'Aeronautica Militare).

Infine, il difensore evidenzia come in un caso simile, in cui la Corte di appello in sentenza operava una riqualificazione giuridica del fatto da appropriazione indebita ai danni di un soggetto/persona fisica a truffa aggravata ai danni di altro soggetto/persona giuridica, la Corte di cassazione aveva affermato il principio di diritto secondo cui, nel caso di qualificazione giuridica del fatto ex officio da parte del giudice d'appello, la garanzia del contraddittorio sancita dall'art. 111 Cost. e dall'art. 6 CEDU, così come interpretato dalla Corte EDU, è assicurata dalla possibilità di contestare la diversa definizione del fatto mediante il ricorso per cassazione e secondo cui nel caso di incidenza sulle strategie difensive della nuova qualificazione l'imputato deve essere restituito nella facoltà di esercitare pienamente il diritto di difesa in relazione alla stessa.

Il difensore conclude affermando che la riqualificazione giuridica operata dalla sentenza impugnata integra una condanna per fatto diverso da quello contestato e che pertanto detta sentenza, emessa in violazione dell'art. 521 c.p.p., è nulla ai sensi dell'art. 522 c.p.p..

2.3 Col terzo motivo di impugnazione il difensore si duole della mancanza della motivazione in relazione alla contestata sussistenza dell'elemento soggettivo del reato sub a) in capo al M.llo M., nonostante sul punto la difesa avesse espresso precisa doglianza nell'atto di impugnazione della sentenza pronunciata dal Tribunale; nonchè dell'inosservanza della legge penale quanto all'art. 42 c.p..

Si evidenzia come l'atto di appello abbia affrontato il tema dell'elemento soggettivo della fattispecie di cui al capo di imputazione a), rilevando che la documentazione medica posta a base della concessione del periodo di aspettativa per motivi di salute prescriveva la lontananza dai luoghi di prestazione del servizio quale terapia e che le ripetute richieste indirizzate dal M.llo M. al Comando, prima per ottenere un rinvio, poi per fare accesso alla base per recuperare, anche se poco per volta, i propri effetti personali, dimostravano che il suddetto non si volesse ribellare al superiore gerarchico. E di fronte a detti elementi emersi dall'istruttoria lamenta il difensore che nè la sentenza del Tribunale militare nè quella della Corte militare di appello abbiano motivato sulla ritenuta sussistenza del dolo della fattispecie contestata. Pur operando nel diritto penale militare, anche in presenza di una limitatissima sindacabilità degli ordini militari, la disciplina dell'art. 42 c.p., comma 1, che prevede la "coscienza e volontà" dell'azione od omissione preveduta dalla legge come reato.

2.4 Col quarto motivo la difesa lamenta, quanto al capo c) di imputazione come riqualificato, la mancanza di motivazione in ordine alla contestata sussistenza dell'elemento soggettivo del reato ascritto al M. e l'inosservanza della legge penale quanto all'art. 42 c.p..

Invero, la sentenza impugnata, secondo il difensore, pur procedendo ad esaminare l'elemento oggettivo del reato, individuando l'intimazione del comandante (ordine), l'obbligo di restituire e l'espresso rifiuto ovvero l'inottemperanza all'ordine superiore, dimentica di procedere al vaglio dell'elemento soggettivo del reato.

Il difensore insiste, per i motivi sopra indicati, per l'annullamento della sentenza impugnata e l'adozione di ogni conseguente provvedimento.
Motivi della decisione

1. Conformemente alle conclusioni del Procuratore generale militare nella sua requisitoria, il primo motivo di ricorso va ritenuto parzialmente fondato. E precisamente laddove invoca violazione di legge e vizio di motivazione circa la configurazione da parte dei Giudici a quibus degli elementi costitutivi delle fattispecie di disobbedienza aggravata di cui ai capi b) e c), quest'ultima come riqualificata, nonostante l'accertamento della loro commissione durante la sospensione dal servizio del M. (successivamente al provvedimento precauzionale del 25.02.14).

Va al riguardo osservato che l'art. 5 c.p.m.p. prevede che "agli effetti della legge penale militare, sono considerati in servizio alle armi", specificando al n. 2 "i sottufficiali di carriera collocati in aspettativa", diversamente dal n. 1 dello stesso articolo, nel quale, riferendosi agli ufficiali, li considera "in servizio alle armi" ove "collocati in aspettativa, o sospesi dall'impiego, o che comunque, à termini delle leggi che ne regolano lo stato, sono nella posizione di servizio permanente, ancorchè non prestino servizio effettivo alle armi". Il che significa che, diversamente dagli ufficiali, considerati in servizio anche se sospesi dall'impiego, i sottufficiali devono ritenersi in servizio se collocati in aspettativa, ma non se sospesi dall'impiego.

