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Sentenza

Minaccia e ingiuria ad inferiore di cui all'art. 196 c.p.m.p., commi 1 e 2....
Minaccia e ingiuria ad inferiore di cui all'art. 196 c.p.m.p., commi 1 e 2.
Corte di cassazione penale, sez. I, 14 settembre 2023 n. 37619
   ud. del 19 maggio 2023
Presidente Mogini Stefano; Estensore Masi Paola; Ricorrente Omissis


Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa in data 12 ottobre 2022 la Corte militare di appello, confermando la sentenza emessa in data 15 dicembre 2021 dal Tribunale militare di Napoli, ha condannato C.C. alla pena di sei mesi di reclusione militare, con i doppi benefici di legge, sostituita con la reclusione ordinaria per lo stesso periodo, per i reati di minaccia e ingiuria ad inferiore continuate di cui all'art. 196 c.p.m.p., commi 1 e 2, per avere il (Omissis) offeso e minacciato il mar. S., appartenente alla Guardia Forestale, agendo per cause non estranee al servizio e alla disciplina.
La Corte di appello ha respinto le censure di inattendibilità della testimonianza del mar. S., persona offesa, valorizzando il fatto di non essersi questi costituito parte civile e ritenendo di dover confermare la valutazione del Tribunale, che ha vagliato con attenzione la sua credibilità, rilevando in particolare l'assenza di contraddizioni, non emerse neppure durante il controesame da parte della difesa, l'assenza di un condizionamento da parte del pubblico ministero, non avendo questi formulato domande suggestive come asserito dall'appellante, e rilevando il suo almeno parziale riscontro, costituito dalla testimonianza della ex-moglie dell'imputato, ritenuta peraltro lacunosa e poco precisa, e dalle testimonianze di altri due militari, giunti sul posto subito dopo lo scontro verbale tra l'imputato e il mar. S.. Ha respinto, poi, le censure mosse alla sentenza di primo grado in ordine alla mancata valutazione di alcuni testi e all'asserita compressione dei diritti difensivi, ed ha respinto la richiesta di rinnovazione parziale del dibattomento, ritenendola infondata. Ha respinto, infine, la richiesta di applicazione dell'esimente di cui all'art. 199 c.p.m.p. e quella di assoluzione ai sensi dell'art. 131-bis c.p..
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso C.C., per mezzo del proprio difensore avv. Malvinni Maria Rosaria, articolando sei motivi.
2.1. Con il primo motivo si eccepisce la carenza della motivazione, ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. e), c.p.p., quanto alla valutazione di attendibilità della deposizione della persona offesa mar. S..
La Corte ha dichiarato detto teste attendibile in base a mere clausole di stile e riproducendo con termini apodittici la decisione di primo grado, ma ha omesso di valutare le censure mosse dalla difesa circa la sua l'inaffidabilità. In particolare, la Corte di appello non ha valutato l'evidente imbarazzo del teste durante la sua deposizione, la plausibilità della ricostruzione alternativa dei fatti proposta dalla difesa, la possibile interpretazione della sua mancata costituzione quale parte civile come volontà di non far emergere elementi tali da dimostrare l'esagerazione delle azioni da lui intraprese contro l'imputato. Il ricorrente lamenta, poi, l'omessa valutazione delle contraddizioni di questa testimonianza e l'errata affermazione della presenza di molti elementi coincidenti con le dichiarazioni della persona offesa nella testimonianza della ex-moglie dell'imputato, della quale, nel ricorso, vengono invece evidenziate le molte parti divergenti, tali da mettere in dubbio la credibilità complessiva del mar. S., in particolare laddove la donna ha riferito di offese pronunciate anche da quest'ultimo contro il C..
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si censura la carenza e illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. e), c.p.p., per avere la sentenza omesso di valutare le prove nella loro globalità e per non avere valutato le contraddizioni emergenti da altre deposizioni.
L'inattendibilità del mar. S. emerge anche da altre testimonianze, come quella del col. V., in merito alla iniziativa del predetto di redigere relazioni scritte su comportamenti anomali ma insignificanti del C., allo scopo di stigmatizzare tali comportamenti davanti ai suoi superiori. Tale condotta evidenzia il clima ostile che vigeva contro quest'ultimo, clima ostile ammesso anche dal col. V.. Quelle relazioni su condotte banali e su episodi irrilevanti, trasmesse per via gerarchica, hanno alla fine portato alla sottoposizione del C. ad accertamenti sanitari, a seguito dei quali egli è stato dichiarato inidoneo in via permanente al servizio militare nell'Arma dei Carabinieri.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la carenza e illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. e), c.p.p., per avere la sentenza valutato in modo diverso prove di uguale rilievo e per avere trascurato di esaminare elementi probatori rilevanti.
