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Sentenza

Ingiuria militare....
Ingiuria militare.
Cassazione Penale Sent. Sez. 1 Num. 1711 Anno 2025
Presidente: ROCCHI GIACOMO
Relatore: TOSCANI EVA
Data Udienza: 26/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D.M.M.nato a F. il ...
avverso la sentenza del 04/04/2024 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere EVA TOSCANI;
udito il Sostituto Procuratore generale militare,
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore, avv. CONCA GIAMMARCO del foro di LATINA in difesa di D.M.M.
ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in preambolo la Corte di appello militare di Roma
confermava la sentenza 29 settembre 2023 Giudice delle indagini preliminari del
Tribunale militare di Roma, che aveva condannato M.D.M. alla pena di
un mese e venti giorni di reclusione militare, per il reato continuato d'ingiuria a
inferiore, cosi qualificate tutte le condotte contestate, commesso il 10 marzo 2020.
1.1. In particolare D.M., sottotenente dei Carabinieri in servizio presso la
Compagnia di Cassino in qualità di Comandate della Sezione Operativa, usava
violenza contro il sotto ordinato maresciallo A.V. che tentava di
interporsi tra lui e il brigadiere A.M.A. , proferendo al suo indirizzo
la frase «tu non vali un cazzo, spostati» e si rivolgeva a quest'ultimo in modo
analogo, pronunciando le frasi «allora non hai capito un cazzo ... qui non ci sono
più i camorristi che ti difendono... qui comando io ...non hai più chi ti protegge...
Ti spezzo».
I fatti, secondo quanto indicato nella sentenza di primo grado, erano
dimostrati dalle dichiarazioni testimoniali delle due persone offese, il brigadiere
A. e il maresciallo capo V., nonché quelle del luogotenente D'A.,
reputate sostanzialmente convergenti sul nucleo fondamentale degli accadimenti
e, segnatamente, che l'imputato, eccezionalmente adirato per le obiezioni che gli
venivano poste da A. rispetto all'ordine impartitogli di foto-segnalare un
soggetto fermato, superando ogni limite suggerito dalla disciplina militare, offese
l'onore, il prestigio e la dignità dei due subordinati, affermando che costoro non
contavano niente, battendo per più volte il computer di uno di costoro sulla
scrivania.
Si riteneva pacifico che l'episodio si fosse verificato sul posto di servizio,
durante l'orario e per ragioni di ufficio.
1.2. A fronte di tale condivisa ricostruzione e valutazione del materiale
probatorio, le argomentazioni dell'appellante erano ritenute dalla Corte di appello
militare sostanzialmente generiche, siccome risolventesi in indimostrate asserzioni
concernenti la non convergenza delle deposizioni testimoniali su elementi che,
invece, riteneva riguardare meri elementi di contorno, irrilevanti ai fini della prova
della consumazione del fatto reato contestato.
Il Giudice di appello riaffermava, dunque, la natura ingiuriosa delle espressioni
utilizzate, avversando l'assunto difensivo secondo cui «nel mondo civile non sono
tollerate frasi gergali che sono ritenute offensive, quando invece in caserma le
stesse espressioni non giungono a un livello di rilevanza penale».
Respingeva la richiesta di applicazione della causa di esclusione della
punibilità per la particolare tenuità del fatto, ritenendo che la vicenda, così come
realizzata, valutata nelle sue connotazioni relazionali tra l'imputato e le due
persone offese, non potesse in alcun modo ritenuta tenue, non solo perché la
condotta era recisamente contraria ai doveri di un ufficiale, idonea a svilire la
dedizione al lavoro dei sottoposti e a minare lo spirito di collaborazione e unità di
un reparto, indispensabile per il buon funzionamento dello stesso, ma anche
perché - com'era emerso da diverse deposizioni testimoniali - era stata ripetuta
nel tempo in danno degli stessi militari o, comunque, praticata abitualmente
nell'ambito del medesimo contesto organizzativo.
Quanto, infine, alla dosimetria della pena, confermava il giudizio di valenza
delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche con l'aggravante
contestata.
2. Ricorre D.M. per cassazione, per mezzo del difensore di fiducia avv.
Giammarco Conca, e deduce tre motivi.
2.1. Con il primo denuncia la violazione di legge in punto di ritenuta
sussistenza della condotta materiale dell'ingiuria militare.
Il Giudice di appello avrebbe travisato le dichiarazioni testimoniali,
trascurando la deposizione della stessa persona offesa che ha dichiarato di non
essere mai stata né ingiuriata, né minacciata dal superiore, oltre a quelle di
V.e D'A., i quali hanno affermato come l'imputato fosse, in quello
specifico episodio, «eccezionalmente adirato», non facendo mai riferimento ad una
condotta ripetuta nel tempo.
Sotto altro profilo, il ricorrente lamenta che sarebbe stata negletta la
circostanza che nel mondo militare il livello di rilevanza penale di ingiurie, offese
e minacce è differente da quello del mondo civile, poiché nel primo gergo e modi
sono spesso rudi e scortesi e che, comunque, nel caso di specie non era stato
superato il livello di irrilevanza penale delle espressioni proferite.
2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell'art. 131-bis cod. pen.
e il correlato vizio di motivazione.
