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Sentenza

Procedimento disciplinare degli agenti di Polizia di Stato...
Procedimento disciplinare degli agenti di Polizia di Stato
T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., (ud. 15/12/2020) 04-02-2021, n. 1441


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13396 del 2014, proposto da

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Lorenzo Letti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Nomentana, 299;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

-OMISSIS- non costituito in giudizio;

per l'annullamento

del decreto ministeriale n. 333-d/0181329 del 04.07.14 avente ad oggetto la destituzione del ricorrente dall'amministrazione della pubblica sicurezza a decorrere dall'8 dicembre 2001 ai sensi dell'art. 7 comma 2 nn. 1, 2 e 4 del D.P.R. n. 737 del 1981, per i motivi contenuti nella deliberazione del 18.4.2014.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visto l'art. 25 D.L. 28 ottobre 2020, n. 137;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica da remoto del giorno 15 dicembre 2020 il Cons. Mariangela Caminiti e presenti per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1.Il sig. -OMISSIS- riferisce che in data 17.7.2014 gli è stato notificato il D.M. n. 333-D/0181329 del 04 luglio 2014, con il quale è stato destituito dall'Amministrazione della Pubblica Sicurezza dall'08.12.2001 "per i motivi contenuti nella deliberazione del 18.4.2014". La predetta Delib. del 18 aprile 2014 del Consiglio Provinciale di disciplina, istituito presso la Questura di Catanzaro, ha proposto nei suoi confronti l'irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione per fatti risalenti nel tempo e contestati nel 2001, riguardo ad una vicenda giudiziaria per la quale sarebbe stato assolto con la prescrizione dei fatti contestati.

Il sig.-OMISSIS- lamenta gravi irregolarità del procedimento tali da inficiare di illegittimità il provvedimento di destituzione avverso il quale ha proposto ricorso, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:

1- Nullità per violazione dell'art.9, comma 6 del D.P.R. n. 737 del 1981: dopo un lungo procedimento penale, concluso con la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, sez. penale n.229 del 2013, resa all'udienza 1.3.2013, dep. il 1.6.2013, l'Amministrazione avrebbe notificato al ricorrente in data 31.1.2014 l'atto di contestazione degli addebiti del procedimento disciplinare, oltre 120 gg dalla data di pubblicazione della sentenza, termine quest'ultimo da considerare perentorio. Nel caso in questione, inoltre, l'Amministrazione avrebbe conosciuto l'iter del procedimento penale tanto da darne conto di tutte le sue fasi nel provvedimento impugnato e avrebbe dovuto esercitare il potere disciplinare con ragionevolezza e tempestività.

2- Nullità per violazione dell'art.9 della L. n. 19 del 1990 combinato con gli articoli 20 e 21 del D.P.R. n. 737 del 1981: il provvedimento impugnato sarebbe viziato anche per il mancato rispetto da parte dell'Amministrazione dei termini di conclusione del procedimento disciplinare (180 gg dalla data in cui l'Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi 90 gg). La sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, sez. penale n.229 del 2013, resa all'udienza 1.3.2013, dep.il 1.6.2013 sarebbe divenuta irrevocabile il 23 settembre 2013; con nota prot. n. (...) rep. (...) del 30.01.14 notificato il 31.01.2014 il ricorrente avrebbe ricevuto la contestazione degli addebiti disciplinari ex art. 14 D.P.R. n. 737 del 1981 e il provvedimento impugnato conclusivo del procedimento disciplinare secondo il disposto degli art.20 e 21 del D.P.R. n. 737 del 1981 sarebbe stato notificato al ricorrente il 17.7.2014, oltre il termine di 90 gg dall'avvio del procedimento disciplinare (e non entro il 2.5.2014). Anche a voler concedere l'interpretazione del termine di conclusione del procedimento più lungo, e cioè di 270 giorni dalla irrevocabilità della sentenza, sussisterebbe comunque il mancato rispetto del termine di notifica del provvedimento sanzionatorio, notifica da effettuare in data 25.6.2014.

3- Incompetenza: con decreto dell'8.10.2012 il ricorrente sarebbe cessato dal servizio nell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza in quanto ritenuto non idoneo in attitudine ai servizi di P.S., pertanto il provvedimento impugnato non avrebbe dovuto seguire le regole del D.P.R. n. 737 del 1981, risultando incompetente il soggetto emanante l'atto.