Con la diretta conseguenza, nel caso specifico, che gli ordini impartiti al M.llo M., sottufficiale di carriera, successivamente alla sospensione del medesimo dall'impiego, avvenuta alla data del 25.02.14, vadano considerati emessi fuori del rapporto di servizio e quindi la loro inosservanza non integrante, sotto il profilo oggettivo, i reati ascritti. E che, pertanto, vadano ritenute insussistenti le fattispecie di disobbedienza aggravate sub b) e c) ascrittegli dalla pronuncia impugnata, in quanto commesse il (OMISSIS) e pertanto fuori del rapporto di servizio ed in violazione di ordini non individuabili come ordini di servizio.

2. A diversa conclusione deve, invece, pervenirsi per la disobbedienza aggravata di cui al capo a), consumata in data (OMISSIS) e quindi in costanza del rapporto di servizio ed in violazione di un ordine qualificabile come ordine di servizio.

Invero, manifestamente infondata, alla luce dello stesso testo del dato normativo appena esaminato, è la parte del primo motivo di impugnazione in cui si invoca l'inesistenza di un valido ordine di servizio in considerazione della sola collocazione in aspettativa per motivi di salute del M. a partire dal 26.04.13. La summenzionata norma, nel considerare in servizio il sottufficiale di carriera collocato in aspettativa, lascia inalterate durante tale periodo la sussistenza del rapporto di servizio e l'antigiuridicità del rifiuto di obbedienza. Dovendosi, conseguentemente, ritenere corretta la motivazione della pronuncia impugnata laddove ritiene integrato sotto il profilo oggettivo il delitto di disobbedienza aggravata sub a), per l'inottemperanza, alla data del 6.05.13, ad un ordine di servizio, quale quello relativo allo sgombero dagli effetti personali del locale occupato in passato dal M.llo M..

3. Inottemperanza, altresì, argomentata dalla Corte militare come consapevole e volontaria, diversamente da quanto dedotto dalla difesa nel terzo motivo di impugnazione - che per completezza motivazionale va qui affrontato, dopo la disamina dell'elemento oggettivo della fattispecie sub a) - laddove lamenta vizio di motivazione in ordine all'elemento soggettivo della fattispecie di cui al primo capo di imputazione e violazione dell'art. 42 c.p.. A fronte di argomentazioni della pronuncia impugnata, scevre da vizi logici e giuridici (da cui l'infondatezza del rilievo difensivo), nelle quali si evidenzia, oltre all'attinenza al servizio dell'ordine di sgombero, la consapevolezza da parte del M. della natura vincolante del medesimo, proveniente da un superiore gerarchico mostratosi disponibile a tener conto, nei limiti del ragionevole, delle esigenze personali del prevenuto e a rinviarne l'esecuzione, senza, però, con ciò inficiare la natura obbligatoria dell'intimazione, tenuta presente dallo stesso destinatario laddove si premurava di giustificarne l'inadempimento. E si sottolinea, altresì, come il M. presentandosi nella sede di servizio, abbia rivelato la sua idoneità in concreto ad eseguire gli ordini, consentendo di escludere la ascrivibilità dell'inadempimento alle condizioni di salute e ad eventuali remore del medesimo ad avvicinarsi ai luoghi di prestazione del servizio (inibitigli, nella prospettiva difensiva, dalle prescrizioni mediche).

4. Sono assorbiti dell'esclusione della sussistenza delle fattispecie sub b) e c) sotto il profilo dell'elemento oggettivo, conseguente al parziale accoglimento del primo motivo di impugnazione, il secondo ed il quarto motivo di impugnazione, relativi rispettivamente alla riqualificazione giuridica del fatto sub c), nonchè all'inosservanza in detta riqualificazione delle garanzie di contraddittorio, di difesa anche in relazione alla scelta del rito, e di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza, e all'assenza di motivazione sull'elemento soggettivo della fattispecie come riqualificata.

5. Tanto detto, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, ai sensi dell'art. 620 c.p.p., lett. l) limitatamente ai reati di cui ai capi b) e c), perchè i fatti non sussistono. La pena va, quindi, rideterminata in mesi uno e giorni venti di reclusione militare (detraendo dal calcolo operato dalla Corte militare di appello i dieci giorni di reclusione militare, pari all'aumento di pena per la continuazione con le suddette fattispecie, di cinque giorni per ciascuna delle stesse), sostituita dalla corrispondente pena pecuniaria di Euro 12.500,00 (dodicimilacinquecento) di multa, da pagarsi secondo le modalità specificate in dispositivo.

6. Il ricorso deve, infine, essere rigettato nel resto.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente ai reati ai capi b) e c), perchè i fatti non sussistono, e ridetermina la pena in complessivi mesi uno e giorni venti di reclusione militare, sostituita dalla corrispondente pena pecuniaria di Euro 12.500,00 (dodicimilacinquecento) di multa, da pagarsi in 25 rate di Euro 500,00 ciascuna. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2016
Avv. Antonino Sugamele

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