Pena accessoria. Il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del
giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non
può, quindi, estendersi all'esame ed alla valutazione degli elementi di fatto
acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla
quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di
una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Cassazione Penale Sent. Sez. 2 Num. 3847 Anno 2025
Presidente: PELLEGRINO ANDREA
Relatore: D'AURIA DONATO
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
V.R. nato a M. di R. il ..........
avverso la sentenza del 28/11/2023 della Corte di appello di Perugia
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Donato D'Auria;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Luigi Giordano, che ha chiesto annullarsi la sentenza impugnata
limitatamente alla durata della pena accessoria inflitta, dichiarando
inammissibile nel resto il ricorso;
udito il difensore, avv. Serena Gasperino, in sostituzione dell'avv. Gianni
Falconi, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 28/11/2023 la Corte di appello di Perugia, decidendo in
sede di rinvio dalla Corte di cassazione, in riforma della sentenza del Giudice
dell'udienza preliminare del Tribunale di Teramo del 16/01/2019, assolveva
R.V. dal reato di cui al capo B) per non aver commesso il fatto,
confermando la sentenza impugnata con riferimento al reato di cui al capo A) e
riducendo conseguenzialmente la pena.
2. L'imputato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen. per contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la
sentenza svaluta l'analisi delle urine eseguita dal ricorrente in data 15/05/2017,
ritenendone l'irrilevanza per accertare se il giorno 13/05/2017 questi avesse
inalato cocaina, osservando che verosimilmente l'assunzione era stata interrotta
dall'arrivo del luogotenente G. all'interno dell'ufficio. Evidenzia in proposito
che il provvedimento impugnato omette di considerare due prove, vale a dire le
dichiarazioni rese dal B. in data 22/05/2017 - secondo cui il G. gli
avrebbe riferito di aver "beccato Vincenzetti a tirare cocaina" - e la relazione di
servizio redatta dal capitano C., in cui l'estensore afferma che il G. gli
aveva riferito di aver sorpreso l'imputato a sniffare cocaina all'interno dell'ufficio;
che, dunque, se il ricorrente avesse inalato sostanza stupefacente in quella
occasione, le analisi delle urine avrebbero dovuto fornire il relativo riscontro;
che, dunque, i risultati negativi delle analisi privano di attendibilità l'annotazione
di servizio del 13/05/2017 a firma del luogotenente P. G., le
dichiarazioni spontanee del colonnello R. in pari data e la relazione di
servizio del capitano C. del 20/05/2017, nella parte in cui affermano che il
V. avrebbe ammesso di aver assunto la sostanza stupefacente poi
sequestrata dal G.; che, viceversa, detti risultati confermano le dichiarazioni
rese dall'odierno ricorrente e contenute nel verbale di sequestro del 13/05/2017,
nonché quelle rese in sede di interrogatorio al pubblico ministero in data
04/07/2017, secondo le quali lo stesso non avrebbe assunto sostanza
stupefacente.
2.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen. per contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui,
con un evidente travisamento della prova, assume che la polvere bianca
rinvenuta al V. fosse stata sottratta dal reperto sequestrato a M. e
B. C.. Evidenzia, in proposito, che i due reperti non potevano
essere della stessa partita di stupefacente in quanto diverse erano le dosi
ricavabili a fronte dello stesso principio attivo; che, invero, risulta evidente la
discordanza tra i due rapporti di prova: 22 grammi circa a fronte di nessuna dose
ricavabile (c'è un trattino orizzontale nella specifica casella) nel rapporto di prova
relativo alla polvere bianca sequestrata all'odierno ricorrente, 7 grammi circa a
fronte di due dosi ricavabili di cocaina nel rapporto relativo alla sostanza
sequestrata ai C.; che, dunque, il travisamento della prova è decisivo e
rilevante perché il giudice del rinvio - ritenuta l'identità delle due sostanze - ha
concluso che il V. si fosse appropriato della cocaina del sequestro
C., pur non avendo mai avuto la disponibilità della chiave dell'armadio
metallico in cui era custodita.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen. per contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui,
travisando la prova, utilizza informazioni probatorie inesistenti, vale a dire i) che
l'imputato avesse consumato la cocaina all'interno del suo ufficio per il timore di
essere scoperto dalla moglie o da altro congiunto, il) che il luogotenente G.
fosse entrato del tutto imprevedibilmente all'interno della stanza; che ciò è in
contrasto con quanto emerge dalla relazione di servizio redatta in data
13/05/2017 dallo stesso G., da cui risulta che quest'ultimo ed il V.
si erano incontrati poco prima in corridoio e che il luogotenente era entrato nella
stanza dell'imputato per prendere una pratica, circostanza questa che dimostra
che la stanza del ricorrente non era un posto sicuro dove consumare sostanza
stupefacente, ma un ufficio in cui erano riposte pratiche anche nella disponibilità
del G..
