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Sentenza

Con riferimento ai reati militari, la giurisprudenza di legittimità è nel senso ...
Con riferimento ai reati militari, la giurisprudenza di legittimità è nel senso che “sussiste l'interesse dell'imputato ad impugnare la sentenza che esclude la punibilità di un reato militare in applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., trattandosi di pronuncia che ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso; è soggetta ad iscrizione nel casellario giudiziale e può ostare alla futura applicazione della medesima causa di non punibilità ai sensi del comma terzo dell'art. 131 bis cp. comma terzo della medesima disposizione
Cassazione Penale Sent. Sez. 1 Num. 13613 Anno 2025
Presidente: BONI MONICA
Relatore: RUSSO CARMINE
Data Udienza: 26/02/2025
del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
- Presidente -
VINCENZO SIANI
BARBARA CALASELICE
GAETANO DI GIURO
- Relatore -
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
L.A.  nato a M. il ....
avverso la sentenza del 18/09/2024 della Corte militare di appello di Roma
udita la relazione del Consigliere Carmine Russo;
lette le conclusioni del Procuratore generale militare, Francesco Ufilugelli, che ha chiesto
l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 22 febbraio 2024 il Tribunale militare di Napoli ha assolto A.L., 
vicebrigadiere in servizio presso la Stazione Carabinieri di Scordia, dal reato di furto
militare aggravato (art. 230 cod. pen. mil. pace) per particolare tenuità del fatto.
Con sentenza del 18 settembre 2024 la Corte militare di appello, adita sull'appello
dell'imputato, ha confermato la sentenza di primo grado.
In particolare, il militare era stato ritenuto responsabile, pur se prosciolto per la particolare
tenuità del fatto, di aver collegato in più occasioni, tra il 5 ed il 15 marzo 2022, la batteria della
propria auto elettrica ad una presa di corrente del Comando della Stazione in cui era in servizio,
mediante un cavo che aveva fatto passare attraverso la zanzariera di una finestra, in questo modo
impossessandosi di 67,85 kw per un valore complessivo di 33,92 euro.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l'imputato, per il tramite del difensore,
con unico motivo con cui deduce vizio di motivazione, perchè il giudice di appello avrebbe omesso
di motivare su quali siano gli elementi di responsabilità a carico del ricorrente da cui desumere che
lo stesso avrebbe realmente commesso i fatti da cui è stato prosciolto, e si è limitato a confutare la
versione fornita dal ricorrente sull’essere stato collegato il cavo di ricarica dell’autovettura ad una
power bank in disponibilità dello stesso; inoltre, il giudice di appello ha valutato in modo illogico la
versione fornita dall’imputato, perché la circostanza che nessuno abbia visto l’imputato con una
power bank in ufficio non prova l’esistenza di un collegamento tra la presa elettrica della caserma e 
l'auto elettrica dell’imputato, infatti, manca una prova diretta dei fatti e vi è stato travisamento di
quella dichiarativa.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore generale militare, Francesco Ufilugelli, ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va ricordato preliminarmente che, con riferimento ai reati militari, la giurisprudenza di
legittimità è nel senso che “sussiste l'interesse dell'imputato ad impugnare la sentenza che esclude
la punibilità di un reato militare in applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., trattandosi di pronuncia
che ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità
penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso; è soggetta ad iscrizione nel casellario
giudiziale e può ostare alla futura applicazione della medesima causa di non punibilità ai sensi del
comma terzo della medesima disposizione (Sez. 1, Sentenza n. 459 del 02/12/2020, dep. 2021, De
Venuto, Rv. 280226).
2. Ciò posto, però, nel merito il ricorso è infondato.
L’imputato ha appellato la decisione del Tribunale militare sostenendo che nel giudizio vi era
prova diretta dell’esistenza del cavo di collegamento con la batteria dell’auto elettrica del militare
fatto passare attraverso il telaio della finestra del Comando della Stazione, ma non vi era prova
diretta del fatto che la estremità del cavo fosse stata collegata ad una presa elettrica della Stazione,
perché, come riportato nella sentenza impugnata, la estremità interna del cavo era posta presso una
parte del muro interno che era coperta da arredi della caserma, talchè non era percepibile
agevolmente da eventuali commilitoni se la stessa fosse collegata o meno alla rete elettrica della
Stazione. La tesi introdotta in giudizio dall’imputato è che il cavo fosse collegato non ad una presa
elettrica della Stazione, ma ad una power bank di proprietà dell’imputato.
La Corte militare di appello ha risposto a questo motivo rilevando che nessuno ha visto in
caserma la power bank dell’imputato, e che, nel momento in cui era stato scoperto da altri due
Carabinieri, lo stesso non aveva negato i fatti ma si era limitato a dire che, se il Comandante non gli
contestava nulla, non potevano farlo gli altri militari, ed ha ritenuto che la tesi alternativa proposta
dall’imputato non introducesse un dubbio ragionevole sulla ricostruzione della vicenda.