Tra le dichiarazioni dei testi intervenuti solo dopo il fatto, la Corte ha ritenuto rilevanti quelle di chi ha deposto circa l'apparente stato d'animo del mar. S., riferendo quindi solo una personale sensazione, e non ha preso in esame i testi della difesa Lgt. S. e col. P.. Quest'ultimo ha reso dichiarazioni significative circa il clima ostile intorno al C., che alcuni giudicavano, senza basi oggettive, inadeguato a comandare la Stazione Carabinieri di (Omissis) per problemi mentali. Il Lgt. S., anch'egli giunto sul posto dopo il fatto, aveva riscontrato che il C. non era agitato ma normale, e che solo il mar. S. era nervoso. La Corte non ha neppure valutato adeguatamente le vessazioni subite dalla ex-moglie del C., relegate a mera vicenda di contorno, mentre esse sono strettamente connesse all'episodio in esame, in quanto dimostrative di un malanimo del mar. S. contro il C. e contro la donna. L'omesso esame di queste prove rende carente la motivazione della sentenza, che non ha valutato l'attendibilità della persona offesa anche alla luce di tali preesistenti contrasti con l'imputato.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si censura la carenza della motivazione, ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. e), c.p.p., per avere omesso di valutare una prova decisiva, costituita dal verbale delle sommarie informazioni rese dalla teste C., ex-moglie dell'imputato, presso la Procura militare di (Omissis). Il verbale era stato utilizzato ai sensi dell'art. 512 c.p.p. ed acquisito con il consenso del pubblico ministero, per cui la Corte avrebbe dovuto valutarlo, risultando più attendibile in ordine alla ricostruzione dei fatti, soprattutto quanto alle offese pronunciate dal mar. S. contro il C..
2.5. Con il quinto motivo di ricorso si censura la illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. e), c.p.p., per l'errata valutazione e il travisamento delle prove documentali inerenti la salute dell'imputato.
La Corte ha parlato di un lungo e diffide percorso sanitario del C., mentre egli ha sempre ottenuto un giudizio di idoneità, fino all'episodio del (Omissis). E' stata la scala gerarchica a volerlo sottoporre a ripetuti accertamenti, sul presupposto di sue anomalie di comportamento, ed egli ha depositato una copiosa documentazione medica per dimostrare tale accanimento e l'ostilità maturata contro di lui. Peraltro anche gli accertamenti a suo carico, disposti dopo la vicenda in questione, avevano portato alla conferma della sua idoneità al servizio, ma il ten. col. medico C., il (Omissis), diagnosticò un disturbo dell'adattamento, diagnosi che ha influenzato l'esito degli accertamenti successivi svolti in campo militare, mentre quelli svolti nella struttura pubblica su richiesta dello stesso C. hanno confermato l'assenza di patologie.
2.6. Infine, con il sesto motivo di ricorso, si lamenta la carenza e illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. e), c.p.p., per la mancata applicazione dell'esimente di cui all'art. 199 c.p.m.p. o dell'art. 131-bis c.p..
Il giorno del fatto il C. era andato a trovare la figlia, che abitava con la ex-moglie nell'alloggio di servizio, e quindi non era in servizio ma in licenza ordinaria, e indossava la divisa solo perchè subito dopo doveva presentarsi al suo superiore. L'alterco con il mar. S., però, non concerneva motivi di servizio, diversamente da quanto affermato dalla sentenza impugnata, ed era avvenuto contro un soggetto appartenente ad un Corpo gerarchicamente diverso. Le prove, inoltre, hanno dimostrato quanto meno la reciprocità delle offese, e quindi la Corte avrebbe dovuto riconoscere l'attenuante di cui all'art. 198 c.p.m.p., per avere l'imputato agito a seguito di provocazione, e quella di cui all'art. 48 c.p.m.p., comma 1, n. 3) e comma 2, per avere egli reagito ai modi non convenienti usati dall'altro militare, ed essendo un militare di ottima condotta. Tali elementi, inoltre, avrebbero dovuto indurre la Corte ad assolvere l'imputato ai sensi dell'art. 131-bis c.p., risultando il disvalore dei fatti fortemente ridimensionato, invece di rispondere a tale richiesta con mere clausole di stile.