2.4. Con il quarto motivo si duole della violazione dell'art. 606, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen. per contraddittorietà della motivazione per travisamento
della prova, poiché la Corte territoriale non ha visionato la fotografia della
cassettiera a sinistra della scrivania del V. (segnatamente la prima foto
in altro a pag. 127 del fascicolo fotografico del verbale di sopralluogo del
18/05/2017), in cui si apprezza l'informazione probatoria invece omessa che tra
il secondo ed il terzo cassetto non c'è soluzione di continuità, per cui i cassetti si
sbloccano contestualmente, trattandosi di un unico cassetto diviso in due parti;
che da ciò discende che la forzatura del terzo cassetto avrebbe comportato
l'apertura anche del secondo, in cui veniva rinvenuta la polvere bianca; che tale
circostanza il giudice del rinvio non ha colto per un errore percettivo, travisando
la prova in modo rilevante e decisivo, in quanto escludeva che la sostanza
rinvenuta dal V. nel secondo cassetto fosse stata introdotta da terzi
estranei.
2.5. Con il quinto motivo deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen. per contraddittorietà della motivazione per travisamento della
prova, non avendo il giudice del rinvio esaminato una prova decisiva, vale a dire
il narcotest eseguito il 05/09/2014 sulla cocaina sequestrata ai C., poi
custodita all'interno dell'armadio metallico da cui è stata sottratta, di colorazione
blu; che da tale omissione è conseguita la mancata comparazione con il risultato
del narcotest effettuato sulla sostanza rinvenuta al V., che prima che
venisse riposto nel cestino presentava un colore rosa con filamenti blu; che,
dunque, dal confronto tra i due test speditivi sarebbe emerso che la sostanza
sequestrata all'imputato non era la sostanza custodita nell'armadio metallico
proveniente dal sequestro C., atteso che i due test speditivi - effettuati
con lo stesso reagente - erano di colore diverso.
2.6. Con il sesto motivo eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen. per contraddittorietà della motivazione per travisamento della
prova, avendo il giudice del rinvio utilizzato una informazione probatoria
inesistente. Evidenzia, invero, che la Corte di merito ha sostenuto del tutto
apoditticamente che il V., pur non avendo mai avuto la disponibilità
della chiave, possa comunque in qualche modo essersene appropriato, per
sottrarre la sostanza stupefacente custodita in cassaforte; che tale
appropriazione sarebbe giustificata dalla "sua posizione" di soggetto interno alla
caserma; che, tuttavia, non sono specificate le modalità e la tempistica della
condotta criminosa, essendovi solo l'indicazione di comportamenti del ricorrente
in ordine alla richiesta di informazioni sulle sostanze stupefacenti sequestrate,
ritenuti sospetti, benché lo stupefacente fosse custodito all'interno dell'ufficio cui
era assegnato; che, inoltre, è stata svalutata l'archiviazione disposta dal giudice
militare in relazione al furto della chiave dell'armadio in cui era custodita la
sostanza stupefacente.
2.7. Con il settimo motivo lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett.
c), cod. proc. pen., in relazione all'art. 125 cod. proc. pen., evidenziando un
contrasto tra motivazione e dispositivo. Rileva che, mentre la motivazione
assolve l'imputato dai reati di cui ai capi B), C) e D), nel dispositivo il V.
risulta assolto solo dal reato di cui al capo B); che, dunque, nel caso di specie, si
è in presenza di elementi che depongono tutti per la prevalenza della
motivazione sul dispositivo.
2.8. Con l'ottavo motivo si duole della violazione dell'art. 29 cod. pen., in
relazione all'art. 28 cod. pen., evidenziando che - a fronte della condanna alla
pena di anni due mesi otto di reclusione - è stata irrogata la pena accessoria
della interdizione perpetua dai pubblici uffici, che presuppone la condanna ad
una pena non inferiore a cinque anni di reclusione.
2.9. Con il nono motivo eccepisce la violazione dell'art. 597, comma 3, cod.
proc. pen., rilevando la violazione del principio del divieto di reformatio in peius.
Osserva che il Giudice dell'udienza preliminare aveva condannato l'imputato alla
pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque e
che la Corte territoriale - in assenza dell'impugnazione del pubblico ministero -
aveva irrogato la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici.
2.10. In data 29/12/2024 è pervenuta memoria di replica alle conclusioni
scritte del Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti che seguono.
1.1. I primi sei motivi non sono consentiti, atteso che sono costituiti da
mere doglianze di fatto, tutte finalizzate a prefigurare una rivalutazione
alternativa delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità.
Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della
Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all'art. 606, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen., dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel
giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte
di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a
quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimità,
infatti, è precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve
in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio
probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il
compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella
di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini
della decisione. In altri termini, eccede dai limiti di cognizione della Corte di
cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi
di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il
controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art.
