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Sentenza

Collusione e rivelazione di segreti d'ufficio...
Collusione e rivelazione di segreti d'ufficio
Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 5010 Anno 2025
Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: BRANDA FRANCESCO LUIGI
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.M. nato a F. il .....
avverso l'ordinanza del 14/05/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO LUIGI BRANDA;
lette le conclusioni del Procuratore Generale che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. S.M.  ha richiesto alla Corte d'appello di Roma l'equa riparazione per la
privazione di libertà ingiustamente subita per la durata di 120 giorni, in esecuzione
dell'ordinanza del GIP presso il Tribunale della stessa città, eseguita il 12 marzo 2015, con la
quale era stata disposta la misura degli arresti domiciliari, in relazione ai delitti di collusione e
rivelazione di segreti d'ufficio, dai quali veniva assolto, per non aver commesso il fatto, dal
Tribunale Militare di Roma, con sentenza del 29/10/2021, irrevocabile il 13/01/2022 .
La Corte territoriale ha respinto la domanda, avendo ravvisato nel comportamento dello
Schiavone i tratti della colpa grave.
Infatti - ad avviso del giudice della riparazione - lo S., maresciallo della Guardia di
Finanza, ha manifestato un comportamento ostativo al riconoscimento dell'indennizzo, avendo
intrattenuto relazioni ambigue e deontologicamente scorrette con R.A. ,
commercialista delle società oggetto di verifica fiscale, e con i colleghi C. G.  e
A. R..
Con riferimento ai fatti in cui era rimasto coinvolto lo S. il R. era stato
condannato con sentenza definitiva ?ce i due colleghi avevano patteggiato la pena.
La Corte d'appello ha sottolineato che l'odierno ricorrente, ben consapevole delle condotte
dei colleghi, aveva omesso di denunciarne i comportamenti illeciti p~gbi, consistiti nel
fornire informazioni riservate al R., commercialista delle società Tosinvest (A.) e
B., finalizzate ad eludere i controlli della verifica fiscale in corso.
Inoltre, aveva partecipato ad incontri riservati con il commercialista R., al di fuori del
contesto procedinientale.
Infine, a seguito di perquisizione domiciliare, era stato trovato in possesso di
documentazione concernente i procedimenti penali n.16014/2011 e 25537/2012 RGNR della
Procura della Repubblica di Roma, a carico del gruppo A.; tra la documentazione
sequestrata era stata pure ritrovata una copia contraffatta della segnalazione di operazioni
sospette a carico di alcune persone, nella quale era menzionato il suddetto R. A..
2.Ricorre per cassazione la difesa del ricorrente t deducendo violazione dell'art. 314 c.p.p. e
vizio della motivazione.
2.1 Con il primo motivo, censura la decisione impugnata per violazione di legge e vizio
della motivazione, osservando che la Corte territoriale ha omesso di confrontarsi con le ragioni
dell'assoluzione, da cui è evincibile l'assenza di apporto causale da parte dello S.
all'applicazione della misura in ordine ai reati contestati.
Nella suddetta pronuncia assolutoria, infatti, venivano accertati elementi di natura
favorevole all'imputato; e precisamente il riferimento a un piano di verifica della Guardia di
Finanza dal quale risultava che lo S. faceva parte inizialmente dei verificatori preposti
al controllo delle società interessate dalla verifica per le annualità 2007 e 2009, circostanza che
legittimava al possesso dei documenti rinvenuti nel corso della perquisizione; inoltre, con
riferimento all'incontro intercorso con il commercialista R., emergeva che la condotta di
partecipazione a detto incontro, pur grave in quanto espressiva di un contatto ravvicinato tra i
militari verificatori e il titolare delle società controllate, apparentemente privo di causa, non
aveva alcun significato, nel senso della volontà di dirottare in senso favorevole l'esito delle
verifiche, in quantox le stesse erano ormai terminate ed i risultati sarebbero stati notificati allo
stesso R. il giorno successivo; in ogni caso, l'incontro, pur indice di una eccessiva ed
inopportuna confidenza con il legale rappresentante della società sottoposta a verifica, non era
apparso espressivo delle condotte enunciate nel capo di accusa, per la stessa ragione sopra
evidenziata che i risultati delle verifiche sarebbero stati resi noti ufficialmente il giorno dopo.
Quanto al rinvenimento di documentazione presso l'abitazione del ricorrente, nella stessa
sentenza veniva sottolineato che ciò era avvenuto due anni dopo rispetto alla condotte
contestate, mancando perciò un collegamento temporale significativo tra la detenzione di tali
atti e l'ipotizzato concorso nella concussione.
Infine, veniva dato risalto al fatto che i militari che proseguirono gli accertamenti non
ebbero modo di rilevare alcuna irregolarità nelle attività di verifica espletate nei confronti delle
società, fintantochè lo S. vi aveva partecipato (gennaio-luglio 2013).
D'altro canto, il giudice della riparazione, discostandosi dal costante orientamento di
legittimità, non avrebbe spiegato ed indicato quali comportamenti del ricorrente, dolosi o
gravemente colposi, avrebbero inciso sull'adozione della misura cautelare, limitandosi ad
evidenziare le contraddizioni emerse nell'esame dibattimentale reso dall'imputato e richiamare
i pregressi rapporti con gli altri imputati.
2.2 Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b) ed e),
cod. proc.pen., ha sottolineato una serie di vizi della motivazione.
In primo luogo, la stessa risulterebbe apparente, non avendo chiarito quali fossero
effettivamente le condotte gravemente colpose ascrivibili allo S., e in contrasto con
l'orientamento espresso da questa Sezione nella sentenza n. 39726 del 27/09/2023 , secondo
cui non è possibile ravvisare nella mancata denuncia degli accordi tra i correi alcun elemento
indiziario sufficiente alla sussistenza del concorso nei reati contestati, nè alcun titolo di colpa
grave ostativo alla riparazione.
Inoltre, la motivazione risulterebbe manifestamente illogica, avendo trascurato di
verificare in quale misura il comportamento del ricorrente avrebbe potuto spiegare efficacia
sinergica rispetto al mantenimento della misura cautelare. Infine, nessuna argomentazione
sarebbe stata fornita in ordine al requisito della gravità della colpa.
3. Il Procuratore Generale ha depositato memoria, chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Giova ricordare che, in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, il giudice, per
valutare se chi l'ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave,
deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con
particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica
negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento
conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.
Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi,
esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà
personale, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante" - e secondo un iter logico
motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito - non se tale
condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato,
ancorché in presenza di errore dell'autorità procedente, la falsa apparenza della sua
configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad
effetto" (Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263).
Si è rilevato che il giudizio per la riparazione dell'ingiusta detenzione è del tutto autonomo
rispetto al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi, che possono
portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito
agli atti ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall'utilizzo di parametri di valutazione
differenti (Sez. 4, Sentenza n. 39500 del 18/06/2013, dep. 24/09/2013, Rv. 256764).
La giurisprudenza di legittimità risulta consolidata nel rilevare che condotte sinergicamente
rilevanti, rispetto alla cautela sofferta, possono essere di tipo extraprocessuale (grave
leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l'adozione del provvedimento restrittivo)
o di tipo processuale (autoincolpazione, mendacio) che non siano state escluse dal giudice
della cognizione.
A tal fine, nei reati contestati in concorso, va apprezzata la condotta che si sia sostanziata
nella consapevolezza dell'attività criminale altrui e, nondimeno, nel porre in essere una attività
che si presti sul piano logico ad essere contigua a quella criminale (Sez. 4, Sentenza n. 4159
del 09/12/2008, dep. 28/01/2009, Rv. 242760).
2.1. Orbene, la valutazione espressa nel caso di specie dalla Corte territoriale si colloca
nell'alveo dell'insegnamento ora richiamato.
Il percorso argomentativo sviluppato dal giudice della riparazione è sintetizzabile nei
termini che seguono.
La Corte di Appello ha osservato che il comportamento posto in essere dal pubblico
ufficiale aveva evidenziato un indebito interessamento rispetto alla delicata verifica fiscale nei
confronti del gruppo A., di cui il coimputato R. era il commercialista, ed i due
colleghi finanzieri C. G. e A. R. erano diretti assegnatari.