Conclude parte ricorrente con la richiesta di accoglimento del ricorso con conseguente annullamento del decreto impugnato.

1.1.Si è costituita in giudizio l'Amministrazione intimata con deposito di memoria difensiva con cui ha eccepito il difetto di competenza territoriale di questo Tribunale, rilevando che il ricorrente sarebbe un ex agente della P.S., non più in servizio, con ultima sede di servizio la Questura di Catanzaro e derivante competenza territoriale della controversia del Tar Calabria, Catanzaro.

1.2.A seguito di avviso della Segreteria di perenzione del ricorso parte ricorrente ha depositato istanza di fissazione di udienza e di prelievo con dichiarazione di interesse alla definizione della causa.

1.3.In prossimità dell'odierna udienza parte ricorrente ha prodotto memoria ex art. 73 cpa e si è opposta all'eccezione sollevata dall'Amministrazione contestando altresì la modalità di trasmissione della nota da parte dell'Avvocatura Generale dello Stato; in particolare, il ricorrente ha rilevato di non essere più in servizio presso l'Amministrazione dall'8.10.2012 e per tale ragione sarebbe corretta la competenza del Tar Lazio, Roma in quanto la norma sulla competenza territoriale invocata sarebbe riferita ai pubblici dipendenti in servizio ed ha concluso insistendo sulla domanda di annullamento dell'atto impugnato, alla luce delle censure avanzate.

1.4.L'Amministrazione resistente ha depositato nota di udienza insistendo per il rigetto della causa.

Alla udienza da remoto del 15 dicembre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Preliminarmente il Collegio esamina l'eccezione di incompetenza territoriale di questo Tribunale avanzata dall'Amministrazione resistente in quanto il ricorrente sarebbe un agente della P.S., non più in servizio, con ultima sede di servizio la Questura di Catanzaro e competenza territoriale della controversia del Tar Calabria, Catanzaro.

Il Collegio non condivide la predetta eccezione tenuto conto che il ricorrente è cessato dal servizio con decreto in data 8.10.2012 e l'art. 13, comma 2 del cpa prevede che per le controversie riguardanti pubblici dipendenti è inderogabilmente competente il tribunale nella cui circoscrizione territoriale è situata la sede di servizio.

Alla luce di tale disposizione e dell'interpretazione data dalla giurisprudenza va evidenziato che il foro speciale del pubblico impiego non può trovare applicazione nei riguardi del dipendente cessato dal servizio in data anteriore a quella di emanazione del provvedimento impugnato (cfr. Cons. Stato Ad.Plen. 29 gennaio 1980; id.Cons. Stato, sez.IV, 23 gennaio 1992, n. 105). Ed infatti il foro speciale del pubblico impiego presuppone l'attualità del rapporto di lavoro e, quindi, non trova applicazione alle controversie promosse da ex dipendenti pubblici. Ove sia inapplicabile il foro speciale del pubblico impiego, trovano applicazione i due criteri generali della sede dell'autorità emanante e della dimensione territoriale degli effetti dell'atto, rilevando nella specie un decreto emanato dall'Amministrazione centrale del Ministero resistente nei confronti di un ex dipendente (cfr. Tar Campania, Napoli, sez. VI, 21 novembre 2018, n.5471).

Pertanto competente a decidere il ricorso in epigrafe è questo Tribunale.

2.1. Il ricorso è infondato per le considerazioni di seguito riportate.

2.2.Per ordine logico il Collegio esamina il terzo motivo di impugnazione relativo alla non applicabilità nella specie delle regole del D.P.R. n. 737 del 1981 e della dedotta incompetenza del Capo della Polizia riguardo al provvedimento adottato nei confronti del ricorrente cessato dal servizio e semplice dipendente del Ministero.