606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell'esposizione delle
ragioni giuridicamente apprezzabili che l'hanno determinata, dell'assenza di
manifesta illogicità dell'esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni
rispetto al fine che ne ha giustificato l'utilizzo e della non emersione di alcuni dei
predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente
indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione
insindacabile (Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen Wenjian, Rv. 284556 -
01; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos Silva, Rv. 283370 - 01; Sez.
2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747 - 01).
Pertanto, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del
giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non
può, quindi, estendersi all'esame ed alla valutazione degli elementi di fatto
acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla
quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di
una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Dunque, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito ed il
voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera
censura di fatto sul profilo specifico dell'affermazione di responsabilità
dell'imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di
violazione di legge penale, in realtà non configurabili nel caso in esame, posto
che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo
percorso argonnentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica.
Deve esser evidenziato, inoltre, che detti motivi sono reiterativi di medesime
doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all'interpretazione del materiale
probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e
concludenti dalla Corte territoriale, come ci si appresta a specificare.
1.1.1. Invero, in relazione al primo motivo, i giudici di appello hanno
desunto dalla negatività delle analisi delle urine del 15/05/2017 che l'imputato
fosse stato sorpreso dal G. nell'atto di iniziare ad inalare la sostanza bianca
che aveva riposto su un foglio di carta, senza riuscirci per l'ingresso del superiore
nella stanza; che ciò non è in contrasto con le risultanze della relazione di
servizio del 13/05/2017, nella quale il G. ha descritto la posizione in cui
aveva trovato il V., vale a dire "con il capo chinato in posizione obliqua,
quasi a toccare la scrivania tenendo il suo dito indice a chiusura di una delle
narici", dunque, nella posizione di chi si appresta ad assumere cocaina; che,
pertanto, le dichiarazioni rese dal B. in data 22/05/2017 - secondo cui il
G. gli avrebbe riferito di aver "beccato V. a tirare cocaina" - e la
relazione di servizio redatta dal capitano C., nella parte in cui dà atto che il
G. gli aveva riferito di aver sorpreso l'imputato a sniffare cocaina all'interno
dell'ufficio, scontano l'imprecisione del linguaggio parlato corrente, peccando di
approssimazione; che, del resto, ben tre militari hanno riferito delle ammissioni
relative all'uso di sostanze stupefacenti a far data già dal 2016 fatte
nell'immediatezza dal V., informazioni, peraltro, raccolte singolarmente
da ognuno di essi in occasioni diverse; che, rispetto a tale ultima circostanza, il
ricorrente non è stato in grado di fornire una accettabile spiegazione alternativa
ovvero l'esistenza di elementi che potessero far desumere che dette dichiarazioni
fossero state mosse da sentimenti di astio o rancore nei suoi confronti, essendosi
apoditticamente limitato ad affermare di essere stato "incastrato" dai colleghi,
paventando addirittura la sostituzione della sostanza analizzata.
1.1.2. Quanto al secondo motivo, rileva il Collegio che alcun travisamento
della prova è dato rinvenire nella motivazione del provvedimento impugnato con
riferimento alla provenienza della cocaina di cui è stato trovato in possesso
l'odierno ricorrente dal sequestro operato nel procedimento a carico di M. e
B. C., avendo la Corte territoriale valorizzato la presenza della
stessa percentuale di principio attivo e sostanze volatili estraibili, come risulta
dall'elaborato tecnico versato in atti. L'evidente incompletezza del rapporto di
prova della cocaina sequestrata ai C., nella parte in cui non indica il
numero delle dosi ricavabili dai 22 grammi di sostanza stupefacente in
sequestro, non rileva, atteso che - a voler seguire l'impostazione difensiva - si
arriverebbe alla assurda conclusione per cui, anche a fronte di una percentuale di
principio attivo pari al 5,6%, da quella sostanza stupefacente non sarebbero
ricavabili dosi droganti. Dunque, le circostanze di fatto sopra sintetizzate, che
depongono nel senso dell'identità delle due sostanze di cui si discute, hanno
consentito ai giudici di appello di affermare che il V. si fosse appropriato
della cocaina del sequestro C..
1.1.3. Anche con riferimento al terzo motivo, si osserva non vi è stato alcun
travisamento delle risultanze probatorie e che le doglianze difensive si risolvono
in mere illazioni e supposizioni, che confliggono con le oggettive emergenze
processuali. Invero, il dato di fatto da cui non si può prescindere è che l'imputato
è stato sorpreso all'interno dell'ufficio nell'atto di assumere sostanza
stupefacente, rivelatasi alle analisi del tipo cocaina e che - si ribadisce - non vi
sono elementi agli atti che possano far anche solo ipotizzare che il G. abbia
mentito nel riportare quanto caduto sotto la sua diretta percezione; del resto,
elementi di tal fatta, nemmeno il ricorrente li evidenzia.
