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Sentenza

 Il reato di ubriachezza di un militare in servizio, previsto dall'art. 139 cod....
Il reato di ubriachezza di un militare in servizio, previsto dall'art. 139 cod. pen. mil . pace, avendo l'obiettivo di assicurare il regolare svolgimento di un determinato servizio cui il militare sia stato specificamente preposto - è integrato quando il militare medesimo, impegnato in un ben individuato servizio o comunque comandato al suo espletamento, venga colto in stato di ubriachezza volontaria o colposa, tale da escludere o menomare la sua capacità di prestarlo.
Cassazione Penale Sent. Sez. 1 Num. 41118 Anno 2024
Presidente: SANTALUCIA GIUSEPPE
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO AUGUSTO
Data Udienza: 25/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.G. nato a S. il 
avverso la sentenza del 14/12/2023 della CORTE MILITARE APPELLO - ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO AUGUSTO MANCUSO
PROCEDIMENTO A TRATTAZIONE SCRITTA

Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del dott. G. Roberto
Bellelli, Sostituto Procuratore generale militare presso questa Corte, che ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso, con le conseguenze di legge.
Letta la memoria conclusionale dell'avv. Giuseppe Cavallaro che, in difesa
della parte civile M.O., ha chiesto la conferma della sentenza di appello,
l'affermazione della responsabilità penale dell'imputato e la condanna di
quest'ultimo al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese di giudizio, come
da nota spese allegata alla memoria.
Letta la memoria conclusionale dell'avv. Pierluigi Olivieri che, in difesa di
G.P., ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7 marzo 2023, il Tribunale militare di Roma di Roma
dichiarava G.P., militare con il grado di caporale maggiore capo scelto,
colpevole dei seguenti reati, aggravati dal grado rivestito: A) ubriachezza in
servizio; B), percosse e ingiurie in danno di M. O., fante. Il Tribunale,
ritenute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza
sull'aggravante e riconosciuta la continuazione, condannava l'imputato alla pena
di tre mesi di reclusione militare, con il beneficio della sospensione condizionale,
e al risarcimento dei danni subiti dalla persona costituitasi parte civile.
Secondo la ricostruzione dei fatti recepita dal Tribunale, che richiamava le
deposizioni dei testi M., M., O., M., S., il 14 dicembre 2020
P. essendo stato comandato per il servizio di vigilanza presso la caserma "La
Marnnora" di Sassari, era stato colto in stato di ubriachezza tale da escludere la
sua capacità di prestare il servizio e, nella stessa occasione, aveva colpito con una
manata sulla spalla M.O. rivolgendole anche parole ingiuriose.
2. L'imputato proponeva appello rivolto alla Corte militare di appello, che lo
rigettava con sentenza del 14 dicembre 2023.
3. La difesa di G.P. ha proposto ricorso per cassazione, con atto
articolato in cinque motivi.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta errata lettura degli atti di causa
e delle prove acquisite ed errata interpretazione delle norme giuridiche applicate.
Deduce, inoltre, illogicità e contraddittorietà della motivazione.
A tale primo motivo possono ricondursi le censure con le quali il ricorrente,
nel corpo dell'atto di impugnazione, afferma che il giudice di appello, con
riferimento alla contestazione del reato di ubriachezza: ha ignorato le dichiarazioni
favorevoli all'imputato rese dai testi D'A., P., M., M., A.; non
ha considerato la contraddittorietà delle dichiarazioni rese dalle testi O. e
S.; ha errato nel non rilevare che la condanna per ubriachezza potrebbe
scaturire soltanto da accertamenti sanitari specifici; ha introdotto un reato di
«consumo minimo» di sostanza alcolica, diverso dall'ubriachezza; ha errato nel
ritenere irrilevante la mancata sostituzione di P..
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione del principio del
«ragionevole dubbio» previsto dall'art. 533 cod. proc. pen.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta errori nell'interpretazione e
nell'applicazione degli artt. 139, 222 e 226 cod. pen. mil . pace. Afferma, inoltre,
che non sussisteva il dolo né la correlazione dei fatti con l'area degli interessi
connessi alla tutela del servizio e della disciplina militare.
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente, in linea subordinata, lamenta la
mancata applicazione del principio del favor rei in relazione al reato di ubriachezza
in servizio di cui al capo "A".
3.5. Con il quinto motivo, il ricorrente, in linea subordinata, lamenta la
mancata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen. in relazione al reato di
ubriachezza in servizio di cui al capo "A".
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Le censure formulate dal ricorrente, dirette a far emergere violazioni di
legge e vizi di motivazione nella sentenza di appello, non possono essere accolte
per alcuno dei profili esposti nel ricorso. È opportuno richiamare alcuni principi
stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità sugli argomenti rilevanti della causa.
1.1. Con riferimento ai limiti del giudizio di cassazione, è stato spiegato che
sono precluse, al giudice di legittimità, la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a
quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021,
Rv. 280601 - 01).
Ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una
frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse nel caso di sillogismo,
e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria
quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine
ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte
motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino

dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate
dal giudice - conducenti ad esiti diversi - siano state poste a base del suo
convincimento (Sez. 5, n. 19318, del 20/01/2021, Rv. 281105-01).
1.2. Per quanto concerne il reato di ubriachezza di un militare in servizio,
previsto dall'art. 139 cod. pen. mil . pace, è stato chiarito che tale reato, il cui
obiettivo è di assicurare il regolare svolgimento di un determinato servizio cui il
militare sia stato specificamente preposto - è integrato quando il militare
medesimo, impegnato in un ben individuato servizio o comunque comandato al
suo espletamento, venga colto in stato di ubriachezza volontaria o colposa, tale
da escludere o menomare la sua capacità di prestarlo (Sez. 1, n. 3343 del
13/12/2011, dep. 2012, Rv. 251840 - 01).
È stato precisato che, in relazione a detta ipotesi criminosa, le parole «essere
stato colto in stato d'ubriachezza» vanno interpretate nel senso che occorre che
tale stato venga acclarato in modo certo ed evidente ma non che sia necessario
l'accertamento da parte di agenti di polizia giudiziaria, essendo sufficiente che
l'ubriachezza venga rilevata de visu da qualsiasi privato cittadino (Sez. 1, n. 33780
del 09/07/2013, Rv. 257342 - 01).
2. In applicazione dei richiamati principi di diritto, pienamente condivisibili,
deve affermarsi, con riferimento al caso ora in esame, che le censure proposte
dall'imputato non colgono nel segno per alcun aspetto, come anticipato.
2.1. Sono infondati il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso, da trattare
congiuntamente, volti a far ritenere l'inosservanza e l'erronea applicazione della
legge penale e di altre norme giuridiche da parte del giudice di appello e vizi di
motivazione e a criticare l'applicazione delle norme di cui agli artt. 139, 222 e 226
cod. pen. mil . pace.
In proposito, deve rilevarsi che, nella ricostruzione del fatto, il giudice di
appello, nel rispetto del dato normativo, ha esposto nell'articolata motivazione,
priva di alcun vizio di logicità e quindi coerente, una serie di valutazioni,
rassegnando in modo completo le ragioni in base alle quali ha confermato la
sentenza di condanna emessa dal giudice di primo grado.
Il giudice di appello ha rispettato le norme richiamate, si è attenuto ai principi
stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità e ha spiegato adeguatamente -
dimostrando di aver preso in considerazione anche le contrarie tesi difensive - una
serie di elementi giustificativi della decisione.
In particolare, il giudice di appello ha spiegato congruamente che l'alterazione
alcolica dell'imputato risulta sufficientemente ricostruita e accertata in base alle
dichiarazioni rese in dibattimento dai testi M., M., O., M. S.,
e che esse erano state correttamente utilizzate dal giudice di primo grado. Il
giudice di appello ha sottolineato la convergenza delle dichiarazioni nell'indicare
che P. si era presentato in condizioni di alterazione tali da compromettere il
corretto svolgimento del servizio che, peraltro, era un servizio armato, da
compiere quindi con particolare attenzione e concentrazione.
Inoltre, il giudice di appello ha posto in luce che il sottufficiale di picchetto
M. richiese immediatamente la sostituzione di P. al fine dell'espletamento
del servizio e che essa non venne disposta per un ritardo nell'intervento del
superiore gerarchico e per le condizioni oggettive di organizzazione della catena
gerarchica.
Con riguardo alle percosse e all'ingiuria, il giudice di appello, poi, ha esposto
adeguatamente, senza incorrere in alcuna illogicità, le ragioni in base alle quali ha
rigettato, per inadeguatezza e infondatezza, le tesi difensive miranti a far ritenere
l'insussistenza del dolo in capo a P..
Avuto riguardo all'analitico e puntuale percorso argomentativo offerto dalla
sentenza di appello, privo di vizi di logicità e di contraddittorietà, le doglianze
difensive si presentano, in gran parte, come una richiesta di rilettura del contenuto
delle prove raccolte, preclusa nel giudizio di legittimità.
2.2. A fronte dell'articolata motivazione della sentenza impugnata e del
rispetto, da parte del giudice di appello, dei principi che regolano i reati configurati
e l'istituto di cui all'art. 131-bis cod. pen., risultano inammissibili, per la mancata
esposizione di compiute trattazioni idonee ad enucleare le ragioni in base alle quali
dovrebbe ritenersi che il giudice di appello abbia violato le norme richiamate nel
ricorso: sia il quarto motivo, volto a lamentare, genericamente, una «mancata
applicazione del principio del favor rei per l'ipotesi delittuosa ex art. 139 cod. pen.
mil. pace.»; sia il quinto motivo, volto a criticare come violazione di legge la
mancata applicazione, da parte del giudice di appello dell'art. 131-bis cod. pen.,
sulla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in relazione al
reato militare di cui ubriachezza in servizio di cui al capo "A".
Peraltro, con riferimento a quest'ultima doglianza deve notarsi che la sentenza
di appello ha congruamente spiegato che «...non sembra nemmeno possibile
valutare positivamente, come ha richiesto in via subordinata la Difesa per la
medesima imputazione di cui al capo A, la tenuità del fatto contestato, avuto
riguardo alle "modalità della condotta" tenuta dall'imputato - che ha commesso
nelle medesime circostanze di tempo e luogo anche i contestuali reati di cui al capo
B dell'imputazione - e ritenuta la non esiguità "del danno o del pericolo", anche in
considerazione della circostanza che il servizio era armato e che la sua condotta
ha determinato, oltre alla non corretta prestazione del servizio, anche il
coinvolgimento dell'intera catena gerarchica...».
3. In conclusione, il provvedimento supera il vaglio di legittimità demandato a
questa Corte, il cui sindacato deve arrestarsi alla verifica del rispetto delle norme
giuridiche, delle regole della logica, dei canoni che presiedono all'apprezzamento
delle circostanze fattuali.
Il ricorso, quindi, deve essere rigettato. Il ricorrente deve essere condannato,
quindi, al pagamento delle spese processuali e alla rifusione, in favore della parte
civile, delle spese per la difesa nel presente giudizio, liquidate, in considerazione
dell'attività svolta, nella misura indicata nel seguente dispositivo, oltre accessori
come per legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di
rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile O.
M.che liquida in complessivi euro 4.250,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, 25 giugno 2024.
Avv. Antonino Sugamele

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