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Sentenza

Sergente Maggiore dell'Esercito Italiano, condannato per il reato di peculat...
Sergente Maggiore dell'Esercito Italiano, condannato per il reato di peculato militare continuato e aggravato (art. 81 cpv. c.p., art. 47 c.p.m.p., n. 2 e art. 215 c.p.m.p.) in relazione all'appropriazione, quale sottufficiale consegnatario del locale deposito carbo-lubrificanti di n. 5.152 cedole di carburanti, del complessivo valore di Euro 51.120
Cassazione penale sez. I, 28/02/2023, (ud. 28/02/2023, dep. 20/03/2023), n.11501

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE PRIMA PENALE                         
              Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:              
Dott. MOGINI   Stefano         -  Presidente   -                     
Dott. LIUNI    Teresa          -  Consigliere  -                     
Dott. APRILE   Stefano    -  rel. Consigliere  -                     
Dott. DI GIURO Gaetano         -  Consigliere  -                     
Dott. RUSSO    Carmine         -  Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     SENTENZA                                        
sul ricorso proposto da: 
          M.A., nato a (Omissis); 
avverso la sentenza del 25/05/2022 della CORTE MILITARE APPELLO di 
ROMA; 
fissata la trattazione con il rito scritto; 
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. APRILE STEFANO; 
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto 
Procuratore militare Dott. UFILUGELLI FRANCESCO, che ha concluso per 
il rigetto del ricorso; 
Lette le conclusioni dell'avv. RIENZI Carlo, per      M., che ha 
concluso per l'accoglimento del ricorso. 
                 

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, la Corte militare d'appello ha riformato, unicamente con riguardo al trattamento sanzionatorio, che è stato ridotto a tre anni di reclusione militare, la sentenza pronunciata dal Tribunale militare di Roma in data 29 ottobre 2021 con la quale è stata affermata la responsabilità di M.A., già Sergente Maggiore dell'Esercito Italiano, per il reato di peculato militare continuato e aggravato (art. 81 cpv. c.p., art. 47 c.p.m.p., n. 2 e art. 215 c.p.m.p.) in relazione all'appropriazione, quale sottufficiale consegnatario del locale deposito carbo-lubrificanti, nel periodo dall'11 marzo 2011 a tutto il 2012, di n. 5.152 cedole di carburanti, del complessivo valore di Euro 51.120.

1.1. Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito è stata affermata la responsabilità dell'imputato per i richiamati delitti alla luce delle deposizioni testimoniali acquisite, anche concernenti le ispezioni tecniche e amministrative eseguite presso l'ufficio del consegnatario del deposito carburanti dell'8 Reggimento Lancieri di (Omissis), rigettando così le questioni concernenti l'improcedibilità per bis in idem rispetto alle decisioni assunte dalla Corte militare d'appello in data 12 giugno 2018, irrevocabile il 7 marzo 2019, che aveva giudicato l'imputato per le condotte di peculato commesse nell'anno 2013, e dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale militare di Roma in data 12 novembre 2016 in relazione al reato di violata consegna, con riferimento alla mancata ottemperanza alle direttive in materia di contabilità delle cedole per il triennio dal 2010 al 2013, per il quale l'imputato è stato prosciolto.

2. Ricorre M.A., a mezzo del difensore avv. Rienzi Carlo, che chiede l'annullamento della sentenza impugnata, sviluppando sei motivi.

2.1. Il primo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento all'art. 649 c.p.p., in quanto l'imputato, per i fatti contestati nell'imputazione, è già stato assolto con la formula "il fatto non sussiste" dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale militare di Roma in data 12 novembre 2016.

In realtà gli elementi di prova raccolti, le indagini compiute e tutta l'attività istruttoria nei due procedimenti coincidono: le condotte contestate concernono le presunte mancanze documentali relative alla gestione delle schede carburanti che sono state qualificate alla stregua della violata consegna e poi del peculato militare, sicché il fatto storico è del tutto coincidente, come affermato dalla Corte costituzionale e dalla Corte di legittimità.

2.2. Il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all'art. 533 c.p.p., per la mancata assoluzione dell'imputato ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2. E' emerso unicamente il dato oggettivo della irreperibilità di numerose cedole carburante, ma non è stato possibile identificare l'autore dell'appropriazione in quanto la responsabilità del ricorrente è stata presuntivamente affermata senza considerare le ipotesi alternative: altri individui disponevano della chiave dell'ufficio del consegnatario; gli ammanchi sono proseguiti anche dopo il congedo dell'imputato, come pure l'irregolare tenuta della contabilità.