3. Il Procuratore generale, nella discussone orale, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
4. Prima dell'Udienza pubblica il ricorrente ha inviato una richiesta di rinvio per un proprio impedimento, ma essa è stata respinta, su conforme richiesta del sostituto procuratore generale, perché davanti alla Corte di cassazione non è prevista la presenza delle parti private, che partecipano all'udienza esclusivamente attraverso la rappresentanza dei propri difensori. Secondo il principio dettato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, "Nel giudizio di legittimita' non è prevista la partecipazione personale delle parti ed il rapporto processuale si costituisce validamente con la regolare notifica dell'avviso di udienza al difensore abilitato al patrocinio avanti le giurisdizioni superiori; ne consegue che non riveste alcun rilievo il personale impedimento dell'imputato posto a fondamento dell'istanza di rinvio dell'udienza" (Sez. VI, n. 19012 del 28 marzo 2017, Rv. 269877).

Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per la sua manifesta infondatezza e genericità.
2. Il primo motivo di ricorso è privo di specificità.
Il ricorrente si limita a riproporre i motivi di appello e le ragioni ivi esposte per sostenere l'inattendibilità della persona offesa, senza confrontarsi con la motivazione di secondo grado, che è sufficientemente esaustiva su tutte le questioni poste nuovamente con il ricorso.
2.1. In particolare la sentenza ha riportato dettagliatamente la motivazione resa, sul punto, dalla sentenza di primo grado e le ragioni indicate nell'atto di appello per contestare tale valutazione, ed ha concluso ritenendo "di doversi uniformare" alla decisione del Tribunale, perchè essa "si presenta del tutto in linea con quanto statuito dalla Corte Suprema" in merito ai criteri di valutazione della testimonianza della parte offesa, quando non sia costituita parte civile. La sentenza impugnata risulta quindi essere una "doppia conforme", ed e' un principio consolidato di questa Corte quello secondo cui, in simili casi, "la struttura giustificativa della sentenza di appello... si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando il giudice del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico-giuridici della prima sentenza, concordi nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione" (Sez. II, n. 25016 del 30 giugno 2022, non massimata).
La Corte di cassazione, in particolare nelle sentenze Sez. II, n. 9106 del 12 febbraio 2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. VI, n. 13809 del 17 marzo 2015, O., Rv. 262965, ha poi da tempo chiarito che "in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicchè sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento".
2.2. Non sono, in particolare, ammissibili i motivi che richiedono a questa Corte una rivalutazione nel merito dei singoli elementi di prova, specialmente quando tali elementi sono stati approfonditamente vagliati dalle due precedenti sentenze, e valutati da entrambi i collegi di merito in modo completo, non contraddittorio e non manifestamente illogico, come nel presente caso.
In questo primo motivo il ricorrente lamenta l'omessa valutazione di singoli aspetti della testimonianza del mar. S., ripetendo le censure contenute nei suoi motivi di appello, riportate dettagliatamente nella sentenza di secondo grado, censure che sono relative ad aspetti secondari e che comunque sono state valutate dalla Corte di appello, e motivatamente disattese. In particolare sono state approfonditamente valutate le divergenze con la testimonianza della ex-moglie del C., risolte però, con motivazione coerente e non illogica, in favore della massima credibilità del mar. S., a fronte di una scarsa attendibilità della donna, le cui dichiarazioni sono state ritenute "lacunose e poco precise", e in sè scarsamente attendibili.
Le censure esposte in questo motivo di ricorso devono, perciò, essere ritenute generiche e manifestamente infondate.
3. Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile perché generico.
Anche in questo caso il ricorrente ripropone il motivo di appello con cui lamentava l'errata valutazione della credibilità della persona offesa alla luce delle asserite contraddizioni della sua testimonianza rispetto a quella di altri testimoni, in particolare del col. V.. La sentenza di appello, però, prende in esame le testimonianze dei militari sopraggiunti subito dopo la lite tra l'imputato e la persona offesa, e conclude che esse "fornivano nel complesso un quadro del tutto coerente con la deposizione del teste S.". Quanto alla testimonianza del col. V., riportata per ampie parti nella sentenza di primo grado, essa è stata valutata dal Tribunale in modo approfondito e dichiarata confermativa di quella del mar. S., e la sentenza di secondo grado non ha ritenuto di dover ulteriormente motivare su di essa, anche perché non presenta alcuna rilevante contraddizione con le altre deposizioni, e non fa emergere il clima di ostilità verso l'imputato da questi lamentato, e posto a base dell'affermazione di inattendibilità della persona offesa.