1.1.4. Con riferimento al quarto motivo, la Corte di merito ha dedotto che,
dalle fotografie allegate al verbale di sopralluogo del 18/05/2017, risulta che le
serrature delle due cassettiere poste sotto la scrivania del V. sono
integre e che dal verbale di perquisizione del 20/05/2017 emerge che solo il
terzo cassetto partendo dall'alto della cassettiera posta a sinistra, se sollecitato,
si apre, Mentre gli altri cassetti rimangono bloccati. Dunque, ancora una volta si
è in presenza di illazioni che trovano puntuale smentita negli atti processuali:
alcuna forzatura della serratura è stata riscontrata, con la precisazione che solo il
terzo cassetto, se sollecitato, si apriva, nonostante la serratura fosse chiusa, di
talchè correttamente la Corte di merito ha escluso che la sostanza stupefacente
possa essere stata introdotta nella cassettiera in uso al ricorrente da terze
persone.
1.1.5. In relazione al quinto motivo, deve rilevarsi che alcun travisamento
delle prove è dato rinvenire nelle argomentazioni della sentenza impugnata.
Invero, con un percorso motivazionale congruo e privo di vizi logici la Corte
territoriale - dato per presupposto che il narcotest eseguito il 05/09/2014 sulla
cocaina sequestrata ai C. aveva dato esito positivo - ha poi specificato
che il primo narcotest effettuato sulla sostanza sequestrata all'odierno ricorrente,
eseguito con un reagente vetusto, aveva evidenziato la presenza di piccoli
filamenti di colore blu/azzurro (circostanza questa riferita da ben due soggetti, il
G. ed il C., che era colui che aveva eseguito il test), che sono
indicativi della presenza di cocaina; che, dopo alcune ore, il liquido nella provetta
aveva cambiato colorazione, presentando un colore rosa con alcuni filamenti di
colore azzurro; che, ripetuto il narcotest con un reagente di ultima generazione,
era stato confermato l'esito positivo, avendo assunto il reagente il colore blu. In
buona sostanza, da nessun atto del procedimento emerge che la prima analisi
non avesse dato esito positivo, circostanza questa che avrebbe potuto far
dubitare della natura stupefacente della sostanza testata, risultando solo un
diverso grado di colorazione tra la prima e la seconda prova, da attribuire alla
vetustà del reagente utilizzato per il primo narcotest.
1.1.6. Anche il sesto motivo si fonda su illazioni e mere supposizioni - come
si è già specificato, non valutabili in sede di legittimità - in ordine alle
circostanze di tempo ed alle modalità con le quali il V. sarebbe venuto in
possesso delle chiavi dell'armadio in cui era custodita la sostanza stupefacente
sequestrata nel corso dell'attività istituzionale dai carabinieri in servizio presso la
caserma di Giulianova e non fa i conti con le risultanze probatorie, che
consentono i) di affermare che tali chiavi in più occasioni erano rimaste sulla
scrivania del G. o inserite nella toppa della serratura dell'armadio e, li) in
ogni caso, di riferire la cocaina sequestrata all'imputato al maggior quantitativo
sequestrato nel procedimento penale a carico di M.e B. C..
1.2. Il settimo motivo è manifestamente infondato. Invero, il giudizio di
appello in sede di rinvio ha avuto ad oggetto solo i reati di cui ai capi A) e B),
come si evince anche dall'epigrafe della sentenza impugnata, di talchè è con
riferimento a tali uniche imputazioni che correttamente la Corte territoriale si è
pronunciata.
1.3. L'ottavo ed il nono motivo - che, avendo ad oggetto la stessa
questione, relativa alla pena accessoria applicata, possono essere trattati
congiuntamente - colgono nel segno. Va, invero, evidenziato che, poiché la
durata della pena principale applicata al V. è inferiore ai tre anni di
reclusione (nel caso di specie anni due mesi otto di reclusione), non può essere
applicata né la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici
che l'art. 29 cod. pen. prevede per reati che abbiano dato luogo a condanna a
pena non inferiore ai tre anni di reclusione, né tantomeno quella dell'interdizione
perpetua dai pubblici uffici, applicata dalla Corte territoriale, normativamente
prevista per reati per i quali sia stata irrogata una pena non inferiore a cinque
anni di reclusione.
2. Da qui l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata
limitatamente all'irrogazione della pena accessoria della interdizione perpetua dai
pubblici uffici, che elimina, con declaratoria di inammissibilità nel resto del
ricorso.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all'irrogazione
della pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici, che elimina.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il giorno 14 gennaio 2025.
01-03-2025 17:27
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