2.3. Il terzo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all'art. 533 c.p.p., per la mancata assoluzione dell'imputato ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2. Ciò che è emerso unicamente, dall'inchiesta amministrativa riversata negli atti del procedimento penale, è l'irregolare tenuta della documentazione relativa alle cedole carburante, non già la dolosa appropriazione ad opera dell'imputato, sicché risulta violato il canone del ragionevole dubbio. Non e', infatti, sufficiente richiamare la direttiva che attribuisce al consegnatario la responsabilità della tenuta delle cedole carburante per affermare che lo stesso se ne sia appropriato ove esse non vengano rinvenute. Il ricorso, a sostegno dell'assenza di responsabilità, richiama vari passaggi di dichiarazioni testimoniali concernenti gli esiti dell'inchiesta amministrativa.

2.3. Il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso denunciano la violazione di legge, in relazione all'art. 192 c.p.p., comma 2, e art. 533 c.p.p. e art. 215 c.p.m.p., e il vizio della motivazione perché non si è tenuto conto degli elementi favorevoli, quali ad esempio la relazione del Generale F. relativa agli anni 2014 e 2015, le dichiarazioni del Maggiore C., del Comandante O., del Maresciallo D.V., del Tenente Colonnello F. e di altri testimoni.

La Corte militare d'appello si è limitata a considerare isolatamente alcuni indizi, incorrendo in vizi logici e di contraddittorietà della motivazione quando ha affermato che i controlli amministrativi svolti anteriormente alla scoperta degli ammanchi erano irrilevanti poiché era stata data completa fiducia all'imputato, mentre invece tutta la documentazione veniva verificata e vidimata dai superiori, a dimostrazione della regolarità della stessa, tanto è vero che tutti i testimoni hanno confermato di non avere riscontrato alcuna irregolarità durante il periodo oggetto di contestazione.

Del resto, a differenza della condanna irrevocabile per alcune ipotesi di peculato accertate in un periodo successivo per la quale l'imputato ha reso una dichiarazione manoscritta in cui si assume la responsabilità, per i fatti di cui si discute egli ha sempre negato ogni coinvolgimento.

La circostanza, risultata incontroversa, che anche altri potessero disporre delle cedole e utilizzarle, determina il vizio della motivazione sulla responsabilità, mancando la prova dell'utilizzo dei beni da parte dell'imputato.

3. Fissata la trattazione con il "rito cartolare partecipato" per l'udienza del 28 febbraio 2023, in data 6 febbraio 2023 l'avv. Rienzi Carlo, difensore del ricorrente M.A., inviava, tramite posta elettronica certificata, istanza di discussione in pubblica udienza.

Con provvedimento in data 7 febbraio 2023, il Presidente titolare della Sezione rigettava la richiesta per tardività.

3.1. In data 8 febbraio 2023 l'avv. Rienzi Carlo, difensore del ricorrente M.A., inviava, tramite posta elettronica certificata, "istanza di riesame e revoca e subordinata eccezione di incostituzionalità dell'ordinanza del 7/02/2023", in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. e art. 6 CEDU, con riguardo alla natura perentoria del termine di venticinque giorni per richiedere la trattazione orale del ricorso.

3.2. In data 8 febbraio 2023 il Procuratore generale militare inviava, tramite posta elettronica certificata, le proprie conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.

3.3. In data 16 febbraio 2023 l'avv. Rienzi Carlo, difensore del ricorrente M.A., inviava, tramite posta elettronica certificata, note di udienza con le quali, nel contestare le conclusioni scritte del Procuratore generale militare, insisteva nei motivi di ricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché generico, assertivo e reiterativo di argomentazioni proposte nel giudizio di merito che sono state esaminate con motivazione che non viene specificamente criticata dal ricorso.

2. Va, preliminarmente, ribadita la piena legittimità della trattazione del ricorso con il "rito scritto" per l'udienza del 28 febbraio 2023, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, convertito con L. 18 dicembre 2020, n. 176, e del conseguente provvedimento in data 7 febbraio 2023 con il quale il Presidente titolare della Sezione rigettava per tardività la richiesta di discussione orale avanzata dal difensore soltanto in data 6 febbraio 2023.

2.1. Deve essere anzitutto ricordato che l'efficacia della richiamata disposizione emergenziale è stata prorogata al 30 giugno 2023, secondo quanto disposto dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, art. 94, comma 2, così come modificato dal D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, art. 5-duodecies, quale risulta a seguito della conversione avvenuta con L. 30 dicembre 2022, n. 1992.

2. Il "rito scritto", altrimenti detto "rito cartolare non partecipato", diverrà, a decorrere dal 1 luglio 2023, il "rito ordinario di legittimità" in forza della integrale riformulazione dell'art. 611 c.p.p. operata dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. "riforma Cartabia").