La sentenza di primo grado ha infatti valutato approfonditamente l'asserito clima ostile in cui si trovava ad operare la ex-moglie del C., ritenendolo in realtà insussistente, e non ha rilevato che emergessero prove di un clima ostile nei confronti dell'imputato, la cui salute meritale, peraltro, era sotto esame già prima dell'episodio contestato, come risulta dalla ricostruzione delle iniziative adottate dai suoi superiori per sottoporlo a visite mediche ed accertamenti sul suo stato psichico.
La sentenza di appello ha ricondotto tutte queste singole censure alla contestazione in merito all'attendibilità del mar. S., e la sua motivazione è quindi sufficiente laddove ha ritenuto, sulla base della più ampia valutazione compiuta dal Tribunale, che esse non scalfissero la sua attendibilità, essendo oltre tutto, relative ad aspetti secondari.
4. Il terzo motivo di ricorso lamenta l'errata valutazione dei testi della difesa e l'omessa rilevanza attribuita al clima ostile creato intorno al C. e alla sua ex-moglie, ma è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata esamina approfonditamente, alle pagine 62 e 63, l'analoga censura contenuta nei motivi di appello, e la respinge con motivazione adeguata e logica, sottolineando in particolare che il teste S. giunse sul posto un certo tempo dopo l'accaduto, quando la vicenda si era ormai conclusa, e che la sua testimonianza, così come quella del col. P., non sono relative all'episodio contestato ma riferiscono su aspetti non direttamente attinenti ad esso, come le preoccupazioni dell'imputato, manifestate in epoca sia precedente sia successiva.
Anche la censura in merito alla scarsa rilevanza attribuita alle vessazioni subite dalla ex-moglie dell'imputato è manifestamente infondata, avendo già il Tribunale approfondito l'indagine sul punto, rilevando però che la donna stessa non aveva in realtà riferito di veri episodi di vessazione e neppure di un clima costantemente ostile, bensì solo di occasionali scontri con qualche collega, risolti spesso bonariamente. La Corte di appello ha tenuto conto della situazione non soddisfacente vissuta dalla donna nel suo ambiente di lavoro" ritenendo che la scarsa collaborazione dei colleghi e il cattivo rapporto con uno di essi giustificassero l'amarezza e il disagio da lei espresso nel corso del giudizio di primo grado, e giustificassero persino la scarsa precisione del suo ricordo, ma ha valutato che le sue dichiarazioni lacunose non scalfiscono la validità della ricostruzione della vicenda effettuata, dai giudici di primo grado, sulla base della testimonianza della persona offesa.
Gli elementi evidenziati dal ricorrente non sono stati quindi trascurati, bensì sono stati valutati, concludendo però entrambe le sentenze di merito, con motivazione non illogica, per la loro irrilevanza e inidoneità a sovvertire il giudizio di complessiva attendibilità della persona offesa.
5. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La questione della utilizzabilità e del valore da attribuire alle dichiarazioni contenute nel verbale delle sommarie informazioni rese dalla ex-moglie dell'imputato il 09 ottobre 2018, acquisito su consenso delle parti, è stata valutata dalla Corte di appello, alla p. 59 della sentenza. La Corte ha ritenuto che le risposte vaghe della donna, anche di fronte alle contestazioni del contenuto di tale verbale, consentono solo di valutare la sua deposizione, nel complesso, lacunosa e poco precisa, senza poter dare maggiore credibilità alle dichiarazioni rese in precedenza, che ella non ha né confermato nè smentito.
Tale valutazione è corretta, trattandosi di un verbale presumibilmente acquisito ai sensi dell'art. 500 c.p.p., in quanto usato per le contestazioni alle teste durante la sua deposizione in udienza, il cui contenuto è utilizzabile nei limiti stabiliti dal comma 2 della norma stessa. In ogni caso, avendo la teste affermato di non ricordare con precisione neppure le dichiarazioni rese in quella occasione, secondo quanto riportato nella sentenza, correttamente ella e' stata ritenuta, nel complesso, poco attendibile.
6. Anche il quinto motivo di ricorso è generico e privo di specificità.
Il ricorrente presenta la medesima censura già esposta nei motivi di appello, senza confrontarsi con la sentenza impugnata, che ha preso atto sia di tale censura, sia della copiosa documentazione medica depositata dallo stesso imputato, concludendo per la sua sostanziale irrilevanza in ordine alla valutazione della sua responsabilità per il reato contestatogli.