Il ricorso deduce che il giudice di appello si è limitato a confutare la versione fornita dal
ricorrente sull’essere stato collegato il cavo di ricarica dell’autovettura non alla presa elettrica della
Stazione Carabinieri, ma ad una power bank che lo stesso aveva in disponibilità, ma non ha trovato
una prova diretta di quanto contestato all’imputato.
L’argomento è infondato.
Nel processo penale la prova di un fatto non è necessariamente una prova diretta, essendo
conforme ai canoni della logica trarre dal fatto noto provato (nel caso in esame, l’imputato ha
collegato la batteria della propria auto ad un cavo che ha fatto passare attraverso la finestra della
caserma e che terminava su un muro davanti al quale era collocato un arredo della Stazione) la
prova del fatto ulteriore oggetto della contestazione (il cavo era collegato ad una presa elettrica della
Stazione), ipotesi fondata sull'id quod plerumque accidit, ed, in quanto tale, idonea a costituire base
razionale della motivazione di un provvedimento giudiziario (Sez. 5, Sentenza n. 25616 del
24/05/2019, P.M. in proc. Devona, Rv. 277312), senza che ciò comporti inversioni delle regole
sull’onere della prova, come, invece, affermato in ricorso. Non è manifestamente illogico aver
ritenuto che il comportamento molto articolato tenuto dall’imputato (parcheggiare l’auto proprio sotto
la finestra in questione, collocare un cavo che collegava la batteria dell’auto con l’interno della
stanza, “forzare” il telaio della finestra in modo da farci passare il cavo) avesse poco senso se lo
scopo non fosse stato quello di collegare la batteria alla presa elettrica della stanza.
D’altronde, nel giudizio di legittimità il sindacato sul modo in cui il giudice del merito ha fatto
concreta applicazione della regola legale dell’art. 192, comma, 1 cod. proc. pen., secondo cui “il
giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati”, e di
quella di cui al successivo comma 2, secondo cui “l'esistenza di un fatto non può essere desunta da
indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti” è molto ristretto, perchè si limita al
controllo logico e giuridico della struttura della motivazione dedicata all'interpretazione degli elementi
probatori con esclusione della possibilità di rivalutazione degli stessi.
Il ricorso deduce anche che sarebbero state travisate le dichiarazioni del teste P., che,
secondo la sentenza impugnata, avrebbe riferito che l’imputato, una volta scoperto, non aveva
negato i fatti ma si era limitato a dire che, se il Comandante non gli contestava nulla, non potevano
farlo gli altri militari, frase che, invece, l’imputato nega di aver mai pronunciato.
L’argomento è inammissibile, perché introdotto in violazione del requisito dell’autosufficienza
del ricorso (Sez. 2, Sentenza n. 20677 del 11/04/ 2017, Schioppo, rv. 270071; Sez. 4, n. Sentenza
n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, rv. 265053; Sez. 2, Sentenza n. 26725 del 01/03/2013, Natale,
rv. 256723), perché la sentenza impugnata riporta espressamente tra virgolette, e citando il verbale
di udienza da cui esse sono tratte, le parole del testimone P. (pag. 12), nonché quelle,
sostanzialmente identiche, del testimone M. (sempre pag. 12), che pure era presente al
momento in cui avvenne lo screzio verbale tra P. e L..
Il ricorso deduce che queste parole sono state travisate, e quindi che esse non sarebbero mai
state pronunciate dai testimoni. Ma, per dedurre ritualmente in giudizio un travisamento per
invenzione, occorre allegare o trascrivere integralmente le pagine del verbale di udienza citato nella
sentenza impugnata per consentire alla Corte di verificare se la sentenza ha inventato una prova
non esistente.
Nel caso in esame, invece, nel ricorso la difesa dell’imputato si limita a trascrivere
integralmente soltanto il passaggio del verbale della deposizione del carabiniere P. nella parte in
cui questi dice di non aver controllato se la estremità del cavo era effettivamente collegata alla presa
elettrica della stazione, che, però, è una base non idonea per sostenere l’esistenza di un
travisamento per invenzione, perché attiene a fatto diverso da quello riportato dalla sentenza
impugnata, che non ha sostenuto che il teste P. avesse dichiarato di aver visto il cavo collegato
alla rete, ma che lo stesso avesse contestato il fatto all’imputato per ottenerne in risposta la frase
riportata in motivazione.
In definitiva, il ricorso è infondato.
3. Ai sensi dell'art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 26/02/2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
CARMINE RUSSO MONICA BONI
Avv. Antonino Sugamele

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