2.3. Alla luce delle coincidenti previsioni normative della disciplina emergenziale e di quella riformata, il "rito cartolare non partecipato" costituisce la regola processuale per la trattazione dei ricorsi per cassazione, regola alla quale è possibile derogare con la trattazione in pubblica udienza ex art. 614 c.p.p. ovvero in udienza partecipata ex art. 127 c.p.p., come discende dalla clausola di salvaguardia che richiama, appunto, tali riti partecipati introdotti dalla richiesta della parte.

La procedura di trattazione scritta del processo, entrata per necessità nel rito durante l'emergenza pandemica, è stata dunque esportata all'interno del sistema processuale ordinario.

La compatibilità con il sistema della trattazione del processo con rito non partecipato - che postula il sacrificio alla pubblicità e oralità del giudizio (Sez. U., n. 51207 del 17/12/2015, Maresca, Rv. 265113-01; Sez. U., n. 36848 del 17/07/2014, Burba, Rv. 259990-01) - è assicurata, nel rispetto del principio della indefettibile correlazione tra principio del fair trial rispetto alla celebrazione pubblica dell'udienza, quale antidoto alle potenziali degenerazioni della giustizia segreta (Corte costituzionale, sentenze n. 109 del 2015, n. 97 del 2015, n. 135 del 2014, n. 93 del 2010), dal diritto potestativo riconosciuto alla parte (e, a regime, anche alla Corte di cassazione) di richiedere (o disporre) la discussione orale.

E' proprio l'attribuzione alla parte del diritto potestativo, non sindacabile e irrevocabile ove esercitato (Sez. 6, n. 22248 del 18/05/2021, L., Rv. 281520), di richiedere la trattazione in Udienza pubblica o, nei casi previsti, camerale partecipata che assicura la piena compatibilità del rito cartolare con il principio del giusto processo.

Da tale postulato discende, sempre nell'ottica del fair trial, la necessità che il diritto potestativo in questione sia esercitato entro un termine decadenziale di natura perentoria: il termine, in effetti, è posto a garanzia delle altre parti processuali che, una volta decorso, possono dare luogo al contraddittorio cartolare (conclusioni scritte), ulteriormente rafforzato dalla possibilità di presentare memorie e note di replica; l'incertezza del termine determinerebbe un grave pregiudizio al contraddittorio, non potendo le altre parti esercitare i propri diritti.

2.4. Dalle sopra esposte considerazioni deriva la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. e art. 6 CEDU, posta dal difensore con "l'istanza di riesame" depositata in data 8 febbraio 2023.E', infatti, pienamente assicurato alla parte il diritto potestativo di richiedere la trattazione orale della causa; il termine processuale per avanzare l'istanza è congruo e giustificato, nella perentorietà, alla luce del correlativo diritto delle altre parti di svolgere il contraddittorio cartolare.

Del resto, soccorre, per il caso fortuito o la forza maggiore, la previsione dell'art. 175 c.p.p..

2.5. Orbene, se il difensore non contesta di avere avanzato tardivamente la richiesta di discussione orale, ne deriva l'ineccepibile correttezza della disposta trattazione con il rito cartolare non partecipato, al quale, del resto, il difensore ha dato corso depositando le proprie conclusioni scritte.

3. E' manifestamente infondato il primo motivo di ricorso sul bis in idem.

3.1. Non si comprende, anche alla stregua della enunciazione del motivo di ricorso che si limita a riportare ampie citazioni di giurisprudenza, in cosa consista l'identità del fatto, posto che il procedimento per violata consegna aveva per oggetto il mancato adempimento delle disposizioni generali sul servizio ricevute dall'imputato circa le modalità di tenuta della contabilità, mentre la contestazione oggetto dell'odierno giudizio riguarda la condotta appropriativa, da parte del pubblico ufficiale che ne aveva il possesso, delle cedole carburanti assegnate al Corpo per le esigenze di fornitura dei mezzi militari che si trovassero al di fuori del perimetro d'azione del Reggimento (diversamente, il rifornimento era assicurato dagli erogatori installati nella base militare).

3.2. Se, infatti, si comprende agevolmente come la negligente condotta di tenuta della contabilità possa avere agevolato il ritardo nella scoperta, da parte dei superiori gerarchici, degli ammanchi delle cedole carburanti, deve escludersi, come hanno motivatamente illustrato entrambi i giudici di merito, che si tratti della medesima condotta di appropriazione che costituisce l'odierna contestazione.