La Corte ricorda che il materiale relativo alla salute del C. e ai numerosi accertamenti disposti dalle gerarchie militari sulla sua idoneità, culminati con la dichiarazione del luglio 2018, di non idoneita' permanente al servizio militare nell'Arma dei Carabinieri, è stato prodotto dall'imputato con la finalità di dimostrare le vessazioni subite nel corso degli anni e la sua lotta per far emergere le sue reali condizioni ed essere reintegrato nel servizio, ma ha valutato che "il giudizio per i fatti criminosi in rubrica deve essere effettuato con canoni e parametri del tutto slegati dalla situazione sanitaria" in cui l'imputato si trovava. Non sono mai stati avanzati dubbi sulla sua capacità di intendere e volere, e quindi quella produzione documentale non incide sulla decisione in merito alla sua colpevolezza.
Tale motivazione è logica e non contraddittoria, non essendo ipotizzabile quale interesse possano rivestire, sulla ricostruzione del fatto contestato e della condotta del C., le questioni insorte con le gerarchie militari in merito alla propria idoneità al servizio. Il motivo, peraltro, è privo di specificità, e quindi inammissibile, perchè il ricorrente non ha indicato la loro concreta ed effettiva rilevanza per l'accertamento della sua responsabilità penale.
7. Infine il sesto motivo di ricorso è inammissibile per mancanza di specificità.
Anche in questo caso il ricorrente non si confronta con la sentenza impugnata che, esaminando l'identica doglianza proposta con l'atto di appello, esclude l'applicabilità sia dell'esimente di cui all'art. 199 c.p.m.p., sia della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., con una motivazione ampia e approfondita, alle pagine da 66 a 68 e alle pagine 69 e 70.
La Corte ha infatti ribadito, conformandosi alla decisione resa già dalla sentenza di primo grado con motivazione altrettanto adeguata, che non vi sono dubbi sull'essere l'episodio avvenuto in presenza di più militari riuniti per servizio, e sull'essere stato determinato da motivi attinenti il servizio stesso, secondo quanto emerso dall'istruttoria. La Corte ha quindi applicato correttamente i principi giurisprudenziali che ha richiamato, i quali escludono la sussistenza dell'esimente anche per il solo fatto che la condotta sia posta in essere da un militare, fuori dal servizio attivo, contro altri militari in divisa che svolgono servizio attivo.
Quanto all'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p., la sentenza impugnata ha ampiamente valutato, con argomentazioni logiche e non contraddittorie, la rilevante gravità del fatto compiuto, che impone di escludere la sua operatività.
La censura relativa alla mancata applicazione delle attenuanti di cui all'art. 198 c.p.m.p. e art. 48 comma 1, n. 3) e comma 2, c.p.p., inserita molto brevemente all'interno di questo motivo di ricorso, è inammissibile perché generica e priva di specificità. Il ricorrente non indica, infatti, da quali prove emergerebbe la reciprocità delle offese, limitandosi a richiamare le dichiarazioni rese dalla sua ex-moglie nel verbale di sommarie informazioni del 09 ottobre 2018, che non sono state confermate dalla teste nella sua deposizione in udienza e che quindi la Corte, correttamente, ha ritenuto non del tutto attendibili, così come la sua intera deposizione. Il ricorrente non si confronta con questa valutazione e indica quindi, a sostegno della propria richiesta, una prova che non si è pienamente formata nel dibattimento.
Simile valutazione deve essere espressa in relazione all'omessa applicazione dell'attenuante di cui all'art. 48 c.p.m.p.: la Corte l'ha palesemente respinta con una motivazione non esplicita, laddove ha rilevato sia il "lungo e difficile percorso medico" sostenuto dall'imputato già da epoca precedente all'episodio contestato, da questi vissuto e prospettato come una vessazione da parte delle gerarchie militari, e ha evidenziato "le modalità esecutive particolarmente odiose che esprimevano un forte disprezzo per le doti professionali della persona offesa e che miravano a svilirne l'integrità e il decoro". Il richiamo fatto dal ricorrente alla testimonianza del col. P., in merito alle sue note caratteristiche eccellenti e all'encomio ricevuto, non è idoneo a modificare il giudizio negativo espresso nella sentenza impugnata, avendo la sentenza di primo grado sottolineato che detto teste nel 2017 era a conoscenza delle vicende relative del Comando Legione "(Omissis)" solo attraverso quanto gli raccontava lo stesso C., e che anche per il periodo precedente egli aveva delle "false certezze", perché aveva parlato della costante eccellenza delle note caratteristiche del C., smentita dalla esistenza di una nota del 2007, che gli attribuiva "non adeguate qualità professionali". La concessione delle attenuanti generiche non è in contraddizione con tale valutazione negativa della condotta del reo e della sua personalità, perchè esse sono state concesse, dai giudici di primo grado, solo in ragione della sua incensuratezza e "per meglio adeguare la pena all'effettiva gravità del fatto".
3. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Avv. Antonino Sugamele

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