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Sentenza

Disubbidienza militare. No al 131 bis cp....
Disubbidienza militare. No al 131 bis cp.
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
F.K. nato a L. il 
avverso la sentenza del 22/11/2023 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere RAFFAELLO MAGI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPE
SANTALUCIA
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
Trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza emessa in data 14 settembre 2022 il Tribunale Militare di Roma
ha affermato la penale responsabilità di F.K. in riferimento alla
contestazione del reato di cui all'art.173 cod.pen.mil .pace (disobbedienza
aggravata e continuata), con condanna dell'imputata alla pena di mesi uno e giorni
dieci di reclusione militare (con pena sospesa e non menzione).
1.1 In fatto, la contestazione riguarda il rifiuto, da parte della F., in più
occasioni e durante il servizio (il 19 gennaio 2021 e il 21 marzo 2021), di indossare
la mascherina di protezione individuale (in periodo di diffusione della pandemia
Covid).
1.2 Secondo il Tribunale le occasioni in cui la F. - pur sollecitata a farlo con
ordini legittimi - non ha indossato la mascherina sono ampiamente dimostrate in
fatto ed integrano la disposizione incriminatrice.
In particolare il Tribunale prende in esame le allegazioni difensive tese ad
introdurre valide ragioni del rifiuto (tra cui la difficoltà individuale a tenere il
dispositivo) ma le ritiene non idonee a determinare un diverso giudizio perché
nemmeno riferite al momento del fatto e dunque non accertate nella
immediatezza.
Viene inoltre ritenuta, in ragione delle concrete modalità del fatto, non applicabile
la causa di non punibilità di cui all'art.131 bis cod.pen. .
2. La Corte Miliare di Appello con sentenza del 22 novembre 2023 ha confermato
la prima decisione.
2.1 Anche secondo la Corte di Appello la condotta di inottemperanza è dimostrata
in fatto e non risulta giustificata. Gli ordini (anche reiterati) erano legittimi ed
inerenti al servizio, che peraltro veniva svolto anche in luoghi chiusi ed in presenza
di altri soggetti, il che depone per la particolare rilevanza del diniego.
Si ribadisce che al momento del fatto non è stata esibita alcuna certificazione
medica che documentasse rischi per la salute della F. dovuti all'utilizzo delle
mascherine di protezione.
Si ribadisce che non è in discussione l'effettiva o meno 'utilità' della mascherina
per il contenimento del virus, trattandosi - in ogni caso - di un ordine legittimo
(ad indossare il dispositivo) che è stato reiteratamente violato.
2.2 Viene pertanto confermata integralmente la prima decisione anche in
riferimento alla assenza dei presupposti applicativi della causa di non punibilità di
cui all'art. 131 bis cod.pen. .
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione - nelle forme di
legge - F.K.a. Il ricorso è affidato a sette motivi, che verranno di
seguito richiamati, nei limiti di effettiva necessità per la decisione (art. 173 comma
1 disp.att. cod.proc.pen.).
3.1 Al primo motivo si deduce vizio di motivazione su uno specifico aspetto,
rappresentato dalla esistenza di una sanzione disciplinare per condotta analoga
tenuta dalla F. in data 5 maggio 2021.
La Corte di Appello afferma che si tratta di fatto estraneo alla contestazione, ma -
ribatte la difesa- la contestazione fa riferimento ad un reato continuato, dunque a
più condotte riunite. Bisognava tener conto della correlata sanzione disciplinare.
3.2 Al secondo motivo si deduce vizio di motivazione su uno specifico aspetto,
rappresentato dalla considerazione espressa nella decisione di secondo grado circa
l'atteggiamento provocatorio tenuto dalla F. nei confronti del capitano Tasca.
La Corte di Appello introduce una i connotazione'della condotta (l'affermazione ..
anche il fumo fa male e lei sta fumando..) aggiuntiva, rispetto alla decisione di
primo grado e non corrispondente ai contenuti della deposizione del teste.
3.3 Al terzo motivo si deduce vizio di motivazione su uno specifico aspetto,
rappresentato dalla circostanza di fatto della conformità o meno delle mascherine
alla normativa europea.
