Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, gli
artifizi e i raggiri richiesti per la configurabilità del reato di truffa possono
consistere anche nel silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da
parte di chi abbia il dovere di farle conoscere, quando tale condotta sia risultata
idonea a determinare il soggetto passivo a prestare un consenso che altrimenti
avrebbe negato.
Cassazione Penale Sent. Sez. F Num. 33479 Anno 2024 Presidente: SANTALUCIA GIUSEPPE Relatore: D'ARCANGELO FABRIZIO Data Udienza: 27/08/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
F.R. , nato a G.il ....;
avverso la sentenza del 21/03/2024 emessa dalla Corte militare di appello di Roma
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D'Arcangelo;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale militare Giancarlo Roberto Bellelli, che ha concluso chiedendo il rigetto
del ricorso;
lette le conclusioni del difensore, avvocato Giacomo Ventura, che ha insistito per
l'accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. In data 27 aprile 2021 il Pubblico ministero militare ha richiesto il rinvio a
giudizio di R.F. per il delitto di truffa militare continuata e pluriaggravata
di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 47 n. 2 e 234, primo e secondo
comma, cod. pen. mil . di pace.
Secondo l'ipotesi di accusa, l'imputato, in qualità di tenente colonnello e,
all'epoca dei fatti, di ufficiale del reparto Comando e supporti tattici della Brigata
meccanizzata "Aosta" di Messina, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso
e in più occasioni, al fine di ottenere una rideterminazione più favorevole del
canone per l'alloggio demaniale ASI, ubicato in Messina, alloggio che nonostante
fosse terminato l'incarico di Ufficiale continuava ad occupare dal 15 settembre sine
titulo, avrebbe posto in essere artifizi e raggiri, consistiti nel produrre, al reparto
di appartenenza, dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà mendaci in data 26
ottobre 2016, in data 5 aprile 2017 e in data 29 ottobre 2019, traendo in errore
l'amministrazione militare, che, confidando nella veridicità delle stesse, avrebbe
rideterminato il canone in misura minore di quanto dovuto; fatto aggravato dal
grado rivestito e dal danno cagionato all'amministrazione militare.
2. Il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale militare di Napoli,
all'esito del giudizio abbreviato di primo grado, con sentenza emessa in data 14
marzo 2023, ha assolto l'imputato dai delitti al medesimo ascritti, con riferimento
alle dichiarazioni datate 26 ottobre 2016 e 29 ottobre 2019 perché il fatto non
sussiste, e, con riguardo alla dichiarazione 5 aprile 2017, perché il fatto non
costituisce reato.
Il Giudice dell'udienza preliminare ha, infatti, ritenuto che le prime due
dichiarazioni non avevano cagionato alcun profitto ingiusto all'imputato nella
determinazione del canone locatizio dovuto all'amministrazione, né alcun danno
all'amministrazione militare; con riferimento alla dichiarazione relativa al 2017,
non vi era, invece, prova del dolo dell'imputato, in quanto la mancata indicazione
degli immobili dei quali F. era comproprietario a Giulianova poteva essere dipesa
non già da una volontà truffaldina, ma da semplice superficialità o trascuratezza,
atte a integrare solo la colpa dell'imputato.
3. Con la sentenza impugnata la Corte militare di appello, in parziale riforma
della sentenza appellata, ha dichiarato l'imputato responsabile del delitto
ascrittogli, limitatamente all'episodio commesso nel 2017, e applicate le
circostanze attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti,
e la diminuente per il rito abbreviato, lo ha condannato alla pena sospesa di
quattro mesi di reclusione militare e alla pena accessoria della rimozione, oltre che
al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio,
4. L'avvocato Giacomo Ventura, nell'interesse dell'imputato, ha proposto
ricorso avverso questa sentenza e ne ha chiesto l'annullamento, proponendo tre
motivi di ricorso.
4.1. Con il primo motivo il difensore deduce l'inosservanza dell'art. 234 del
codice penale militare di pace, la contraddittorietà della motivazione e il
travisamento della prova sul punto.
Il Tribunale militare di appello avrebbe, infatti, illegittimamente ritenuto che
l'imputato abbia dolosamente omesso di indicare, nella dichiarazione sostitutiva di
atto di notorietà presentata, gli immobili dei quali l'imputato era nudo proprietario
in Giulianova.
Il difensore eccepisce , infatti, che nella sentenza impugnata sarebbe
pacifico che la disponibilità dei predetti immobili fosse dei genitori dell'imputato e
nella sentenza di primo grado sarebbe anche stato menzionato l'atto di donazione
di tali immobili con riserva di usufrutto in favore dei propri genitori.