Va rilevato che parte ricorrente con decreto in data 8.10.2012 è cessato dal servizio nell'Amministrazione della P.S. e con il successivo decreto 4 luglio 2014 il Capo della P.S. Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, all'esito del procedimento disciplinare, ha decretato nei confronti dell'ex agente la destituzione dall'Amministrazione della P.S. a decorrere dall'8 dicembre 2001, ai sensi dell'art.7, comma 2, nn. 1, 2 e 4 del D.P.R. n. 737 del 1981, "per i motivi contenuti nell'unita deliberazione del 18 aprile 2014 che si intendono integralmente trascritti" (delibera del Consiglio Provinciale di disciplina, istituito presso la Questura di Catanzaro, recante proposta al Consiglio di disciplina dell'irrogazione a carico del ricorrente della sanzione disciplinare della destituzione ).

Premesso che il D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 stabilisce le sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e disciplina i relativi procedimenti con conseguente applicazione agli appartenenti ai ruoli dell'Amministrazione della P.S., non si condivide la censurata inapplicabilità della detta normativa al caso in esame, in quanto la sanzione della destituzione è stata disposta all'esito del procedimento disciplinare per fatti contestati al ricorrente nel 2001: la decorrenza della destituzione è stata fissata "dall'8.12.2001" - periodo nel quale il ricorrente era in servizio presso la P.S., periodo anteriore a quello di cessazione dal servizio avvenuta nel 2012 - per i motivi contenuti nella richiamata deliberazione del Consiglio Provinciale di disciplina istituito presso la Questura di Catanzaro del 18.4.2014.

Pertanto, non sussiste la censurata incompetenza dell'Organo emanante il decreto di destituzione, correttamente adottato dal Capo della Polizia nei confronti del ricorrente, ai sensi dell'art. 7 del D.P.R. n. 737 del 1981, con decorrenza della destituzione ossia della cancellazione dai ruoli della P.S. dal periodo in cui parte ricorrente era ancora in servizio presso la P.S.. Il predetto art. 7 rinvia per le modalità di inflizione della sanzione al precedente art.6, comma 3 prevedendo l'adozione del decreto del Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza, previo giudizio del consiglio centrale di disciplina, qualora trattisi di personale appartenente alle qualifiche dirigenziali e direttive e, previo giudizio del consiglio provinciale di disciplina, per il restante personale.

In particolare il provvedimento di destituzione ha decretato una decorrenza anteriore - 8.12.2001 - a quella della cessazione dal servizio (2012) ed ha indicato il periodo di sospensione cautelare, applicato al ricorrente, precisando che il periodo di sospensione cautelare dall'8.12.2001 al 21 settembre 2004 (giorno antecedente altra destituzione dal servizio per diversi fatti adottata con altro decreto 20 settembre 2004, poi annullato con sentenza Tar Calabria Catanzaro del 25 settembre 2009) e dal 20 ottobre 2009 (giorno di ripristino del rapporto di impiego, a seguito della sentenza) al 3 gennaio 2012 non è valido né ai fini giuridici né a quelli di quiescenza , assistenza e previdenza, mentre gli assegni corrisposti durante detto periodo sono dichiarati irripetibili.

Tanto acclarato va affermato che l'Amministrazione può promuovere il procedimento disciplinare anche nei confronti del dipendente già cessato dal servizio (cfr. Cons Stato, Ad Plen. 6 marzo 1997, n. 8; Tar Veneto, sez. I, 22 agosto 2002, n.4514) e che il provvedimento di destituzione dal servizio può avere effetti retroattivi, quando l'inquisito, durante il procedimento disciplinare, sia sospeso dal servizio, come nella specie (cfr. Tar Campania, Napoli, sez. V, 28 settembre 2002, n. 5877). E ciò in quanto la sospensione cautelare ha lo scopo di allontanare temporaneamente dal servizio un dipendente per evitare un pregiudizio per il buon andamento ed il prestigio dell'Amministrazione durante il periodo di svolgimento del procedimento penale, viceversa la destituzione ha natura sanzionatoria con effetti retroattivi, ed è collegata all'esito di un autonomo procedimento amministrativo; pertanto, solo alla fine del procedimento la p.a. potrà valutare se una condanna riportata dinanzi al giudice penale possa comportare o meno la prosecuzione del rapporto di lavoro (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 4 luglio 1997, n. 299).

Sulla base di ciò il terzo motivo è infondato.