Non vi era alcuna prova in merito e, di contro, tutti i testi hanno affermato di non
poter dire se le mascherine recassero o meno il marchio CE.
3.4 Al quarto motivo si deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione di
legge su uno specifico aspetto, rappresentato dalla legittimità dell'ordine e dalla
sua inerenza al servizio.
La tenuta delle mascherine non derivava da una disposizione di servizio ma dalla
normativa statale (DPCM) con semplice sanzione amministrativa in caso di
inosservanza
3.5 Al quinto motivo si deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione di
legge su uno specifico aspetto, rappresentato dal diniego della scriminante dello
stato di necessità.
La Corte di Appello avrebbe ignorato le produzioni difensive (visite mediche e
conseguente accertamento di una condizione di inidoneità al servizio) che
rendevano giustificato il diniego opposto dalla F. ad indossare la mascherina.
Vi sono, inoltre, studi scientifici che ne attestano la pericolosità (o comunque la
inutilità), tanto che in numerosi casi i giudici hanno annullato le sanzioni derivanti
dalla disciplina ordinaria.
3.6 Al sesto motivo si deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione di legge
su uno specifico aspetto, rappresentato dal diniego della causa di non punibilità di
cui all'art.131 bis cod.pen. .
Le motivazioni addotte sono contraddittorie o comunque illogiche. Si compie
riferimento alla intensità del dolo, lì dove il dolo era semplicemente reiterato in
virtù delle plurime violazioni ma non per questo intenso. Inoltre si evidenzia che
da un lato la Corte di Appello afferma che non è in discussione - in questo giudizio
- l'utilità o meno dell'utilizzo delle mascherine di protezione ma l'avvenuta
violazione di un ordine, dall'altro evidenzia (in occasione del diniego della causa di
non puniilità di cui all'art.131 bis cod.pen.) la particolare aggressività del virus e
le nefaste conseguenze che ne sono derivate.
3.7 Al settimo motivo si ripropone il dubbio di legittimità costituzionale della
disposizione incriminatrice .
Si era evidenziato come la applicazione della disposizione incriminatrice abbia
finito con il rendere penalmente rilevante ciò che per il cittadino comune era fonte
di una mera sanzione amministrativa, con palese violazione dell'art. 3 della
Costituzione. Su questo aspetto la Corte di secondo grado avrebbe
sostanzialmente omesso di pronunziarsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è, nel suo complesso, infondato, per le ragioni che seguono.
2. I primi tre motivi sono inammissibili in ragione della manifesta non decisività
degli aspetti trattati in rapporto alla affermazione di penale responsabilità
dell'imputata.
2.1 Quanto al tema della sanzione disciplinare va rilevato che la contestazione
operata in sede penale alla attuale ricorrente riguarda condotte avvenute in data
19 gennaio 2021 e il 21 marzo 2021 lì dove la evocata sanzione disciplinare
riguarda fatto analogo avvenuto in data posteriore (il 5 maggio del 2021). Dunque
la esistenza di una sanzione disciplinare non interferisce in alcun modo sulla
punibilità e sul trattamento sanzionatorio, essendo stata irrogata per un fatto non
ricompreso nella contestazione (ad essere riunite in continuazione sono, infatti, le
condotte tenute il 18 gennaio ed il 21 marzo del 2021).
2.2 Quanto alla qualificazione della risposta data al capitano T. come
provocatoria, va rilevato che tale passaggio argomentativo della motivazione della
sentenza non ha alcuna reale incidenza sulla decisione di merito, il che rende del
tutto irrilevante la doglianza.
2.3 Quanto alla conformità delle mascherine alla normativa europea si tratta -
parimenti - di un tema estraneo, in fatto, alla reale dimensione del giudizio. La
F.K. è stata ritenuta responsabile della disobbedienza ad un ordine e
dalla istruttoria non è emerso che - nel momento in cui ha ricevuto l'ordine - sia
sorta contestazione sulla conformità o meno delle mascherine agli standard
europei. Dunque non avrebbe rilevanza alcuna stabilire ex post siffatta conformità.