Il reddito relativo a tali immobili non poteva concorrere a formare il suo
reddito complessivo dell'imputato, in quanto l'art. 26 d.P.R. 22 dicembre 1986, n.
917 (Testo unico delle imposte sui redditi) sancisce che i redditi fondiari
concorrono a formare il reddito di chi ne abbia il possesso a titolo di proprietà,
usufrutto o altri diritti reali.
Il reddito dell'imputato, dunque, non avrebbe subito alcun incremento se
l'imputato avesse dichiarato gli immobili di cui aveva la nuda proprietà, in quanto
gli stessi erano nella disponibilità dei suoi genitori, che ne erano gli usufruttuari.
4.2. Con il secondo motivo il difensore censura la manifesta illogicità della
motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato, in quanto la Corte militare
di appello avrebbe illogicamente escluso che l'errore nella dichiarazione fosse
determinato da colpa.
4.3. Con il terzo motivo il difensore deduce il vizio di mancanza di
motivazione in ordine alla determinazione della pena in misura superiore al minimo
edittale (e, dunque, in nove mesi in luogo di sei mesi di reclusione militare).
5. Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso
è stato trattato con procedura scritta.
Con requisitoria scritta depositata in data 2 agosto 2024, il Procuratore
generale militare ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
Con memoria depositata in data 19 agosto 2024, l'avvocato Giacomo
Ventura ha replicato alle conclusioni del Procuratore generale e ha insistito per
l'accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere accolto.
2. Con il primo motivo il difensore deduce l'inosservanza dell'art. 234 del
codice penale militare di pace, la contraddittorietà della motivazione e il
travisamento della prova sul punto.
3. Il motivo è fondato.
3.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, gli
artifizi e i raggiri richiesti per la configurabilità del reato di truffa possono
consistere anche nel silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da
parte di chi abbia il dovere di farle conoscere, quando tale condotta sia risultata
idonea a determinare il soggetto passivo a prestare un consenso che altrimenti
avrebbe negato (ex plurimis: Sezione 2, n. 23079 del 9/5/2018, Blasetti, Rv,
272981 - 01; Sezione 2, n. 28791 del 18/6/2015, Bidoli, Rv. 264400 - 01; Sezione
2, n. 28703 del 19/3/2013, Rossi, Rv. 256348 - 01; Sezione 2, n. 32859 del
19/6/2012, D'Alessandro, Rv. 253660 - 01; Sez. 6, n. 5579 del 3/04/1998, Penna,
Rv. 210613).
Se, tuttavia, l'inerzia o il silenzio possono integrare l'elemento oggettivo del
reato di truffa (e di truffa militare di cui all'art. 234 cod. pen. mil . di pace.) a
condizione che siano antidoverosi, cioè che corrispondano all'omesso
adempimento di un obbligo di comunicazione, è previamente necessario accertare
il fondamento e l'ampiezza di tale obbligo per ritenere sussistente il delitto
contestato.
3.2. La Corte militare di appello non ha, tuttavia, fatto buon governo di tali
consolidati principi nella sentenza impugnata.
I giudici di appello hanno, infatti, ritenuto integrati gli artifici e i raggiri atti ad
integrare il delitto di truffa nell'omessa indicazione da parte dell'imputato, nella
dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà presentata in data 5 aprile 2017, di
essere nudo proprietario, unitamente al fratello, di due immobili siti in Giulianova.
Questa dolosa omissione, atta ad occulto parte del reddito imponibile,
avrebbe consentito all'imputato di ottenere una rideterminazione più favorevole
del canone per l'alloggio occupato e di risparmiare illegittimamente per l'anno
2017 l'importo di euro 2.402,12.
Il D.M. Ministero della Difesa del 16 marzo 2011, prevede, infatti, la
determinazione del c.d. "reddito di riferimento" del richiedente, secondo la
disciplina tributaria vigente, al fine di stabilire lo scaglione reddituale sulla base
del quale calcolare il "coefficiente correttivo" per la determinazione del canone di
locazione da corrispondere per l'alloggio militare concesso in locazione.
La Corte di appello, tuttavia, ha apoditticamente sostenuto l'obbligo di
indicare nella dichiarazione sostitutiva anche il reddito derivante dagli immobili dei
quali il richiedente sia meramente nudo proprietario senza individuarne il
fondamento legale e non si è confrontata con la specifica disciplina tributaria
dettata dal legislatore per tali cespiti, ancorché la disciplina tributaria sia
espressamente richiamata dall'art. 2, comma 2, del D.M. del 16 marzo 2011.