2.3. Parimenti infondate sono anche le altre censure sulle denunciate irregolarità del procedimento, per la tardività dell'atto di contestazione degli addebiti del procedimento disciplinare, oltre 120 gg dalla data di pubblicazione della sentenza (primo motivo) e per la tardiva conclusione del procedimento disciplinare, oltre i 180 gg dalla data in cui l'Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi 90 gg (secondo motivo).

Riguardo al primo motivo va richiamata la giurisprudenza costante secondo la quale in materia di contestazione degli addebiti disciplinari a carico di agenti della Polizia di Stato non è previsto dall'art. 12, del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 - che costituisce la normativa speciale rispetto a quella generale dettata dal T.U. n. 3 del 1957 - alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti, con la conseguenza che l'Amministrazione procedente deve ottemperare solo ad una regola di ragionevole prontezza nella contestazione degli addebiti. Inoltre, l'uso del termine 'subito' nel contesto dell'art. 103, T.U. impiegati civili dello Stato, ai fini della contestazione degli addebiti, presenta mera valenza sollecitatoria, con la conseguenza che residua all'Amministrazione un ampio spazio di azione ai fini dell'espletamento degli adempimenti finalizzati al reperimento e alla valutazione degli elementi relativi alle vicende oggetto di esame (cfr. Cons. Stato , sez. VI , 17 maggio 2006, n. 2863; Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 11 febbraio 2019, n. 365; Tar Campania, Napoli, sez. VI, 25 marzo 2015, n.1743; Tar Lazio, Roma, sez. I, 3 novembre 2014, n.10988; Tar Puglia, Bari, sez. I, 15 novembre 2012, n.1945).

Ed infatti nel procedimento disciplinare a carico dell'agente di P.S. - che ha inizio con la contestazione degli addebiti e termine con l'adozione del provvedimento sanzionatorio o con il proscioglimento dell'incolpato - vanno distinti i termini inderogabili - che sono quelli posti a garanzia dell'inquisito, e cioè quelli previsti per la presentazione delle giustificazioni, la presa visione degli atti, e, appunto, per il preavviso di trattazione davanti alla commissione - da quelli ordinatori o sollecitatori, che sono tutti gli altri termini (cfr. Tar Molise, 7 settembre 2017, n.284).

Con riferimento al secondo motivo va rilevata la insussistenza dei vizi del provvedimento impugnato per come denunciati in quanto i termini previsti dagli artt. 19, 20 e 21, D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, che cadenzano il procedimento disciplinare del personale della Polizia di Stato, non hanno natura perentoria e la loro inosservanza non ha effetti invalidanti sulla sanzione assunta (cfr. Tar Valle d'Aosta, 30 ottobre 2017, n.62). L'art. 9, comma 2, L. n. 19 del 1990 va interpretato nel senso che l'Amministrazione è tenuta a concludere il procedimento disciplinare nel termine di complessivi 270 giorni da quando ha avuto notizia della condanna penale del dipendente incolpato e tale termine complessivo si ricava sommando al termine di 180 giorni imposto per l'inizio del procedimento disciplinare (e decorrente dalla detta notizia) quello di successivi 90 giorni imposto per la conclusione del procedimento disciplinare. A tal proposito mancano elementi di prova da parte del ricorrente riguardo al momento dell'avvenuta formale conoscenza della sentenza da parte dell'Amministrazione.

In ogni caso, va evidenziato che in tema di procedimento disciplinare a carico di appartenenti alla Polizia di Stato, non trova applicazione il termine perentorio di conclusione dello stesso, previsto dall' art. 9, comma 2, della L. n. 19 del 1990 (norma invocata dal ricorrente) in presenza di un procedimento penale conclusosi con la dichiarazione di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, come nella specie: in tal caso, date le particolari modalità del procedimento penale, può infatti sorgere la necessità di effettuare autonomi accertamenti in sede disciplinare (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 27 giugno 2006, n. 10; Tar Lazio, Roma, sez. I quater, 15 maggio 2019, n.6038).

3. In definitiva, il ricorso in quanto infondato va respinto.

La particolare natura della fattispecie contenziosa giustifica la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese del giudizio compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio da remoto del giorno 15 dicembre 2020 con l'intervento dei magistrati:

Salvatore Mezzacapo, Presidente

Mariangela Caminiti, Consigliere, Estensore

Antonio Andolfi, Consigliere
Avv. Antonino Sugamele

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