4. Il secondo e il terzo motivo, che denunciano la violazione della legge, in riferimento agli artt. 533 e 530 c.p.p., con riguardo alla mancata assoluzione, sono inammissibili perché non consentiti.

Si è chiarito che in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione della legge, per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lett. c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 - 04).

Il ricorso si limita a enunciare nella rubrica la "violazione di legge", affastellando critiche, sovente incomprensibili, sulla responsabilità che attengono però all'apparato motivazionale.

Il ricorso deduce, inoltre, la violazione del canone del ragionevole dubbio, senza argomentarne in alcun modo il fondamento con specifico riferimento all'iter logico seguito dai giudici di merito (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540; Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168).

5. Anche i restanti motivi di ricorso sono inammissibili.

5.1. Per le già accennate ragioni, non sono consentite le doglianze che riguardano la violazione di legge che sono invece rivolte a criticare l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato.

5.2. Quanto al vizio motivazionale, è sufficiente rilevare che la sentenza impugnata espone in modo completo e logico le risultanze probatorie, mentre viene criticata in modo aspecifico dal ricorso che si presenta caotico, assertivo e confutativo.

D'altra parte, non è compito del giudice di legittimità compiere una rivalutazione del compendio probatorio, sulla base delle prospettazioni del ricorrente, avendo questa Corte chiarito già da tempo che esula dai suoi poteri una "rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Sez. U., n. 41476 del 25/10/2005, Misiano; Sez. U., n. 6402 del 2.7.1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U., n. 930 del 29.1.1996, Clarke, Rv. 203428).

5.3. Il ricorso si limita a dedurre la genericità della motivazione senza indicare in cosa essa consista e fa leva su atti e documenti che omette di allegare e indicare, così palesando l'inammissibilità dell'impugnazione per violazione dell'art. 165-bis disp. att. c.p.p.. Si e', infatti, chiarito che "in tema di ricorso per cassazione, anche a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 165-bis disp. att. c.p.p., introdotto dal D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, art. 7, comma 1, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell'onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato" (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020 - dep. 2021, Cossu, Rv. 280419; analogamente in precedenza Sez. 1, n. 48422 del 09/09/2019, Novella, Rv. 277796).

Per quanto riguarda le esigenze previste per la formulazione del motivo di ricorso relativo al vizio di motivazione, il Collegio osserva che, in effetti, come ha da tempo chiarito la giurisprudenza di legittimità il ricorrente non ha chiaramente indicato il fatto contestato, né i motivi per cui a suo parere la motivazione della sentenza era assente o insufficiente. In effetti, non essendo stati esposti chiaramente i fatti in base ai quali la Corte dovrebbe sanzionare l'assenza o il vizio della motivazione, il motivo di ricorso è limitato a una critica della valutazione dei fatti operata da primo giudice, questione che non può essere censurata in questa sede.

Per quanto riguarda la violazione del principio di autosufficienza del ricorso il ricorrente si è limitato a menzionare, nei motivi di ricorso, i documenti, le memorie e le prove del procedimento di merito senza presentarne le parti pertinenti e senza indicare i riferimenti necessari per ritrovarli nel fascicolo di merito.

Il ricorso per cassazione del ricorrente omette anche di indicare i riferimenti delle fonti scritte invocate o dei passaggi della decisione impugnata, in violazione della giurisprudenza di legittimità su questo punto: i motivi di ricorso per cassazione che rinviano ad atti o a documenti del procedimento di merito devono indicare sia le parti del testo in contestazione che l'interessato ritiene pertinenti, che i riferimenti ai documenti originali inseriti nei fascicoli depositati, allo scopo di permettere al giudice di legittimità di verificarne tempestivamente la portata e il contenuto salvaguardando le risorse disponibili.

Di conseguenza, l'indicazione dei documenti del procedimento di merito è irregolare in quanto manca, per ciascuno dei passaggi citati, l'allegazione o lo specifico riferimento ai documenti originali cui si riferisce il ragionamento del ricorrente.

Si deve, del resto, tenere conto della particolarità del procedimento per cassazione, del processo complessivamente condotto e del ruolo che svolge il giudice di legittimità, nonché del contenuto dell'obbligo specifico che il difensore del ricorrente è tenuto a rispettare nel caso di specie (in particolare indicare, per ciascuna citazione di un'altra fonte scritta, lo specifico riferimento al documento o l'allegazione di esso al ricorso per cassazione), sicché la valutazione di inammissibilità non può essere considerata un'interpretazione formalistica che impedisce l'esame del ricorso per cassazione dell'interessato.

6. All'inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 3.000,00.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2023
Avv. Antonino Sugamele

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