Entrambe le sentenze di merito hanno, del resto, ritenuto incontestato che
gli immobili di Giulianova siano stati donati all'imputato e al fratello dai genitori,
con riserva dell'usufrutto, e che fossero nella disponibilità di questi ultimi.
L'art. 26 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico delle imposte sui
redditi) sancisce che «i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla
percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli
immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, salvo quanto
stabilito dall'articolo 30, per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso».
Posto, dunque, che la nuda proprietà è anch'essa un diritto reale, i redditi
fondiari concorrono a formare il reddito imponibile del percettore ai fini Irpef.
Al fine di evitare fenomeni di doppia imposizione, tuttavia, il secondo comma
di questa disposizione prevede che «Nei casi di contitolarità della proprietà o altro
diritto reale sull'immobile o di coesistenza di più diritti reali su di esso il reddito
fondiario concorre a formare il reddito complessivo di ciascun soggetto per la parte
corrispondente al suo diritto».
I giudici di appello, dunque, non hanno chiarito il criterio legale utilizzato per
il computo del reddito derivante dagli immobili dei quali il richiedente era nudo
proprietario e se sia stato considerato l'integrale reddito fondiario derivante dai
predetti immobili o solo la quota di spettanza del nudo proprietario, in conformità
alla disciplina tributaria vigente.
Questa carenza di motivazione assume efficacia decisiva nel viziare la
struttura logica della sentenza di condanna, in quanto non consente di affermare
la rilevanza penale dell'omissione dichiarativa dell'imputato.
La Corte di appello, infatti, non ha chiarito se, nella disciplina vigente,
l'informazione omessa fosse doverosa, e, in caso positivo, la sua l'idoneità a
occultare effettivamente un incremento del reddito imponibile, determinando, nel
sistema "a scaglioni" previsto dalla disciplina dell'amministrazione militare, una
correlativa riduzione nella determinazione del canone dovuto all'amministrazione.
3.3. L'accoglimento del primo motivo di ricorso imporrebbe, dunque,
l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello militare,
per nuovo giudizio sui punti indicati. L'annullamento, come si dirà di seguito, deve,
tuttavia, essere disposto senza rinvio, in conseguenza dell'accoglimento del
secondo motivo di ricorso.
4. Con il secondo motivo il difensore censura la manifesta illogicità della
motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato, in quanto la Corte militare
di appello avrebbe illogicamente escluso che l'errore nella dichiarazione presentata
dall'imputato fosse determinato da colpa.
5. Il motivo è fondato.
Il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale militare di Napoli, nella
sentenza di primo grado ha escluso, con riferimento alla dichiarazione relativa al
2017, che fosse stata raggiunta la prova del dolo dell'imputato, in quanto la
mancata indicazione degli immobili dei quali F. era comproprietario poteva
essere dipesa non già da una volontà truffaldina, ma da semplice superficialità o
trascuratezza, atte a integrare solo la colpa dell'imputato.
Il giudice ha rilevato che l'imputato nell'interrogatorio reso ha precisato che
tali immobili, proprio perché in nuda proprietà, non dovevano essere dichiarati nel
730; l'imputato, inoltre, al momento della presentazione della domanda di
rideterminazione del canone di locazione, era in procinto di recarsi all'estero per
una delicata missione iniziata dopo pochi mesi in Kuwait, tanto che l'anno
successivo non aveva presentato alcuna domanda, anche per i difficili e onerosi
incarichi rivestiti, esponendosi all'applicazione del canone in misura massima.
La Corte di appello militare ha, invece, ritenuto sussistente il dolo
dell'imputato, in quanto «non appare verosimile che il F. abbia agito per un
semplice errore determinato da colpa nella redazione della dichiarazione
indirizzata all'amministrazione di appartenenza..., sia per l'evidente interesse
economico che si è palesato come diretta conseguenza della sua omissione, sia
per il lungo arco di tempo in cui si è prolungata la predetta situazione di vantaggio,
durante il quale avrebbe avuto ampiamente modo di modificare la sua condotta
ove si fosse trattato di condotta colposa».