Il Giudice di appello avrebbe trascurato, ai fini della applicazione della causa
di esclusione della punibilità, che l'episodio è stato eccezionale e isolato, che il
danno cagionato è stato minimo, ove non del tutto assente e che, comunque,
l'imputato, sebbene con toni accesi, si era sostanzialmente limitato a rimproverare
un militare di grado inferiore per avere disatteso un preciso ordine impartitogli.
2.3. Il terzo motivo inerisce la violazione dell'art. 62-bis cod. pen.
La motivazione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in
misura equivalente alla contestata aggravante, fondata sull'abitualità della
condotta, è errata perché l'imputato non ha mai riportato nessuna condanna
ovvero non è stato sottoposto ad altro processo.
Si tratterebbe di una motivazione del tutto insoddisfacente, non avendo il
giudice di appello in alcun modo preso in considerazione «tutte le ulteriori
circostanze che avrebbero portato sicuramente alla valutazione delle attenuanti
generiche come prevalenti».
3. Il Sostituto Procuratore generale militare ha concluso chiedendo la
declaratoria d'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
2. Le doglianze sviluppate nell'ambito del primo motivo sono inammissibili
perché volte a sottoporre al giudizio di legittimità, peraltro con ampia a-specificità,
aspetti attinenti alla ricostruzione dei fatti e all'apprezzamento del materiale
probatorio, rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito.
E, nel caso di esame, le sentenze del Tribunale e della Corte d'appello - che,
giungendo alle medesime conclusioni si completano, ove ve ne fosse bisogno, a
vicenda - hanno più che esaustivamente illustrato e vagliato il materiale
probatorio (cfr. sopra in fatto il punto 1.1. e 1.2.). La Corte d'appello ha, quindi,
largamente spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto di condividere le conclusioni
del primo Giudice in punto di credibilità dei testi a carico, nonché i motivi per cui
non poteva farsi adesione alle tesi difensive.
Segnatamente, correttamente la Corte d'appello ha evidenziato come la
posizione di supremazia gerarchica dell'imputato rispetto alle persone offese
impedisse di considerare prive di contenuto lesivo le espressioni da lui usate e -
capovolgendo l'assunto svolto dalla difesa - ha chiarito che, se può ammettersi
che nel linguaggio comune e tra pari molte delle espressioni volgari usate hanno
perso la loro connotazione offensiva, denotando soltanto impoverimento del
linguaggio e dell'educazione, le medesime espressioni rivolte a un sottoposto, in
violazione delle regole di disciplina e dei principi che devono ispirarle in forza del
terzo comma dell'art. 52 Cost., esse assumono nuovamente e appieno il loro
specifico significato spregiativo e lesivo, penalmente rilevante (cfr. in senso
analogo, persino in tema di ingiuria comune, Sez. 5, n. 27966 del 2007,
Battaglino).
Altrettanto opportunamente, il Giudice di secondo grado ha - a sostegno di
tale approdo - richiamato la giurisprudenza di legittimità che ha escluso la
fondatezza della questione di legittimità costituzionale, per sospetta violazione
dell'art.3, comma primo, Cost., dell'art.196, comma secondo, c.p.m.p., in ragione
della intervenuta depenalizzazione dell'art. 594 cod. pen, in quanto il
mantenimento della incriminazione prevista dal delitto di ingiuria ad un militare di
grado inferiore, risponde ad esigenze di salvaguardia dell'ordine e della disciplina
militare, riconosciute dall'art.52, comma terzo, Cost. (Sez. 1, n. 17830 del
10/01/2017, Tuveri, Rv. 269561).
3. Del pari inammissibile, siccome generico e reiterativo del pedissequo
motivo di appello, cui il Giudice di secondo grado ha fornito adeguata risposta, è
il secondo motivo di ricorso.
La sentenza impugnata ha desunto, con argomentazioni non manifestamente
illogiche, la non minima offensività del fatto dalla circostanza pacifica che
l'imputato aveva attuato la condotta nei riguardi di due militari gerarchicamente
inferiori, uno dei quali peraltro semplicemente intervenuto per sedare gli animi, e
che si trattava di un comportamento già posto in essere dall'imputato.
A tali argomenti, il ricorrente oppone una diversa valutazione fondata
sull'assenza di precedenti penali e sull'asserita esiguità (o inesistenza) del danno
e, in tal modo, però, finisce per sollecitare a questa Corte di legittimità un diverso
apprezzamento riservato al giudice del merito.
4. Inammissibile è, infine, il terzo motivo di ricorso.
I Giudici di merito, una volta riconosciute le circostanze attenuanti generiche,
le hanno reputate equivalenti all'aggravante contestata, a tal fine valorizzando la
già indicata circostanza che D.M. non fosse nuovo a comportamenti analoghi.
Il giudizio di valenza è, dunque, sorretto da motivazione esente da manifesta
illogicità ed è, pertanto, è insindacabile in questa sede.
Si tratta, invero, di motivazione affatto rispettosa del principio di diritto
secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte
circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito,
sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo
ritenersi anche quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia
limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in
concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/2/2010, Contaldo, Rv. 245931; Sez. 2, n. 31543
del 8/6/2017, Pennelli, Rv. 270450);
5. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e - per i profili di colpa connessi all'irritualità
dell'impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) - di una somma in favore della
cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni
dedotte, in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso, il 26 settembre 2024
Il Consigliere estensore Il Presidente
Avv. Antonino Sugamele

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