3. Il quarto motivo è infondato.
3.1 L'ordine, per come risulta dai contenuti della decisione, era legittimo ed
inerente al servizio. La Corte di secondo grado ha specificato che le disposizioni
'generali' in tema di prevenzione dal rischio di diffusione della pandemia erano
state ribadite con disposizioni interne dell'Amministrazione Militare. Pertanto
l'ordine di indossare il dispositivo di protezione era frutto di valutazioni operate
dall'Amministrazione Militare ed era indubbiamente inerente al servizio, integrando
una modalità essenziale del suo svolgimento, imposta da esigenze di prevenzione
del contagio.
4. Il quinto motivo è infondato.
4.1 La Corte di Appello non ha ignorato le produzioni difensive, ma ne ha attestato
la irrilevanza perché (come affermato anche nella decisione di primo grado)
nessuna contestazione inerente alla difficoltà di indossare la mascherina per
ragioni di salute venne sollevata dalla F. K. al momento dei fatti. Si
tratta di una motivazione del tutto congrua, posto che la eventuale difficoltà
soggettiva doveva essere prospettata e verificata nella immediatezza del fatto. Sul
punto il ricorso manca di specificità, atteso che non si confronta con la effettiva
ragione del diniego.
Nessun rilievo hanno gli studi indicati nell'atto di ricorso, posto che l'ordine poteva
essere rifiutato solo se manifestamente criminoso, come pure è stato evidenziato
nelle decisioni di merito.
5. Il sesto motivo è infondato.
5.1 Le argomentazioni addotte a sostegno della applicazione della speciale causa
di non punibilità di cui all'art.131 bis cod.pen. ad avviso del Collegio sono congrue.
Ed invero il ragionamento espresso dalla Corte di Appello non risulta
contraddittorio, posto che i riferimenti al contesto pandemico sono operati al fine
di far comprendere la gravità complessiva della condotta di disobbedienza. Non
perché dalla omessa tenuta della mascherina potessero derivare 'quelle'
conseguenze, ma perché la serietà del contesto storico di riferimento avrebbe
dovuto imporre un maggior senso di responsabilità al militare destinatario
dell'ordine, che in più occasioni lo ha disatteso.
In tale accezione il percorso argomentativo risulta pienamente condivisibile, posto
che le modalità della condotta rappresentano il primo parametro di valutazione
della particolare tenuità dell'offesa.
6. Il settimo motivo è infondato.
6.1 Nessun reale profilo di violazione del generale principio di cui all'art.3 della
Costituzione è dato intravedere, posto che la scelta della Amministrazione Militare
di utilizzare le mascherine di protezione si è tradotta in ordini specifici in caso di
inosservanza senza che ciò possa interferire con le disposizioni dettate - nel
medesimo periodo - per la generalità dei consociati. Sui militari grava un dovere
'aggiuntivo' di osservare la gerarchia e la disciplina interna, che rende pienamente
legittima la diversità di conseguenze nei due ambiti relazionali e giuridici.
Inoltre sul piano della legittimità costituzionale della disposizione incriminatrice la
stessa Corte Costituzionale si è pronunziata - come è noto - con la ordinanza
numero 39 del 5 febbraio 2001. La delimitazione dei confini applicativi della
disposizione, nel senso del collegamento funzionale tra l'ordine ed il servizio - è
stata ben delineata dal giudice delle leggi, lì dove ha affermato che [..] oggetto
della tutela apprestata dalla norma censurata non é il prestigio del superiore in sè
e per sè considerato, ma il corretto funzionamento dell'apparato militare, in vista
del conseguimento dei suoi fini istituzionali, così come puntualmente messo in
rilievo da quella giurisprudenza di legittimità e di merito che ha sottolineato che
l'ordine deve sempre avere fondamento nell'interesse del servizio o della disciplina
e non può trovare causa in pretese di carattere personale o in contrasti di natura
privata tra superiore e inferiore [..].
Nel caso in esame vi è, come si è detto, piena ed indiscussa inerenza al servizio
dell'ordine di utilizzare il dispositivo di protezione, il che rende infondata la
doglianza difensiva.
7.AI rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 12 aprile 2024
Il Consigliere estensore Il Presidente
Avv. Antonino Sugamele

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