I rilievi della Corte di appello, tuttavia, oltre a non integrare una motivazione
rafforzata, obbligatoria nel caso di ribaltamento della sentenza assolutoria di primo
grado (ex plurimis: Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Frigerio, Rv. 281404- 01;
Sez. 6, n. 5898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056 - 01; Sez. 2, n. 41784 del
18/07/2018, Edilscavi, Rv. 275416 - 02; Sez. 3, n. 29253 del 05/05/2017, C.,
Rv. 270149 - 01), non sono idonei a motivare l'affermazione della responsabilità
penale dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio.
Il canone dell'«oltre ogni ragionevole dubbio» enuncia, infatti, sia una regola
di giudizio che definisce lo standard probatorio necessario per pervenire alla
condanna dell'imputato, sia un metodo legale di accertamento del fatto che obbliga
il giudice a sottoporre, nella valutazione delle prove, la tesi accusatoria alle
confutazioni costituite dalle ricostruzioni antagoniste prospettate dalle difese,
sicché la violazione di tali parametri rende la motivazione della sentenza
manifestamente illogica (Sez. 6, n. 45506 del 27/04/2023, Bagarella, Rv. 285548
- 15).
Il dato fattuale del silenzio serbato dall'imputato sulla titolarità degli immobili
di cui era nudo proprietario è, del resto, logicamente compatibile sia con la
volontarietà e la consapevolezza dell'omissione dichiarativa, che con la sua
ignoranza dovuta a colpa, anche in ragione dell'obiettiva complessità della
disciplina tributaria e di quella dettata dall'amministrazione militare per gli alloggi
di servizi (non a caso ripetutamente scandagliata a mezzo dell'ausilio di "testimoni
esperti", sia nel primo che nel secondo grado del giudizio).
La sentenza impugnata non ha, del resto, indicato specifici elementi che
consentano di escludere, con ragionevole certezza e in rapporto alle specifiche
circostanze del caso, il mero errore dichiarativo dell'imputato e di affermarne il
dolo.
Il vantaggio asseritamente ritratto dall'imputato non comprova di per sé il
carattere doloso dell'omissione dichiarativa e nessun rilievo può, inoltre, assumere
sul piano logico la mancata correzione della dichiarazione, in quanto il richiedente,
in assenza di segnali di allarme, ben avrebbe potuto permanere nel proprio stato
di errore dovuto a colpa sino alla contestazione svolta dall'autorità giudiziaria.
Ritiene, tuttavia, il Collegio di dover disporre l'annullamento della sentenza
impugnata senza rinvio e, dunque, senza disporre ulteriori approfondimenti sul
punto.
L'ampio lasso di tempo decorso dai fatti oggetto di accertamento e l'ampia
dialettica processuale svoltasi su tale punto controverso, sia nel giudizio di primo
che di secondo grado, non consentono, tuttavia, di ritenere che la celebrazione di
un giudizio di rinvio possa, in alcun modo, arrecare contributi utili all'ulteriore
chiarimento della regiudicanda.
La completa istruttoria svolta nelle indagini preliminari, ulteriormente
integrata nel giudizio di primo grado e nel giudizio di appello, ha, dunque, ormai
esaurito le possibilità di accertamento del giudizio penale in ordine all'elemento
psichico dell'imputato all'atto della presentazione della dichiarazione sostitutiva
contestata nel presente processo.
In questa situazione di obiettiva impossibilità di arricchire il quadro degli
elementi probatori disponibili, una rinnovata valutazione degli stessi da parte del
giudice di rinvio si rivela, inoltre, strutturalmente inidonea a colmare le lacune nel
ragionamento probatorio operato dalla sentenza impugnata e a superare ogni
ragionevole dubbio in ordine alla consapevolezza da parte dell'imputato di aver
taciuto circostanze rilevanti ad ottenere una riduzione del canone di locazione.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, del resto, affermato che nel giudizio
di cassazione, l'annullamento della sentenza di condanna va disposto senza rinvio
allorché un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria del processo e per
la puntuale e completa disamina del materiale acquisito nei pregressi giudizi di
merito, non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio
storicamente accertata (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226100-
01; Sez. U, n. 22327 del 30/10/2002 (dep. 2003), Carnevale, Rv. 224182 - 01;
Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019 (dep. 2020), Bolla, Rv. 279555-19).
6. Alla stregua di tali rilievi, la sentenza impugnata deve essere annullata
senza rinvio perché il fatto non costituisce reato. L'accoglimento dei primi due
motivi, in virtù della loro valenza assorbente, esime dal delibare il terzo motivo di
ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce
reato.
Così deciso il 27/08/2024.
01-11-2024 07:59
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