Il fatto che i tre coimputati R., C. e A. fossero coinvolti nell'accordo
collusivo è indiscusso, in conseguenza delle definitive sentenze di condanna nei confronti del
primo e di applicazione della pena verso gli altri due.
Segnatamente, il Collegio ha rilevato che lo S. aveva intrattenuto rapporti con il
R., durante la verifica fiscale a carico delle società di cui quest'ultimo era il commercialista.
Al riguardo, nell'ordinanza si sottolinea che erano stati organizzati appositi incontri, tra
S., i suoi colleghi poi condannati, ed il R., in concomitanza della predetta verifica
fiscale.
Inoltre, il Giudice della riparazione ha evidenziato che a casa dello S. a seguito di
perquisizione domiciliare, veniva ritrovata documentazione concernente i procedimenti penali a
carico al gruppo A., destinatario della suddetta verifica, tra cui, particolarmente
significativa, nell'ottica della valutazione ex ante, in ordine all'apparente coinvolgimento dello
S., una copia contraffatta della segnalazione di operazioni sospette a carico di alcune
persone, nella quale era menzionato il suddetto R.A..
L'ordinanza impugnata ha osservato che lo S. aveva imprudentemente posto in
essere le richiamate plurime forme di interessamento alla delicata verifica fiscale in atto nei
confronti del gruppo A.; che in tal modo il ricorrente aveva realizzato l'apparenza di un
rapporto collusivo tra il pubblico ufficiale ed il soggetto sottoposto a verifica fiscale; e che tale
evenienza aveva avuto un ruolo sinergico, rispetto all'operato dell'autorità giudiziaria che
aveva adottato la misura custodiale.
Le logiche argomentazioni formulate dalla Corte distrettuale non sono superate dalle
censure qui proposte.
Il ricorso infatti non riesce a criticare adeguatamente la ritenuta grave negligenza/
imprudenza o imperizia nella valutazione delle altrui condotte, che per le modalità in cui si
sono svolte al cospetto dello stesso S. e per l'interesse dallo stesso manifestato
mediante acquisizione diretta di documentazione inerente verifiche, era tale da creare la
ragionevole apparenza di consapevolezza dell'accordo collusivo.
Il riferimento specifico è agli incontri durante la verifica fiscale, avvenuti in aperta
violazione delle regole deontologiche, con i soggetti tra cui è certamente intercorsa la
collusione.
La percepibilità della natura illecita dei rapporti inter alios emerge dal confronto con la
documentazione trovata presso il domicilio dello S., concernente i procedimenti penali
a carico della società verificata e, particolarmente, la copia contraffatta della segnalazione di
operazioni sospette a carico di alcune persone, nella quale era menzionato il commercialista
delle suddette società R. A..
Tali osservazioni, per nulla scalfite dai motivi di censura, rendono ragione alla motivazione
della Corte distrettuale che ha ritenuto la colpa grave nel comportamento dello Schiavone e la
sua efficacia sinergica all'adozione della misura, ostative alla invocata riparazione.
3. Alla declaratoria di rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali ai sensi dell'art.616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19 novembre 2024
Avv. Antonino Sugamele

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